“ E lunghi funerali, senza musica, né tamburi,
sfilano lentamente nella mia anima; la Speranza,
vinta, piange, e l’Angoscia atroce, dispotica,
pianta il suo nero vessillo sul mio cranio inclinato” .
( C. Baudelaire )
- Sei un povero bastardo, Saga!
Icelo, studiando con barbara compassione la vittima, l’abbrancò per la gola.
- I tuoi occhi hanno visto scorrere fiumi di sofferenza, vero?
Lo sguardo dell’Incubo, dalle pupille di serpente, iniziava a forzare i sigilli del passato.
Saga, nonostante non fosse infilzato da alcuna spada, era su un tavolo di tortura.
- Di’ cavaliere…cosa ti hanno fatto? Cosa hai fatto?
- Lasciami! Lasciami, lurida bestia!
- Lo so, caro infelice…e’ triste ammettere certe cose…
- No! No!
- Quanto amore…quanto sangue nutrito e disintegrato…
- Smettila!
- Quante tenebre che conosci e vuoi ignorare…
- Galaxian explosion!
Non scaturì nessun tuono di luce.
- Inutile, Gemini! Non puoi rinnegare le colonne della tua esistenza!
Il dio buttò il giovane a terra.
Corre il Giorno tra me e te!
Vola il Giorno tra me e te!
Quelle voci…erano infantili. Quelle strofe…erano famigliari giardini.
Saga sentì il proprio sangue raggrumarsi in limo acidulo.
Il cuore si contorceva coi capillari che si gonfiavano.
La Notte non ci sarà!
Il buio non ci avrà!
Questa luce non cadrà!
- Ti ricordi qualcosa, Saga? – rise villanamente Icelo.
Mu, in ginocchio, si stupì di vedere le lande della dimensione innevata sparire.
Ciuffi d'erba verde trafissero ciascuna particella di ghiaccio. Il castano della terra, teneramente inaridito dalle dita dell'estate, sfavillò d’una mitezza profumata a asciutta.
Comparvero alberi dalla fragranze arancioni e gialle di agrumi.
Comparve un cielo dalle baldanze turchesi scacciatrici di fumi.
Il blu del mare, con i fiori delle onde, bagnò l’orizzonte e ogni falla di buie fronde.
Nuota il Giorno tra me te!
Scotta il Giorno tra me e te!
Non si ferma! Non atterra!
Accende comunque il pianeta Terra!
Dai colli , un po’ brulli e un po’ capelluti, arrivarono due bambini. Il primo poteva avere sei anni, il secondo nove. Il più piccolo possedeva una morbida capigliatura blu che gli copriva le orecchie, il più grandicello portava una scarmigliata chioma castano scuro.
Ridevano e cantavano allegramente passandosi a vicenda una palla arancione.
Est ed Ovest!
Ovest ed Est!
Passa il Sole a me che io lo passo a te!
Porta il Sole a me che io lo porto a te!
I ragazzini saltellarono giocondamente davanti a Saga che li squadrò sgomento e angosciato. Icelo stava propinando una colorata spensieratezza ormai marcita e morta.
Est ed Ovest!
Ovest ed Est!
Un po’ di Sole per ciascuno
e non ci prenderà più nessuno!
Gemini si coprì gli occhi.
Mu era atterrito da quella scena d’una amenità morbida, orrida e malefica. Tutta la gioia nostalgica si corrompeva nell’acredine di remote promesse infrante.
La luce va e viene
ma ci vedremo sempre a mezzogiorno,
per arrivare assieme in alto
con un unico grande salto!
- Quante volte avete cantato in questa maniera? – infierì Icelo.
I ragazzini continuavano, con calore, a divertirsi.
Il cavaliere della Terza Casa continuava , di tenebra, a intorbidirsi.
- Che peccato…- si baloccava l’Incubo scuotendo teatralmente la testa – è una sciagura che tu abbia posto fine a ciò.
Il Saga bimbo lanciò il pallone ad Aiolos che lo afferrò incendiandosi.
Il guerriero dell'Ariete si shoccò.
Il piccolo Sagitter gridò di dolore, gettandosi a terra e tentando di spegnersi le fiamme.
L’amichetto, terrorizzato, scoppiò a piangere scappando via.
Tutta la verdeggiante e azzurra estate prese ad ardere.
Il mare mutò in lava. Il cielo assunse un bordò tumefazione. Il suolo si sporcò di carbone.
