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Autore: Deirbhile    18/01/2013    4 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Quella sera, dopo aver finito di studiare e saltellare per la casa in preda ad un’incontenibile frenesia, Chiara si era piazzata sul suo letto a fissare il soffitto, spegnendo la luce e mettendo la sua stazione radio preferita in sottofondo, come faceva

Quella sera, dopo aver finito di studiare e saltellare per la casa in preda ad un’incontenibile frenesia, Chiara si era piazzata sul suo letto a fissare il soffitto, spegnendo la luce e mettendo la sua stazione radio preferita in sottofondo, come faceva sempre ,quando era felice. Sentiva il cuore in gola ogni volta che pensava a cos’era successo quella mattina e la strana sensazione di stretta allo stomaco l’aveva accompagnata per tutta la giornata, mentre studiava letteratura inglese e si lavava i denti dopo cena, persino mentre sua madre le intimava per la terza volta di sistemare la camera. Era come se qualcosa nella sua testa, qualcosa di terribilmente opprimente, l’avesse appena abbandonata e le emozioni che in quegli anni aveva gelosamente tenuto per sé fossero esplose tutte nell’istante di quel bacio. Prese una boccata d’aria fresca,accostandosi alla finestra aperta, e represse a stento un sorriso, mordendosi le labbra per non scoppiare in una di quelle risatine tremendamente melense. Credeva che tutto quello che le sue amiche dicessero sull’amore, quelle belle sensazioni che tutte le adolescenti tanto agognavano, non fossero altro che stupidi clichè triti e ritriti in tutti i romanzetti rosa che si rispettino. Ma no, mentre si portava le mani dietro la nuca e assumeva una delle espressioni più beate in volto, stendendosi sul letto, pensò che forse qualcosa di vero c’era. Gettò un’occhiata al cielo stellato che si intravedeva per un pezzo dalla finestra, limpido e rassicurante come a promettere una bella stagione, e si rilassò al suono di una canzone d’amore degli anni sessanta. L’atmosfera era perfetta, così rarefatta e irreale che a Chiara sembrò di non essere più la stessa persona di quella mattina. Come se quella parte di se stessa, quella ansiosa e calcolata, quella maniaca del controllo e stacanovista, sempre segretamente triste e sola, fosse solo un ricordo. Si sentiva incredibilmente viva, con la pelle delle gambe e braccia lasciata scoperta dai pantaloncini lievemente carezzata dal vento e le dita che ancora le formicolavano per l’elettricità trasmessale dalle labbra di Roberta. Dopo il bacio, si erano guardate e la riccia l’aveva salutata con un sorriso così luminoso e dolce in volto, che se mai aveva avuto dei dubbi sulla moralità o meno della cosa, Chiara li aveva totalmente rimossi.

-Spegni lo stereo, darlin’, è tardi-

Margaret aprì delicatamente la porta della sua stanza, per poi sederle accanto. Chiara le rivolse un sorrisino e, senza protestare, si alzò per spegnere l’impianto stereo.

-Caspita, devo essere particolarmente convincente oggi per farti andare a dormire prima dell’una di notte-  ridacchiò la madre, fissandola con uno scintillio consapevole negli occhi. Chiara sperò che non avesse notato il suo improvviso cambiamento d’umore.

-… oppure devi essere tu particolarmente malleabile. Ti vedo bene- continuò la donna, battendo una mano sul suo letto, invitandola a sedersi vicino a lei.

- Sto bene, si-  ammise Chiara con una smorfia adorabile, arricciando il naso per non scoppiare in una risatina isterica. Margaret le rivolse uno sguardo interrogativo.

- Qualche novità?-

- Come al solito, mamma, solo… adoro la primavera, è una bellissima stagione. E’ la rinascita della natura, persino le stelle sembrano più luminose- sospirò quasi estatica, fissando assorta le stelle fuori dalla finestra.

- Lo so, lo dici ogni anno. E poi di solito mi racconti quel mito, quello di Proserpina- le fece notare Margaret, fissando anch’ella il cielo blu notte.

- Ma quel mito è molto triste, mamma. Quest’anno voglio raccontartene un altro- mormorò Chiara, ricordando che ogni volta che aveva narrato con passione il mito di Proserpina a sua madre non aveva potuto fare a meno di pensare di assomigliarle. Presa prigioniera e trascinata nella parte sua più buia e fredda, rapitrice di sé stessa, lontana dal calore degli altri, come la figlia di Demetra presa prigioniera da Ade.

