Fanfic su artisti musicali > All Time Low
Segui la storia  |       
Autore: MikiBarakat96    19/01/2013    0 recensioni
Seguito di "So Wrong, it's Right" (non leggete se non avete prima letto l'altra).
Un anno dopo gli eventi successi nella prima storia, Stella, la sorella di Jack, è riuscita finalmente a realizzare il suo sogno e a superare la sua paura; la sua vita va a gonfie vele, sembra che niente possa andare male e invece ancora una volta si troverà a dover decidere fra la sua carriera e l'amore.
Le recensioni sono sempre bene accette :3
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Vegas -.

A concerto finito, andai nel mio camerino, dove mi diedi una veloce rinfrescata e poi radunando tutte le mie cose, raggiunsi l’uscita dove George (la mia guardia del corpo personale) mi stava aspettando per riportarmi sopra il bus del tour.
Il concerto era andato molto bene, come sempre ci eravamo divertiti da matti e avevamo anche avuto qualche inconveniente: durante uno dei pezzi centrali, una fan aveva lanciato sul palco un reggiseno, probabilmente indirizzato ad uno dei ragazzi, che si era andato a infilare sulla chitarra di Travis che aveva suonato tutta la canzone cercando di toglierlo ma a scarso successo; in compenso ci aveva fatto morire dalle risate. Alla fine del concerto Travis aveva messo il reggiseno nella sua borsa così da poterlo conservare… indovinate come chi? Già, come Jack che aveva completamente influenzato quei quattro ragazzi, ma non solo lui, tutti e quattro gli All Time Low! La band adorava il gruppo di mio fratello, li consideravamo come dei modelli da seguire e decisamente non era una buona cosa, visto quanto erano squilibrati gli A.T.L.
Dopo aver firmato qualche autografo, mi rifugiai nel bus, che era lungo e a due piani, con due bagni (uno per ogni piano), sei letti, una sala relax, un salotto, un’area per guardare la televisione e per giocare ai videogiochi e una cucina che di solito usavamo solo per la colazione, soprattutto quando Travis decideva di liberare il suo talento culinario e preparava delle vere squisitezze.
Debbie era già sul bus, seduta su uno dei divani neri vicino l’entrata, che scriveva messaggi con il telefonino indirizzati probabilmente a Zack.
<< Ehi Tella >>, mi sorrise sollevando per un momento lo sguardo dal cellulare.
<< Ehi Deb, che stai facendo? >>, le chiesi posando con un tonfo il mio borsone sul pavimento poco distante dalla porta.
Quasi avesse preso la scossa, Debbie chiuse il telefono e se lo mise in tasca. << Niente, massaggiavo >>, rispose stringendosi nelle spalle.
Mi abbandonai sul divano affianco a lei sentendomi improvvisamente stanchissima e tanto affamata; prima dei concerti di solito non mangiavo, ero troppo agitata per mettere qualcosa nello stomaco. << Con Zack?  >>, chiesi.
Annuì. << Sono appena arrivati ad Orlando >>, mi annunciò.
Alzai gli occhi al cielo. << La Florida si, l’Inghilterra no >>, borbottai contrariata. << Sembra che Matt mi odi >>.
Matt era il tour manager degli All Time Low che organizzava tutte le loro tappe per il tour e sembrava lo facesse a posta a non far coincidere le tappe dei miei concerti con quelli loro. Di sicuro però era solo una mia impressione, a quanto ne sapevo Matt non mi odiava anzi le poche volte che lo avevo visto era stato gentile e simpatico con me.
<< Lui non ti odia, sta solo facendo il suo lavoro >>, ribattè Debbie. << E credimi, non è una passeggiata organizzare tutte le tappe del tour >>, continuò.
Sorrisi.
