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Autore: Aletheia229    18/01/2013    1 recensioni
SEQUEL DI ALL TOO WELL
SPOILER DALLA SECONDA STAGIONE
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Chi non ha mai letto una favola? Nessuno. Quando il viaggio a Storybrooke è iniziato abbiamo scoperto nuove sfacettature di storie a noi già note. Ma il libro non ne racconta una.
La Regina Cattiva è colma di odio per Biancaneve. Ormai sappiamo che non ha nulla da fare con la loro bellezza. Ma un motivo ancora più profondo è rimasto nascosto. Fino ad ora.
Katherine è tornata a casa, strappata via da Killian. Ma la ragazza arriva a Storybrooke pochi giorni prima del pirata. Ed è in quel momento che l'ultima storia viene svelata.
Vecchi segreti verranno alla luce, mescolando tutte le carte in tavola, creando alleanze e contrasti che sembravano impensabili e i due innamorati dovranno affrontare un nuovo ostacolo: il loro passato.
Ma loro non sono gli unici protagonisti di questa storia. Più destini s'intreccerano tra loro e nulla sarà più come prima.
Perché finalmente anche loro potevano avere il loro lieto fine, essere felici e tutto grazie agli errori da loro commessi: la promessa non mantenuta di lui e il sortilegio di lei.
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Nulla che tu possa dire o fare cambierà ciò che provo per te
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Regina Mills, Signor Gold/Tremotino
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Story Of Us'
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Begin Again

Disclaimer: Nulla mi appartiene. Once Upon A Time appartiene a ABC mentre Peter Pan e tutto ciò che è collegato a esso appartiene a J.M.Barrie.





I’ve been spending the last eight months
Thinking all love ever does
Is break and burn and end
But on a Wednesday in a cafè
I watched it begin again
(Begin Again by Taylor Swift)


Katherine sapeva dove si trovava ancor prima di aprire gli occhi. Ormai quella stanza non le abbandonava più la mente, era un incubo costante.

Era una stanza rossa, senza porte né finestre. Le tende, anch’esse rosse, erano in fiamme.

Prese un respiro profondo prima di aprire le palpebre.

Andrà tutto bene, devo stare calma  pensò.

Cominciò a guardarsi intorno, nella speranza che qualcosa fosse cambiato.

Da quando si era svegliata ogni notte faceva sempre lo stesso sogno e nulla era mai cambiato.

Pian piano il panico prese il sopravvento mentre lei cercava di non perdersi d’animo.

Incominciò a correre verso l’altro lato della sala ma fu costretta a fermarsi quando le fiamme avanzarono. Si portò il braccio davanti al viso per ripararsi e fece un passo indietro.

Sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto mentre il respiro si faceva sempre più affannoso.

Continuava a girare la testa a destra e sinistra e a spostarsi all’interno della stanza.

Ad un tratto le sembrò di scorgere qualcosa in un angolo ma quando tentò di andare in quella direzione le fiamme la circondarono.


Katherine si svegliò di soprassalto, lanciando un urlo da far raggelare le vene. Portò una mano al petto e fece degli ampi respiri profondi, cercando di tranquillizzarsi.

Quegli incubi erano il motivo principale per cui aveva insistito tanto per un proprio appartamento. Non poteva correre il rischio di farsi scoprire da suo padre.

Si portò una mano tra i capelli e provò un dolore improvviso.

Accese la luce e notò una scottatura sul dorso della mano.

Gettò le coperte di lato e si diresse verso il bagno, dove prese il kit di pronto soccorso. Mise la mano sotto l’acqua fredda per alleviare un po’ il dolore e la fasciò con una benda dopo aver applicato una pomata.

Si appoggiò al lavandino, aspettando che i battiti tornassero regolari.

Quell’incubo era stato peggio degli altri. Le era sembrato così reale. E quella presenza. Era come se davvero fosse stata lì, se davvero ci fosse stata un’altra persona insieme a lei.

Una volta calmatasi decise di scendere in cucina a bere un bicchiere d’acqua.

Passando davanti al salotto per tornare in camera notò un libro sul tavolino. Lo prese in mano e si sedette vicino alla finestra, dove si mise a rileggere dello scontro tra Peter Pan e Capitan Uncino.

Ormai era un’abitudine. Ogni volta che si svegliava da un incubo, scendeva in cucina e poi andava in salotto dove si metteva a leggere.

