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Autore: Yvaine0    19/01/2013    9 recensioni
Ero in treno da un'ora verso il nulla più totale.
Perchè? Probabilmente tutto era iniziato quando mio fratello aveva iniziato a parlare. Fin da subito aveva capito la sua vocazione: sparare stronz-...sciocchezze. E così, litigio dopo litigio, nostra madre era impazzita e aveva deciso di spedirci tutti e due a vivere da qualche parte lontani da loro.

Pan Fletcher, diciottenne, ragazza di città, si ritrova catapultata in un mondo a lei estraneo, caratterizzato da laboriosità, aria pura, e sentimenti sinceri. Armata di mp3, di un bizzarro interesse per le mucche e di un rassicurante manuale di sopravvivenza create da lei stessa, affronta questa avventura che la vita le regala senza ben sapere cosa pensare di tutto ciò che le sta per accadere.
"Che diavolo ci fai qui?"
"Che diavolo ci fai TU qui! Questa è casa di mio nonno!"
"Io qui ci vivo!"
Fissai il ragazzo in cagnesco per qualche istante. "Bè, anche io!"
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cows and jeans'
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Cows and jeans

 

39

 

 

Le cose col tempo cambiano.
È un dato di fatto, una delle frasi più banali del mondo, preceduta solo da “È per il tuo bene”, “Chi la fa l’aspetti, “Essere o non essere, questo è il dilemma” e “Sei proprio uguale a tuo padre, Harry. Tranne gli occhi: hai gli occhi di tua madre”.
Sono quelle frasi cui l’ovvietà rasenta il lapalissiano, il cui significato è intrinseco nelle tue ossa, ma della cui veridicità ci si stupisce ogni santissima volta. Chi di noi, guardando un tramonto, non si stupisce di quanto sia meraviglioso?
Era giunto il giovedì, quel maledetto giovedì 23 Settembre in cui avrebbe avuto luogo la festa del paese.
I tre giorni precedenti erano stati a metà tra un inferno e una follia. Avevo passato più tempo ad arrossire che altro.
A Kameron non era parso vero di potermi veder passare tanto tempo con Dean, per via delle prove della canzone, e continuava a rivolgermi tante di quelle frecciatine che mi sembrava di essere diventata il bersaglio di un tiro a segno. Si divertiva da morire a farmi crepare per la vergogna. Serve specificare che stavo sfruttando ogni singola occasione che mi capitava per vendicarmi?
Ero seduta nel solito giardino della scuola, durante la pausa a pranzo, e osservavo Kameron, Phil e Terrence lanciarsi una pallina da tennis con tanta gioia che mi chiesi se avere la testa così sgombra come quella di quei tre non fosse una benedizione del cielo. Quanti castelli in aria avrei evitato di farmi? Quanti pensieri mi sarei lasciata alle spalle? Quante volte avrei fatto quello che mi veniva in mente senza farmi troppi problemi? E, ok, forse avrei finito per essere un’iperattiva zuccavuota come Terrence, ma in quel momento quella prospettiva mi sembrava meravigliosa.
Si parlava di dati di fatto e cose scontate, giusto? Ecco una cosa scontata di cui mi sarei dovuta accorgere prima: più provi a toglierti una persona della testa, più quella rimane lì. Non solo, cercando di non pensarci, si finisce a pensarci sempre di più, proprio nel tentativo di non farlo. Sono di quelle stupide cose che dentro di sé ciascuno sa, ma peccando di orgoglio ci si convince di poter essere diversi dagli altri, di potercela fare, perché c’è sempre una prima volta e quella prima volta potremmo essere noi.
Be’, è una stronzata.
L’orgoglio crede di sapere tante cose, ma non sa nulla. È troppo impegnato a credere di sapere, per fermarsi a pensare e cercare di capire.
Negli ultimi giorni avevo passato fin troppo tempo con Dean. Il mio pomeriggio era diviso, dopo la scuola, in spicchi da due ore. Due ore con Kameron per i compiti, due con Dean a fare quelle dannate prove e arrossire ogni volta che incrociava il mio sguardo. Erano stati solo tre giorni, ma erano stati infiniti.
Ogni volta che mi guardava per farmi l’attacco e invitarmi a iniziare a cantare, arrossivo come un pomodoro e prima che potessi finire la strofa, mi impappinavo per via dell’imbarazzo.
Gli improperi e i rimproveri che avevo attirato in quei giorni non me li sarei accaparrati più in tutta la mia vita.
Tutto sommato non era andata male per niente, ma ero felice che il giorno dell’Equinozio d’Autunno fosse finalmente arrivato, per poter finalmente interrompere quella tortura.
Proprio il giorno precedente, dopo le ultime prove, ero corsa in camera mia con la verità in mano, una realtà scomoda, ma che avrebbe dovuto essere lampante, e l’avevo scritta nell’ennesimo quaderno riempito con le lettere per Emily.
«La mia cotta, dici? Ah, sì, è tornata. O meglio: c’è sempre stata, si era solo nascosta nel baule di Dean. Dolce, non è vero? Le ho anche dato un nome, si chiama Carol. È gentile e andiamo d’accordo. Quasi sempre. Ok, lo ammetto, ci sopportiamo solo quando il diretto interessato non è nei paraggi.