- E quale vuoi raccontarmi?-

- Il mito di Andromeda- sorrise Chiara.

- Andromeda? Quella salvata da Perseo?-

- Si, mamma, proprio lei-

- Su, vai allora, ti ascolto- la esortò sua madre, accomodandosi meglio sul letto. Chiara prese un po’ di fiato, per poi cominciare col suo racconto, con voce fluida e melodiosa.

- Andromeda era una principessa, figlia dei sovrani dell’Etiopia. Sua madre, per aver osato dire che lei era più seducente persino delle Nereidi, incappò nell’ira di Poseidone, che mandò sulle coste dell’Etiopia un terribile mostro per vendicare l’onore delle sue figlie. Il re consultò l’oracolo di Ammone, in cerca di un modo per sconfiggere la terribile creatura marina, ma il dio gli disse che l’unica via era quella di sacrificare la sua bella figlia vergine, Andromeda. Rassegnata, la triste principessa fu incatenata su uno scoglio in attesa di essere divorata, ma proprio quando stava per perdere tutte le speranze e gettarsi nella più nera disperazione, arrivò Perseo- quasi sospirò l’ultima parte, sorridendo impercettibilmente.

- E cosa successe? Su, non fermarti sul più bello, sembri incantata- la prese in giro sua madre, punzecchiandola. Era bello stare così, insieme con sua madre, senza tensioni, come quando era bambina e invece di farsi raccontare le fiabe, preferiva leggerle lei a Margaret.

- Perseo aveva capito che c’era un altro modo per sconfiggere il mostro, la testa della Gorgone Medusa. Si dice addirittura che in un primo momento scambiò Andromeda per una statua di marmo, tanto era inerme. Ma il vento che le scompigliava i capelli e le calde lacrime che le scorrevano sulle guance gli rivelarono la sua natura umana. Perseo le chiese come si chiamasse, perché fosse lì incatenata. Andromeda, completamente diversa dalla sua vanitosa madre, neanche gli rispose e anche se l'attendeva una morte orribile fra le fauci bavose del mostro, avrebbe preferito nascondere il viso tra le mani,se non le avesse avute incatenate a quella roccia. Ma Perseo uccise la creatura senza remore, pietrificandola, salvò la fanciulla e la portò via al sicuro, fra le sue braccia- concluse con un’alzata di spalle, come se il finale fosse scontato. Margaret fece una risatina.

- E’ un bel mito, come mai lo hai scelto?-

-Perché ha un lieto fine e al contrario di quello che può sembrare è molto attuale-

- Attuale? Vuoi dirmi che tuo padre potrebbe incatenarti ad uno scoglio pur di non vedere il paese in balia di orribili mostri marini, darlin’?- sghignazzò la donna, riprendendo un po’ di quello spirito giovanile che le arrossò le gote, facendola assomigliare ancora di più alla figlia.

- Beh, gli scogli possono essere metafore, così come le catene. E anche il mostro potrebbe esserlo. Siamo incatenati, soli, nelle nostre paure e all’improvviso ci accorgiamo che c’è qualcuno a cui importiamo- spiegò Chiara, non senza arrossire allo sguardo indagatore della madre.

- Indagherò, dear, non temere… verrò a sapere perché stasera hai un’aria così trasognata- dichiarò Margaret, alzandosi dal letto e raggiungendo la porta. L’orologio portava quasi mezzanotte e mezza.

- Buonanotte mamma- la salutò Chiara.

-Good night, love- si sentì rispondere dal corridoio.

Si rigettò a peso morto sul letto, ma sentendo qualcosa di spigoloso sotto la schiena si alzò infastidita, individuando il suo cellulare. Fece per poggiarlo sul comodino, quando si accorse di aver ricevuto un messaggio. Guardò il nome del mittente col cuore in gola e lo visualizzò, con le dita tremanti. “E’ stata una giornata fantastica. Non importa se ho dovuto studiare fino ad ora per recuperare quel po’ di biologia che dirò domani al prof. Ho pensato a questa mattina continuamente.” lesse una, due, tre volte, finché non imparò quasi a memoria ciascuna parola. Pensò che doveva rispondere, ma le dita le tremavano troppo anche per premere i tasti del touch screen. Deglutì, con la voce di Roberta che ripeteva quelle frasi a ripetizione nel cervello.

