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Autore: Yanothing    20/01/2013    1 recensioni
La mia prima ff basata a grandi linee su una storia vera.
Un amicizia che comincia all'età di sedici anni, periodi molto difficili, problemi con alcool e farmaci, il mondo della musica punk-rock, un amore sano e puro, continue sfide che si infrangono contro le vite dei personaggi, sopratutto contro la vita dell'eterno giovane Billie.
"Portami indietro a un’ora fa, il tempo sta fermo mentre gli anni passano".
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Adrienne Nesser Armstrong, Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Tré Cool
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tenevo lo sguardo fisso sul soffitto bianco, incupito dal buio della notte, continuavo a guardare l'orologio poggiato sul comodino, ogni volta che lo guardavo sembravano passate ore e invece si trattava solo di pochi minuti. Quella data rosso acceso continuava a fissarmi, incasinando la mia mente con pensieri che portavano ovunque, sia a momenti futuri che a momenti passati della mia vita. Incrociai le braccia sul mio petto nascondendole sotto il lenzuolo e socchiusi gli occhi.

C'era un bambino rannicchiato sul sedile posteriore di una macchina.
Aveva lo sguardo assonnato rivolto verso lo specchietto retrovisore per sbirciare i volti dei suoi genitori.
Il padre guidava tenendo lo sguardo fisso sulla strada ed entrambe le mani sul volante, non proferiva parola, mentre la madre si apprestava ad alzare o abbassare il volume se la canzone che passavano alla radio era o meno di suo gradimento.
I fratelli del piccolo erano messi nelle posizioni più assurde per riuscire a dormire in comodità.
I riccioli gli ricadevano sui suoi grandi occhi verdi che risaltavano sull'ovale rotondo e pallido.
Avevano passato una bella giornata, una bella scampagnata in montagna, come non facevano da tempo.
Il piccolo adorava i suoi genitori, era un bambino di appena 9 anni che ammirava il loro amore e aveva mille domande da fargli.
Una cosa che si chiedeva spesso era se si è più belli quando si sta al fianco della persona che si ama. Chissà quando avrebbe trovato il coraggio di chiederlo a sua mamma, perché trovava che sua mamma fosse una donna bellissima, e credeva che fosse dovuto al fatto che al suo fianco c'era l'uomo della sua vita.
Ad un certo punto qualcosa attirò lo sguardo del bambino.
Il padre si mordeva il labbro, tirandoselo tra i denti, avanti e indietro, causandosi un arrossamento; strano gesto, non ricordava che avesse mai fatto qualcosa del genere.
Sai..”
La donna che canticchiava sotto voce si girò a guardare il marito, sorridendo come una ragazzina innamorata, e lui fece un lungo respiro.
..sono stato in ospedale..”
Perché?” lo sguardo della madre diventò uno sguardo stupito, e iniettato di curiosità.
Perché..Ollie..io non sto bene..”
Il piccolo era incuriosito, suo padre non stava bene, cosa voleva dire?
Ho un cancro..”

Mi alzai di scatto, sgranando gli occhi, ero sudato e avevo il fiato corto, vedevo tutto appannato.
Quelle parole mi ronzavano in testa, cancro, cancro, cancro.
E' questo il nome di quella cosa che ha portato via mio padre, ingiustamente, nel giro di pochi mesi da quando ce lo disse.
Guardai la figura di Mike stesa nel letto accanto, così tranquilla, con i lineamenti rilassati dal sonno, e un sorriso appena accennato sulle labbra.
Anche io avrei voluto fare un bel sogno, uno di quelli che sono talmente belli che non racconteresti a nessuno perché questo rovinerebbe la loro bellezza. Non facevo più un sogno del genere da anni ormai, ero continuamente tormentato da..non so nemmeno io da cosa..a volte i sogni non li ricordavo proprio, o meglio ricordavo di aver sognato qualcosa di brutto, ma non sapevo cosa di preciso e questi erano i casi peggiori.
Mi misi seduto poggiando i piedi nudi sul freddo parquet, sentii un brivido corrermi lungo la schiena, poggiai i gomiti sulle ginocchia e mi presi la testa tra le mani massaggiandomi le tempie per scacciare via quel pensiero, che in realtà sapevo che non mi avrebbe lasciato, almeno non per quel giorno, nemmeno un momento nell'arco di quella giornata.
Controllai per l'ennesima volta l'orologio, erano solo le 3.25 di quello che sarebbe stato un 10 Settembre lunghissimo.