Saga era rimasto impietrito, con la lingua prosciugata di lamenti, col cuore che ormai sviava da qualunque rotaia rilucente.
Nel ricordo gli occhi scuri di Aiolos. Il suo volto d’una beltà giovane e seriamente matura.
Nel ricordo parole che nessun altro gli avrebbe mai più detto:
“ Sei non ti senti bene, se vuoi dirmi un segreto, se non ne puoi più di ogni cosa… Io ci sarò. “
Il giovane artigliò la rena riarsa. Strinse gli occhi che bruciavano.
“ Saga, lotterò sempre al tuo fianco ma tu abbi fiducia in te. Guidati con forza. Sono sicuro che sai pilotare qualsiasi carro…”
Non era vero nulla.
Si era sbagliato. Sbagliato. Sbagliato irrimediabilmente.
“ Saga, promettimi che se inciamperai e cadrai , sarai capace di rialzarti e brillare più di prima.”
- I giuramenti sono come fiamme – osservò Icelo – scintillano così belli ma così spaventosi che alla fine si decide di spegnerli.
Tutto il fuoco che avvampava l’arena circostante, s’estinse.
Restò una volta notturna sviscerata di stelle : una carcassa d’animale privata di budella.
La luna era un piatto digiuno abbandonato da commensali defunti: brillava tediosa pari all’insegna d’un albergo sull’orlo della demolizione.
- Non sei stato sempre tu il fuggitivo d’un patto, dico bene? – proseguì a graffiare il mostro – Un’altra amatissima persona ti ha inflitto questo…Una splendida creatura…
Gemini si prese la testa tra le mani…
Un’immagine sublime folgorò nel suo spirito.
Una giovane donna…un bocciolo e uno sfregio che era ancora incapace d’estirpare….
Saga aprì lentamente gli occhi.
Tutto attorno era blu e argento notte.
Le suppellettili e i mobili proiettavano ombre, eguali a grafiti rupestri, sulle pareti della stanza.
Respirò mollemente l’odore del cuscino. Si crogiolò nella morbidezza del letto: sotto il petto, il ventre, gli arti, giaceva il calore del sonno. Quel sonno che remiga, soave e arrossato, dopo il rituale d’amore.
Sollevò un po’ il capo: accanto a lui lenzuola sfatte aleggianti dell'aroma di membra delicate…
Su una sedia, di fianco al giaciglio, una veste e una mantella che dormivano sgualcite nel loro tenero disordine.
Il ragazzo si appoggiò sui gomiti mettendosi supino.
Davanti la finestra bianca della camera stava lei. Il suo più grande raggio.
Lei…Calipso: filiforme e acquea come una libellula; regale e lievemente austera simile alle cariatidi che sorreggono le logge dei templi sacri.
Era voltata di spalle, avvolta soltanto da un leggero panno chiaro.
Lunare . Ineguagliabile.
La sua chioma di riccioli fitti , color verde pallido, le celava il dorso e il fondoschiena. Con quella cascata di turbini sottili pareva alta anche se in realtà non lo era.
Saga adorava follemente quella fanciulla. Sarebbe stato in grado di descrivere , su centinaia di fogli, le cromature del suo profumo, la sottigliezza diafana delle sue braccia, delle sue gambe, le discese delle sue spalle…No…forse non esisteva una penna capace di imprimere sulla carta tutte quelle meraviglie . L’inchiostro era indegno di riprodurre , con parole nere, disegni di pastelli acquerellabili.
Ansioso di riabbracciarla di nuovo, si alzò dal letto coprendosi, con un telo, i fianchi e le cosce.
L’amata si voltò verso di lui.
- Saga…- chiese impensierita – già te ne vai?
Il giovane le si avvicinò baciandola sulle labbra.
- È un po’ presto, non trovi? – mormorò sorridendo.
- Hai ragione…
La ragazza fissò la vastità del mare che attendeva, con un russare bluastro,le prime schiariture dell'aurora.
Fece volteggiare lo sguardo sui pini marittimi che serenavano taciti il cortile del suo alloggio. Accanto al loro sapore , rinvigorente come menta, immensi cespugli di rosmarino profumavano la terra e l’aria.