Ci ho pensato continuamente anche io. Mia madre non la smetteva di prendermi in giro per la mia faccia, devo avere avuto quel sorrisetto scemo tutto il tempo” digitò. La risposta arrivò dopo nemmeno cinque minuti.

Adoro quel sorrisetto” recitava l’ultimo sms di Roberta e Chiara pensò che in quel momento sarebbe anche potuta morire per autocombustione. Almeno sarebbe morta felice.

Smettila di farmi arrossire, lo sai quanto lo odio” inviò il secondo messaggio. Posò il cellulare fra le coperte, tirando un sospiro. L’avrebbe fatta impazzire da come le batteva il cuore.

Adoro anche quando arrossisci. A domattina, sogni d’oro” le scrisse Roberta, con una piccola faccina sorridente. Chiara rispose e, quasi crollando dal sonno, immerse il viso fra le lenzuola, con l’incontenibile desiderio che fosse già mattina.

 

                                                                                                  ***

- Su, Chiara, alzati, sono le otto- urlò Margaret dal piano di sotto, sospettando che la figlia fosse in ritardo perché la sera prima aveva fatto decisamente tardi. L’aveva sentita ticchettare sul suo cellulare fino a quasi l’una, ma non aveva voluto infierire. C’era qualcosa di particolarmente losco sotto e, ne era convinta, pensava si trattasse di Riccardo. Quel ragazzo era sempre piaciuto a sua figlia. Chiara si trascinò borbottando in inglese qualcosa giù per le scale, quando era nervosa o arrabbiata le capitava spesso di imprecare nell’altra lingua madre. Quando entrò in cucina, sistemandosi la t-shirt a maniche corte che si era infilata nel tragitto, sua madre la rimbeccò per l’ennesimo ritardo. Sbuffò forte e si sedette al tavolo, afferrando in malo modo la caraffa del caffé.

-Qualche interrogazione?- le domandò Margaret, mentre cercava le chiavi della macchina per poter andare al lavoro. La rossa alzò le spalle.

- Solo fisica, ma tanto lo sai che la Gaiardi è tutta fuori… non c’è bisogno di affannarsi tanto per le sue interrogazioni- spiegò fra un morso e un altro al suo cornetto ai cereali. Il sole che entrava dalla porta-finestra le illuminava gli occhi, tanto da farli sembrare color nocciola e, Margaret pensò, più vivi di quanto non li avesse mai visti.

- Allora in bocca al lupo- le sorrise, dandole un bacio sulla guancia e uscendo di casa.

Chiara raccattò assonnata le sue cose, la notte prima era rimasta sveglia a pensare fino a quasi le due, e poi si diresse verso il giardino, masticando ancora gli ultimi bocconi della colazione. Uscì canticchiando sottovoce alcune parole di “She loves you” dei Beatles.

Era leggermente in ritardo e pensò bene di cominciare a correre, anche perché l’irrefrenabile frenesia di arrivare a scuola per vedere Roberta vinceva di molto la sua stanchezza fisica. Mentre zigzagava confusamente nel traffico del Corso, saltellando quasi da un lato all’altro della strada per non essere investita dalle macchine ed evitando con una graziosa giravolta di sbattere contro il tronco di un albero ai lati del marciapiede, si sentiva come in un film. Continuò a canticchiare sotto voce fino a scuola, stringendosi le cinghie dello zaino con le mani formicolanti, sensazione a cui negli ultimi giorni aveva fatto abitudine. Salì in fretta le scale dell’istituto, sperando che la classe fosse vuota e che Roberta avesse avuto la sua stessa idea di arrivare prima. Aveva un disperato bisogno di stare con lei. Da sole. O non avrebbe saputo come fare a sopravvivere per le cinque ore successive, accontentandosi di fissarla dall’altro capo della classe, attenta a non farsi notare da nessuno. Aveva tante cose da dirle, anche se in realtà si erano viste solo la mattina prima! Ma era questo il bello con Roberta, Chiara aveva l’impressione di avere sempre qualcosa da dirle e per una spesso silenziosa come lei, era tutto dire. Aprì la porta della II E, tirando un sospiro di sollievo quando constatò di essere la prima quella mattina. Si sedette, irrequieta, sperando che non entrasse prima Carmen. Aveva paura che in quella sorta di frenesia amorosa le avrebbe confessato tutto e non poteva assolutamente permetterselo. Così prese un libro dalla borsa, questa volta aveva portato con sé “Il giovane Holden” di J. D. Salinger, e cominciò a sfogliarlo distrattamente. Al quarto rigo che leggeva, sentì la porta scricchiolare, doveva ricordare al bidello di oliare i cardini perché era davvero un rumore fastidioso, e alzò improvvisamente la testa. A quanto pareva, Roberta aveva davvero avuto la sua stessa idea.

