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Autore: Yumeji    20/01/2013    2 recensioni
Alfred e Francis cominciano una discussione che non avrà buon esito, difatti, si sfidano a chi conquisterà per primo il cuore di un certo inglesino scontroso e piuttosto associale... Non è detto però che Arthur accetti benevolmente la corte di questi due, e se fosse già impegnato?
Ecco a voi i tentativi "assurdi" (e con risultati demenziali) di due nazioni che hanno avuto la pessima idea di giocarsi l'amore di Inghilterra...
Avvertenza: Potrebbe contenere azioni altamente "fuori dal normale"
[Scusate la lunga assenza]
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tentativo n°7: Le 79 piccole spie dell’amore


In un luogo incerto, un bunker sotterraneo disperso in un qualche posto lontano del mondo (sconosciuto alla mente dei più). Protetti da un porta in acciaio spessa dodici centimetri, in una gigantesca stanza buia su cui pavimento prendono posto un centinaio di spessi cavi e tubi catodici, una miriade di teleschermi, fissati alle larghe pareti o semplicemente lasciati a terra, si accendono lentamente uno ad uno. Da prima rivelano solo un’accecante distesa di luce bianca, ma pian piano l’immagine si fa più nitida, definendo alcuni contorni di ciò che andava a mostrare.
Per poi spegnersi di colpo, tornando allo schermo nero, facendo piombare la camera nell’oscurità più totale.
- Caz… Francia! Hai di nuovo staccato la spina principale?!!- urlò America, spaparanzato comodamente sulla propria poltrona, che prendeva posto davanti ad un postazione talmente accessoriata di pulsanti comandi e quant’altro, da potersi rivelare, senza dubbio alcuno, la piattaforma di comando dell’Enterprise.
- È difficile muoversi tra tutti questi cavi al BUIO!! – replicò il francese stizzito, riverso a terra, nella mano destra stringeva un enorme sacchetto di pop-corn, fortunatamente ancora ermeticamente chiuso, cosi da non spargere il suo contenuto, estremamente nocivo anche per le macchine, tra tutti quei apparecchi (televisori, li aveva semplicemente definiti Francis), super-tecnologici.
- E va bene…- sbuffò Alfred in tono lamentoso, accendendo di malavoglia la luce, - ma cosi togli tutta l’atmosfera- si lamentò rivelando cosi la vera identità di quel bunker super-segreto, ovvero: la cantina di casa sua, ribattezzata anche “Super-cantina”; se l’era fatta costruire durante la guerra fredda (per ogni evenienza).
Francis non capiva tutta quell’esigenza che l’americano aveva di dover enfatizzare ogni concetto, per renderlo più importante, con la parola “super”, lo trovava uno sproloquio irritante ed inutile.
- Qui l’unica atmosfera che hai creato è quella da film dell’orrore – fu la perfida risposta del francese nell’alzarsi in piedi, pulendosi con un gesto i pantaloni scuri, dall’aspetto costoso. Un sorriso mellifluo ad arricciargli le labbra nell’incrociare lo sguardo spalancato dallo stupore di America. Da quella sua espressione stupida e sconvolta quell’idea non doveva neppure averlo sfiorato, e la cosa divertì al quanto Francis, che ne ricaricò la dose: -… Sei tu l’esperto del settore – continuò, ingordo del disagio che poteva vedere sul volto del proprio avversario.  - ma in un buco del genere, intrappolati qui sottoterra… Mi sembra l’ultimo anfratto dei sopravvissuti contro un esercito affamato di zombi putrescenti che li attendono appena fuori da quella porta-  e, visto che in quanto ad enfatizzare Francis non era certo da meno, indico con un elegante gesto della mano sinistra la soglia alla sua spalle, mentre con la destra, abilmente nascosta, faceva saltare alcuni interruttori dal piccolo contatore (da cui aveva staccato sbadatamente la spina), al suo fianco.
E d’improvviso la stanza cadde nuovamente nelle tenebre.
Colto di sorpresa, e temendo che quell’ammasso lurido di zombi fosse riuscito ad abbattere la porta, Alfred scattò in piedi arrampicandosi sulla sommità della poltrona, in precario equilibrio sul poggiatesta, gridando:
- STUPIDI ZOMBI! NON MI PRENDERETE MAI VIVO!!! – maneggiando il solito hamburger da fast food come se fosse un arma micidiale, le lacrime agli occhi nell’urlare e la voce più acuta di un ottava.
