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Autore: Marceline    20/01/2013    7 recensioni
Gumball è un timido e anonimo Corvonero, ligio allo studio e amante della tranquillità.
Marshall è il capitano della squadra di Quidditch dei Serpeverde.
Possono il freddo e la dolcezza incontrarsi?
Possono due forme di timidezza diverse farsi avanti e amarsi?
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Gommorosa/Gumball, Marshall Lee
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia bambina sperduta nel paese delle meraviglie che, avendo tanta fretta e dovere di andare via da me, non mi ha fatto capire i suoi pensieri confusi e intrisi di emozioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
Gumball uscì dalla sala comune di Corvonero. Sotto braccio portava il libro di Pozioni e non ne era così allegro. Nonostante fosse uno studente brillante, odiava quella materia. Così, non riuscendo a concentrarsi, era uscito per studiare nell’ampio prato che era di fronte all’immensa scuola. Essendo maggio uscì senza cappotto e con le maniche della camicia arrotolate.
Trovò un bel posticino sotto un albero ombroso, l’aria non era molto ventilata quindi il caldo si faceva sentire parecchio. Guardandosi intorno notò che non era stato l’unico ad avere quell’idea. C’era chi leggeva, chi giocava a scacchi magici, chi chiacchierava o semplicemente stava al sole per riscaldarsi la pelle.
Rincuorato, aprì il libro di Pozioni e si applicò per bene a imparare tutte le nozioni. Sicuramente Piton avrebbe fissato un test la settimana che era a venire.
Gumball fu distratto da delle urla e da dei beffeggiamenti provenienti dalla sua destra. Spostò il ciuffo di capelli rosa dagli occhi e fissò lo sguardo su un gruppo di Serpeverde. Spintonavano e prendevano in giro un primino di Tassofrasso, che sembrava più che terrorizzato.
Gumball scosse la testa e tornò al suo studio, ma ovviamente aveva la testa altrove. Ricordava cosa volesse dire arrivare a Hogwarts e non conoscere nessuno, essere preso in giro sempre, dalla prima ora di luce fino all’ultima. Così chiuse il libro con uno scatto e si alzò dal suo posto all’ombra, dirigendosi verso quei tre Serpeverde.
- Hey! Dico a voi, lasciatelo stare! – Gumball urlò quella frase a qualche passo di distanza da quei tre ebeti senza cervello. Era sempre stato diffidente dei Serpeverde e ora ne aveva la conferma.
- Altrimenti? Cosa fai, ci picchi, principino? – Un ragazzo biondo con gli occhi azzurri e dalla voce da bambino, si voltò verso di lui. Se Gumball non sbagliava, doveva chiamarsi Finn Human. Gumball storse il naso quando il tipo storpiò il suo cognome. Già era imbarazzante fare di cognome Prince, figurarsi se ti chiamavano principino.
- Già, ci picchi? – Jack, il migliore amico di Finn, ci mise il carico da dodici. Gumball ignorò bellamente i due e si rivolse al piccolo Tassofrasso che ancora tremava in mezzo ai tre.
- Tutto bene? Sei ferito? – Il tono di voce di Gumball era delicato e zuccheroso, sembrava una cucchiaiata di miele.
Il terzo ragazzo, quello che ancora non aveva parlato, sbuffò e fece un mezzo ghigno. Gumball lo guardò e riconobbe immediatamente Marshall Lee, il capitano della squadra di Quidditch dei Serpeverde. I capelli neri erano scuri tanto quanto gli occhi, il fisico era magro ed era alto; la carnagione candita quasi sembrava evanescente. I tratti del viso erano androgini e mozzafiato.
- Lo stavamo spingendo, non pestando a sangue. – La voce di Marshall ridestò Gumball. Quest’ultimo allungò un braccio verso il piccolino che subito si nascose dietro la sua schiena.
- È uguale, n-non dovete dargli più fastidio. – Gumball si maledisse per aver balbettato e poteva giocarsi la testa che era arrossito fino alla punta delle orecchie. Stupido Marshall Lee e stupida la sua bellezza perfetta.
- Come desidera, Principe Zucchero. – La voce di Marshall sembrava una carezza calda ma al tempo stesso roca. Gli sorrise e i canini bianchissimi spuntarono fuori dalla fila di denti perfetti. Ecco, forse l’unico difetto erano quei canini... No, okay, gli conferivano altro fascino.
Marshall fece un cenno agli altri due e voltò le spalle a Gumball, dirigendosi verso l’interno della scuola. Gumball rimase per un po’ a fissargli le spalle, la schiena e le gambe affusolate...