- Ciao- mormorò sorpresa, arrossendo sotto lo sguardo liquido della riccia. Quella le si avvicinò, poggiando frettolosamente lo zaino sul suo banco dall’altro lato dell’aula. Si sedette sul bordo del banco di Chiara, facendole segno di spostarsi per farle spazio.

- Ciao a te- le sussurrò, facendo per poggiare la fronte contro la sua, ma si bloccò di colpo, rivolgendo un paio di occhiate preoccupate dalla porta.

- Tranquilla, non c’è nessuno- la tranquillizzò Chiara, prendendole una mano. Incredibile come la sua timidezza fosse svanita. Non era mai stata tipo da manifestazioni d’ affetto, eppure, con Roberta lì di fronte, la necessità di sentirla vicina era tale da vincere anche questo suo limite. Aveva le mani fredde, nonostante fosse metà maggio, così le sfregò fra le sue. Rassicurata, Roberta le diede un veloce bacio sulla guancia. Arrossirono entrambe come due ragazzine delle elementari.

- Sei nervosa per biologia?- le domandò Chiara, vedendola un po’ tesa. O forse era perché aveva paura che qualcuno avrebbe potuto vederle?

Roberta fece di si con la testa, brontolando sconfitta che la sera prima aveva studiato fino quasi all’una. Poggiò la testa sulla sua spalla, sfregando il suo naso contro il collo di Chiara.

-Così mi fai il solletico-  ridacchiò la rossa, dandole uno schiaffetto sul braccio.

-Dimenticavo che sei la solita manesca- borbottò fintamente offesa Roberta, intrecciando una mano nei suoi capelli rossi. Chiara avrebbe voluto baciarla, ma aveva il vago presentimento che non le avrebbe fatto piacere, non in un luogo così esposto, dove tutti gli studenti del classico potevano osservarle e trarre la giusta conclusione che fra loro c’era qualcosa. Cosa ci fosse esattamente fra di loro non sapeva dirlo nemmeno Chiara, se doveva essere sincera. E quel margine di indeterminatezza, quella sensazione di fluttuare al di sopra di qualunque etichetta faceva sentire Chiara così libera, come i boccioli appena spuntatati sui rami dei peschi, finalmente aperti ad un mondo del tutto nuovo.

- Che c’è?-  le sussurrò Roberta, accennandole una carezza su una guancia. Era incredibile persino come si accorgesse di ogni suo più piccolo cambiamento d’umore.

- Nulla, è che… sai, è strano perché ci siamo viste solo ieri mattina, ma… mi sei mancata- rispose imbarazzata la rossa, sentendo le punte delle orecchie arroventarsi. Roberta le rivolse un sorrisino.

- Anche a me. Lo trovo strano, ma credo dovremmo farci l’abitudine- sospirò. La porta della classe cigolò di nuovo, annunciando l’arrivo di qualcuno. Roberta scese immediatamente dal banco e si fiondò il più lontano possibile da Chiara, senza voltarsi.

- ‘Giorno- biascicò Ivan, letteralmente trascinandosi al suo banchetto e mollando lì sopra lo zaino coi suoi soliti modi. Non sembrava averle notate, nero com’era nella sua disperazione per la sua imminente interrogazione in filosofia.

-Buon giorno!- esclamò euforica Chiara, intavolando con lui una fitta conversazione su quanto fosse stata difficile l’ultima versione di latino, nella speranza che il suo amico più perspicace non notasse il rossore che ancora le bruciava il viso.

Quando suonò la campanella delle otto e mezza, tutta la classe era già al completo e dai banchi si levava un mormorio eccitato. C’era chi era felice perché quel giorno avrebbe sostenuto la sua ultima interrogazione, chi invece era disperato perché aveva paura di prendere per il quarto anno consecutivo il debito in greco e persino chi, come Sabrina, canticchiava allegramente un motivetto di chissà quale canzone rock. In quel baccano Chiara gettò lo sguardo oltre la spalla di Carmen, verso la parte più lontana dell’aula, sorridendo a Roberta. La scuola stava per finire. L’atmosfera era davvero delle migliori. 