Cercai di dormire il più possibile, la sera dovevamo lavorare al Gilman, giornata sbagliata.
Volevo stare solo, stendermi sotto le coperte col viso schiacciato contro il cuscino, quasi fino a soffocare. Prima di avere la band passavo sempre così questo giorno, chiuso in camera mia, in silenzio, solo, a scrivere, a..a piangere.
Erano le 9.00, avevo finto abbastanza di dormire, mentre ancora Mike era cullato dalle braccia di Morfeo. Mi alzai e scesi di sotto, i miei fratelli o dormivano o non c'erano, sentivo il tintinnio delle tazze in cucina, mia mamma stava apparecchiando la tavola, era domenica, quindi giorno di 'colazione in famiglia', ottimo, la prima cosa che non ci voleva, sette musi lunghi e Mike.
Strisciai i piedi fino alla soglia della cucina e rimasi a scrutare la figura di mia mamma mentre sciacquava le tazze dandomi le spalle.

Avevamo tutti una gran fretta di andare all'ospedale da papà, ma non potevamo di certo rinunciare al rito della colazione domenicale.
Mamma stava lavando le tazze e io la guardavo sorridendo dalla soglia della porta.
Ad un certo punto spuntò Anna alle mie spalle e mi cinse la piccola vita sollevandomi leggermente da terra.
Mi girai a guardarla con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso.
Ciao Anna!”
Mamma si girò a guardarci, il viso era segnato dalle notti insonni passate in ospedale al fianco di papà, le occhiaie le accerchiavano i grandi occhi verdi, velati di malinconia, ma nonostante tutto ci rivolse un sorriso, il più bello che ci potesse mostrare.
Corsi da lei e l'abbracciai e lei mi tenne stretto al petto, carezzandomi e lisciandomi i boccoli marroncini.

Già, era tutto esattamente come quella domenica mattina.
Ero perso nei miei pensieri e non mi resi conto che mia mamma mi guardava mentre metteva le cose a tavola, sorrideva, come quella mattina e appena me ne resi conto sentii un blocco al cuore, come un pugno che lo stringeva con forza, i ricordi mi assalirono e la vista si annebbiò per pochi secondi. Tornai con la mente lucida e corsi ad abbracciare mia mamma, come non facevo da anni. Lei mi strinse, non sembrò poi tanto sorpresa del mio gesto, infondo mi capiva, sapeva cosa voleva significare, sapeva il motivo. Così mi carezzò i capelli corvini, che mi ero deciso a tagliare, e io poggiai il viso sulla sua spalla, piegando leggermente le spalle poiché ero più alto di lei di qualche centimetro. Sentivo gli occhi bruciare, ma non volevo, non dovevo, piangere.
Ad un certo punto irruppe in cucina la voce squillante di Alan.
“Billie sei tornato ad essere il cocco di mamma?” rise di gusto e si sedette a tavola, io mi allontanai dalle braccia di mia mamma controvoglia, infondo ero ancora un bambino, non avevo avuto l'infanzia che immaginavo, e ogni tanto qualche abbraccio mi ci voleva, però per quelli c'era Mike no?
“Vaffanculo Alan.” mi sedetti al mio solito posto e tenni per tutto il tempo lo sguardo sulla tazza vuota. Arrivarono tutti gli altri dopo un po', all'appello come al solito mancava Mike. Mi guardarono tutti male e capii che non avevano intenzione di aspettare oltre, così mi alzai.
“Torno subito.” sbuffai e salii di sopra a chiamare Mike.

