7.
Era una mattinata fredda
e Andreas, con il suo mantello usato che sbatteva sulle sue spalle, stava
correndo per i corridoi grigi del castello avvolto dall’inverno imminente. La neve
sarebbe potuta cadere in qualsiasi momento. E lui era in ritardo.
«Scusami Ginny,
sono in ritardo, ma Gazza...» la giovane lo
scusò con un gesto della mano e sorrise. Le porse una borsa. Il giovane, col
fiatone, l’afferrò, diramando dalla bocca un’altra nuvoletta bianca.
«Qui dentro c’è
tutto quello che ti serve.» disse, una nuvola
di vapore si elevò sul volto candido della giovane ormai donna. Dietro la
sciarpa lei sorrise.
Il giardino era
circondato da dei gruppetti di ragazzi che parlavano, un sottofondo piacevole
si diffondeva per l’aere, tutto il castello in fermento per il Natale ormai
alle porte, almeno per quelli che rimanevano lì quel giorno. Andreas, immune
all’aria natalizia si strinse nel mantello, e ricambiò il sorriso. Aveva dei
compiti da svolgere e tutto di fretta, aveva una donna che lo aspettava
all’uscio della nascosta porta. Il pensiero all’addormentata Hermione, avvolta
nella coperta rossa, su quel divano, trasformatosi in letto, rosso anch’esso,
avvolta da parole di inchiostro e fuoco lento.
«Grazie mille.» rispose, riponendo la borsa dentro la sua
tracolla grigia.
«Non mi devi...» ma la frase
della rossa venne interrotta da un grido.
«ANDREAS!» era Ron. Infuriato, vermiglio tanto quanto i
suoi capelli. E armato di bacchetta puntata all’uomo. Andreas lo fissò, le mani
in tasca.
«Ron.» proruppe il giovane, nient’affatto preoccupato.
Ginny sobbalzò. Non si aspettava un’azione simile dal fratello, uomo mansueto.
Era vestito solo dalla divisa, e tremava. Ma non si sapeva se per l’ira o per
il gelo.
«È tutta colpa tua!» proruppe, e Ginny si sentì
allontanata da una mano forte. Harry guardava i due giovani, ora nel silenzio,
in mezzo al giardino ghiacciato del castello, trattenendo la donna amata al
fianco. Nessuno osava fiatare o mettersi in mezzo. Gli occhi della scolaresca
sul giovane dai capelli scuri. Andreas si stizzì.
Harry fiutò un odore acre nell’aria, odore di battaglia. I
ricordi della guerra freschi nella sua mente come se fosse stata ieri. Il
sangue sulla fronte di Ginny... I ricordi di Piton... Lily...
«Mia? Ti avevo avvisato che se avessi perpetuato nel tuo
agire avresti perso.» Andreas era calmo, come se la bacchetta puntata addosso a
sé non fosse nulla. Gli occhi ghiacciati spaccavano i ciuffi sul suo volto. Erano
ricolmi di una rabbia che ancora non aveva dissipato. «Sei tu lo stolto.» un
fulmine attraversò l’aria, che andò a infrangersi su una barriera. Andreas
aveva semplicemente alzato la mano.
«NON OFFENDERMI! È COLPA TUA!» e continuò, lanciando una
scarica di incantesimi di colori diversi, urlandoli, con forza. Essi cozzavano
contro la barriera che, forte nella sua potente magia, non cadeva. Andreas era
impassibile. Poi un’onda d’urto esplose nell’aria, e Ron fu letteralmente
scagliato contro la parete di pietra alle sue spalle. Flebili stralci di
incantesimo rosso nell’aria. Uno Schiantesimo, e abbastanza potente da
sollevare dal terreno l’avversario. Un tonfo secco si espanse nell’aria. La
mano tesa, gli occhi dilatati. Andreas si fece sfuggire un ghigno.
Per terra giaceva la bacchetta, ora inerme. Il giovane
avanzò, i suoi capelli tirati indietro, il volto perfetto pizzicato dal freddo
ormai invernale. Le guance fredde. Malfoy sorrise, alla vista di Weasley a
terra.
«Non è colpa mia. È solo tua. Tu hai perso lo sport, tu i
punti della casa, tu la donna che facevi finta di amare.» la voce di Andreas,
seppur bassa, era come amplificata nel giardino del castello. Ed era glaciale. Rompeva
persino il ghiaccio oltre le sue scarpe. S’incuneava nel cuore di tutti, percependo
la sua furia sulla pelle. Ginny sentì un brivido, e si strinse a Harry. Quel
giovane, quando si arrabbiava, faceva veramente paura.