 

                                                                                                  ***

- Della Corte, su, tocca a te, facciamocela quest’interrogazione e togliamoci il pensiero- sbuffò il vecchio professore Abbatelli, sudante nella sua polo marrone, con la fronte calva imperlata di goccioline e gli occhialoni appannati. Chiara vide Roberta alzarsi con decisione e avanzare a testa alza verso la lavagna.

-Io dico che anche questa volta fa scena muta- ridacchiò Sabrina al suo orecchio, giocherellando con uno dei suoi numerosi piercing alle orecchie. Chiara si stizzò, sentendosi profondamente offesa, come se il commento maligno le fosse stato rivolto direttamente.

- Ma per favore- disse, zittendola. Sabrina la guardò stranita, ma poi alzò le spalle, probabilmente pensando che Chiara era nervosa per chissà quale oscuro motivo.

- Cominciamo con la respirazione cellulare?- chiese Abbatelli, con un sorrisino degno del più incallito dei sadici. Chiara sbiancò.

-Che stronzo, lo sa benissimo che la respirazione cellulare è programma di primo quadrimestre- sibilò, attenta a non farsi sentire. Al contrario di quello che poteva sembrare, Abbatelli non era per niente sordo, anzi. Roberta però non sembrò scomporsi, si limitò a guardarsi annoiata le unghie, prendere fiato e cominciare ad esporre le tre fasi principali del processo di respirazione cellulare. Abbatelli, dopo lo shock di aver sentito tutti quei paroloni uscire dalla bocca della stupida Della Corte, si riprese, passando senza remore direttamente alla struttura ossea del cranio umano.

- Ma è pazzo? Le sta chiedendo tutto il programma!-  protestò ancora indignata Chiara, contorcendosi le mani sotto al banco. Roberta riprese ad esporre ciò che le era stato richiesto, con qualche piccola esitazione, ma senza mai sbagliare.

- Caspiterina, questa ha studiato sul serio- borbottò contrariato Ivan al suo fianco, ora letteralmente incazzato nero perché la sua interrogazione di filosofia gli aveva fruttato solo un misero sei e insofferente del fatto che a qualcun altro la buona sorte stesse sorridendo.

- Evidentemente-  sorrise di sottecchi Chiara, fissando intensamente il profilo delle labbra di Roberta, che si muovevano ritmicamente. Non sapeva assolutamente cosa stesse esponendo ora, anche se in biologia era una delle più brave, il suo lucidalabbra color ciliegia la distraeva troppo.

Sentì qualcuno colpirla con una penna alla schiena e a malincuore fu costretta a staccarsi da quella visione per voltarsi verso Carmen.

- Che vuoi?-

- Non è che le dai ripetizioni? Da quando siamo tornate a Vienna ha raggiunto quasi ovunque la sufficienza e ora si sta decisamente superando- ridacchiò Carmen, sottolineando di nuovo quando fosse inetta Roberta a scuola.

-No, ha semplicemente studiato e non dovreste tutti trattarla come se fosse l’ultima stupida di questo pianeta- esclamò, sentendo di nuovo la rabbia montarle al petto. Si girò senza nemmeno replicare alla sua risatina, stringendo i pugni. Abbatelli aveva tentato un’ultima volta di far cadere Roberta in una delle sue domande a trabocchetto, ma quando quella gli aveva elencato correttamente tutte le varie malattie genetiche legate alla sovrabbondanza o meno di cromosomi, aveva lasciato andare con uno sbuffo l’idea di metterle un altro quattro e l’aveva mandata a posto con sette meno.

- Si meritava di più, gli ha detto praticamente mezzo programma!- questa volta Chiara borbottò con troppo impeto, così che l’Abbatelli la sentì e la minacciò di abbassarle il nove in biologia se solo si azzardava a fare un altro commento.

Roberta nel frattempo era tornata al suo banco trionfante, con mezza classe che la fissava in preda al dubbio che avesse fatto uso di sostanze dopanti. La campanella suonò dopo pochi minuti, giusto in tempo perché quell’acido del professore assegnasse l’ultimo capitolo sulla clonazione e si lamentasse di quanto fossero più fastidiosi del solito e non riuscissero a stare fermi nemmeno con quel caldo torrido. Chiara, bofonchiando qualche altra osservazione poco carina sul suo conto, uscì dalla classe con lo zaino in spalla, raggiungendo Ivan.