Avevo assunto Debbie come agente non appena i miei impegni di cantante erano andati sempre più ad aumentare ed io mi ero accorta che non avrei più avuto molto tempo da dedicare alla mia migliore amica e la cosa mi aveva fatta sentire talmente tanto male e in colpa che quando il capo della casa discografica mi aveva detto che mi serviva un agente avevo subito pensato a Debbie che non avrebbe mai rifiutato
un’opportunità del genere e che almeno avrebbe viaggiato con me e sarebbe stata ventiquattro ore su ventiquattro insieme a me, l’avrei avuta vicino in ogni situazione, in ogni minuto e non c’era cosa che
 volessi di più al mondo visto che lei era la persona che sapeva sempre come tirarmi su, quella con la quale avevo condiviso così tante esperienze da poterci scrivere un libro; era la mia migliore amica e lo sarebbe stata per tutta la vita.
All’inizio non si era rivelata molto brava come agente, varie volte mi aveva fissato appuntamenti nello stesso orario e in due città diverse, ma alla fine ci aveva preso la mano ed era diventata davvero brava! Si occupava di tutti i bisogni miei e dei ragazzi, ci preparava la colazione, selezionava i vestiti che dovevamo indossare per ogni evento, ci dava le medicine quando ci ammalavamo… insomma era una sorta di mamma premurosa che ci voleva bene e adorava il suo lavoro. Non ero mai stata più fiera di lei.
Faceva sempre sembrare il suo lavoro una passeggiata, ma come aveva detto in quel momento non lo era affatto e a volte la stressava molto infatti circa una volta a settimana doveva andare da un massaggiatore per prendersi qualche ora di pausa.
<< Lo so e infatti non ce l’ho con Matt, so che vuole solo accontentare i fan di mezzo mondo e che non lo sta facendo a posta a non portare Alex più vicino a me >>, le dissi.
Debbie mi diede delle pacche sulla gamba che era vicina alla sua. << Tranquilla, tra poco il tour inglese finirà e le tappe europee non sono molte, poi andremo in America e vedremo di organizzare un incontro >>.
Sorrisi a trentadue denti solo all’idea di rivedere Alex. << Grazie >>, dissi poi continuai punzecchiandola: << Anche se lo so che organizzeresti un incontro solo per poter rivedere Zack >>.
Prima che me ne potessi accorgere, Debbie mi tirò una cuscinata in piena faccia facendomi male al naso.
<< Ehi! >>, protestai prima di scoppiare in una grossa risata.
Debbie mi guardò storto e disse: << Te lo sei meritato >>. Poi, anche lei iniziò a ridere accasciandosi sullo schienale del divano con la testa poggiata vicino alla mia.
La porta del bus si aprì con un tonfo e Sam apparve sulle scalette con i capelli per la maggior parte davanti agli occhi chiari. << Cos’è così divertente? >>, chiese guardandoci con aria divertita.
Io e Debbie ci guardammo e soffocando altre risate rispondemmo all’unisono. << Niente, ridiamo perché siamo sceme >>.
Sam ci scoccò un’occhiata perplessa poi annuendo tra sé disse: << Si, siete decisamente sceme >>.
<< Senti chi parla, il re degli scemi >>, lo presi in girò facendogli la linguaccia.
<< Ho preso da voi >>, ribattè il batterista ridendo sotto i baffi.
Debbie gli lanciò un cuscino che Sam schivò accovacciandosi a terra e che andò a finire addosso a Travis che proprio in quel momento stava salendo su bus.
<< Ahi! >>, si lamentò Travis toccandosi il punto della testa contro il quale aveva sbattuto il cuscino che per essere tale era davvero duro e faceva male se lanciato con forza. << Va bene che ho temporeggiato troppo a fare autografi ai fan, ma mi sembra esagerato tirarmi cuscini addosso >>.
Debbie, che era rimasta a bocca aperta con le guance paonazze per l’imbarazzo chiese scusa a Travis che tenendosi ancora la testa affiancò Sam che nel mentre stava sogghignando sollevato di non aver preso lui la cuscinata. << Non preoccuparti Debbie, è meglio di una martellata >>, sorrise lievemente.
Da fuori al bus si sentì la voce di George che urlava: << Chi diavolo è che lancia cuscini fuori dal bus? >>.