Gemini rimirò il viso di Calipso: i contorni delle guance, un po’ lunghi, le si affusolavano verso il mento fine e morbido; il naso era proporzionato e dritto; la bocca , rosa pesca, si mostrava leggermente spessa; gli occhi , di un singolare marrone arancio, impreziosivano, più di qualunque tiara, una bellezza fresca come le foglie d’un sempreverde.
Ella era l’alloro. L’alloro che fu Dafne amata da Apollo.
- Cos’hai?
Si era accorto dell'incrinatura che le affliggeva lo sguardo.
- Mi domandavo…- sospirò lei – per quanto andremo avanti così… Non sappiamo, praticamente, come si condivide il giorno. Un giorno normale. Alla luce del sole.
- È vero…stiamo assieme quando viene il buio…guarda caso ci conoscemmo per la prima volta a notte inoltrata.
La giovane rise mesta, abbracciandosi a lui.
- Sei un cavaliere. Un servitore d’Atena.
L’aveva detto con un tono di dolce accusa, di rassegnazione, di strana inquietudine.
- Amore – sussurrò Saga baciandole il collo – vedrai che questo periodo finirà e finalmente staremo tranquilli.
Non poteva rivelare che Sion gli aveva consegnato temporaneamente le redini del potere.
Non poteva confessare che era il Gran Sacerdote.
Doveva attendere che quel poderoso e lancinante incarico si concludesse. Aveva mascherato tutto dietro una grave e lunga missione. Una mezza verità. Seppur odiosa non era , almeno, una completa falsità .
- S-staremo tranquilli? – bisbigliò la giovane speranzosa ma esitante.
- Sì - affermò egli accarezzandole i capelli – andremo a vivere insieme.
Ella lo guardò attonita:
- Saga…tu…tu…
- Nel futuro vorrò averti sempre con me.
La fanciulla fece tremare i suoi occhi. Da quei caldi specchi iniziò a sorgere qualche lacrima.
- Calipso…ho sognato innumerevoli volte di diventare tuo marito.
Lei si lasciò irrorare il volto.
Saga restò in bilico tra la gioia e la perplessità.
Quella vibrante commozione risplendeva di felicità però…anche d’inquietante sofferenza.
Un dolore dalle inspiegabili venature: un albatro incapacitato di sbattere le proprie ali poiché incatenato ad una misteriosa voragine.
- Qualcosa non va ? – domandò Gemini preoccupato.
- N-no…- obiettò ella sforzandosi di sorridere – s-sono…felice…
Lo baciò con una soavità e una passione che si sgretolarono.
Il giovane, al contatto delle loro bocche, avvertì l’elisir della gaiezza evaporare in un bollore obliquo e violaceo.
Sei anni.
Sei anni in cui aveva creduto…con lei.
Sei anni.
Sei anni in cui era cresciuto…con lei.
Durante un’ adolescenza quasi inesistente ,durante una germogliazione costretta a nutrirsi di metallo fuso, Saga aveva conosciuto la speranza di una felicità. Aveva desiderato realizzarsi al di fuori del ruolo di guerriero. Vivere, anche in parte, da uomo normale. Quello sarebbe stato il palazzo da abitare, respirare, vivere.
Non avrebbe assolutamente rinnegato Atena ma perlomeno Calipso lo avrebbe accompagnato nella sua esistenza ardimentosa.
Cos’era accaduto, invece? Un’ennesima catastrofe.
Quella fanciulla…gli aveva celato un infausto segreto. Un torvo obiettivo.
Stentava ancora a capire. Non voleva ancora capire.
Erano trascorsi tre anni da quel giorno terremotato. Le macerie della fiducia erano al suolo ma continuavano a fumare calcinacci e polvere di collera, delusione, passione.
“ Maledetta! Sei stata tutta la mia fiducia, la mia fede! Sei stata la luna sulla terra! Mi faccio pena…vorrei prendermi a ceffoni…ho consumato sei anni della mia vita volando sulle nuvole. La cosa patetica è che sono più stupido. Tu mi hai distrutto ma… perché continuo ad amarti peggio di prima?! “
- Il cuore gioca tiri bassi, disgraziato cavaliere – disse Icelo con melliflua cattiveria – ahimè non puoi farci niente…Ti è capitato un destino tiranno che ha seminato la tua nascita in un terreno melmoso e ripugnante.
Saga lo squadrò con cipiglio impaurito.
Intese dove il mostro voleva andare a parare.
- Rispondi , Saga…- lo incitò il nemico – cosa rappresentano…Galen e Nausicaa?