- Che fissi?- le domandò il ragazzo dai capelli cespugliosi, fissando anche lui attonito la porta dell’aula come se potesse uscirne chissà quale mostro mitologico. Chiara abbassò immediatamente lo sguardo sulle sue scarpe, arrossendo per la milionesima volta quella mattina.

- Io… mmh...nulla- alzò le spalle.

- Sei particolarmente strana, Chiara Torri, in questo periodo. E con strana intendo particolarmente felice, perennemente rossa come un peperone e decisamente troppo sorridente rispetto alla media- dichiarò solenne Ivan, giocherellando con le frange della sua fedele sciarpa di cotone multicolore. Chiara gli diede una gomitata sulle costole, per poi abbracciarlo ridendo.

- E tu, Ivan Vaiani, decisamente troppo ficcanaso-

- Sarà, ma continuo a dire che secondo me c’è qualcosa sotto. Andiamo, pensavo che fra noi due ci fosse una bella amicizia, perché non mi dici nulla?- piagnucolò per finta Ivan, mentre si dirigevano a passo lento verso le scale.

- Lo sai che sei uno dei miei migliori amici-

- Ecco, vedi? Intendo questo. Sei troppo più affettuosa del solito- sogghignò il ragazzo.

- Forse c’è qualcosa sotto, o forse no… ti lascio il beneficio del dubbio- proclamò Chiara, fermandosi sulla soglia dell’entrata del “Giulio Cesare”.

- Sei proprio crudele! Questa me la segno, continuerò a romperti finché non ti caverò di bocca qualcosa, giuro!-  e con queste parole Ivan si avviò a piedi verso la fermata del pullman, con le cuffiette ermeticamente attaccate al condotto auricolare.

Carmen e Sabrina erano uscite in tutta fretta dall’aula, salutandoli senza nemmeno essersi fermate a chiacchierare, una con la scusa di aver ancora metà programma di matematica da recuperare e di non poter perdere nemmeno un minuto della giornata, l’altra con quella che facesse troppo caldo per starsene lì a bighellonare.

Chiara si appoggiò al solito muretto che dava nel cortile interno dell’istituto e passò in rassegna a tutti gli studenti che si riversavano confusamente in strada. Riuscì a scorgere Roberta solo dopo qualche minuto, che chiacchierava, sembrava non proprio serenamente, con Vanessa e Angela dall’altra parte del marciapiede. La vide gesticolare nervosamente e asciugarsi con sdegno il sudore dalla fronte, poi le altre due le lanciarono un’occhiata poco amichevole e si diressero nella direzione opposta. Incontrò quasi subito il suo sguardo, come se fossero sincronizzate e, accertatasi che la Monteverde e il suo braccio destro fossero lontane e che a nessuno studente importava davvero se parlava con una come Roberta, Chiara la raggiunse.

- Eccoti- le mormorò subito Roberta, con aria mesta.

- E’ successo qualcosa?- le domandò, affiancandola mentre raggiungevano il parcheggio adiacente.

- Io… in realtà si. Sai, Vanessa e Angela non hanno preso bene la rottura con Massimo e cominciano a sospettare qualcosa della nostra… amicizia- pronunciò quell’ultima parola fissando Chiara dritta negli occhi.

“Ecco, ora mi dice di dimenticare tutto. Era troppo bello per essere vero” pensò sconsolata la rossa. E invece Roberta le indicò un’auto nera, modello Mini Cooper, leggermente fuori mano, ma nel complesso molto più lucente e lustra di tutte le altre.

- Su, sali, ti porto a fare un giro-

Chiara tossì forte, quasi stava per strozzarsi.

- Un giro… aspetta,quella è la tua macchina?-

- Esattamente, quindi ora… vuoi concedermi l’onore di essere la mia prima passeggera? A parte l’istruttore di guida e mia madre, ovvio- ridacchiò la riccia, col viso illuminato dal forte sole di maggio, che metteva in evidenza le piccole lentiggini sul suo naso.

- Se proprio insiste-  concesse con finta sufficienza Chiara, lasciandosi aprire lo sportello.

- Insisto, insisto. Dove la porto, signorina?- le chiese una volta in macchina, lanciando lo zaino sui sedili posteriori. Si rivolsero un sorriso e poi Chiara le fece un gesto con la mano, invitandola a non mettere ancora in moto.

- Che c’è? Giuro che guido bene, faccio attraversare le vecchiette ai semafori e non oltrepasso i quaranta chilometri orari- alzò le mani Roberta. Chiara scoppiò in una fragorosa risata.