Ron sputò sangue, cercando di rialzarsi. Andreas intanto aveva
preso in mano la bacchetta.
«Io ti avevo avvisato che se tu l’avessi fatta soffrire
l’avresti pagata cara.» la guardò, come si guarda qualcosa di ripugnante.
Poi una scossa di fulmine attaccò la barriera di Andreas.
«Harry Potter.» il giovane mago aveva in mano la
bacchetta, puntata contro Andreas. La famosa bacchetta che aveva visto più
volte quella dell’Oscuro Signore in battaglia. Sempre alla pari. Rimandando quello
scontro che fu fatale per quest’ultimo. «Colui che ha sconfitto Voldemort, il
Signore Oscuro.» il ciglio di Harry si alzò. C’era qualcosa di strano in quel
ragazzo. Un ricordo. Un tic. Si toccò la cicatrice. «Riconosco le tue capacità,
ma la guerra e le vicende magiche mi sono state sempre estranee, quindi scusami
se non mi interessa un fico secco della tua fama. Ma spero vivamente tu non
voglia metterti contro di me.» il rosso, riverso a terra, guardava Andreas dal
basso, la sua bacchetta ancora nelle sue mani. «Sai, la magia scorre nelle mie
vene, nelle mie mani. So fare e mantenere più di un incantesimo alla volta.»
Nell’aria si alzò alto l’urlo di dolore di Ron, preso da una specie di fuoco
dentro, trafitto da mille e più pugnali, senza sangue. Andreas sogghignò,
gustandosi la visione del suo nemico a terra, dolorante. Era un ghigno maligno.
Malfoy, appoggiato alla pietra, lontano spettatore, rabbrividì.
«Lascialo andare. È sbagliato quello che stai facendo,
Andreas, anche se non lo sai. Ha avuto la sua punizione, ora lascialo.».
«NO! Lui deve soffrire quanto e più di lei!» urlò,
perdendo il controllo «Dimmi Potter, difendi il tuo amico, ma chi ha difeso
Hermione dalle percosse di quest’animale?! Chi sapeva di questo!?» il silenzio
si erse alto come una montagna nel giardino. Nel volto del Ragazzo
Sopravvissuto si disegnò il dubbio.
«Ah, è vero, nessuno lo sapeva.» le urla di Ron si ersero
ancora più alte. Il dolore aumentò. Nelle mani di Andreas si disegnò un
contorno verde.
«Questo verme ha osato picchiarla.» gli occhi sfrecciavano fuoco, e i due giovani incrociarono
lo sguardo per un secondo. Harry abbassò la bacchetta, non credendo alle parole
di Andreas. Tutti, nel giardino, rimasero basiti. «Tu mi chiami mostro, ma in
realtà l’unico mostro qua sei tu.» disse, rivolgendosi a Ron, che continuava
nonostante il dolore e le lacrime a non staccare lo sguardo da lui. Andreas
spezzò in due la bacchetta. Si poté udire un sussulto dalla platea. Nessuno
aveva mai fatto un atto simile a un mago. Era come redimerlo a meno di una
feccia. A una punizione superiore alla reclusione.
«Quando si ama veramente
una persona, non la si picchia mai. Nemmeno con un fiore.» lasciò cadere i due
pezzi di legno, ormai irreparabile. Caddero con suono acuto sulla pietra. Ron
osservò il suo movimento fino al pavimento, e non alzò più gli occhi, conscio
di essere colpevole ma, forte nel suo orgoglio, non parlò.
«Io non picchierei mai Hermione, neanche se andasse della
mia stessa vita. E tu lo fai per rabbia. Ebbene, adesso ti faccio vedere io
quanto possa essere dolorosa la mia,
di rabbia.» alzò la mano e si sentì un urlo acuto nel giardino, Ron che si
dimenava per terra, le mani di Andreas contornate da questo alone verde che
aumentava sempre di più. La testa del rosso era ripiena di un urlo acuto, come
di sirena. Gli occhi di Andreas, dilatati, esprimevano il piacere nel
provocargli dolore. E iniziavano a diventare rossi. Desiderosi di più dolore.
Hermione... Le sue mani...
Il giovane abbassò le mani. Ron smise di urlare.
«Hermione...» sussurrò, sentito solo da se stesso. Passò
lo sguardo sul rosso. «Non merita nemmeno di essere chiamato uomo questa
feccia. Men che meno mago.» e pestò la sua bacchetta, e sputò sopra il corpo
ansante di Ron.