No. Quei nomi, no.
Aveva tentato di rimuoverli in ogni modo. Cancellarli dagli annali della mente.
- I miei genitori – esclamò Gemini – erano Damone di Lacoonte e Titania di Pentesilea!
- Furono i tuoi genitori…adottivi - precisò il demone sogghignando - com’è che ti rifiuti di accettare Galen e Nausicaa? – proruppe in un riso perverso – dovresti ringraziare costoro per averti messo al mondo! Soprattutto tua madre che ebbe la forza di farti crescere nel ventre!
- Falla finita!
Icelo continuava a ridere sgangherato e truculento.
Mu si sentiva a pezzi per il guardiano della Terza Casa. Desiderava annientare l’Incubo con tutti i suoi colpi letali ma, nel salvare Camus, Milo ed Aldebaran, aveva disperso le proprie energie.
- Mi pare – fece il Re delle Fobie – che già qualcun altro ti rivelò delle cose molto interessanti riguardo questa faccenda…
Una frustata falciò l’animo di Saga. La macchia di una sagoma che gli era identica.
Un doppio che aveva sempre tenuto nascosto.
Kanon. Il gemello cresciuto con Galen. Il fratello che gli aveva serbato rancore e un anelo striminzito d’affetto mai approfondito.
Saga l’aveva odiato . Fu per colpa sua che successe quell’orrendo episodio al Santuario: la morte e la damnatio memoriae di Aiolos.
Saga l’aveva rimpianto: stesso sangue, stesse fattezze, stessi occhi. Kanon, tuttavia, era forse il più coerente tra loro. Non aveva mai portato l’elmo bifronte dell'armatura di Castore e Polluce.
Il cavaliere ritornò, con la mente, a quel giorno di nove anni fa, quando rinchiuse il fratello nella spelonca-prigione di Capo Sounion …
I cavalloni dell'Egeo fracassavano le proprie fronti sugli scogli.
- Idiota! Liberami! Liberami!
La fermentazione delle onde musicava una caotica e salina ballata per la disperazione di Kanon.
- Devi affogare dietro quelle sbarre – disse glaciale e rancoroso Saga – è questa la fine che spetta ai traditori del Grande Tempio e a coloro che offendono Atena.
- Traditore, io?! Perché? Tu cosa sei, invece?!
- Dì’ quel che ti pare…le nostre strade si separeranno per sempre.
- Sei un pazzoide, Saga! Per questo Aiolos è morto!
Il fratello, scagliandosi contro le stanghe della cella, reagì furente:
- Dannato bastardo! Se non fossi arrivato al Grande Tempio non sarebbe accaduto niente di quel macello! Niente! Niente! La casa del Sagittario avrebbe ancora un custode!
Kanon ribatté con una smorfia di scherno:
- Scommetto che , se anche non ti avessi incontrato, saresti stato perfettamente in grado di combinare qualcosa…Sì…perché sei pazzo…
- Taci.
- Sei pazzo e io ho visto l’altra tua sporca metà. Il gemello maledetto sei tu.
- Avrei dovuto farti fuori prima.
- Guardati, fratello!
- Non chiamarmi “ fratello” .
- E saresti uno dei cavalieri più stimati in assoluto? Come ha fatto il Sommo Sion ad affidarti il trono?!
- Hai reso.
Saga gli diede un pugno.
Il prigioniero cadde sul suolo della gabbia sommerso dall’acqua.
Si rialzò coi capelli colanti e dei rivoli di sangue scialbi che gli scivolavano dalle narici e dalla bocca.
- Ah!Ah! Ah! Sai…forse non sei solo tu il gemello maledetto…lo siamo entrambi…siamo due miserabili…Galen, nostro padre, mi raccontò tutto…
Tacque. Stritolò le travi della prigione. Abbassò la testa.
Saga si immerse nel suo silenzio.
Non sapeva se desiderava udire o meno il seguito del discorso. Traballava tra paura riluttante e lugubre curiosità.
Alla fine il gemello sollevò lo sguardo: era lucido.
Le labbra gli sussultavano leggermente.
- Conosci il nome di nostra madre? – domandò con uno spago di voce.
Saga, scuro in volto, rispose:
- No.
- Si chiamava Nausicaa.
Il ragazzo, turbato, spalancò lo sguardo.