Ho pensato come una matta negli ultimi giorni. Su una cosa avevi completamente ragione: penso troppo e penso male. È imbarazzante l’idea di essere innamorata di una persona del genere, così arrogante e piena di sè, ma credo proprio che sia così. Come ci si può innamorare di una persona come Dean, Lily? Perchè sì, i miei pensieri sconnessi mi hanno portata a credere che Carol si sia evoluta in qualcosa di più... intenso.
Non sai quanto mi senta stupida.
Quando leggi queste righe chiamami, sai come e quando.»
Avrei potuto tranquillamente telefonarle da scuola, ma non era il genere di cose di cui mi piaceva parlare ad alta voce. Il fatto di scriverlo e basta lo rendeva un po’ meno realistico, più fatiscente. Pronunciare quelle parole ad alta voce mi avrebbe messo il panico addosso e quella era l’ultima cosa che mi serviva quel giorno, come se il pensiero di dover cantare quella sera non fosse abbastanza.
“Ehi, Pan, la bevi quella?” tornai alla realtà, mentre Kameron mi correva incontro, additando la lattina di cocacola per la quale avevo fatto una fila immane al distributore – incredibile quanta gente bevesse bibite gassate per pranzo, in quella scuola!
Lo guardai stranita, aspettandomi da un momento all’altro qualche commentino allusivo a Dean, giusto per ricordarmi chi comandava. “Secondo te l’ho comprata per tenere fermo il tovagliolo?”
“Oh, avanti, sei lì ferma, non puoi essere assetata come me!”
“Mi spiace, grande atleta, ma...”
La pallina da tennis sfrecciò verso di me, mancò la mia testa per un pelo, e rimbalzò sull’albero alle mie spalle per poi finire lontano. Opera di Terrence, ovviamente, che in quel momento rideva tenendosi la pancia. “Che faccia hai fatto!” mi prese in giro.
Che faccia avevo fatto? Quella di una persona a cui avevano appena lanciato un proiettile a millemila chilometri orari dritto in faccia, forse? Un giorno o l’altro l’avrei strozzato!
Era un peccato che la nuova consapevolezza a proposito dei miei sentimenti non mi avesse trasformata in una persona zuccherosa e gentile, sarebbe stato meglio per tutti. Invece ero – evidentemente – ancora più acida di prima. Non avrei mai pensato che fosse umanamente possibile.
Alzai gli occhi al cielo, mentre Kameron correva a recuperare la palla.
Ne approfittai per agitare per bene la lattina intanto che non guardava. Insomma, io avevo fatto la fila per comprarla e l’avevo pagata. Una piccola vendetta era ciò che ci voleva dopo tutte le battutine di cui aveva costellato la mia esistenza negli ultimi giorni.
“Hai vinto!” esclamai al suo ritorno, porgendogli la coca-cola con un’espressione leggermente contrariata, giusto per non lasciar trasparire i miei reali intenti. Intimamente sapevo che se quella testa di sughero di Terrence Doyle avesse fatto la spia, gli avrei fatto ingoiare la lattina intera. Confidavo tuttavia nella sua travolgente passione per gli scherzi burloni.
Kameron sorrise entusiasta e lanciò la pallina da tennis a Phil, che si scambiò un’occhiata divertita con Terrence, il quale ridacchiò con aria malefica come se avesse appena preso parte alla genialata del secolo. Era la discrezione fatta persona.
Prima che Kam potesse insospettirsi, un paio di ragazze ci raggiunsero sorridenti. Lui prese una posa da ragazzo figo, che molto probabilmente gli aveva consigliato Joshua, mentre Bethany Peterson e la sua amica bionda e occhialuta trotterellavano verso di noi. Anzi, verso di me.
“Ehi, Penny!”
Oh, no, per carità! Penny proprio no. Il mio sorriso amichevole si congelò a quel soprannome e Bethany capì al volo l’antifona. “Come non detto: niente ‘Penny’” si corresse.
Ridacchiai, annuendo. “Sì, grazie”.
“Come va? Conosci Terry Donovan, vero?” domandò, indicando la sua amica.
La guardai per qualche istante e annuii, sorridendo con cortesia. “Sì. Theresa, giusto? Frequentiamo lo stesso corso di spagnolo”.
“Ohh, compagne di sospiri alla lezione del figone!” esclamò Beth allegramente.
EH?!?
“Ma cosa dici?” ringhiò Theresa; lanciò un’occhiata omicida all'amica e io risi forte, perfettamente in accordo con lei: che diavolo stava dicendo Bethany?
“Oh, e va bene, mi sono fatta prendere dall’entusiasmo” ammise la Peterson divertita. “Non vedo l’ora che sia oggi pomeriggio! Mi hanno detto che canterai con Dean McDonnel!” continuò, sempre entusiasta, ma anche evidentemente curiosa.
Fantastico, ora le voci giravano. Avrei dovuto aspettarmelo, in effetti. Chissà che voci erano. Il punto era che non c’era nulla da vociferare, purtroppo.
...Purtroppo? No, senza ‘purtroppo’. Era giusto così. Io mi sarei dovuta dimenticare del tutto dell’esistenza di quel... tizio. Ecco, ‘tizio’ era perfetto. Un termine perfettamente neutro. Stavo facendo progressi.
Tempo di pensare questa frase e la mia mente era già tornata ai pomeriggi precedenti, rivivendoli scena dopo scena. Come se non fossi circondata da gente e potessi permettermi di fantasticare ad occhi aperti.