Nel momento stesso in cui un George arrabbiato si affacciava dalla porta, io, Sam e Travis puntammo all’unisono un dito verso Debbie che irrigidendosi boccheggiò in cerca di parole che la salvassero dall’ira della mia guardia del corpo: un uomo sulla quarantina di corporatura robusta e muscolosa, alto, pelato con gli occhi di un bellissimo verde chiaro e la pelle chiara.
<< Non l’ho fatto apposta >>, disse alla fine Debbie assumendo quell’aria da cucciolo bastonato che mi commuoveva sempre e sapevo per certo che avrebbe commosso anche George. Nonostante fosse una guardia del corpo grande e grossa non aveva assolutamente un cuore di pietra anzi era una persona buonissima, severa si, ma pur sempre buonissima.
George sospirò e le sorrise come avrebbe fatto un papà con la propria figlia che aveva combinato un guaio ma non riusciva a sgridarla perché le voleva troppo bene. Si, più o meno George era quello, un padre per tutti noi.
<< Va bene, ma non farlo mai più >>, disse George posando il cuscino all’interno del bus.
Debbie annuì e gli sorrise grata.
Quando George se ne andò Debbie ci guardò tutti e tre in cagnesco. << Siete degli stronzi! >>, esclamò.
<< Piano con gli insulti o dovrò chiamare Zack per farti rimproverare >>, scherzò Sam facendo accentuare ancora di più la rabbia di Debbie che alzandosi gli diede un pugno sul braccio non abbastanza forte da fargli male, ma Sam fece finta di sì e recitò da bravo attore finché Debbie non fu sparita al piano di sopra indignata.
<< Vorresti un oscar ora? >>, chiesi a Sam scuotendo la testa nonostante stessi sorridendo.
Sam ricambiò il sorriso. << Mi farebbe decisamente comodo >>.
Nel momento in cui Travis e Sam si sedettero accanto a me sul divano, dalla porta del bus entrarono gli altri due membri mancanti che come al solito se l’erano presa comoda nei loro camerini per farsi belli agli occhi delle fans.
<< Ho rimediato un numero di telefono! >>, esclamò Edward mostrandoci un cartellino bianco sul quale c’erano scritte delle cifre in nero.
<< Buon per te fratello >>, disse Christopher. << Chiamala quando torneremo tra due o tre anni >>, continuò rivolgendo al fratello un sorriso furbo e strafottente.
Edward lo spinse. << Sei solo geloso >>.
Chris sbuffò. << Posso avere più ragazze di te >>.
Il fratello alzò gli occhi al cielo. << Si certo come no! Solo pagandole riusciresti a farle uscire con te >>.
<< Vogliamo scommettere? >>, gli chiese Chris con sguardo minaccioso.
Okay, quella era la sera dei litigi, ma era normale, eravamo tutti stanchi e succedeva spesso che litigassimo tra di noi –soprattutto i due fratelli-, ma tornavamo sempre a ridere e a scherzare dopo poche ore.
Mi alzai e mi intromisi tra i fratelli sentendomi come l’arbitro di un incontro di wrestling. << Okay, calmatevi signori e andate ognuno al proprio angolo >>.
Fortunatamente mi ubbidirono senza ribattere nulla e si diressero uno verso la postazione della televisione sul fondo del bus e l’altro al tavolo della cucina dove si sedette.
