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Autore: Glenda    07/08/2007    1 recensioni
Lethia Ballard fa l'investigatrice virtuale e viene ingaggiata da una potente corporazione per un incarico delicato: trovare e intrappolare uno scissista, ovvero un pericoloso hacker dotato di poteri esp, che riesce a vagare nella rete scindendo la propria mente dal corpo. Ma l'incontro con Kevin Lockport è diverso da come lo immaginava e l'uomo le rivela qualcosa di completamente inaspettato...Dove porteranno le indagini di Lethia? E cosa c'entra in questa faccenda di inganni e potere l'ingenuo ragazzo biondo uscito da un lungo coma, che fa l'antiquario in una bottega che pare fuori dal mondo e dal tempo? Giallo cyberpunk con elementi sovrannaturali. VERSIONE RIVISTA E CORRETTA DELLA FAN FICTION POSTATA LA PRIMA VOLTA NEL 2007.
Genere: Science-fiction, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 5

 

Il telefono squillò nel cuore della notte, vicino alla testa di Abrham Hollis, e dall’orecchio rimbalzò nel petto. Il telefono era un suono che da quattro anni ormai gli faceva paura: non poteva non farne, quando si ha una persona cara sospesa a metà tra la morte e la vita.

Secondo squillo... - la mano era già sulla cornetta - ...terzo squillo...

- Abrham Hollis, chi parla? -

La voce della dottoressa Lynch gli scese fino all’altezza del cuore, che accelerò il suo battito e gli compresse il torace.

- Deve venire subito, signor Hollis. Suo figlio... -

Mentre la donna parlava, la testa di Abrham si andava svuotando, e un fischio la attraversava da lato a lato, passando per le orecchie. Ora lo avrebbe detto: avrebbe detto quel fatidico “Mi dispiace, non c'è più nulla da fare”...lo attendeva ad ogni puntino di sospensione, quasi che l’attesa fosse più dolorosa della notizia.

Ma la notizia non venne.

- ...si tratta di un’attività encefalica irregolare che tuttavia... -

Abrham riprese il discorso in quel punto: le mani si serrarono entrambe alla cornetta, quasi a sorreggersi ad un appiglio invisibile

- Non voglio alimentare speranze, signor Hollis...ma la probabilità che Dewy si svegli non è da scartare -

 

Temeva di sognare.

L’ovattamento della notte gli abbracciava la testa.

Temeva che non fosse vero.

Non credeva che la realtà, tutto d’un tratto, potesse apparirgli così simile all’illusione.

Cercò di richiamare tutti i sensi e di percepire le funzioni del suo corpo.

“Sono qui. Sono su un taxi. Sento la sintopelle del sedile sotto le mie dita. Vedo la strada. Sono le cinque del mattino, e tra poco più di un’ora sorgerà l’alba. Non sto dormendo”

Scese davanti all’ingresso della clinica, consegnò al tassista le ultime banconote sdrucite che aveva in tasca, si mise a correre, per quanto il suo fiato permetteva.

"La probabilità che si svegli non è da scartare"

Poteva essere vero?

La ferma certezza che lo aveva accompagnato per quattro anni sembrava essersi sgretolata pezzo per pezzo, come l’intonaco di un vecchio muro: ora c’era solo angoscia, angoscia che non fosse reale, che non fosse possibile proprio nel momento in cui qualcuno aveva riacceso quella speranza.

- Signore, dove corre? -

L’infermiera di turno lo fermò. La reception, a quell’ora, era abbandonata. Non c’era quasi nessuno in quella piccola, linda clinica, dove la gente cercava di sopravvivere a costi accessibili.

- Dewy Hollis, al terzo piano. Mi aspetta la dottoressa Lynch...mi hanno fatto chiamare... -

La donna, una paffuta signora che la vita aveva consumato in fretta, screpolò il volto in un tirato sorriso.