Era stato tutto esattamente usuale. Durante le prove Dean non aveva aperto bocca se non per cantare e non mi aveva rivolto la parola se non per mandarmi al diavolo o rimproverarmi qualche errore. Tutto esattamente nella norma. Eppure nella mia testa era stato tutto estremamente emozionante. In senso positivo e negativo insieme. Ogni volta che mi guardava arrossivo e quando cantava mi fermavo ad osservarlo e mi dimenticavo di attaccare quando era il mio turno. E poi quella canzone. Non sarebbe mai più stata solo una canzone, sarebbe stata la canzone che mi faceva pensare a Dean e...
“Merda!”
L’esclamazione di Kameron disappannò il mio sguardo, giusto in tempo perché lo vedessi puntare il foro della lattina eruttante nella direzione opposta a se stesso. Gesto totalmente inutile, perché ormai era stato annaffiato a opera d’arte.
“Ah! Ops, l’avevo agitata, forse” commentai a voce alta, per sovrastare le risate sguaiate di Terrence e quelle più contenute di Phil e delle ragazze. Mi unii al coro, mentre Kameron mi guardava esterrefatto, indeciso se ridere anche lui o vendicarsi. Alla fine rise, avvicinandosi pericolosamente a me. “Mossa molto astuta” si complimentò, tirandomi su.
“Cosa hai... ? No!” Prima che potessi rendermene conto mi stava abbracciando e, naturalmente, il disegno artistico sulla sua t-shirt si era appena stampato, con qualche imprecisione, sulla mia. “Kameron!” protestai.
“E non è finita qui, simpaticona...” preannunciò, alzando la lattina ormai mezza vuota.
“No, ehi” mi allarmai. “Non è decisamente una buona idea, Kameron. Insomma, vuoi essere messo in punizione alla seconda settimana di scuola?”
Lui si strinse nelle spalle. “Sai qual è il problema!” rispose con noncuranza.
Stupido troglodita! “Ehm.” Dovevo trovare un altro modo per distrarlo. “Non... non vorrai riversarmi in testa quel... ehm, dissetante... nettare divino! Non stavi morendo di sete qualche secondo fa? Sei lunatico!”
Kameron rise e mi lasciò andare. “Hai ragione” proclamò, facendomi sospirare di sollievo. “Sarebbe uno spreco”.
“Certo che ho ragione!” esclamai, mentre mi affrettavo ad allontanarmi di qualche passo da lui, in caso cambiasse idea. “Io ho sempre ragione!” puntualizzai, giusto per non smentirmi mai.
Quando i ragazzi tornarono a dedicarsi al loro sport estremo – per me, che ogni tanto venivo bersagliata -, mi fu chiaro che, nonostante avessi scampato la doccia a base di coca-cola, avevo ancora una gatta da pelare. Quella gatta si chiamava Bethany Peterson e continuava a ridacchiare, facendo battute e domande, mentre la sua cara amica fissava con una vaga aria disgustata Kameron. Come se fosse una sorta di mostro a otto teste, per essere chiari. Precisiamo: non mi dava fastidio. Al contrario, l'unica che sembrava essere infastidita, lì, era proprio Theresa. Che Beth l'avesse obbligata a farci compagnia era più che evidente e in parte mi dispiaceva essere causa della sua insofferenza. D'altra parte, tuttavia, il suo palese astio nei confronti di Kameron affievoliva radicalmente la portata dei miei sensi di colpa. Fu solo per amor di tranquillità se, quando i ragazzi spedirono per l'ennesima volta la pallina da tennis nella nostra direzione e lei minacciò di farlo notare a qualche insegnante, non la mandai al diavolo. Ingoiai il rospo e rimasi in silenzio mentre Bethany pregava l'amica di non essere così severa.
...severa, pff. Mio nonno era severo, lei era intrattabile. E odiava Kameron. Come si può odiare Kameron? Mi appuntai mentalmente di chiedere informazioni a riguardo a Bethany, se quel pomeriggio l'avessi incontrata. Finalmente mi sarei tolta quell'assillante dubbio, forse.
 
L'idea che il paese potesse trasformarsi in un luogo allegro e festaiolo non mi aveva mai sfiorata. Quando dico ciò, intendo proprio che la cosa non mi era mai passata per la mente, non che credessi Sperdutolandia un posto triste o deprimente – e va bene, lo avevo pensato, ma non è questo il punto. Com’era accaduto ogni singola volta che avevo sottovalutato quel posto, Sperdutolandia anche quel giorno mi stupì.
Erano le cinque del pomeriggio e ancora il sole illuminava la piazza del paese, completamente animata e pullulante di abitanti. Non avevo mai visto quel posto così pieno di vita.
Un palco scenico dall'aria non molto stabile era stato posizionato di fronte alla chiesa e su di esso si stavano esibendo un gruppo di vecchietti di cui mi ero spesso occupata al bar, durante l'estate. Suonavano musica di altri tempi, musica che sapeva di vita di campagna e sacrifici, di giornate passate a spezzarsi la schiena nei campi e meravigliosi albe e tramonti.
Su qualche tavolo posto in luoghi strategici della piazza, le vecchie signore vendevano i loro dolci, le marmellate e le conserve fatte in casa, la frutta del loro orto che per qualche motivo non era già stata scambiata con altri prodotti.