La storia era così diversa da quella reale ma l’aiutava a sentirlo vicino. Si addormentava ricordando di quando fosse lui a cullarla e poi la mattina si svegliava con il libro stretto al petto.


Stava preparando la valigia. Non aveva idea di cosa portare con sé quindi aveva deciso di prendere solo l’indispensabile: vestiti, portatile ed ovviamente la sua copia di Peter Pan, insieme ad altri libri.

Era strano come si sentisse vuota ora adesso che era così vicina a trovare delle risposte, a ricominciare da capo. Nella mente continuavano a ricomparire i volti di suo padre, di Elizabeth, di Robert ed addirittura quello di Abigail.

C’era qualcosa che la frenava, che non voleva che partisse. E sapeva perfettamente cos’era.

<< Così te ne vai >>

Katherine piegò una maglietta e la ripose nella valigia, per poi voltarsi verso la porta.

Era esattamente come lo ricordava, solo più uomo. Stessi ricci biondi e stessi occhi ipnotici. Ma se prima il viso era ancora quello di un ragazzo adesso aveva un accenno di barba che lo rendeva più adulto, nonostante fosse sicura che il sorriso fosse rimasto lo stesso.

Sapeva che non sarebbe riuscita a partire finché non lo avesse affrontato. Non poteva lasciarsi questioni irrisolte alle spalle, non quando voleva cominciare una nuova vita.

Il vero motivo per cui lo aveva evitato fino ad allora era che aveva paura. Aveva paura di scoprire di provare ancora qualcosa per lui.

Ma quando dopo otto anni per la prima volta lo guardò negli occhi si accorse di non provare nient’altro che nostalgia per i tempi andati. Quando lui si arrampicava sull’albero di fronte alla sua finestra per intrufolarsi in camera sua e rimanevano a parlare per ore, finché non giungeva l’alba e lui ritornava a casa. Quando la abbracciava ogni volta che soffriva per l’assenza di sua madre e lui le assicurava che sarebbe andato tutto bene, che non aveva bisogno di quella donna perché aveva lui. Quando era scoppiata a piangere il giorno della partenza, terrorizzata all’idea di perdere il suo migliore amico a causa della distanza.


Malibù, quindici anni fa


<< Mi mancherai >>

<< Mancherai di più tu a me. Come farò senza di te? >>

La ragazza sciolse l’abbraccio per guardare per un’ultima volta il suo migliore amico. Non riusciva a credere con non l’avrebbe più rivisto. Forse stava esagerando, c’erano sempre le vacanze. Ma di certo non sarebbe stato come vederlo ogni giorno e sapere che le bastava percorrere duecento metri per trovare un appoggio.

Alexander c’era sempre stato per lei. Fin dall’asilo erano stati inseparabili. Avevano fatto tutto insieme, si erano anche dati il primo bacio. Addirittura erano stai insieme una volta, quando erano ancora un po’ più piccoli ma poi si erano resi conto che era troppo presto per accelerare i tempi.

Ed ora erano lì, davanti all’entrata di casa sua per salutarsi, mentre i loro padri caricavano le ultime cose sul camion.

Non riusciva a capacitarsi di quello che stava per succedere. Non era semplicemente possibile che loro due venissero separati, era come privare una persona del suo cuore. Non sarebbe sopravvissuta. Non senza di lui.

<< Hei, non fare quella faccia. Sono sicuro che a Londra farai un sacco di nuovi amici nel giro di una settimana. E poi ci sentiremo il più spesso possibile. Non è la fine del mondo >> cercò di consolarla Alex.

<< Promettimi che non cambierà nulla >> lo implorò con le lacrime agli occhi.

Non poteva sopportare il pensiero di perdere un'altra persona a lei cara.

<< Non importa quanto siamo lontani, io sono il tuo migliore amico. Lo sono sempre stato e sempre lo sarò >>


New York City, presente


Quando le cose erano ancora semplici, prima che i loro genitori incominciassero a spingerli l’uno tra le braccia dell’altro.

Con sollievo si accorse che anche nei suoi occhi era presente la stessa nostalgia.

<< Ho bisogno di cambiare aria >> gli rispose semplicemente.

Lui la squadrò da capo a piedi prima di guardarla negli occhi. Lei sostenne lo sguardo anche quando le si avvicinò.