- Nausicaa della Lepre?! Quella sacerdotessa assassinata da…
Kanon annuì stringendo i denti:
- Sì…è la donna che quella merda di nostro padre uccise quando nascemmo. Che porco…non sai quanto ho goduto nel vedere la sua testa staccarsi dal collo…
Gemini s’accorse che il fratello lacrimava sbiadito di gelo.
- Dovevano farlo già crepare molti anni fa – diceva cercando di trattenere i singulti – p-perché…l-lui…ha ammazzato nostra madre…d- due volte…
Saga si sentì strizzare le viscere.
Si ammutolì, con crescente sofferenza, assieme al recluso.
Le onde piangevano stoltamente invocando clemenza ai faraglioni .
- G-Galen – riprese a raccontare faticosamente Kanon – Galen strappò la maschera a Nausicaa…
Il cavaliere dei Gemelli si sentì subissare d’olio bollente. Si sentì pestato da una nausea più nera del catrame. Sperò ardentemente di aver frainteso quell’allusione.
- N-non vorrai dire…
Kanon chiuse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
- Hai capito bene.
Silenzio.
Solo il mare che ringhiava, che s’uccideva contro le rocce senza trovare la morte.
Era ricevere una mannaia nelle interiora.
Il cielo parve comprimersi tra le mani di un boia.
- Saga…anche tu dovresti stare qui con me…dentro questa prigione! Siamo maledetti! Maledetti!
- No…no…
Gemini bruciava il rosso del sangue in corpo in un bianco d’ossa consunte.
- Razza di imbecille! – urlò Kanon – siamo due bastardi! Due schifosissimi bastardi!
- Muori! Muori!
L’adolescente, con le lacrime che gli divoravano la gola e l’aria, fuggì.
Fuggì lasciando annegare il suo doppio. La sua ombra. La sua gemente parte di verità che mai gli sarebbe divenuta complice.
Un lampo.
Cinque rasoi abbacinanti.
Icelo infilzò il ventre di Saga.
Le sue unghie trapassarono l’armatura.
Sul terreno sdrucito, rivi di sangue.
Il giovane boccheggiò con agonizzante stupore.
Mu tentò di rimettersi in piedi ma ricadde subito.
D’improvviso il cuore gli rallentò vorticosamente i battiti.
I torrenti di linfa vitale parvero pietrificarsi.
L’epidermide diventò polare...
Uno sguardo scarlatto, nello spirito, chiuse l’alma luce.
“ M-Maestro Sion” sgocciolò il ragazzo “ n-non…vi…sen-to…più….”
Tutto s’adombrò. Un propagarsi di puntini nerognoli che appiattì i sensi.
Saga afferrò il polso d’Icelo tentando , indarno, di liberarsi.
- Sei vigliacco a tal punto?! – rincarò il demone – non vuoi conoscere la tua origine? Il tuo male?
Lo sguardo di brace della Fobia invase quello della vittima con la laida sete d’un’orda vandala.
Il guerriero vide estendersi, nel cervello, la tela d’una visione…una figura femminile che camminava nelle ombre…
La luna piena inargentava freddamente le foglioline sottili degli uliveti.
Nausicaa, appena uscita da una piccola cappella votiva di Atena, calpestava l’ arazzo ciottoloso di quel regno raggrinzito e ieratico.
Era la strada solitaria che attraversava per recarsi dai genitori. Non temeva il buio e il sinistro sussurrio che talune volte sciorinavano le fronde degli arbusti.
Adorava la tranquillità che devolveva la notte, quando ogni cosa ammutoliva di sonno e non esistevano le parole effimere degli uomini.
Camminava , ponderata, coi lisci capelli viola porpora che vacillavano legati in una lunga coda.
Era priva di armatura: indossava un’ampia camicia bianca legata in vita da una cintura marrone e dei pantaloni leggeri.
Le sue caviglie e piedi agili calzavano calighe scure. Il suo viso era coperto da una maschera rosa marmo.
Proseguiva imperturbabile quando avvertì, all’improvviso, un cosmo. Un cosmo che conosceva molto bene. Un cosmo fonte di problemi e dissapori.
Si fermò avvertendo la rabbia bucarle il fegato.
- Galen! Che vuoi?!
Tra i tronchi degli ulivi emerse la figura alta e nerboruta del giovane uomo.