In tutto questo, io me ne stavo in piedi di fronte ad uno dei recinti improvvisati, contenenti animali da vendere, e accarezzavo il muso di un tenero vitellino.
Quella versione di Sperdutolandia mi piaceva molto. Forse non mi era mai piaciuta tanto quanto in quel momento. Era tutto così allegro e tranquillo, genuino e spontaneo che quasi – quasi – non mi accorgevo dell'ansia che mi cresceva nel petto canzone dopo canzone. Da un momento all'altro – non sapevo quando esattamente – sarebbe toccato a me salire su quel palco scenico pericolante. Con Dean. E cantare. Davanti a tutti.
“Ma dove sono andati tutti?” Robin Lucas, quel piccolo e assillante Robin Lucas, aveva deciso di essere la mia ombra quel pomeriggio. Strano ma vero, la sua compagnia non mi dava alcun fastidio. Al contrario, sapere che, nonostante il tempo passato, fosse ancora affezionato a me, mi faceva piacere. Inoltre mi distraeva quando rischiavo di farmi prendere dal panico.
Mi strinsi nelle spalle, continuando a osservare rapita la mansueta tenerezza del vitellino nel recinto. “Non so. Aggie ha detto di aver dimenticato qualcosa a casa”.
Robin annuì, sporgendosi attraverso le transenne di legno che racchiudevano gli animali verso una pecora dall'aria annoiata per porgerle del fieno. “E Kameron?”
Mi strinsi nelle spalle, lanciandogli un'occhiata di sottecchi. “L'ha accompagnata: lei non ha la patente”.
“Tu sì?” domandò ancora lui.
Non capivo se stesse spianando il terreno per sganciare una rivelazione bomba o semplicemente fosse curioso. “Sì. Dove vuoi arrivare?”
Robin si aprì in un sorriso sornione e alzò il capo con orgoglio, voltandolo verso la mia direzione. “Be', dico solo che avresti potuto accompagnarla tu, invece...”
“Eccovi finalmente!” La comparsa di sua cugina Bethany interruppe il suo glorioso discorso, lasciandomi con un palmo di naso proprio nel momento in cui stavo per scoprire la sua grande verità. “Vi ho cercato dappertutto!”
“Te l'avevo detto che ero qui” brontolò Robin scontento quando la ragazza lo abbracciò da dietro, raggiante come sempre.
“Ciao” la salutai io, divertita dall'espressione indispettita del ragazzino. “Sei in servizio anche oggi?”
Bethany rise. “In effetti sì, ma oggi c'è anche Hayley che tiene i piccoli. Johnny era alle calcagna di Dean McDonnel l'ultima volta che l'ho visto – ah, eccoli là - e Robin... be', Bobbie non si trovava più!”
Lui roteò gli occhi, mentre la cugina lo stritolava in un secondo abbraccio pronunciando quella frase.
Non mi disturbai a trattenere una risata. Subito dopo, però, guardai automaticamente nella direzione da lei indicata e rabbrividii notando la diabolica accoppiata in giro per la piazza. Dean e Johnny. I miei incubi peggiori che ridevano con aria malignamente tranquilla in mezzo a quell'atmosfera vivace e spensierata. Nessuno a parte me notava quanto stonassero con l'atmosfera circostante? Nessuno si accorgeva di come Johnny si guardasse attorno in cerca della vittima giusta da strangolare o di quanto Dean fosse schifosamente attraent-...no. No, nessuno se ne accorgeva. Nemmeno io avrei dovuto, a dirla tutta.
Distolsi in fretta lo sguardo, ma non abbastanza perché il piccolo demone non si accorgesse che li stavo guardando. Una parte di me si chiese 'E ora?'. L'altra, quella più razionale, le rispose 'E ora nulla. Hai cinque anni più di lui, non puoi temerlo. Dov'è la tua dignità?'. La risposta era che, probabilmente, la mia dignità era stata perduta durante uno dei viaggi tra casa e scuola, magari per colpa di una delle geniali trovate di Terrence. In tutta onestà, non ero nemmeno certa di averne mai avuta una, ma... ma in pratica ero un dannato fascio di nervi. Il motivo era semplice. E, no, non aveva nulla a che vedere con il fatto che avessi appena pensato per l'ennesima volta che Dean fosse schifosamente attraente. In parte. La spiegazione che preferivo dare al mio momento di panico, preziosamente abbinato a una serie di pensieri sconnessi ed emozioni contrastanti, era strettamente legata a ciò che stava succedendo nei pressi del palco.
Il gruppo di anziani intenti a suonare musica folk stava scendendo, lasciando il posto a un paio di ragazzi che avevo già visto in giro. Si misero a parlottare tra loro, mentre Matthew, presentatore dell'evento, annunciava al microfono che avrebbero cantato per noi qualche storico pezzo dei Beatles. Proprio come aveva detto Dean.
“Sai, Bobbie, credo che...” Bethany ricominciò a parlare, attirando la mia attenzione.
“Smettila di chiamarmi così” protestò Robin, divincolandosi dal suo ennesimo abbraccio. “Fa schifo quel soprannome”.
“Ma che dici? Non è vero. Ti ho sempre chiamato così!” si accigliò la cugina, lanciandomi un'occhiata interrogativa.