<< Senza salutare? Sei la mia… >>

<< Mettiamo in chiaro una cosa. Io non appartengo a nessuno se non a me stessa. E se voglio fare qualcosa, la faccio senza renderne conto a nessuno >> lo interruppe bruscamente, chiudendo le mani a pugno.

Non voleva sentire quella frase. Quella parola, fidanzata, le ricordava le responsabilità di cui non aveva tenuto conto quando si era innamorata di Killian. Aveva sempre saputo che alla fine avrebbe lasciato Neverland eppure dopo il primo anno aveva smesso di pensare a ciò che l’aspettava a casa.

E sentire quell’aggettivo, mia, che troppe volte aveva sentito il suo capitano pronunciare le procurava delle fitte al petto.

Per non menzionare il suo caratteraccio. Lei era sempre stata indipendente, se l’era sempre cavata da sola. Non esisteva proprio che fosse ridotta ad un semplice oggetto da possedere. L’unica cui doveva qualcosa era se stessa. Tutti gli altri non potevano pretendere nulla, per quanto lei li amasse.

<< C’è un altro non è vero? >>

Katherine sentì gelarle il sangue. Non voleva che lo sapesse, non voleva ferirlo. 

<< Cosa te lo fa pensare? >>

<< Hai negli occhi la stessa luce che li illuminava quando ti ho chiesto di sposarmi >>

Lei abbassò il viso colpevole, cercando di evitare i suoi occhi che di sicuro l’avrebbero letta dentro. Si portò la mano tra i capelli, cercando di trovare qualcosa da dire che non suonasse troppo scontato o idiota.

<< Non indossi l’anello >> affermò.

Lei spostò la mano in tasca, cercando di nascondere ormai l’evidente. Dal suo risveglio non era più riuscita a portare quel gioiello. Le sembrava pesante come un macigno, come se volesse ricordarle la sua presenza, che troppo a lungo aveva rilegato in un angolo della mente. Oppure per farle notare che non dovrebbe trovarsi lì, sul suo anulare. Quindi aveva deciso di toglierselo, per essere un po’ in pace con se stessa. Per cercare di dimenticare almeno per un momento il guaio in cui si era cacciata.

Ma soprattutto per scacciare i pensieri di come sarebbe stato se quell’anello le fosse stato dato da Killian.

Andò verso l’armadio, dal quale cassetto prese una scatolina che porse ad Alexander.

<< Penso che questo debba tenerlo tu >>

Lui guardò la scatola per alcuni di secondi prima di riporla in tasca.

<< Quindi è per lui che te ne vai >>

Non era un’accusa, ma una semplice constatazione. Non le stava urlando addosso, cosa che lo aveva immaginato fare milioni di volte, ma manteneva un atteggiamento calmo, neanche rassegnato, come se già sapesse che sarebbe successo ed avesse accettato la situazione.

<< No, è per me stessa. Non posso vivere qui, non ce la faccio. Ogni secondo che passa sento d’impazzire >>

Lui la guardò fisso prima di sospirare, portandosi le mani tra i capelli, cosa che faceva ogni qual volta fosse agitato od indeciso. Quante volte glielo avevo visto fare ma lei non ne era mai stata la causa. Beh, c’è sempre una prima volta.  

<< Voglio essere sincero. Durante questi otto anni… >>

<< Ti sei visto con altre, lo so. È esattamente quello che volevo tu facessi >> continuò lei per lui.

L’aveva capito nel momento in cui aveva telefonato. In un’altra circostanza l’avrebbe considerato normale ma sapeva che otto anni prima se lei non si sarebbe fatta sentire per giorni lui avrebbe preso il primo volo per Londra per raggiungerla.

E quando aveva compreso che in quel periodo lui non era rimasto solo, si era sentita sollevata. L’ultima cosa che voleva era averlo condannato ad anni di solitudine per poi spezzargli il cuore. Lo conosceva abbastanza da sapere quando fosse testardo e quanto tenesse a lei. Ma sapeva anche che lui non era il principe azzurro, lei non era Biancaneve e loro non erano in una favola.

Quello di cui non era stata sicura erano i suoi sentimenti.

<< Ma tu sei stata l’unica davvero importante >>

<< è giunta l’ora di andare avanti. Devi andare avanti ed incominciare a scrivere un nuovo capitolo >> lei disse posandogli una mano sul braccio.