- Posso immaginarlo ma, vedi… mi sei mancata davvero tanto- si giustificò con un’espressione sorniona, per poi accarezzarle una guancia con la mano e allungare il collo per raggiungere le sue labbra. Si baciarono lentamente, incoraggiate dal fatto che i finestrini dell’auto fossero oscurati, e Chiara ebbe la conferma che baciare Roberta era la cosa più elettrizzante e al contempo naturale del mondo. Approfondì quel contatto, senza neanche rifletterci, cominciando a tracciare cerchi invisibili sul suo collo niveo con le dita. Roberta rispose con un mugolio.

- Ora sai che anche io soffro il solletico- esalò staccandosi, ancora affannata per il bacio. Chiara affermò che da quel momento in poi sarebbe stata ricattabile e, mentre la riccia metteva in moto, accese la radio, aumentando il volume quando sentì che la canzone era proprio “It’s time” dei Imagine Dragons, che adorava.

- Ti accompagno a casa?-

- Mamma è di turno oggi a pranzo e papà non tornerà prima delle sei…- cominciò Chiara, per poi essere incitata dal sorrisino che si era fatto strada sul volto di Roberta.

-… quindi possiamo pranzare insieme e magari festeggiare per il mio primo sette meno in biologia?- domandò speranzosa l’altra. La rossa annuì calorosamente, affermando che non poteva avere idea migliore.

- Potremmo andare a prenderci una pizza al chiosco del parco e farci una passeggiata…- propose Chiara.

-E chiosco sia- acconsentì Roberta, guidando fino al parco e gettando, di tanto in tanto, occhiatine divertite alla rossa, che canticchiava frasi sconnesse come “Now don’t you understand?”, battendo i piedi a ritmo. Aprirono i finestrini e si lasciarono scompigliare i capelli dalla piacevole brezza, con l’odore di fiori di campo ad avvolgere l’abitacolo. Quando si accomodarono su una delle panchine del parco, una delle più nascoste dalle fronde, dopo aver mangiato in tutta fretta la loro pizza per paura di essere viste, si abbandonarono ad una risata liberatoria.

- Stendiamoci sul prato!- urlò eccitata Chiara, trascinandosi dietro una Roberta oramai stanca e appesantita dalla stressante giornata scolastica.

- Come vuoi, ma smettila di utilizzare il tuo ascendente su di me a tuo vantaggio- borbottò sfinita Roberta, abbandonandosi sull’erba fresca con lei.

- Ho un ascendente su di te?- domandò divertita la rossa, invitandola a poggiare la testa contro il suo grembo.

- Decisamente- sospirò Roberta, rilassata dalle mani di Chiara che accarezzavano serenamente i suoi capelli.

Dopo un paio di minuti in silenzio, Chiara si decise a tirare fuori quel rospo che la tormentava dalla sera precedente.

- Posso farti una domanda?-

- Quello che vuoi- sussurrò Roberta. Aveva chiuso gli occhi e arricciato le labbra in modo adorabile a tutte quelle attenzioni.

-Noi, insomma… cosa siamo?-

A quella domanda Chiara la sentì irrigidirsi e tirarsi su con la schiena, per poterla guardare negli occhi. Temette di aver detto qualcosa di sbagliato.

- Tu mi piaci… e tanto anche. Hai fatto bene a farmi questa domanda, perché io sono così vigliacca che non avrei saputo dirti queste cose altrimenti. Mi piaci. Non ricordo esattamente da quando, se devo essere sincera…- cominciò esitante Roberta, toccandosi i capelli e tirandosi le ginocchia al petto. La camicetta bianca che indossava e i jeans chiari, uniti alla sua pelle diafana e ai fili di erba intrecciati ai suoi capelli, la facevano assomigliare ad una di quelle ninfe dei laghi di cui tanto Chiara aveva letto nei miti greco romani.

-… Il fatto che tu sia una ragazza, ecco… per me è stato destabilizzante all’inizio. Ho avuto una paura matta per gli ultimi nove mesi, ti evitavo e ti deridevo per dimenticarmi che effetto piacevole tu mi facessi- raccontò con voce amara, come se fosse persa in chissà quale passato remoto, buio e poco piacevole al ricordo. Le fece cenno di continuare.