In tutta risposta io mi strinsi nelle spalle. Io e i bambini non andavamo molto d'accordo. Per ottenere la simpatia di Robin avevo dovuto farmi spedire dei film western da casa e non credevo che questo potesse ritenersi un buon modo per stringere amicizia con chiunque. Insomma, era una sorta di ricatto, aveva un qualcosa di meschino. Non aveva senso chiedere aiuto a me, se voleva capire cosa gli passasse per la testa, questo era poco ma sicuro.
“Be', Bobbie non è adatto a un ragazzino della sua età, Beth. Bob è meglio” buttai lì infine, dando la prima spiegazione che mi passò per la mente. Spiegazione che sembrò soddisfare parecchio il piccolo Robin, perché annuì energicamente e incrociò le braccia osservando la cugina, come a sfidarla a contraddirmi. Lo trovavo estremamente buffo, a dirla tutta.
“Bob, eh? Come Bob l'aggiusta-tutto?” lo prese in giro Bethany.
“Quello non era Handy Manny?” Perché ero così informata sui cartoni animati per bambini?
“Anche Bob” mi corresse lei, divertita.
Robin sbuffò sonoramente e, dopo averla guardata male, si allontanò di corsa, lasciandoci lì a ridere della comicità della scena. Sicuramente sarebbe tornato da un momento all'altro.
Beth si appoggiò come me alla staccionata e mi sorrise. “Sei tesa?” mi domandò, cercando di essere amichevole.
Abbozzai un sorriso, scuotendo il capo. “Un po'” risposi soltanto. Avrei voluto essere più spigliata, almeno quanto lei lo era con me, ma c'era qualcosa che m’impediva di sentirmi del tutto a mio agio. Non sapevo cosa fosse e, probabilmente, era solo colpa delle mie paranoie, ma dover affrontare da sola qualcuno che conoscevo appena mi era difficile. Se ci fosse stato Kameron con me, probabilmente, non avrei avuto molti problemi a relazionarmi con qualcuno – conosciuto o meno -, ma in quelle circostanze...
“Canterai con Dean, no? Cosa canterete?”
Un'altra opzione era che fossi solamente troppo nervosa per quello che avrei dovuto fare di lì a poco. L'ansia cresceva minuto dopo minuto e stavo seriamente rischiando di impazzire. Non volevo pensarci – non dovevo. Dovevo fare qualcosa. Dovevo pensare ad altro, dovevo... “Beth, posso farti una domanda un po' strana?” sputai, senza rendermi davvero conto di quello che stavo facendo.
Rimase in silenzio qualche istante, poi annuì. “Certo. Almeno credo... Dimmi!” mi sorrise incoraggiante.
Presi un respiro profondo per farmi coraggio e mi decisi finalmente a porle la domanda che mi tormentava da un po' di tempo. Forse almeno lei mi avrebbe risposto. “Be', vedi... ho notato che Kameron non... sta simpatico a molti a scuola” borbottai, evitando di guardarla negli occhi.
Lei parve capire al volo a cosa mi stavo riferendo: “Parli del comportamento di Terry?”
Mi strinsi nelle spalle, annuendo lentamente. “Anche” risposi, per poi ridacchiare. Non che ci fosse nulla di divertente, ma non mi piaceva la tensione che si stava creando. O forse ero l'unica a percepirla perché l'argomento mi premeva particolarmente? “Ma non solo. Sembra non piacere quasi a nessuno”.
Bethany prese un respiro profondo e si sedette a terra, con la schiena appoggiata alla staccionata. “Vieni, ti spiego una cosa” propose, battendo una mano sul terreno ghiaioso.
Rimasi a guardarla qualche istante, pensando che in tutta probabilità qualche animale da fattoria si sarebbe avvicinato per brucare allegramente i nostri capelli, così facendo, ma alla fine obbedii. Mi sedetti al suo fianco e rimasi in ascolto.
Non c'era molto da spiegare, alla fin fine il discorso era chiaro e semplice. Dean – era ovvio che la colpa fosse sua, no? - era un ragazzo particolare e schivo. L'unica persona che in tutta la sua carriera scolastica fosse riuscita a penetrare il muro di arroganza che si era costruito intorno era stata Kameron.
Kam era sempre stato un ragazzino un po'... sciocco. Non brillava di intelligenza, ma era carino e disponibile con tutti. Al liceo, tuttavia, la fama di Dean aveva allontanato da lui gran parte dei compagni di classe. Il mezzano dei McDonnel intimoriva – coscientemente o meno non era dato saperlo – tutti i ragazzi più piccoli e questo a molti bastava come motivazione per evitare anche la compagnia del suo migliore amico. Poi erano successe delle cose. Dei litigi nei corridoi, un paio di zuffe tra compagni di classe e Dean McDonnel aveva iniziato a essere considerato un ragazzo violento, come se la sua aura da stronzo non fosse abbastanza evidente. “Non sono state poche le volte in cui Kameron si è esposto per difenderlo. Quando Dean ha finito la scuola, lui si è trovato completamente solo. Contro tutti, in un certo senso. A parte Terrence, ovviamente, lui è sempre così amichevole che non si è mai posto il problema di voltare le spalle a qualcuno.