Aveva ventisette anni. Sorrideva subdolo e rauco. I capelli ondulati, blu e morbidi, che cadevano oltre le spalle, non gli stemperavano la sottigliezza spinosa e vile del volto. I suoi lineamenti potevano apparire splendidi come quelli di un efebo ma gli occhi a mandorla allungati luccicavano rubicondi. Gli iridi cobalto, che sfumavano nerastri, possedevano la malizia della volpe e la crudeltà scannatrice del lupo.
- Beh, Nausicaa? Già irritata? Mica ti voglio mangiare…
- Hai intenzione di vomitarmi altre stupide polemiche?! Sappi che mi hai scocciato abbastanza durante il giorno!
- Ehi!Ehi! Datti una calmata!
- Meriti di essere pestato come una bestia da soma per tutte le schifezze che fai!
- Dai, dolcezza…desideravo soltanto…chiarirti una cosa, giusto per mettere a posto la situazione, va bene?
Rise in modo spregevole.
Nausicaa conosceva quel guerriero d’argento che , nonostante provenisse da una nobilissima famiglia, si comportava peggio di un filibustiere. Era potentissimo, dotato perfino di facoltà telecinetiche. Sfortunatamente si dilettava nel mettere a repentaglio la vita dei compagni durante gli addestramenti. La ragazza, ottenuto il comando delle milizie alle quali lui apparteneva, aveva riportato l’ordine drasticamente.
Galen non glielo perdonava.
Era un affronto essere al comando di una sacerdotessa guerriero ventenne, per giunta figlia di umili agricoltori. Egli coltivava, inoltre, una sconfinata passione per le donne. Aveva corteggiato a lungo quella fanciulla ma era stato respinto una moltitudine di volte.
Anche questo non glielo perdonava.
- Vattene a dormire o a sollazzarti con le tue amanti.
Nausicaa gli diede le spalle.
L’uomo le andò dietro.
- Guarda che ho bisogno di parlarti!
- Io, no!
La giovane si voltò di scatto tentando di scagliare un pugno ma fu bloccata.
- Fai poco la gradassa, piccola pezzente!
Venne scaraventata contro il tronco di un albero con un colpo al ventre.
Galen le si avvicinò intimidatorio schioccando le nocche delle mani.
- Ecco quello che ti voglio dire, ragazzetta: mi sono rotto le palle dei tuoi ordini!
- Stai zitto!
La guerriera gli si lanciò contro travolgendolo con una sfilza di calci, gomitate e manate.
Il cavaliere si difese efficacemente.
- Vuoi capire o no, che io sono Galen di Orione e tu Nausicaa della Lepre?!
Con una terribile mossa di judo le fece uno sgambetto, l’arpionò per un avambraccio e una spalla, e la proiettò per terra.
- Vedi? Io sono il cacciatore e tu un animaletto!
- Vai all’inferno!
Un ceffone fece saltare in aria la maschera della ragazza.
- Ah!ah!ah! Che bel faccino hai! Ti immaginavo meravigliosa ma non fino a questo punto!
Con mani tremanti Nausicaa si coprì il viso raffinato e sconvolto. Dai suoi occhi verde scuro uscirono lacrime di umiliazione e disfacimento.
Le labbra rosso chiaro si schiusero mostrando i denti lucidi di singulto.
Perché? Perché? Lei aveva sempre odiato inquinarsi d’astio. Solo Galen era stato in grado di vessarle l’animo.
- Sei un bastardo! – esclamò sfibrata – sei un bastardo di merda!
Orione la prese per la gola.
- Portami rispetto, stronza.
Nausicaa tentò di svincolarsi violentemente da quella tenaglia ma l’avversario, con un riso spaventoso, pronunciò uno dei suoi attacchi più biechi e sporchi:
- Carnis sopor!
La sacerdotessa fu inondata da un’ atroce sonnolenza che le si diramò nelle membra. I muscoli erano come preda di un’ondata di morfina…non s’irrigidirono ma divennero sordi ai comandi disperati della mente. Le corde vocali vennero stropicciate da un pulviscolo silenziatore.
- Rimani una donna…solo una donna…una preda appetitosa. È questa la realtà…
Galen la costrinse a sdraiarsi supina.
La leccò con occhi colmi di repellente lussuria. Le palpò il seno, i fianchi, il pube e le cosce denudandola con malvagia irrisione.
A mano, a mano che veniva razziata , la fanciulla non poté che mescere un pianto terreo, trucidato, lurido d’odio…
Il predatore si svestì il corpo atletico balenante di forza crepante.
