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Autore: Francesca_c    19/01/2013    1 recensioni
Non sono sicura che questa storia vada inserita tra le "storie originali", in quanto, il tema, è fortemente influenzato dai libri di Harry Potter: è la storia di una mamma che racconta alla figlia di sei anni, i primi libri della saga regalandole un po' della magia che risiede in tutti noi Potteriani.
Nel caso aveste voglia di leggerla, poi fatemi sapere se pensate sia meglio inserirla nelle fan fiction. Spero vi piaccia!
Francesca^^
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Beginnig

Era una calda giornata di luglio; l’ultima, più precisamente.  Il 31/07/2030.
Sorrisi incoraggiante mentre cercavo di convincere mia figlia di sei anni, a mangiare quell’intruglio che aveva di fronte. Lei continuava a rifiutarsi ma davanti al mio tono, che si era fatto risoluto, aprì la bocca con risentimento e buttò giù senza fare più troppe storie.
Eravamo già molto in ritardo quando lei si era ricordata tutto a un tratto, di avere una fame insopportabile. Così le avevo dato la prima cosa che mi era balzata in mente e che poteva mangiare senza che la cucinassi.
Inutile dire che appena aveva visto la tipica gelatina che ricopriva la Simmenthal, aveva cominciato a urlare affermando che tentavo di avvelenarla con quello che le sembrava muco.
Io le avevo lanciato uno sguardo che non ammetteva repliche, sia per il tono di voce troppo alto, sia per l’appetito che aveva finto di avere.
<< Ci dobbiamo muovere quindi se hai davvero tutta questa fame, mangi e basta. >> le avevo intimato.
Lei si era rassegnata e alla fine aveva mangiato tutto. Poi, mentre io rimettevo a posto e cercavo chiavi, borsa e simili, lei correva al piano di sopra per chissà quale oscura ragione.
<< Ehi non metterci troppo tempo! >> le ricordai dalla cucina.
Quando ero ormai quasi pronta ad uscire, la sentii chiamarmi a gran voce. Alzai gli occhi al cielo e salii le scale, sapendo che lei non sarebbe scesa finché non l’avessi portata giù di peso. Era cocciuta peggio di un mulo. Ero già decisa a rimproverarla, quando mi accorsi che nella sua camera non c’era e che mi chiamava dalla soffitta. Salii un ulteriore rampa di scale mentre borbottavo frasi sconnesse sul fatto di essere in un mostruoso ritardo per la visita medica di quella scellerata di mia figlia.
Se ne stava in piedi, con il suo zainetto in spalla, l’espressione tipica di chi ha fatto qualcosa e ne teme le conseguenze. Io, in cima alle scale, mi fermai stupita non appena vidi che guardava una scatola aperta mordendosi nervosamente un labbro.
<< Mamma, ecco… io l’ho trovata qualche giorno fa, mentre cercavo la mia bambola e beh, l’ho aperta. Ero curiosa e pensavo che erano giochi o… io mi chiedevo che cos’era da un po’ e… volevo chiederti perché erano qui , insomma… >> il mio sguardo era fisso sulla scatola aperta.
Sapevo benissimo che non conteneva giocattoli e che nessuno avrebbe dovuto rovinare quello che c’era dentro, perché, per quanto potesse sembrare stupido, era una parte importante della mia vita.
Guardai mia figlia nei suoi bellissimi occhi verdi, ereditati dal padre. Incrociai il mio sguardo con il suo e le regalai un enorme sorriso.
<< Dopotutto direi che possiamo anche rimandare la visita. >> le dissi con tono dolce.
Questa volta fu lei a sorridermi mentre io chiamavo al cellulare la dottoressa per disdire l’appuntamento.
<< Allora mamma mi spieghi cosa ci facevano questi libri chiusi in sacchetti di plastica, in una scatola in soffitta? Non si riesce nemmeno a leggere il nome! Devono essere molto vecchi, o santo cielo questo è addirittura in lire! >> risi ascoltando mia figlia che parlava come fosse un’ adulta.
Era un bambina molto intelligente e altrettanto orgogliosa. Spesso parlava di cose che non conosceva come per esempio in quel momento, mentre si lamentava dell’incomprensibilità del titolo, quando non sapeva nemmeno leggere.
Non le chiesi come faceva a sapere che cosa fossero le lire né tantomeno come era riuscita ad arrivare all’ultimo scaffale della libreria dove era stata riposta la scatola; mi limitai ad alzare le serrande della soffitta e ad invitarla a sedersi vicino a me sul divano polveroso, poi le presi dalle mani quei vecchi libri e me li adagiai in grembo come fossero dei bambini.