- Grazie mille! – Il piccolo Tassofrasso gli stava stringendo il ventre in un abbraccio spacca-ossa.
- Di nulla. Ma stai più attento, okay? – Il piccolo annuì e corse via verso la sponda del lago.
A Gumball era passata tutta la voglia di studiare e gli era venuta un’immensa fame. Pensò che quella sera si sarebbe preso due fette di torta al cacao per premiarsi da solo per la buona azione. Era felice di aver fatto un’opera di bene... Ma era anche profondamente turbato da quel Marshall. Chissà perché aveva fatto la figura dello scemo balbettando e arrossendo. Si disse che aveva avuto paura di essere picchiato e non ci pensò più.
 
Gumball era alla sua terza fetta di torta perché durante la sua ultima ora di pozioni, Piton aveva annunciato il compito per il giorno seguente. Gli zuccheri sapevano sempre come aiutarlo e rincuorarlo. Pensò che fosse una cosa molto triste e molto da persona senza amici, il che era vero. Questo pensiero lo buttò di nuovo giù e prese la quarta fetta.
Triste, arrabbiato e deluso dalla sua vita sociale e sotto un treno per il test del giorno seguente, si alzò dal tavolo e si diresse verso la torre di Corvonero. Fece le scale con una lentezza degna di una lumaca ubriaca. Sinceramente non aveva sonno, magari si sarebbe messo a letto a piangere.
Era quasi arrivato alla torre quando sentì dei passi dietro di lui, leggeri e cadenzati. Non si voltò, non gli interessava. Poi qualcuno si schiarì la voce e parlò.
- Di fretta, principino? – Gumball si congelò sul posto e rimase a spalle voltate.
- Hai intenzione di picchiarmi? – La voce appena un sussurro. Lo sapeva che non doveva mettersi contro dei Serpeverde! Sapeva che gliel’avrebbero fatta pagare!
Marshall sbuffò e fece una mezza risata.
- Puoi guardarmi in faccia mentre ti parlo? – Anche se stava per essere picchiato, Gumball pensò che la voce di quel ragazzo fosse dannatamente attraente.
Inspirò profondamente e si voltò, le mani strette a pugno lungo i fianchi e gli occhi chiusi.
- Non colpirmi il naso, ti prego! – Lo disse tutto d’un fiato e con gli occhi ancora chiusi. Passato un minuto in cui Marshall non fece nulla, aprì lentamente un occhio. Marshall era a bocca spalancata e completamente fermo. Poi scoppiò a ridere, fortissimo. Proprio da reggersi la pancia con le mani e piegandosi in due.
- Sì, sì, okay, non vuoi picchiarmi. Smettila, ti supplico! – Dopo cinque minuti di risate ininterrotte, Gumball si era seduto su un gradino e aspettava che il Serpeverde la facesse finita.
- Per la barba di Merlino, dovevi vederti! – E continuò a ridere per un altro paio di minuti.
- Beh, allora? Se non vuoi picchiarmi, perché sei qui? – Gumball incrociò le braccia e lo guardò seriamente. Anche Marshall si ricompose, passandosi una mano tra i capelli corvini.
- Non posso passeggiare per il castello? –
- Passeggi sulle scale per la torre di Corvonero? –
- Di tanto in tanto... – Marshall ostentò un’aria da superiore, ma il sorriso ancora aleggiava sulle sue labbra. Gumball lo guardava con una sopracciglia alzata.
- Okay, okay, parlo. Ero venuti qui p-per... Cioè, dirti che sei uno apposto. Nessuno si mette a difendere dei novellini senza un motivo o una ricompensa... Non hai chiesto al marmocchio di farti un pompino, vero? – Marshall scherzò, ma sotto sotto era curioso.
- C-cosa? Ma sei completamente scemo?! – Gumball tornò in piedi e fece un passo indietro, come se fosse schifato dal ragazzo. Gumball era tutt’altro che schifato dal moro...
- Cos’è, non ti piacciono i ragazzi? – E qui era palese che Marshall stesse indagando sulla sessualità di Gumball. Palese per tutti, tranne che per Gumball che si sentiva solo preso in giro. Eppure sembrava così serio...
Era deciso a mentire a quella risposta, perché tanto, chi era Marshall per sapere certe cose su di lui? E se poi l’avesse preso in giro? Ma qualcosa nello sguardo color pece del Serpeverde, lo convinse a dire una mezza verità.
- Non ho detto questo. – Era estremamente serio. Sentiva lo sguardo nero di Marshall pungergli su ogni parte del suo viso roseo.