Con quelle parole lo sollevava dal peso di cui quell’anello era il simbolo. Gli accordava il suo permesso di lasciarla alle spalle.

<< Qualunque cosa accada non voglio che vent’anni passati insieme vadano gettati al vento. Puoi sempre contare su di me, come quando eravamo piccoli >>

<< Sei sempre stato il mio migliore amico >>

<< E ho intenzione di continuare ad esserlo >>

<< Nessun rancore, quindi? >> lei chiese per certezza.

<< Nessun rancore >> rispose sorridendole ed aggiunse << So cosa stai passando. Quello che mi ha fatto arrabbiare è stato il tuo comportamento, non l’averti fatta sentire. Sapevo benissimo già da prima che tu ti svegliassi che cercare di salvare questa storia ci avrebbe condannati ad essere infelici. Non si può vivere nel passato >>

Katherine sorrise forzatamente. Non era forse quello che stava facendo lei? Vivere nel passato. L’unico motivo per cui voleva andare a Storybrooke era la speranza di ritrovarlo. Non era riuscita a lasciarselo alle spalle, nonostante sapesse perfettamente che appartenevano a due mondi diversi.

Per un attimo vacillò. Era davvero una buona idea? Anche se lo avesse trovato, cosa sarebbe successo dopo?  Sarebbero stati insieme per un po’ e poi? Probabilmente lui sarebbe tornato a Neverland e cosa ne sarebbe stato di lei? Poteva abbandonare la sua famiglia per seguire l’uomo che amava? Poteva chiedere a Killian di rinunciare ad essere un pirata per rimanere con lei? Poteva vivere col peso di sapere di aver abbandonato le persone che l’amavano e di aver costretto Killian ad aver lasciato ciò per cui aveva sempre vissuto?


Era giunto il momento dei saluti. Finalmente stava per lasciare quella città che aveva ospitato la sua casa per otto mesi. Finalmente avrebbe ripreso in mano la sua vita.

Eppure, nonostante i bei pensieri che le occupavano la mente, il suo cuore era impregnato di tristezza ed indecisione. Era certa che se non avesse salutato tutti il più presto possibile non avrebbe lasciato la città.

Era sempre stato così. Al momento di compiere una decisione importante veniva afflitta da mille dubbi e pentimenti e le occorrevano un paio di giorni per ritrovare la pace.

Ma questa volta la posta in gioco era alta, molto alta. Si trattava della sua felicità, del suo futuro.

Le erano rimaste solo due opzioni: lasciarsi tutto alle spalle e ritornare a vivere come se nulla fosse mai successo oppure impegnarsi con tutte le sue forze per trovare un modo per tornare da lui.

Era certa che non sarebbe mai riuscita a scegliere la prim finché ci fosse stata anche solo una possibilità per la seconda.

Quindi adesso doveva salutare tutti, salire in macchina e partire.

<< Voglio un’email al giorno ed almeno una telefonata a settimana o vengo a Storybrooke a prenderti in calci >> la minacciò con le lacrime agli occhi Elizabeth mentre l’abbracciava.

Katherine ricambiò la stretta e cercò di imprimersi nella mente il calore emanato dall’amica. Era il suo sole personale.

Passò poi a Robert, che rimase sorpreso dal suo abbraccio, e ad Abigail, che salutò con una semplice stretta di mano.

Quando si ritrovò di fronte a suo padre, vacillò. Era la prima volta che si separavano. Certo, c’erano stati gli otto anni in cui aveva dormito ma lei non ne era stata cosciente. C’erano sempre stati l’uno per l’altra, erano una famiglia. Thomas e Katherine Reed. Nulla di più semplice.

Suo padre era l’uomo più forte che conoscesse eppure ora era con le lacrime agli occhi e il labbro inferiore gli tremava leggermente.

Lei gli gettò le braccia al collo e lui la strinse a sé, mentre piangevano insieme. Come padre e figlia.

<< Ti telefonerò tutti i giorni >> promise.

<< Sarà meglio oppure vengo e ti ritrascino a casa >>

Katherine ruppe l’abbraccio e si rivolse ad Abigail: << Prenditi cura di lui >>.

La rossa annuì e lei si ritrovò di fronte ad Alex l’ultimo da salutare.