«Ora dimmi, Potter, tu da che parte stai?» gli occhi ora
fissavano quelli verdi di Harry, che fissavano il pavimento. Spostò lo sguardo
su Ginny. Il suo sguardo era più brillante di sentimenti. Era colorato di disgusto,
incredibilità, rabbia.
«Ginny? Cosa pensi di tuo fratello, ora che sai che
picchiava la tua migliore amica?» la giovane non si mosse. Aveva le mani che
tremavano.
«Non rispondere a incantesimi, Potter. Tu sai benissimo
che io sono più forte di te. E Perderai.» affermò Andreas.
«Dimmi Harry, tu picchieresti mai Ginny?» Harry alzò lo
sguardo, muto. Ginny seguì lo sguardo di Andreas.
«No.» rispose veloce.
«Perché la ami, giusto?» il silenzio rispose alla
domanda.
«Allora non difendere il macellaio, ma la vittima. Oppure
la guerra ha fatto andare di testa anche te?» e con quella frase se ne andò a
profonde falcate dal giardino. Nel giardino si erse un castello di sguardi e
disgusto. Tutti rivolti su Ron che, prendendo le ultime forze, si rialzò.
Aiutato solo da una donna. Quella stessa donna che aveva usato per tradire. Il
Ferchirante aveva dato una lezione a tutti. Persino a Harry Potter.
«Me la pagherai, Wizard...» proruppe, tra la tosse e il
dolore, Ron «... io quello lo ammazzo.» Lavanda passò uno sguardo preoccupato
al giovane che amava, e vide un buco nero nei suoi occhi, che tanto ammirava.
Il buco profondo e oscuro dell’odio. La donna preferì scostare lo sguardo,
impaurita, e aiutarlo a dirigersi all’infermeria in silenzio.
«Andreas!» la voce di Hermione gli pervase le orecchie
quando lui varcò la soglia della porta magica, scomparendo dietro la sua
schiena, assorbita dalla libreria. Lei, con i capelli scompigliati dal sonno,
lo guardava con quello sguardo corrucciato, le braccia incrociate e il piede
che batteva sul terreno. Il giovane, dimentico degli ultimi avvenimenti, le
sorrise.
«Scusami, ti sei già svegliata... volevo arrivare prima...»
sul volto della donna si disegnò il sospetto.
«Per fare cosa?» domandò ferma ancora nel suo fastidio.
Il giovane tirò fuori dalla tracolla la borsa datale da Ginny.
«Il cambio, così puoi uscire in ordine.» Hermione,
sorpresa, abbandonò le braccia sui fianchi, e sentì un calore sul volto. Era
uscito prima solo per lei. Prese la borsa, sentendosi in colpa per come lo
aveva trattato. Andreas sorrise, non aveva ancora tirato fuori il bello.
«Aspetta, ancora una cosa...» e dalle mani, con un “puf”
e una piccola nuvoletta di fumo, apparvero un piccolo mazzo di margherite e una
vaschetta di pasticcini.
La donna rimase sorpresa. Si portò una mano al volto. Aveva
le lacrime agli occhi e non sapeva perché.
Ron, non ti
ho mai visto farmi un regalo simile, non ti ho mai visto cortese con me...
«Ehi, non piangere...» Andreas la guardava da oltre i
fiori - che, pensò la giovane, profumavano come appena colti - e si avvicinò
con gli occhi dispiaciuti. Si nascose dietro i capelli, e mise i fiori su un
ripiano.
«Scusami, non dovevo... Solo, volevo farti sorridere con
una piccola magia, non farti piangere...» e Hermione sorrise. Andreas vide il
sole in mezzo a una nuvola di pioggia. Esiste la luce oltre la nebbia.
«Non fa niente Andreas, non è colpa tua... è mia...
brutti pensieri...» poi, ricomponendosi, prese i fiori e li mise dentro un
vaso, inspirandone il profumo. È stato così dolce. Un regalo gentile.
Avrei
preferito delle rose...
Hermione zittì i suoi pensieri, e aprì la scatola di
pasticcini, scoprendosi affamata.
«Tu mi farai ingrassare, Wizard. Mi stai viziando con
tutti questi dolci.» il giovane mago sorrise, sedendosi con dubbia grazia sul
divano rosso, giaciglio di entrambi.
«Mangi prima di farti la doccia?» domandò Andreas, e
Hermione fermò il secondo morso.
«Come?» il moro divenne rosso, e si nascose dietro i
capelli.