Decisi che le avrei raccontato tutto lassù, in quella soffitta stracolma di libri, che mi faceva sentire a casa come pochi posti al mondo riuscivano a farmi sentire. Osservai mia figlia che se ne stava a gambe incrociate davanti a me, ansiosa di ascoltarmi come se dovessi rivelarle un gran segreto, e in effetti per me era così.
La esaminai bene e mi resi conto che man mano che si faceva più grande, era sempre più simile a me. Sia dal punto di vista fisico, che caratteriale. Rivedevo in lei, la stessa razionalità e determinazione che avevo da ragazza.
Da grande sarebbe stata sicuramente una grande lettrice: mi chiedeva sempre di raccontarle le storie dei libri che leggevo e qualche volta, riuscivo anche ad inventarne di mie.
Le fiabe e le favole avevo smesso di leggergliele quasi subito, perché si lamentava in continuazione della monotonia del “felici e contenti”. Beh, non potevo certo darle torto.
Decisi di iniziare quella lunga storia dai collegamenti principali.
<< Tesoro, ti ricordi quando ti ho raccontato quella storia che parlava di una cascata, fonte di buona sorte, e quell’altra che parlava di un coniglio che si nascondeva dentro un albero? >>
<< Certo, Baba Raba. Non mi posso dimenticare di Baba Raba, l’hai detto anche tu che è un classico. >>
<< Bene. Questi libri, hanno a che fare con quelle storie. Sono gli stessi che ho nella libreria in camera di mamma e papà. >>
<< Ma se sono gli stessi, perché hai delle copie uguali nascoste quassù? >> sorrisi a quella domanda pensando a quanto la mia bambina fosse sveglia.
<< Perché queste sono speciali: sono le prime che ho avuto e ci tengo moltissimo. Quando ero piccola, le ho rilette moltissime volte, e visto che si sono rovinate, ne ho comprate altre e le ho messe qua per conservarle bene. >>
Parve soddisfatta dalla mia risposta e mi fece cenno di andare avanti.
<< Allora, ascoltami bene adesso. Questa storia, se da grande deciderai di leggerla, ti accompagnerà per il resto della vita. È una cosa che ti rimane dentro. Senza che tu nemmeno te ne accorga, entrerà nel tuo cuore prendendone un pezzetto per se. >>
<< Che vuol dire che mi entrerà nel cuore, mamma? Fa male? Come me lo prende questo pezzetto? >>
<< No tesoro, non ti farà male. È una promessa di vita. È come se tu glielo donassi, quel pezzetto. È come se questa storia avesse un anima e soltanto po’ d’inchiostro in cui esprimersi. Così entra nei nostri cuori e nelle nostre menti per continuare a vivere. Insomma, è come se fossimo tutti degli Horcrux. >>
<< Dei che? >>
<< Lo capirai tra qualche anno. >>
<< Vabbè io non sono ancora tanto convinta, non voglio essere un ocruzxs.. >>
<< In effetti hai ragione, non credo che qualcuno vorrebbe mai esserlo, ma nel senso in cui te l’ho spiegato io, è una cosa buona. Una cosa che ti ricorda di accendere la luce nei momenti più tenebrosi. >>
<< Mamma non ci sto capendo niente! Per favore spiegami cosa sono questi oxrocsus.. >>
<< Stai tranquilla, adesso non ci interessa. Mi porrai questa domanda, tra molto tempo quando sul serio qualcuno te lo dovrà spiegare. >>
<< Ok, allora comincia. >>
Presi in mano il primo libro della saga e lo sfogliai, ricordando quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevo letto quell’edizione. Recitai il titolo del primissimo capitolo e poi, pronta a cominciare, lessi a mente la prima frase. Aprii la bocca per leggerla ad alta voce, ma alla fine fissai soltanto la pagina senza spiccicare parola. Diedi un ultimo sguardo al libro, prima di chiuderlo e recitarlo a memoria senza grandi difficoltà.
<< Il signore a la signora Dursley di Privet Drive numero 4 erano orgogliosi di poter affermare che erano… >>
Per tutto il pomeriggio, raccontai le avventure di Harry alla bambina che mi stava davanti con espressione completamente rapita; mi bloccai solo qualche volta per riprendere fiato o per sbirciare le parti dimenticate. Mi fermai poi definitivamente alla fine del terzo libro, lasciando che continuasse da sola quel viaggio senza che glielo rovinassi, come in futuro mi accuserà scherzosamente di aver fatto.
Quel giorno mi resi conto di quanto grosso fosse il pezzetto di cuore che Harry Potter occupava dentro di me. Mi resi conto di quanto la nostalgia bruciasse, e che avrei dovuto dire a mia figlia Hermione che in effetti un po’ faceva male. 

  
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