C'erano due sentimenti che mi gonfiavano il petto in quel momento. Uno era un immenso dispiacere per quello che Kameron aveva dovuto sopportare a causa di Dean. Il secondo era un potente moto di orgoglio. Quante persone al posto di Kameron avrebbero continuato a difendere sempre e comunque il proprio migliore amico, finendo poi per rimanere soli? Sorrisi amaramente, pensando che era una fortuna che quel ragazzo fosse mio amico. “Quindi è per Dean. Lui non piace a nessuno e, siccome Kam lo difende, tutti odiano anche lui” sintetizzai, la voce atona e lo sguardo perso nel vuoto. Era incredibile quanto la gente fosse strana e immatura. E anche io lo ero, ne ero consapevole, ma non riuscivo a credere che le persone potessero essere così ottuse da ignorare totalmente qualcuno solo perché il suo migliore amico era oggettivamente uno stronzo. Uno stronzo con gli attributi e un senso di responsabilità non indifferente, tra l'altro. Chissà se si era mai sentito in colpa per tutta quella faccenda...
Bethany scosse energicamente il capo, notando il disappunto celato dietro alle mie parole. “Non è che lo odino, ecco. Terry non lo odia davvero, ha solo...”
“Un sacco di pregiudizi” conclusi per lei, guardandola negli occhi. “Non te ne sto facendo una colpa, Beth. Insomma, sicuramente c'è un perché se le cose stanno così. Ma non riesco a spiegarmelo. Lui è un ragazzo fantastico, ha sempre una buona parola per tutti. Ok, non sarà un genio, ma non è nemmeno stupido e...”
Una voce si fece strada prepotentemente nel nostro discorso, facendoci sobbalzare. “Oh, cavolo. Stavo per chiedere se steste parlando di me, ma ora che parlate di persone stupide non sono più così sicuro di volerlo sapere!”.
Alzai lo sguardo per incontrare quello svagato di Kameron, spuntato dal nulla con Agatha e Terrence al seguito.
“Parlavano di stupidi?” Aggie inarcò un sopracciglio, ficcandosi le mani nelle tasche del giubbotto di jeans. “Allora è proprio a te che si riferivano” concluse, poggiandosi alla staccionata come se nulla fosse.
Kameron le fece una linguaccia e noi altri ridemmo. Non fu necessario dire a Bethany che forse sarebbe stato meglio continuare la conversazione in un altro momento, mi bastò incrociare il suo sguardo per capire che aveva avuto il mio stesso pensiero.
Mi voltai di nuovo verso i miei amici, proprio mentre Kameron si gettava a sedere accanto a me. “Allora, Pan, sei pronta?”
“Oh, ti prego, non farmici nemmeno pensare...” brontolai, nascondendomi il volto tra le mani.
“Be', ma ormai tocca a voi!” trillò allegramente Terrence, con il solito tono gioioso e la delicatezza di un elefante ubriaco. “Perché ora tocca a me e Phil, poi...”
Lui e...? Avrebbero cantato anche quei due?
“Tu e Phil?” chiese Agatha. “Vi esibite anche voi?”
Terrence mise le mani sui fianchi e spinse il petto in avanti con aria orgogliosa. “Certo! Tocca a noi proprio appena finiscono di suonare Twist and Shout” proclamò sorridente.
Agatha inarcò le sopracciglia, soffiando una risata sarcastica, mentre il suo sguardo vagava tra la gente verso il palco. “Suppongo tu sappia che hanno appena concluso, allora”.
Kameron scoppiò a ridere per primo, mentre Terrence si rendeva conto di essere in ritardo e correva via, giusto un secondo prima che Matthew prendesse il microfono in mano per annunciare che “Terrence Doyle è atteso sul palco. Il suo amico Phil, qui, è piuttosto contrariato: dove ti sei cacciato?” riferì, ridacchiando. Sentendolo ridere, Bethany emise un patetico sospiro ammirato. Mi ritrovai a ridere, più per il sospiro della ragazza che per ciò che era appena accaduto.
Kameron balzò in piedi, allegro come solo lui sapeva essere in ogni circostanza. “Forza, andiamo a vedere da vicino!” propose, afferrando Aggie per un braccio e trascinandola via prima che potesse rifiutarsi categoricamente di andare da qualunque parte con lui. Cosa che, comunque, non si risparmiò di fare, mentre il ragazzo correva tra la gente con lei appresso.
Senza pensarci due volte, Bethany si alzò e attese che facessi lo stesso. Fu così che, cercando di non pensare al fatto che di lì a poco io avrei dovuto fare lo stesso, mi portai in prima fila assieme agli altri per vedere l'esibizione di quello svitato di Terrence. Prima di tutto, esordì inciampando nel filo del microfono, chiese scusa un'infinità di volta a Phil – che sembrava avrebbe preferito essere ovunque fuorché lì – e poi fece cenno a Matthew di far partire la musica. Pochi secondi dopo dalle casse esplosero le note iniziali dell'immortale “Surfing USA” e Terrence spalancò le braccia e piegò le ginocchia, fingendo di trovarsi su una tavola da surf.