La giornata passò relativamente tranquilla, riuscii a rimanere in camera da solo, e Mike stranamente non fece domande, ma arrivò il momento di salire in macchina e andare al Gilman per le prove, proprio non avevo voglia, quel giorno sinceramente toccare la chitarra mi faceva troppo male. Almeno le prove potevamo risparmiarcele, infondo era sempre il solito repertorio, sempre il solito pubblico, sempre la solita vita.
Arrivammo al Gilman e rimanemmo ad aspettare Al che al solito era in ritardo.
Scesi dalla macchina e mi sedetti sul cofano, cacciai fuori dalla tasca dei luridi pantaloni neri un pacchetto di sigarette e me ne accesi una, socchiusi gli occhi e cominciai ad espirare ed inspirare il fumo pungente della stecca di tabacco.

C'era una gran confusione davanti la camera numero 52.
Un andirivieni di medici e infermiere.
Forse era un gioco.
Perché non giocava pure mio papà?
Perché non usciva e rientrava anche lui?
Volevo giocare anche io, così andai verso la porta, quando sentii una mano tenermi dalla spalla.
Mi girai a guardare David, aveva gli occhi lucidi e faceva cenno di no con la testa, quasi impercettibilmente.
Che c'è Dav? Voglio andare da papà.”
B-Bill perché non mi accompagni a prendere un caffè prima?”
Mi prese in braccio e mi baciò la fronte, avviandosi verso le macchinette della sala attesa.
Notai che erano tutti davanti la camera e non facevano nulla, rimanevano immobili, come gli spettatori di un opera teatrale, forse quel via vai di gente era uno spettacolo?
Quando tornammo c'era Hollie inginocchiata davanti la porta col viso tra le mani, Alan le teneva una mano sulle spalle, anche lui aveva gli occhi rossi, Anna stava abbracciata alla mamma che singhiozzava vistosamente e Marci corse in contro a me e David. Che stava succedendo?
Si, quello era uno spettacolo, lo spettacolo della morte.

Piangevo, senza nemmeno rendermene conto. Piangevo tanto vistosamente che Mike corse ad abbracciarmi, cercai di soffocare i singhiozzi contro il suo petto, boccheggiando per riuscire a prendere aria, sentendo le lacrime scorrermi come fiumi in piena, scavando delle valli sulle mia guance.
“Ssh..che succede? Billie? Sssh..ci sono io..”
Non riuscii a parlare, ma mi calmai lentamente, non volevo che mi vedesse così, non volevo che qualcuno entrasse in questa parte della mia vita, era solo mia, ne ero dannatamente geloso, quelle lacrime dovevano bagnare solo i miei vestiti e i miei occhi gonfi e rossi dovevano scrutare solo le pareti della mia camera, e invece stavo bagnando la maglietta di Mike in piena aria aperta, davanti un fottutissimo locale che mi avrebbe tenuto incatenato nel giorno in cui volevo liberarmi da tutto e da tutti.

Ero seduto nei 'camerini', se si potevano ritenere tali, con le spalle poggiate contro la porta, almeno così ero pronto a scattare in piedi quando qualcuno sarebbe entrato.
Ero intento a scrivere sul mio quadernino nero, quello con le pagine ingiallite e la copertina rovinata dagli anni che la consumavano lentamente. La penna semi scarica scriveva parole che lì per lì non avevo idea da dove fossero saltate fuori.
Sentii dei passi alle mie spalle e la maniglia si abbassò lentamente, mi affrettai ad alzarmi e nell'attimo successivo Mike entrò sorridendo.
“Billie tocca a noi”.
“Si..arrivo subito..” lo guardai e dopo pochi secondi gli rivolsi un sorriso, lui riusciva sempre a strapparmene uno, in qualsiasi momento, in qualsiasi giorno, pure il 10 Settembre.
Uscì dal camerino e io riaprii il quadernino per scriverci le ultime parole.

Wake me up when september ends.

  
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