«Ecco, non sapendo le tue abitudini ti ho portato un
cambio...ecco...completo...» il rosso
si poteva vedere come un semaforo a un chilometro di distanza, con la nebbia. La
giovane sorrise, alla timidezza di lui.
«Scusami, ma come hai fatto a prenderli?» domandò, memore
delle scale magiche che impedivano di far entrare i ragazzi nel dormitorio
femminile.
«Ginny è andata al posto mio... le scale tremavano in
modo strano sotto i miei piedi, e quando sono arrivato a metà rampa Ginny mi ha
vista salire. È rimasta basita. Le ho spiegato la situazione, e mi ha detto che
forse era meglio se andava lei.» Hermione rimase per la seconda volta sorpresa
in pochi minuti. Le scale non si erano trasformate in rampa...? Era un
incantesimo potente, quello che governava il castello, e lui aveva in sé così
tanta magia da fare interferenza? Hermione si addolcì. Quel ragazzo non sapeva
nemmeno quanto potente sarebbe potuto diventare in futuro. Forse anche più di Silente.
«Vado a cambiarmi e arrivo...» disse lei, ingurgitando
velocemente il secondo pasticcino prima di entrare in una porta comparsa all’improvviso
dietro i libri, affianco al camino. Il giovane la seguì con lo sguardo, e
quando chiuse la porta si scoprì ad averle fissato il fondoschiena. Diventò
rosso e si diede un colpo sulla testa, ricordando le buone maniere. Ma era pur
sempre un giovane in fase di crescita, un ragazzo che stava diventando uomo.
Certi istinti erano pur sempre normali.
NO, non con
Hermione. Lei è speciale. Non è una delle tante.
Ma, nell’attesa che lei finisse, lui si scopriva a vagare
col pensiero al suo corpo. Lei, nuda, sotto l’acqua corrente della doccia, i
suoi capelli, bagnati, che scendevano oltre il collo, a coprire parzialmente il
petto...
Un altro pugno calò sulla sua testa.
«Wizard, basta.» parlò a se stesso, e decise di impegnare
la mente con altro che quei pensieri impuri sulla donna che amava.
Iniziò a formulare incantesimi, tanto per allenamento,
imparando a pronunciarli con la mente. Si trovava ancora in difficoltà con
quelli più complicati. Si rese conto del tempo che era passato quando vide la
giovane uscire vestita di camicia e gilet accompagnati da un paio di jeans, i
capelli bagnati, che lo guardava mentre, con un asciugamano bianco in mano, li
stringeva tra le mani.
«Che stai facendo?» domandò, osservando le sue mani che
sprigionavano energia pura.
«Niente...» disse, abbandonando l’incantesimo. I suoi
capelli bagnati...erano proprio come li aveva immaginati «Dovresti
asciugarteli, se no ti prendi un malanno.» si avvicinò, nella mente un parco
incantesimo, e i capelli, sotto il suo tocco delicato, iniziarono a diventare
asciutti. Hermione, bloccata a fissare il suo volto così improvvisamente vicino
a lei mentre le asciugava con un incantesimo. Ancora quel desiderio impuro nella
mente. Il suo corpo però stava per attuare ciò che invece la mente comandava di
non fare. Si fermò a metà gesto. Andreas si era mosso, girando dietro di lei. Hermione,
rossa in volto, ringraziò con timidezza, e iniziò a pensare.
«Ma tu ti sei cambiato?» domandò lei.
«No.» rispose, e lei si voltò, arrabbiata. Lui confuse il
suo rossore per il calore dell’affermazione.
«E allora va!» disse, indicandogli il bagno, le mani sui
fianchi. Andreas non si era aspettato una reazione simile.
«Va bene, mamma!» disse, scherzando, e varcò la soglia
del bagno. Hermione si sedette, asciugandosi i capelli ormai non più bagnati ma
umidi davanti al fuoco, mentre la mente vagava. Sentì l’acqua scorrere. Chissà che
corpo nascondeva sotto quella divisa di seconda mano, più grande di lui. Ricordò
le cicatrici sulla schiena, viste tempo fa. Si domandò come se le abbia potute
fare. I suoi capelli erano belli, così neri e lisci... ma forse un po’ troppo
lunghi.
«Andreas!» chiamò e lui, spaventato per il tono
perentorio che aveva la sua voce, uscì dimentico della maglia.
«Che c’è!?» domandò, accorgendosi poi di essere a petto
nudo. Hermione diventò rossa. Lui ancora di più.