Non si dissero nulla, si abbracciarono solamente. Katherine sapeva che se non lo avesse chiamato almeno ogni due giorni lui non avrebbe esitato, a differenza di suo padre, a riportarla a casa, avesse dovuto trascinarla. E poi glielo doveva. Alexander invece sapeva che nulla sarebbe servito a farla desistere o a ritardare il viaggio così come sapeva che si sarebbero sentiti molto presto.

Salutati tutti salì in macchina mentre Alex chiudeva il bagagliaio. Guardò tutti un ultima volta dallo specchietto retrovisore e poi partì.


Foresta Incantata, ventinove anni fa

Hook stava fissando il boccale di birra ancora pieno. Da quando aveva messo piede nella taverna la sua mente era infestata dai ricordi.

Ormai erano andati i tempi in cui non appena faceva il suo ingresso una ragazza veniva verso di lui con un boccale di birra e lui non si preoccupava di ubriacarsi, certo che il giorno dopo avrebbe trovato qualche ragazza senza importanza nel suo letto. Quando passava la serata a giocare a dadi o a raccontare le sue avventure.

Prima che una certa ragazza entrasse a far parte della sua vita.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’ultima volta in cui era stato in una taverna come questa ed al suo fianco c’era Wendy.

Ricordava di come non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso tanto era bella, di quanto fosse geloso ogni qual volta un qualche uomo cercava di avvicinarsi o la guardava oppure lei rideva a qualche battuta dei suoi compari.

Ricordava come era rimasto in un angolo a guardarla mentre circondata da uomini, donne e bambini raccontava la storia di un pirata con una bussola unica che riusciva sempre a perdere la sua nave in un modo o in un altro. Era riuscito persino a farsi rinchiudere in un forziere.

Sapeva benissimo perché aveva scelto quella storia: voleva mettere a loro agio i frequentatori di quella taverna.

Rimaneva ammaliato nel guardarla mentre gesticolava con enfasi presa dal racconto.

E non poteva fare a meno di pensare a cosa avesse fatto per meritare il suo amore.

Lui era un pirata, un bugiardo, un assassino, un uomo senza scrupoli eppure era stato così fortunato da averla al suo fianco.    

Ed ora era di nuovo in una taverna, per la prima volta senza di lei. Non aveva neanche la sua ciurma a fargli compagnia poiché da tempo li aveva ormai abbandonati. Non era riuscito a trovare un motivo valido per cui rimanere a Neverland (in tutti quegli anni non aveva ancora trovato nulla) e quindi aveva deciso di tornare nella Foresta Incantata e di improvvisare qualcosa. Non è forse questo che fanno i pirati?

Eppure davanti a quella birra non riusciva a costringersi a concentrarsi su Rumpelstiltskin finché non udì una voce familiare.

<< Il pericoloso Captain Hook ridotto in miseria. Chi lo avrebbe mai detto? >>

<< Rumpelstiltskin >> mormorò tra i denti il pirata

<< Lieto di vedere che non ti sei dimenticato di me. Cosa ti è successo, dearie? >> lo canzonò l’Oscuro.

Killian cercò di calmarsi. Attaccarlo non sarebbe servito a nulla, aveva già accurato che il suo uncino non riusciva a ferirlo. Certo, mantenere la calma si stava rivelando più complicato del previsto.

Perdere la calma ti farà fare solamente qualche stupidaggine diceva sempre la sua Wendy Il modo migliore per uscire vincitori da una sfida è utilizzare il cervello. La forza bruta è prevedibile e inutile, l’astuzia è la vera arma vincente.

<< Hai forse perso qualcosa? >>

<< Non hai di meglio da fare? Che so, cercare tuo figlio? >> lo stuzzicò Jones. L’Oscuro fece finta di non sentirlo.

<< O forse qualcuno, dearie? >>

Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il pensiero gli aveva attraversato la mente già diverse volte ma mai come allora gli sembrò così probabile.

Si alzò di scatto facendo cadere la sedia e strinse la mano intorno alla gola dell’Oscuro, che sorprendentemente non si oppose né cercò di liberarsi ma rimase impassibile  con un ghigno dipinto sul volto.  

<< Giuro che se le hai torto anche un solo capello trovare tuo figlio sarà l’ultimo dei tuoi problemi >> lo minacciò il capitano

<< Minacce a vuoto, dearie. Sono immortale, ricordi? >>

<< Ho già un motivo per ucciderti, non ho problemi nel farlo nel modo più lento e doloroso possibile >>

<< Quindi ho ragione. Qualcuno è riuscito per davvero ad occupare quel cuore arido. Sono sorpreso, dearie >>

Hook allentò la presa e lo lasciò andare sorpreso.