A nulla servirono le occhiate ammonitrici di Phil, Terrence, mentre cantava a squarciagola e incitava tutti a fare altrettanto, continuava ad atteggiarsi e surfista californiano, sorridendo felice e ondeggiando a destra e a sinistra sul posto. Le risate di Kameron sovrastarono la musica in un primo momento, poi si fece prendere dal ritmo e, come aveva fatto quel pomeriggio a scuola, afferrò Agatha per i polsi e la trasportò con sé in una danza scatenata a cui lei faceva di tutto per sottrarsi, gridando aiuto. Quando Bethany si mise a ondeggiare a ritmo di musica al mio fianco, presa da un modo di entusiasmo – dovuto totalmente all'isteria pre esibizione -, la presi per mano a mia volta e ballai con lei nel modo più ridicolo e sconclusionato che riuscii.
In quel momento, pur non essendo perfettamente a mio agio con Bethany, mi sentii bene. La paura per ciò che stava per succedere era finita, almeno per il momento, nel dimenticatoio. Niente ansia, niente pensieri, niente Dean. C'era solo quella musica coinvolgente e una gran voglia di ridere e divertirmi. Non sapevo esattamente cosa mi fosse preso – una scarica di adrenalina, forse -, ma non importava. Andava bene così, mi stavo divertendo e Bethany, seppure un po' sorpresa dal mio slancio di pazzia, non sembrava affatto dispiaciuta che avessi finalmente preso un po' di confidenza con lei.
Poi, com'era ovvio che fosse, quel momento di allegria crollò miseramente. Più o meno nello stesso momento in cui Agatha riuscì a liberarsi dalla presa di Kameron, che non smetteva di ridere e cantare a squarciagola agitandosi in una danza improvvisata, quello che con qualche secondo di ritardo compresi essere Robin mi balzò sulla schiena, aggrappandosi e rischiando di farmi rovinare addosso a sua cugina. “Sei impazzito?” domandai, cercando di tenerlo su, con scarsi risultati. Aiutata da Bethany, lo rimisi coi piedi per terra, mentre Johnny e Dean, con mio sommo timore, si avvicinavano a noi.
“Volevo farti uno scherzo! Johnny ha detto che sarebbe stato divertente” si giustificò il ragazzino, con un sorriso sornione.
Lanciai un'occhiata al suo fratello maggiore, che mi fissava con aria di sfida. Avrei dovuto immaginarlo, forse. “Cercavi di farmi uccidere, moccioso?” sputai.
Il neo-adolescente inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia. “Se così fosse, ci sarei già riuscito”.
Alzai gli occhi al cielo. Non mi era mancato per niente quel ragazzino pseudo-ribelle con tendenze da gangsta di quarta categoria.
A Dean la battuta parve piacer molto. “È ora di provarci, Johnny, io non la sopporto più” proclamò con un sogghigno. Quel commento riempì il moccioso di orgoglio, come dimostrava il suo ampio sorriso soddisfatto.
Strinsi le labbra con disappunto e mi voltai verso il palco, cercando di non far caso a loro. Pessima mossa, perché la vista di Terrence e Phil che strillavano nei microfoni mi ricordarono la mia – nostra – imminente esibizione. Senza rendermene conto, feci una smorfia terrorizzata e spostai nuovamente lo sguardo su qualcos'altro che, per ironia della sorte, risultò essere Dean. E la visione di Dean non aveva mai un effetto positivo sul mio sistema nervoso, mai. Specie quando, come in quel momento, mi osservava come se fossi un enorme e disgustoso scarafaggio sul pavimento del bagno. “Che c'è? Cosa ho fatto questa volta?” domandai con una vena di isteria nella voce.
“Ovviamente niente. Quando mai fai qualcosa?” rettificò lui, impassibile.
“Allora smettila di guardarmi in quel modo, sono già abbastanza nervosa”.
Lui alzò gli occhi al cielo e rise amaramente. “Oh, scusami principessa. Credevo fossi abituata a metterti in mostra. Non è una cosa che ti piace tanto?”
Ecco, era in quei momenti che la definizione che Joshua aveva dato di lui mi sembrava particolarmente azzeccata: biondo mestruato. In quel momento mi ricordava terribilmente mia madre in quel periodo del mese. Diventava saccente e iraconda ogni volta che aprivo bocca, anche quando non facevo sarcasmo gratuito. Finsi di non sentire Bethany sussurrare ad Aggie un incuriosito “Principessa?” a cui, per altro, lei non si diede la pena di rispondere.
“Qual è il tuo problema, Dean?” sbuffai. “Credi che io sia contenta di questa cosa? Sono anche stata l'ultima a scoprirlo!”
Lui fece una smorfia. “Il mio fratellino ti ha fatto proprio una bella sorpresa, allora, non c'è che dire”.
Oh, sì, davvero meravigliosa. Cantare in pubblico era sempre stato il mio sogno. Ma esibirmi davanti a una folla di campagnoli semi sconosciuti, accompagnata dalla mia cotta isterica e stronza fino al midollo, andava davvero oltre ogni mia aspettativa. “Sai cosa?” sbottai, allargando le braccia. “Potremmo far saltare tutto. Sarebbe meglio per tutti, no? Avresti la tua vendetta sulla dannata principessa esibizionista e tu potresti farti gli affari tuoi”.
Lo sguardo castano di Dean si accese di rabbia. “Oh, sì, certo, è così che risolvono le cose in città? Oppure è una prerogativa di voi Fletcher? Quando le cose si mettono male, girate i tacchi e ve ne andate!”
Quelle parole furono uno schiaffo in pieno viso. Rimasi immobile qualche istante, fissandolo sconvolta. Di cosa stava parlando? Cosa mi stava rinfacciando?