«S-Scusa!» si nascose dietro la porta, un rovistio di
vestiti, e poi uscì stavolta vestito. «Dimmi...» disse, stavolta più
tranquillo. Lei gli guardava in modo malsano i capelli.
«Ti devi tagliare i capelli.».
Silenzio.
«Come scusa?!» Andreas era incredulo. Nelle mani della
giovane apparvero delle forbici.
«Siediti.» era un ordine. Lui si sedette e non si mosse. Lei,
memore dei giorni di fuga passati nella guerra e dei capelli tagliati a Harry,
iniziò, professionale come una parrucchiera.
«Per favore, non farmeli troppo corti...» chiese lui, e
lei annuì. Pochi minuti e cadde una cascata di capelli.
«Grazie... Vedi, non me li tagliavo dall’ultima volta che
lo aveva fatto la mia mamma... prima che...» gli si spezzò la voce. Hermione
non fermò il suo operato, ma il suo sguardo si colorò di dispiacere sincero.
«Non mi ringraziare... consideralo un favore in cambio di
quello che hai fatto tu a me.».
Lei completò la sua opera in pochi minuti, ripulendo con
la bacchetta. Andreas andò a specchiarsi in bagno. Non si riconosceva più. Erano
cortissimi. Tranne la frangia, era abbastanza lunga da toccargli le
sopracciglia.
Il suo volto era visibile. E si scoprì stranamente bello,
con quel taglio un po’ sbarazzino.
Chissà,
forse così posso conquistarla...
Cucì il suo desiderio dentro un cassetto dei desideri, e
uscì, sorridente.
«Ti va una sfida?» gli domandò lei, seduti entrambi sul
divano, mentre lei consumava la sua colazione a base di pasticcini alla frutta.
Lui la osservò. Aveva un poco di panna sul labbro superiore. Nella mente un
desiderio imponente di toglierla con la lingua.
«Come scusa?» si scambiarono uno sguardo di intesa.
«Hai firmato la tua condanna a morte, Wizard, accettando.»
Hermione si alzò, armata di bacchetta. Lui sprizzò una scintilla dalle dita.
«Sbagli, quella che perderà sarai tu, Granger.» la stanza
mutò in pochi secondi. Ora era immensa, con specchi che riflettevano i due
avversari, lontani ormai dieci metri l’uno dall’altra.
Silenzio.
«Prima le signore.» disse l’uomo, inchinandosi. La
bacchetta di lei fischiò, la barriera si formò pochi secondi prima che l’incantesimo
raggiungesse il corpo di lui. Capì che non scherzava, Hermione. Andreas si
concentrò.
Iniziò uno scambio d’incantesimi, controincantesimi
e barriere. Colori sgargianti, fischi e botti si espansero per la stanza, ma
non si poteva capire chi stava vincendo e chi perdendo.
«Uff, sei brava Hermione.» proruppe Andreas, col fiatone.
Non era abituato a sfide così lunghe. Si sentiva come svuotato, la magia non
traboccava più, ora scorreva come un fiume placido.
«Anche tu non sei male, non ho trovato ancora nessuno che
stesse alla pari con me.» rispose la donna, continuando lo scambio d’incantesimi.
Ma l’ago della bilancia di quello scontro non accennava a
muoversi né verso l’uno né verso l’altra.
La magia di Wizard era sì potente ma ancora maldestra, da
modellare, da dosare. Invece Hermione le dava la forma giusta, come un cuneo
contro una lapide di marmo.
Quando Wizard sentì la barriera cedere contro gli
incantesimi di lei si dichiarò arreso.
«Basta, mi arrendo! Sono stanco... non avevo mai fatto
tanti incantesimi prima d’ora... e non ho neppure fatto colazione...» disse,
con una patina di sudore sulla fronte. Hermione abbassò immediatamente la
bacchetta.
«Perché non me lo hai detto prima, scusa?!» domandò,
dispiaciuta per il fatto di aver fatto sforzare il giovane in una fatica a
stomaco vuoto.
«Te l’ho detto, stamattina ero di fretta perché volevo
arrivare prima che tu ti svegliassi...» Hermione sorrise, mise la bacchetta in
tasca e si avvicinò a lui, che si era appoggiato sulle ginocchia.
«Ti senti meglio ora?» domandò, scostandogli un ciuffo
dalla fronte. Il giovane fermò lo sguardo su di lei, il cuore a mille. Ancora
quel malsano desiderio di baciarla nella mente.
«Ora... sì.» e sfiorò le sue labbra con le proprie.