Ora che c’eravamo tutti saremmo partiti a breve e probabilmente ci saremmo fermati a mangiare qualcosa; quel qualcosa si rivelò essere un panino al McDonald’s che ordinammo da portare via e lo mangiammo sul bus mentre grazie al dvd inserito nella televisione del bus ci guardavamo “Transformers” e commentavamo il film con varie battute la maggior parte ridicole che però ci fecero ridere a crepapelle. Alla fine questo succedeva quando ti trovavi fra amici: iniziavi a sparare cavolate sapendo che poi ci avresti riso insieme agli altri e avresti continuato a ridere finché il dolore alla pancia non si sarebbe fatto sempre più insopportabile. Adoravo le serate in cui potevamo rilassarci tutti insieme e parlare tra di noi, erano il momento che preferivo di tutto il tour perché quelle con cui stavo non erano solo persone che avevo assunto per lavorare con me, ma erano persone con le quali condividevo segreti, affetti, che ormai mi conoscevano e facevano parte della mia vita… erano miei amici, erano tutto. Nei momenti in cui stavo con loro non mi pentivo mai della scelta che avevo fatto ovvero quella di cantare, ma certe volte devo dire che mi sono chiesta come sarebbe andata avanti la mia vita se quel giorno in cui stavo facendo le valige per andare a Baltimora invece di posticipare la registrazione del cd l’avessi proprio annullata rimanendo con Alex e gli altri. Magari sarei andata a vivere da Alex come avevo fatto lasciando casa dei miei genitori e la mia adorata Roma oppure sarei tornata a Roma lasciando che gli A.T.L. finissero il tour oppure ancora sarei andata con loro. Nessuno poteva sapere come sarebbe andata se avessi preso una strada diversa e per la maggior parte del tempo quel pensiero non mi sfiorava nemmeno, ma quando mi mettevo a pensare, quando pensavo a quanto io ed Alex fossimo lontani non riuscivo a respingere tutte                 quelle domande che mi si accalcavano nella mente come in quel momento, quando alla fine del film, Travis ci sorprese tutti chiedendoci: << Vi manca mai casa? >>.
Dieci paia di occhi stanchi ma ancora presenti, lo fissarono. Chissà come gli era venuta in mente una domanda del genere.
Visto che ognuno cadde in un silenzioso ragionamento, Travis si rispose da solo sperando di convincere gli altri a parlare. << A me si, sono molto legato ai miei genitori e il non vederli sempre è… un po’ strano, sono sempre stato abituato ad averli vicini per sostenermi e per aiutarmi, ma ora me la devo cavare da solo >>, fece una pausa. << Non che non mi piaccia la vita che sto vivendo, la adoro, ma a volte… >>.
<< Ti chiedi come sarebbe stata la tua vita se avessi fatti scelte diverse >>, finì per lui.
Un po’ mi consolava il fatto di non essere l’unica ad avere tante domande in testa… ho detto solo un po’.
Mi sorrise. << Già >>, annuì. << Più di tutti penso mi manchi il mio cane >>, ridacchiò seguito a ruota da tutti noi.
Mi alzai per andarmi a sedere di fianco a lui sul divano che si trovava su un lato del televisore. << Non ti preoccupare >>, gli dissi stringendogli affettuosamente una spalla, << è normale che ti manchi la tua famiglia, è il tuo primo tour lontano da casa >>, gli sorrisi cercando di tirarlo su. << Li rivedrai presto >>, gli promisi. << Vedrai che saranno fieri di te e quando tornerai a casa ti riempiranno di baci e di abbracci, così tanti che alla fine desidererai di ricominciare il tour >>, finì con una risata che coinvolse tutti.
Travis mi sorrise. << Grazie >>, disse. << Non so tu come faccia a resistere alla malinconia >>.
Ricambiai il sorriso ma non risposi subito. In effetti io non resistevo alla malinconia, non ci sarei mai riuscita; ero solo abituata a sentire la mancanza delle persone alle quali volevo bene e quindi ormai non mi facevo più molti problemi ne scoppiavo a piangere improvvisamente e convulsamente come avevo fatto in passato, mi consolavo solo pensando che avrei rivisto le persone che mi mancavano, non così presto come speravo ma le avrei riviste. L’unica malinconia che mi assaliva spesso e mi faceva salire le lacrime agli occhi era quella che avevo sempre sofferto di più: quella della distanza con Alex, ma anche quella avevo imparato a gestirla… più o meno.
<< Resisto perché so che sto girando il mondo con i miei migliori amici e… se ci penso bene, non c’è nient’altro che vorrei fare se non questo: guardare film, ridere, cantare su un palco e divertirmi con voi >>, risposi a Travis mentre una vocina nel mio cervello mi sussurrava che c’era qualcos’altro che avrei voluto fare e non riguardava nessuno dei miei amici.
Christopher alzò il suo bicchiere di Coca Cola quasi finito e con un sorriso disse: << Brindiamo a noi migliori amici che siamo la parte più bella del tour >>.