- Quando mi guardavi, con gli occhi pieni di disappunto, quando ti offendevo o ti mettevo in ridicolo davanti a Vanessa, il cuore mi si riempiva di odio verso me stessa. “Sei una vigliacca” mi dicevo, “non hai né la forza di negare né di combattere per quello che vuoi”. So solo uniformarmi, è questa la dura verità. Ho così paura di loro che faccio di tutto per compiacerli. Mi hanno in pugno, Chiara. Se avessero cominciato a sospettare di me sarebbe stata la mia fine. Sono debole. Per questo ho colto al volo l’occasione che mi ha offerto Massimo, per far credere a tutti che stessi bene. Ma non era così. Più lo baciavo, più nasceva in me il dubbio di come sarebbe stato baciare te. E mi odiavo- confessò, puntando lo sguardo ora spento sulle sue ballerine, strappando con nervosismo dei fili d’erba dal terreno. Chiara rimase in silenzio, capì che si trattava di una confessione molto importante. Si sentì lusingata che Roberta riponesse tanta fiducia in lei. Le accarezzò lievemente il braccio, spronandola a continuare.

-Io… non riesco ancora a crederci che… insomma, che tu mi ricambi. Non sai quante volte ti ho osservato, di nascosto, dal mio banco. Forse mi piaci dal quinto ginnasio, ma non ne sono sicura. Quell’anno ti eri schiarita i capelli, ricordi? Li avevi quasi color sabbia. Quando tornammo dalle vacanze estive, forse fu allora che ti notai davvero. Ma avevo quindici anni e molta paura. Cominciai a pensare che tu fossi incredibilmente carina e poi, non so… una volta ,durante l’ora di inglese, cominciasti a discutere con la prof di “Cime Tempestose”. Avevi un’espressione così appassionata, così viva che mi colpì il contrasto con la mia sensazione di essere amorfa. Mi hai affascinata- alzò le spalle Roberta, riprendendo fiato per continuare quel racconto.

- Ma è inutile negare che il mio comportamento in questi anni è stato controproducente. Ho cominciato a bere, a fumare, a uscire con un ragazzo dopo un altro, perché mi sentivo sola, usata e… sola. Vanessa… beh, c’è stato un periodo in cui forse siamo state davvero amiche, ma una volta in quel giro, Chiara, non puoi più uscirne. E’ un circolo vizioso. Vedi che a qualcuno interessi e fai di tutto per rimanere sulla cresta dell’onda. Mentre l’unica opinione che mi interessava era la tua. Poi hai cominciato a frequentare quel ragazzo, Alessio, e allora ho capito che era meglio dimenticarmi di qualunque cosa avessi mai provato per te. Non sono mai riuscita a dargli un nome, ma qualunque cosa fosse quest’anno, in gita, è tornata- concluse, questa volta guardandola con un’intensità quasi magnetica.

- Perché non me ne hai mai parlato?- domandò attonita Chiara, cercando la sua mano per stringerla. Era diventato un gesto indispensabile.

Roberta fece una smorfia rassegnata, sbattendo furiosamente le palpebre.

- Avevo paura che fosse sbagliato. Non eravamo nemmeno amiche, ti umiliavo davanti a tutti… che diritto avevo di dirti che mi piacevi così tanto da ossessionarmi!?- chiese retoricamente, con gli occhi quasi lucidi. Chiara le si avvicinò e le strinse le braccia attorno al busto, poggiando con un sospiro la guancia sulla sua spalla.

- Non importa, ora lo so. E posso dirti che per me è lo stesso. Non so come diavolo sia successo, perché sul serio… è avvenuto tutto troppo in fretta. Un giorno la Manzi ci mette in camera insieme a Vienna, il giorno dopo mi scopro a provare… un sentimento mai provato prima. E’ una cosa nuova per me, quindi perdonami se rovino tutto col mio caratteraccio, come faccio di solito… ma sta certa che ora non sei sola- mormorò la rossa, quasi commossa. Si strinsero, stendendosi sul prato e scrutandosi alla luce accecante delle tre e mezza di pomeriggio. Si baciarono ancora, con le gambe che si intrecciavano e i nasi che si sfioravano, fermandosi di tanto in tanto solo per necessità di ossigeno. Quel pomeriggio, quando Margaret trovò Chiara a ripassare matematica in cucina, con ancora fra i capelli dei fili d’erba, si chiese se sua figlia, così chiusa e solitaria per natura, avesse finalmente concesso a se stessa di provare delle vere emozioni.

 

  
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