- Potresti dirmelo ora. – Marshall lo guardava dritto negli occhi e questo, stranamente, fece passare la paura al Corvonero. Era come se avessero abbandonato le loro maschere, il timido e il gradasso, e parlassero solo per il gusto di conoscersi.
- Potrei, ma non voglio. – Gumball si complimentò con se stesso per le sue risposte evasive. Il moro sbuffò e si appoggiò alla parete fredda con una spalla, incrociando le braccia sul petto glabro. Poi prese a mordersi il labbro inferiore con i denti, con i canini, per essere precisi.
- A me piacciono. – Marshall parlava come se stesse facendo notare a Gumball quale bella serata fosse quella.
- Che ti piace? – Gumball, a volte, aveva dei problemi di comprendonio. Glielo diceva sempre sua nonna quando sbagliava le porzioni delle ricette, mettendo due bicchieri di latte al posto di uno solo.
- Non cosa, ma chi. – Marshall sembrava avere il pieno controllo di se stesso. Il cuore di Gumball non era dello stesso avviso. Perché Marshall gli stava dicendo quelle cose?
- E allor-ra c-chi? – Dove avesse preso tutto quel coraggio, proprio non lo sapeva. Magari pensare a sua nonna lo aveva distratto da tutta quella situazione assurda.
Marshall non rispose, ma sorrise, il che era diecimila volte meglio rispetto alle parole. Poi salì quella manciata di scalini che lo dividevano dal Corvonero e si sporse in avanti.
Gumball ci mise una ventina di secondi buoni per capire che Marshall lo stava baciando e subito in seguito per realizzare che quello era il suo primo bacio e non sapeva minimamente cosa fare. Allora seguì i movimenti del moro e lasciò la bocca inerme. Quando si staccarono, con un rumore sordo e fastidioso, pensò che fosse stato tutto molto umido. Un pensiero decisamente poco romantico.
 
- Quindi ti piaccio da due anni? – Gumball sghignazzò e continuò ad accarezzare i capelli soffici di Marshall. Quest’ultimo mise il broncio, sporgendo il labbro inferiore in un modo maledettamente adorabile.
- Non è che mi piaci da due anni. È solo che era un po’ di tempo che ti avevo notato. –
- Tempo durato due anni... – Gumball sentiva la gioia scorrergli frizzante nelle vene. Non aveva mai minimante sospettato di essere la cotta segreta del capitano dei Serpeverde.
Dai, insomma, cos’era lui a confronto di Marshall? Il moro era capitano, fiero e bellissimo. Era sempre stato rispettato e ammirato da tutti. E lui? Era un anonimo Corvonero, che non brillava per nessuna qualità in particolare. Forse i capelli rosa facevano la loro figura...
Dal bacio alla torre di Corvonero, era passata quasi una settimana. Marshall aveva completamente dimenticato di avere degli amici e passava tutto il tempo libero con Gumball. Lo accompagnava e lo andava a riprendere a fine delle lezioni, studiavano insieme il pomeriggio e passavano le serate a chiacchierare.
Quella domenica mattina la stavano passando all’ombra dell’albero preferito di Gumball. Non mancava di ringraziare ogni minuto di aver difeso quel Tassofrasso; in quel modo Marshall aveva capito quanto fosse un ragazzo buono e gentile e avesse preso coraggio per dichiararsi.
Quando Gumball gli chiedeva perché avesse aspettato tanto, rispondeva sempre che non sapeva che lui fosse omosessuale. Ma Gumball pensava che centrasse quella relazione di tre anni con quella Serpeverde dai capelli crespi. Comunque, non poteva biasimarlo.
- Vieni con me. – Marshall si alzò di scatto e prese entrambi le mani dell’altro e lo tirò su a sé, facendo scontrare i loro petti. Erano vicinissimi, a tiro di bacio. Ma non si baciarono, non lo facevano mai in pubblico. Il mondo era abbastanza predisposto alla magia, ma non lo era a due ragazzi che si baciano in un parco, all’ombra di un albero.
Marshall trascinò Gumball all’interno della scuola, tenendolo per mano – ovviamente beccandosi gli sguardi contrariati di tutti. Salirono scale, attraversarono corridoi, svoltarono angoli e sfrecciarono attraverso la scuola. Gumball non aveva la minima idea di dove stessero andando.
Marshall camminava a passo spedito e senza guardare indietro, come se farlo avrebbe potuto fargli perdere la sicurezza che già vacillava in lui. Non era sicuro di quello che stava per fare, non era sicuro della reazione di Gumball, ma doveva farlo.