Ridendo ognuno di noi prese un bicchiere in mano e lo alzò vicino a quello di Chris per brindare e dire insieme: << A noi! >>.
 
“The interstate, my home tonight
 For one more long night
 I’m sure as hell the happiest
 I’ve ever been”.

(Alex)
 
Era da giorni che cercavo l’ispirazione per scrivere una nuova canzone, ormai era passato più di un anno dalla pubblicazione dell’ultimo cd e la band aveva bisogno di nuove canzoni, di un nuovo cd che esaltasse i fans, che raccontasse le esperienze di quell’ultimo anno… che ne erano davvero tante!
Ero seduto sul divano in pelle del bus che anche quell’anno ci stava accompagnando per il nostro tour invernale che sarebbe stato davvero lungo ma con abbastanza giorni di paura per farci riposare di tanto in tanto. Nel “salotto” c’eravamo solo io, Jack, Zack e Rian, gli altri erano al piano di sopra a fare qualcosa di tutt’altro che normale come per esempio fare balletti sexy in mutande o giocare al gioco della bottiglia; chiederete: cosa c’è di non normale? Be’ c’è che la nostra Crew è formata da soli uomini tutti con una percentuale di perversità davvero alta come anche la loro voglia di divertirsi e fare cavolate.
Reggevo sulle ginocchia un quadernino sul quale avrei dovuto scrivere la canzone ma per il momento era solo pieno di scarabocchi e di parolacce che esprimevano perfettamente la mia frustrazione; avevo avuto tante nuove esperienze in quell’anno e non mi veniva neanche una mezza frase che ne descrivesse una!
I ragazzi dal canto loro non mi aiutavano neanche: Jack sfogliava lentamente e distrattamente un giornalino porno –cosa davvero strana perché di solito li sfogliava con la bava  alla bocca!-, Rian mangiava del cibo cinese mentre guardava la televisione e Zack stava vedendo le foto che aveva scattato quel giorno durante il viaggio con la sua nuova macchinetta fotografica all’ultimo modello.
Ticchettai con la matita sul foglio scarabocchiato e iniziai a guardarmi intorno cercando, invano, un’ispirazione. Fu Jack a distrarmi dai miei pensieri.
Il mio migliore amico chiuse di scatto il giornalino e mi guardò perplesso. << Non ti viene ancora in mente nulla? >>, chiese.
Mi strinsi nelle spalle, poi lanciando un’occhiata al foglio che avevo davanti risposi: << Be’… in mente ho qualcosa e l’ho anche scritto >>, sorrisi.
Jack, incuriosito si avvicinò per sbirciare il foglio che oltre alle parolacce e gli scarabocchi aveva anche righe piene del suo nome.
Stella. Stella. Stella. Stella.
Jack scosse la testa. << Mi dispiace dirtelo Alex, ma una canzone con il nome di mia sorella l’abbiamo già fatta >>, disse sedendosi al mio fianco sul divano.
<< Lo so! >>, esclamai frustrato. << Perché mai abbiamo scritto una canzone su una birra? Soprattutto perché sulla birra che si chiama come tu sorella? >>.
<< Perché ci ubriacavamo sempre in quel periodo >>, disse Rian prima di mettersi in bocca un pezzo di involtino primavera.
<< Tempi gloriosi! >>, disse Jack con un sorriso beato sul volto.
<< Ci ubriachiamo anche adesso >>, dissi.
<< Si, ma quando abbiamo scritto Stella era il periodo in cui non ci reggevamo in piedi per tutto il giorno e sparavamo cavolate a raffica >>, disse Rian prendendo un altro boccone.
<< Infatti io non ricordo nulla di quei giorni >>, dichiarò Jack un po’ allarmato.
<< Meglio non ricordare >>, disse Zack senza alzare gli occhi dalla sua macchinetta. << Avete fatto cose assurde in quel periodo! >>.
<< Senti chi parla, il santo della situazione! >>, borbottò Jack.