- Ah, è lei - ridistese le labbra, quasi che il suo viso di ragazza invecchiata non potesse sopportare la serenità - Si calmi e beva un bicchier d’acqua. Non la faranno neppure entrare, con quella faccia! La psiche di un paziente appena uscito da un come così lungo è vulnerabile, non lo sa? -

- Mi...mi sta dicendo che è sveglio? -

- Eccome. Sveglio e cosciente. Per fortuna, a volte anche qui ci sono le belle notizie! -

L' infermiera lo accompagnò fino all’ingresso del reparto: lui entrò nel corridoio come un fantasma, le camere dei degenti erano buie, le lucine variopinte dei sistemi di monitoraggio sembravano stelline intermittenti.

Dalla stanza di Dewy uscì un uomo in camice, portava via un carrello compero da un telo sterile, lo vide, incrociò il suo sguardo, gli fece cenno di entrare. La dottoressa Lynch era in piedi vicino al letto, di spalle. Udì i suoi passi e si voltò.

- Venga qui, Abrham... -

Alcuni medici si affaccendavano nella stanza, e generavano un brusio confuso scambiandosi compiti e commenti

Lo sguardo di Abrham cercò il viso del ragazzo disteso nel letto: la sua mano, con le dita lunghe e sottili, immobili da tutto quel tempo, ora stava appoggiata all’altezza dello stomaco, e un cavo collegato al polso rimandava ad un macchinario il ritmo del battito cardiaco; i suoi occhi erano limpidi e presenti. Non li ricordava così verdi.

- Papà... - mormorò, con un fil di voce - ...ma che mi è successo? -

L'uomo scoppiò a piangere.

 

La dottoressa Lynch pensava che Dewy Hollis fosse il paziente più interessante di cui si fosse mai occupata, e non solo per l'eccezionalità del suo caso. Qualsiasi cosa dicesse o facesse, era come circondato da un fascino tutto suo, di cui non era nemmeno consapevole, e che riusciva inesorabilmente a catturare l’attenzione di chi gli stava attorno.

I suoi lineamenti, presi nella loro singolarità, presentavano vistose sproporzioni, che tuttavia sembravano studiate per garantire un effetto d’insieme: aveva occhi decisamente troppo grandi in rapporto alla dimensione del viso, e i denti davanti erano troppo sporgenti, tuttavia quando rideva i primi si strizzavano deliziosamente e i secondi rendevano il suo sorriso largo e luminoso. La sua espressione, sempre così schiva e senza pretese, emanava una spontanea e innocente suggestività. Non lo si sarebbe detto un ragazzo di vent’anni: in qualche modo, era come se anche la sua maturazione fisica si fosse fermata nel punto stesso in cui si era interrotta la sua vita: ma quel ritardo nella sua crescita intellettiva e biologica, sembrava anche l’unico strascico che quello strano paziente si portava dietro da quattro anni di coma profondo. La sua straordinaria ripresa costituiva una vera e propria anomalia dal punto di vista medico: non aveva impiegato che poche settimane a recuperare tutte le proprie funzioni, aveva ripreso subito possesso dell’uso del linguaggio, aveva ricordi chiari e consapevoli fino a non meno di un mese prima dell’incidente; riusciva a coordinare fluidamente i propri movimenti e ancora meglio i propri pensieri. Non c’era traccia di turbe psichiche o di danni neurologici: il personale aveva dovuto occuparsi principalmente della riabilitazione muscolare, ma, per quanto ancora avesse qualche difficoltà a rimanere alzato per tempi lunghi, in soli due mesi sembrava essere tornato in ottima salute.

“Sono caduto in una pausa del tempo” aveva detto lui, con il suo colorito modo di parlare. E, finita la pausa, il tempo aveva ricominciato a scorrere all’improvviso, senza apparenti ragioni, riprendendo il suo cammino dal punto esatto in cui si era interrotto.

Quando lasciò l'ospedale con le proprie gambe, qualcuno ancora stentava a crederci...

  
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