<< Non sei stato tu? >>

<< Deduco che lei non sia più con te e che tu abbia attribuito la colpa di ciò a me. Mi dispiace distruggere le tue convinzioni. In verità no, non mi dispiace. Quella ragazza ti ha abbandonato. Come avrebbe potuto un fiore come lei amare una bestia come te? >>

<< Tu non sai nulla dell’amore >> replicò Hook chiudendo la mano in un pugno.

Quando si era accorto della scomparsa di Wendy aveva pensato che ci fosse lo zampino di Rumpelstiltskin e quando gliel’aveva sentita nominare quella convinzione si era consolidata. In fondo gli aveva già portato via un amore, perché non farlo di nuovo. Eppure era sicuro che se fosse stata davvero opera sua lui non avrebbe esitato un momento a rinfacciarglielo.

Con sorpresa lo vide stringere i denti e il suo sguardo incupirsi. Senza dir una parola si dissolse in una nuvola di fumo viola, lasciandosi alle spalle un pirata più determinato che mai.

Quella reazione poteva dire una sola cosa: una donna aveva conquistato il cuore di Rumpelstiltskin. E Killian Jones avrebbe trovato quella donna e l’avrebbe strappata dalle sue braccia come aveva fatto con lui. Forse avrebbe anche trovato quella misteriosa arma magica di cui si mormorava.

O forse l’avrebbe usata per costringere l’Oscuro a riportarlo dalla sua Wendy.



Storybrooke, presente 

Appena superato il cartello “Benvenuti a Storybrooke” Katherine percepì il cambiamento nell’aria. C’era molta più elettricità che ti entrava nelle vene rendendoti più attivo e vigile.

Sperava solamente di essere sulla strada giusta. La cittadina dal nome particolare aveva attirato l’attenzione di suo padre e Richard da tempo. Ogni qual volta che qualcuno cercava di entrare avveniva qualche incidente proprio qualche metro prima del cartello. Nessuno la lasciava mai ed ora quelle onde. Sembrava quasi un mondo a sé. Proprio quello che stava cercando.

Quando gli alberi incominciarono a diradarsi la prima cosa che notò fu l’aspetto della cittadina: macchine, case e negozi sembravano usciti da un film ambientato negli anni ottanta. Sembrava quasi che la città fosse rimasta bloccata nel tempo.

Quando incominciò a vedere sempre più persone per la strada decise di parcheggiare e di guardarsi intorno.

Sentiva gli sguardi della gente su di sé ed incominciò a pensare che forse un nuovo inizio non sarebbe stato possibile. Poi si rese conto che molto probabilmente in cittadine così piccole e con la media di incidenti avvenuti non arrivassero molte persone dall’esterno.

Ciò che la colpì fu l’atmosfera, le ricordava Neverland. Un luogo dove i problemi sembravano non esistere e dove tutto era possibile se eri disposto a rimboccarti le maniche.

Più il tempo passava più Katherine sentiva nascere dentro di sé due sensazioni che aveva pensato di aver dimenticato: la speranza e l’euforia.

Sperava davvero di potersi gettare gli ultimi otto mesi alle spalle e di ricominciare da capo, senza nessuna pressione, o domande, o sguardi indagatori. Voleva poter essere di nuovo una ragazza qualunque che cercava di prendere il meglio della vita, voleva tornare ad essere la vecchia lei ma senza dimenticare la ragazza che era stata a bordo della Jolly Roger. Sperava di poter trovare un punto d’incontro tra le due e di ricominciare da lì.

Non sperava di poter ritrovare Killian, quello no. Sapeva che non poteva rimanere seduta con le braccia incrociate sperando in una manna dal cielo. Su quel punto la speranza non poteva aiutarla. Doveva darsi da fare e trovare un modo per ritrovarlo.

E qui entrava in gioco l’euforia. Con ogni passo lo sentiva sempre più vicino. Era sulla buona strada, il suo cuore lo sapeva, e non poteva fare a meno di pensare a quando si sarebbe ritrovata di nuovo fra le sue braccia, a quando sarebbero stati di nuovo insieme.