Rian rise. << Ricordiamo benissimo il tuo spogliarello in quel locale >>.
Io e Jack scoppiammo a ridere con lui. << Oh si, hai fatto impazzire tutte le ragazze! >>, commentai.
Anche Zack alla fine dovette ridere, perché il ricordo di quella serata era davvero esilarante, Zack che era sempre stato il più serio tra di noi si era lanciato in quello spogliarello così provocante, aveva fatto urlare una sala intera di ragazze e si era fatto fare anche delle foto!  Che non so per quale fortuna non giravano sul web.
Il click della macchina fotografica fece girare me e Jack sorpresi verso Zack.
<< Eravate in una posa perfetta >>, spiegò stringendosi nelle spalle.
<< Chiama questa foto: mancanza di ispirazione >>, dissi abbattuto.
<< Avanti Alex, ci sarà qualcosa di cui vuoi parlare, qualche messaggio che vuoi dare ai fans? >>, mi chiese
Rian che dagli involtini era passato al riso.
<< Amo le tette >>, disse Jack annuendo tra se e se.
Lo guardammo storto tutti e tre e lui ricambiando l’occhiataccia disse: << Come se non vi piacessero davvero! >>.
<< Serve qualcosa… di più serio… di triste… >>, dissi mentre il mio cervello si scervellava per trovare un titolo.
<>, esclamò Jack sorridendo come uno scemo quale era.
Mi girai verso di lui e gli rivolsi un’altra occhiataccia. << Che ne dici di: “il mio migliore amico è uno scemo?” >>, proposi.
<< Va bene, tanto parlerai di Rian >>, scherzò Jack.
Per tutta risposta Rian tirò un pezzo di pollo fritto dritto sulla faccia di Jack che invece di arrabbiarsi scoppiò in una risata e si mise il pezzo di pollo in bocca. Era la follia fatta persona e in quel periodo era anche peggiorato, era più strambo del solito e la cosa mi preoccupava non poco.
<< Zack, invece di pensare alla macchinetta fotografica, perché non mi aiuti? >>, gli chiesi rivolgendomi almeno al più tranquillo e al più saggio che forse mi avrebbe dato un’idea  geniale.
<< Non posso, sono occupato a guardare le mie foto da nudo >>.
Sia io che Rian e Jack lo guardammo con espressioni di sgomento dipinte sul volto. A Rian cadde persino il pollo di mano. Tranquillo e saggio ma ugualmente pazzo, pervertito e fuori di testa.
Il bassista rise divertito. << Vi stavo prendendo in giro, rilassatevi >>.
Tirai un sospiro di sollievo e tornai al mio quaderno. << Ci dev’essere qualcosa che devo raccontare >>.
<< Forse deve ancora accadere >>, ipotizzò Zack che si venne a sedere anche lui accanto a me lasciando la macchinetta sull’altro divano sul quale era seduto prima.
<< Infatti, non devi scrivere la canzone per forza oggi, hai tempo >>, disse Rian.
<< Hai tutto il tempo del tour, vedrai che ce la farai a trovare l’ispirazione >>, m’incoraggiò Jack mettendomi un braccio dietro le spalle.
Sospirai. << Va bene, aspetterò >>.
Rian si alzò dalla sedia e si avvicinò a noi. << Bene, quindi ora che hai finito di pensare e non abbiamo nulla da fare… io avrei un’idea >>.
<< Quale? >>, gli chiesi non accorgendomi delle occhiate complici che aveva scambiato con Zack e Jack.
<< TUTTI ADDOSSOOOO! >>, urlò Rian e come una mandria di bufali mi si buttarono tutti e tre addosso schiacciandomi ma facendomi ridere come un pazzo soprattutto quando iniziarono maleficamente a farmi il solletico.
Adoravo quei ragazzi, erano i miei migliori amici e per me erano tutto, non avrei mai saputo come vivere una vita senza di loro o senza gli All Time Low.
 
Tonight, we lie awake
 Remember how the coffee made us shake
 on those long drives?
 One more long night”.
 
 
 
  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > All Time Low / Vai alla pagina dell'autore: MikiBarakat96