- Vedrai, tesoro...imparerai ad amarmi e tacere.
Prendendola per i capelli la baciò viscidamente in bocca…Lei non poteva sputargli in faccia, morderlo o urlare.
- Non dirai nulla…sei mia. Prova a fiatare e ti ammazzerò coi tuoi genitori.
Un getto di grida insanguinate irruppe nelle orecchie.
Mu si destò dal breve sonno che gli aveva reciso la lucidità.
Sarebbe stato meglio non svegliarsi.
Icelo passava la lingua sui suoi artigli sporchi di rosso.
Saga era riverso prono, disgregato, in preda a delle crisi d’epilettica follia.
Tremava vitreo, stillando lacrime dagli occhi dilatati e dalla bocca annaspante.
La pelle era trasfigurata in un sotterraneo lividore di cripta.
I capelli blu si sparpagliavano sul terreno come tristi fiumi senza foce, senza abbraccio d’oceano.
Il tibetano era nel panico più accecante e straziante.
Il re dell'Incubo gli sorrise assassino e trionfante:
- Bene, Mu dell'Ariete…Sono una divinità di parola. Ti avevo promesso una sorpresa e questa sorpresa ora l’avrai.
Nell’attimo in cui avanzò verso l’adolescente, dei serpenti vegetali e di papaveri emersero dall’arena.
Si gettarono sul corpo di Saga avvolgendolo in un bozzolo soporifero.
- Il tuo calvario termina qui. Raggiungerai il Sommo Sion tra le braccia catartiche del sonno sconfinato e magnanimo.
Al suono di quella voce, alla spaventevole rivelazione di quel non ritorno, i polmoni di Mu s’intossicarono d’acuminati fendenti.
Icelo si girò.
In un tuonare di fumi uggiosi comparve Morfeo.
Ornato da un elmo con un lungo pennacchio, coperto da una corazza dalle linee velenose di coleottero, il dio pareva un condottiero fabbricante di soppressioni.
- Evitiamo di perdere troppo tempo – sentenziò il maneggiatore del sonno - ci occorre il sigillo che detiene il ragazzo.
Mu restò basito: di quale sigillo si stava parlando?
- Suvvia, fratello – replicò Icelo – non posso sondare la resistenza di quest’essere?
- Critichi tanto la puerilità di Fantaso, ma noto che anche tu sai gingillarti quanto lui. Preferisci dilungare i tuoi sollazzamenti o adempiere pienamente alla missione che ci hanno affidato nostro padre e Thanatos?
- Non oserei mai tacciarmi d’un tale disonore ma…mi concedi almeno di terminare la mia opera?
- Non sei satollo dei cuori che ti hanno già offerto quegl’altri umani?
- Questo è il grande ed eccelso finale, Morfeo. Credimi.
Icelo versò nell’aria i fili d’un piccolo turbine che risplendette purpureo.
Quando si dileguò, al suo posto comparve una fanciulla.
Era tragicamente reale: né finzione, né sogno.
Possedeva dei lunghi capelli bruno-rossicci, lo sguardo miele sformato dal terrore, le esili membra tremanti.
Con una veste bianca da notte sembrava una vergine sacrificale. Aveva le mani, le braccia, le gambe e la bocca legate.
Non s’ arrischiava a fiatare.
Solo il pianto urlava precipitando dal viso.
Mu sentì il cuore esplodergli in frantumi.
- Leira!!
Note personali: ciao a tutti!! ^^ Sono stata di parola! ;) ecco il cap 12!!! Ce l’ho fatta!!
Beh, non si è rivelato per nulla bello descrivere…la terribile e maledetta origine di Saga e Kanon. Io detesto narrare sadicamente questo genere di abusi. Non ho infatti indugiato sulla scena di violenza che subisce Nausicaa. Mi sono limitata a scrivere soltanto alcuni aspetti per far comprendere il dramma della situazione. Ribadisco, non provo alcun compiacimento nel raccontare questo tipo di traumi. Mi auguro che il mio messaggio sia stato compreso entro tale ottica…
Grazie a tutti i lettori che mi seguono!! ^^
Un saluto!!
A febbraio col cap 13! ( Icelo è tortura senza fine -.- è un peccato che non possa dire “ Amore senza fine” come nella canzone di Pino Daniele che so quanto Lady Dreamer lo adori XD XD)