Troppo persa nei suoi pensieri non si era accorta di star continuando a camminare. Guardò intorno a sè e notò una torre con un orologio e lì si diresse. Sotto l’orologio c’era un’entrata a doppia porta chiusa quindi, cercando per qualcuno a cui chiedere informazioni, vide l’insegna di un bar,  che le fece ricordare che non aveva ancora mangiato nulla essendo partita di mattina presto per evitare il traffico.

Una volta entrata nel locale tutti gli occhi le si puntarono addosso e i soliti mormorii incominciarono a diffondersi.

Senza farci caso, essendoci ormai abituata, si avvicinò al bancone e si sedette su uno sgabello nel momento stesso in cui una ragazza le veniva incontro.

Era alta, con lunghi capelli scuri ed occhi nocciola che sembravano leggerti dentro. Fu colta alla sprovvista dal dolore che poteva leggerci dentro.

<< Posso portarti qualcosa? >> chiese abbozzando un sorriso

<< La specialità della casa andrà più che bene >> rispose Katherine sorridendo a sua volta.

Quando la ragazza tornò con la sua ordinazione Katherine fu stupita dal fatto che si fosse appoggiata al bancone, pronta per incominciare una conversazione.

<< Non ti ho mai visto da queste parti >> disse la bruna e alla ragazza parve di cogliere un significato nascosto

<< Sono appena arrivata in città >>

<< E cosa ti porta in una cittadina sperduta come Storybrooke? >> chiese assumendo un tono più serio.

Katherine rimase qualche secondo in silenzio valutando le sue opzioni. Poteva sbandierare tutto e di sicuro una mano le avrebbe fatto comodo oppure poteva nascondere il vero motivo dietro alla stessa scusa che aveva rifilato a suo padre.

<< Avevo bisogno di cambiare aria. Inoltre spero di ritrovare una persona a me cara che penso si trovi qui >>

La ragazza parve riflettere un momento per poi annuire.

<< Il mio nome è Ruby >>

<< Katherine >> rispose, stringendo la mano che Ruby le aveva offerto

<< Quanto hai intenzione di fermarti, se non sono troppo indiscreta >>

<< Penso un bel po’. Non ho alcuna fretta di tornare a casa >> disse sinceramente.

Ed era vero. La sua priorità era ritrovare il suo capitano ed una volta fatto ciò di sicuro non avrebbe lasciato la città tanto velocemente. Era decisa a recuperare ogni singolo momento andato perduto nel corso di quei otto mesi.

E se per qualche oscura ragione il destino voleva prendersi gioco di lei e Killian non si trovava a Storybrooke sarebbe comunque rimasta nella cittadina.

Da quel che aveva visto fino a quel momento ne era già innamorata: pace e tranquillità sembravano farla da padrone. Due elementi che ultimamente le erano mancati un po’ troppo e di cui aveva un disperato bisogno.

Inoltre le avrebbe fatto bene allontanarsi un po’ da suo padre, dipendere completamente e solamente da sé stessa e non doversi preoccupare degli altri.

Poteva essere tutto ciò che voleva: non c’era più nessuno a dirle cosa dire, cosa fare, come vestirsi, come comportarsi.

<< Hai un posto dove stare? >> le chiese Ruby distogliendola dai suoi pensieri

<< Veramente no. Ho davvero messo piede in città tipo mezz’ora fa e non ho ancora avuto il tempo di guardarmi intorno >> rispose sorridendo

<< Se vuoi sono sicura che Granny potrà affittarti una camera >>

Katherine era stupita. Nonostante i numerosi trasferimenti non aveva avuto molti amici e nessuno era stato così spontaneo in sua presenza come la ragazza che le era di fronte. Di solito tutti temevano il suo nome e la sua condizione sociale: era importante e di conseguenza pensavano fosse una ragazza con la puzza sotto il naso, pronta a sparare a zero su chiunque.

Non che avessero poi torto. Certamente non era un pezzo di pane, anzi generalmente al primo approccio era abbastanza fredda. La sua reputazione la precedeva di un miglio e lei aveva lavorato a lungo per procurarsela e per mantenerla. Era soprannominata “regina di ghiaccio” a causa della sua freddezza nei confronti degli altri e dei suoi atteggiamento da ape regina.

Ma il vero motivo per il suo comportamento era che aveva paura di essere ferita di nuovo. Non poteva permettersi il lusso di lasciarsi andare, di mostrarsi debole, rischiando così che qualcuno le sferrasse un attacco pronto a distruggerla.