Si fermarono davanti a un arco di pietra murato e Gumball riconobbe la Stanza delle Necessità. Dopo aver fatto i soliti riti per entrare, varcarono la soglia.
La stanza si era trasformata in una cameretta anonima. Al centro c’era un letto a una piazza e mezza con le coperte verdi scuro, il pavimento era in linoleum e le pareti di un giallo spento. Qualche poster magico era attaccato al muro, squadre di Quidditch e qualche foto con ragazzi e bambini che Gumball non conosceva.
- Avevo chiesto una stanza tranquilla e confortevole, ma non pensavo che apparisse la mia... – Marshall riflesse ad alta voce.
- È la tua stanza? – Sembrava particolarmente colpito e prese a studiare ancora meglio quella camera che urlava da tutti gli angoli il nome del moro.
Marshall si sedette sul bordo del suo letto e prese in mano un vecchio orsacchiotto di peluche che vi era appoggiato sopra. Sorrise inconsapevolmente e lo accarezzò.
- Non ti facevo un tipo da peluche. – Sorrise di rimando anche Gumball. Marshall era così bello che non mancava mai di meravigliarsene a ogni suo sorriso.
- Di fatti lui è l’unico. – Disse alzando il volto e cercando di nascondere il sorriso.
E allora qualcosa si smosse dentro Gumball, all’altezza del petto. Come se il cuore fosse scappato e fosse andato in giro per il suo corpo, impazzendo e urlando quanto volesse stringere a sé Marshall.
Gumball si avvicinò, proprio come quella sera di pochi giorni prima Marshall si era avvicinate a lui, e lo baciò. Un bacio languido e lento che sembrava non finire mai, con il respiro cadenzato e con la saliva in eccesso. Le lingue che s’incontravano e si lasciavano, per poi tornare ad accarezzarsi di nuovo.
Il moro fu spinto sul letto da Gumball che gli salì a cavalcioni, facendo combaciare i loro corpi. Nessuno dei due sapeva precisamente cosa fare. Marshall la prima volta con un ragazzo, Gumball la sua prima volta in assoluto.
Si tolsero le divise con movimenti imbarazzati e goffi. Poi rimasero pelle contro pelle. Quella rosea e morbida di Gumball contro quella diafana e fredda di Marshall.
Le posizioni s’invertirono, Marshall sovrastò Gumball. E in quel momento Marshall si perse contemplare il viso del ragazzo. Le guance chiazzate di rosso, gli occhi lucidi e le bocca dischiusa. Pensò che fosse bellissimo, ma mai quanto quando stava solo a leggere un libro, perso nel suo mondo ed estraneo a qualsiasi persona non fosse contemplata in quello che stesse leggendo.
Le loro erezioni si frizionavano, procurando dei gemiti bassi da parte di Marshall e dei miagolii dolci da parte di Gumball. Poi il moro accarezzò il ventre dell’altro, scendendo sempre di più. Arrivò alla sua apertura e infilò timidamente un dito.
Un sussurro poco virile provenne da Gumball che inarcò la schiena e strinse le lenzuola tra i pugni. Marshall tornò a baciarlo sulla bocca, ormai completamente dischiusa. Infilò il secondo dito ed ebbe la stessa reazione da Gumball, solo moltiplicata per due.
Quando il Corvonero si fu calmato e abituato a quel leggero filo di dolore, Marshall sfilò le dita e le sostituì con il suo membro.
Il respiro di Gumball si mozzò e gli occhi si chiusero. Marshall sentì una morsa allo stomaco, terrorizzato di avergli fatto del male. Ma poi aprì gli occhi e gli sorrise nel suo solito modo zuccherino, anche se sul suo volto aleggiava ancora un po’ di dolore.
Prese a muoversi piano, pregando mentalmente di non fargli male. Ma non gli fece del male, come poteva mai farlo? Aveva salvato dall’invisibilità quel ragazzo, gli aveva fatto capire quanto buono e degno di attenzioni era. Quanto potesse essere indispensabile per qualcuno e quanto non dovesse sottovalutarsi.
Ogni sospiro di Gumball era musica per le orecchie di Marshall, ogni volta che si mordeva le labbra per bloccare un gemito una visone idilliaca, le mani che gli graffiavano la schiena pallida la sensazione più bella.
Nel modo timido e al miele e fragole di Gumball, nel modo freddo e nascosto di Marshall, in quel momento, secondo più o secondo meno, iniziarono ad amarsi.
 
 
 
 
 
 
Note: Jack e Finn li vedo come due Grifondoro, decisamente, ma le esigenze di copione mi hanno imposto di metterli in Serpeverde.
  
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