Bethany, discretamente, prese Robin per mano e se andò, facendo cenno a Robin di seguirla, il quale, per qualche motivo, obbedì senza fiatare. Con la coda dell'occhio notai appena Agatha lanciare un'occhiata a Kameron, che aveva smesso di agitarsi per prestare attenzione a noi.
“Che cosa...?” inizia, ma lui non mi lasciò finire.
“Non è così che vanno le cose. Non puoi lasciar perdere solo perché ti fa comodo. Hai paura? Sono solo cavoli tuoi. Abbiamo perso fin troppo tempo per questa cosa, non puoi tirarti indietro adesso. Non farò la figura dell'idiota solo perché una principessina viziata ed egocentrica come te se la fa sotto”.
Un altro schiaffo. Continuava ad aggredirmi con rabbia e, seppure non avessimo mai avuto un bel rapporto, non capivo perché se la stesse prendendo con me a quel modo.
“Dean, avanti, smettila” intervenne Agatha, guardandomi con preoccupazione.
“Non t’immischiare, tu” sbottò lui, senza smettere di fissarmi con disprezzo.
Il modo in cui parlò a sua sorella mi fece ribollire di rabbia, facendo esplodere la mia reazione a quell'immotivata sfuriata. “Sarò anche una principessina viziata ed egocentrica, ma per lo meno so chi merita il mio rispetto e chi no.”
“Scommetto che io non lo merito”.
“Bravo, hai vinto! Il tuo ego sta facendo i salti mortali, vero? Da dove vengo io – il paese degli unicorni, hai presente? - ci sono stronzi dappertutto, Dean, ma ti assicuro che non ho mai conosciuto una persona più insensibile, egoista e arrogante di te” sibilai tra i denti, senza sapere bene se la mia voce potesse essere udita o meno al di sopra della musica.
Ma lui capì benissimo. Eccome se capì. Mi guardò con superiorità ancora una volta, prima di ridermi apertamente in faccia. “Be', principessa” commentò a quel punto, incrociando le braccia. “forse avresti dovuto scegliere meglio di chi innamorarti, allora. Io della tua cotta non me ne faccio proprio nulla, quindi fossi in te non ci penserei più e me ne tornerei a casa. È così che affrontate i problemi voi di città dopotutto, no? Faresti un favore a tutti quanti andandotene”.
E lì scoppiai. O meglio, la mia testa scoppiò. Una consapevolezza si fece strada nella mia mente, spegnendo qualunque pensiero razionale: Dean sapeva. Sapeva della mia cotta, sapeva che ero innamorata di lui. Non mi chiesi come lo avesse scoperto, in quel momento non importava. Mi sentivo così profondamente umiliata che avrei davvero voluto sparire dalla faccia della terra.
Proprio come aveva detto lui, senza nemmeno rendermi conto che così facendo gli stavo dimostrando di aver ragione, girai su tacchi e mi allontanai a grandi passi.
Per la seconda volta da quando ero arrivata a Sperdutolandia, lasciavo a piedi il paese, lasciandomi tutto alle spalle, bisognosa di stare da sola e di sfogare quella maledetta voglia di piangere che mi stringeva forte la gola.


In der Ecke - Nell'angolo:
Ed eccomi di ritorno con i font tutti incasinati! Sono proprio io, signore e signori. :3
...
...
Niente torce e forconi, vi prego! *si nasconde dietro Kam, che è carino e coccoloso* 
Ho tante cose per cui dovrei scusarmi...
Per il ritardo, tanto per cominciare (e checché ne dica la mia beta, non è affatto colpa sua: ci sono cose che hanno la priorità su C&J e ne sono pienamente consapevole). Perché anche questa volta non risponderò alle recensioni e mi dispiace da morire, perché le adoro tutte e mi danno la voglia di continuare a scrivere questa storia - che ormai, sì, si avvicina alla fine: questo capitolo è l'ultimo prima della parte finale (due o tre capitoli, circa).
Per star riempiendo il mio profilo con pseudo flash/OS estremamente sciocche e avervi lasciato credere che questa storia fosse abbandonata. Be', non lo è, gente, ve lo giuro su qualunque cosa vogliate che io giuro. Non abbandonerò C&J, è troppo importante.
Detto ciò, devo scusarmi anche per la piega che stanno prendendo le cose nella storia, credo. Ma per quest'ultima cosa non m scuserò, perché, insomma, conoscete Dean, conoscete Pan e sono sicura che sapeste fino dal principio che una cosa del genere sarebbe successa. XD
Niente, che dire? Che vi adoro, se siete tornate a leggermi anche questa volta, se ancora sopportate me e la mia storia (o almeno lei, poverina^^), se ancora siete così gentili da volermi recensire nonostante non riesca più a rispondervi. Grazie a tutte, di cuore! Grazie a Mary che mi dà una mano con il betareading e... be', spero che la storia vi sia piaciuta! ^^

Se volete fare due chiacchiere con quella timidona della sottoscritta, mi trovate su Facebook (Yvaine Efp), sul gruppo FB (Per la barba di Merlino, Pan!), su Twitter (@yvaine0mich) e su Ask.fm ( 
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Grazie a tutte di nuovo e mi scuso di cuore per ciò che ho elencato sopra. ♥

Mich

  
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