Doveva sempre avere controllo su tutto in modo tale da non essere colta impreparata e pur di mantenere l’ordine delle cose era disposta a tutto, anche a rovinare la felicità di qualcun altro.

Eppure Killian era riuscita a scioglierla, a renderla più…umana. Adesso le era difficile pensare di utilizzare la stessa brutalità che la aveva caratterizzata in passato.

<< C’è qualcosa che ti turba >> affermò Ruby

<< Non sono abituata a questo tipo di atteggiamento. Di solito le persone mi stanno alla larga e di certo non si offrono di ospitarmi dopo cinque minuti che ci conosciamo >>

<< Fidati, se sei qui c’è un motivo ed io non sono nessuno per mettere i bastoni tra le ruote al destino. Inoltre so cosa vuol dire essere guardati con sospetto. Poi l’hai detto tu, hai bisogno di un cambiamento ed io adoro aiutare chi ha bisogno di ritrovare qualcosa. Nel tuo caso te stessa >>

Katherine sorrise e le due continuarono a parlare mentre Ruby si occupava di intanto in tanto dei vari clienti che entravano nel locale.

Parlarono di sport, moda, musica, cinema, natura, si raccontarono qualcosa delle loro vite e la bionda descrisse tutti i luoghi che aveva visitato.

La sera, dopo aver portato le sue valigie in camera, presero a parlare di qualsiasi cose gli passasse in mente e a ridere come matte finchè Ruby non le augurò buona notte e la lasciò ai suoi sogni


Primo capitolo vero e proprio.

Inizialmente ero un po’ incerta sulla lunghezza. Infatti doveva contenere anche un'altra parte che poi ho deciso di spostare nel capitolo successivo.

Ovviamente se voi non avete nulla in contrario a capitoli più lunghi e se questo vi è sembrato troppo breve non esitate a farmelo sapere.

Così come non dovete preoccuparvi di dirmi il vostro parere su questa storia.

Ho trascorso la notte passata a riflettere sulla trama, cercando di capire se fosse troppo scontata o irreale o altro.

Le recensioni sono davvero fantastiche come mezzo per risollevare l’animo di un autore. E per farlo scrivere più velocemente.

Seriamente, sono sopraffatta dai dubbi e vorrei sapere cosa ne pensate voi che leggete.

La canzone scelta per questo capitolo è Begin Again di Taylor Swift. I versi riportati ad inizio capitolo e la musica sono stati una grande fonte d’ispirazione.

La parte più difficile è stata la seconda, in particolare la caratterizzazione di Cappuccetto Rosso. Ho cercato in qualche modo di unire la personalità di Red con quella di Ruby tenendo conto anche del fatto che la maledizione è stata spezzata e quindi l’arrivo di un estraneo non doveva essere preso troppo alla leggera.

Perciò il prossimo capitolo partirà esattamente da qui, dal problema dell’arrivo di Katherine a Storybrooke.

Il mio obbiettivo è quello di essere il più realistica possibile riuscendo però nello stesso tempo ad inserire Katherine nelle dinamiche della cittadina.

Fatemi sapere cosa ne pensate.

Mi scuso per eventuali errori e per il layout. Ho cercato di sistemarlo ma nell'altro modo mi dava tutte le righe attaccate ed era difficile leggere.

Un bacio, Aletheia

Sneak Peek: Once Upon A December

Sentiva poco lontano da sé la voce di uno dei dignitari di corte elencarle tutti i crimini di cui era accusata.

Non che le importasse. Ormai il suo fato era stata deciso e sentire o meno tutte le scuse scelte dai due nuovi sovrani non avrebbe cambiato nulla.

“…condannata a morte”

Eccola, la frase fatale.

Il suo sorriso si ampliò. Finalmente il momento era giunto. Quella vita vuota e piena di sofferenza era finalmente giunta alla sua fine. Forse sarebbe riuscita a ricongiungersi con Daniel.

Sentì quella scusa patetica della Fata Turchina gettarle addosso un’altra manciata di polvere fatata affinché non avesse uno scoppio di magia spontaneo. Poteva addirittura sentirla sorridere mentre compiva quel gesto.

Sentì il materiale ruvido della corda entrare in contatto con la pelle del suo collo e delle mani spingerla in avanti.

“FERMI!” udì qualcuno urlare.

   
 
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