Francis cominciò a ridere a crepapelle di fronte alla ben più che esagerato reazione di Alfred, rimpiangendo di non essere più in possesso di un cellulare provvisto di telecamera, cosi da poterlo riprendere e mostrare alla popolazione di internet l’umiliante spettacolo datogli dall’eroe.
Aveva tutte le intenzioni di godersi quella sua piccola ripicca nei confronti di America, infondo, era stato a causa sua se aveva dovuto sgobbare ininterrottamente nelle ultime 48 ore. Ne aveva tutto il diritto.
Purtroppo, non aveva fatto i conti con la mole dell’americano.
Mentre Francia ancora se la rideva, arrivando a tenersi la pancia da quanta ilarità gli suscitava un terrorizzato America minacciare mostri invisibili con un panino; non udì quello piccolo scricchiolio (probabilmente sovrastato dalla sue stesse risa e dalle urla dell’altro), che proveniva proprio dalla postazione di Alfred.
Presto detto e il francese si ritrovò travolto.
La poltrona implose su se stessa sotto al peso della grande Nazione, sfasciandosi completamente, scaraventando in avanti il povero America, il quale non ebbe neppure il tempo di comprendere la situazione, che si ritrovò in uno scontro fronte contro fronte con Francis, ancora troppo preso dal ridere per scostarsi dalla sua traiettoria.
E ora ci apprestiamo a rivelare la risposta ad un della più grandi domande che abbiano mai afflitto l’umanità: chi tra Alfred e Francis ha la testa più dura?
Ebbene, possiamo confermarvi con assoluta certezza, fu Francis a farsi meno male nel cozzare la propria testa con quella dell’americano, il quale svenne sul colpo, ma purtroppo per il gracile Francia, non poteva far nulla per la differenza di stazza che incorreva fra loro. Quindi, nonostante il colpo non gli avesse procurato alcun danno grave, rischiò comunque il soffocamento nel ritrovarsi addosso quel peso (non specificato) di carne puramente U.S.A al 100%.
- Graisseux… pesi!- si lamentò sentendosi come un povero sciatore imprigionato da un valanga, tentò di uscirne a tentoni da quella situazione, cominciando a strisciare, tirandosi avanti con i gomiti. Ma perché non aveva riacceso la luce? Si maledì provando a sollevare il corpo inerme di Alfred, ancora svenuto.

Ad America ci volle una buona mezz’ora per recuperare tutte le proprie facoltà cognitive, ma alla fine liberò Francis dalla sua prigionia di cavi e giubbotti - durante il tentativo di fuga si era agitato troppo trovandosi aggrovigliato tra le varie matasse di fili elettrici sparsi un po’ ovunque sul pavimento. E riattaccata la luce (dopo la brutta avventura con gli zombi Alfred mandò del tutto all’aria la sua voglia di creare “l’atmosfera”),  la spina della corrente e recuperato il sacchetto, miracolosamente ancora integro dopo lo scontro, di pop-corn, le due Nazioni tornarono alla loro postazione, quella specie di tavolino di comando super accessoriato.
“Di nuovo la parola super?” sbuffò Francis nel sentirglielo pronunciare, ma tacendo, sapeva che ogni critica all’americano avrebbe innescato una discussione e una serie di insulti che li avrebbe privati di troppo tempo prezioso e, visto che la loro tregua aveva una scadenza, non ne era il caso.
- Hai seguito il disegno che ti ho dato? – gli domandò Alfred cominciando ad armeggiare con vari tasti, e forse qualche manopola, mentre i teleschermi ricominciavano la loro lenta processione di accensione.
- Hai la calligrafia di una gallina, non ho capito nulla del tuo “disegno” – protestò il francese ricordando il fogliaccio unto e macchiato, che altro non era se non la tovaglietta di una tavola calda, su cui retro America aveva fatto il proprio schizzo. – ho fatto a modo mio – decretò alzando le spalle, indifferente al cipiglio nervoso di Alfred. Era strano ma sembrava che più fossero costretti a frequentarsi, meno l’uno sopportasse la presenza dell’altro (e viceversa), era come se entrambi facessero di tutto per rendersi insopportabili ed irritare in più modi possibili il rivale.
- Ah… Bene – tentò di rimanere calmo Alfred, ripetendosi che era un comportamento molto, ma molto eroico e che aveva tra le mani un’apparecchiatura estremamente sofisticata e, soprattutto, delicata; con la forza di cui disponeva gli sarebbe bastato un nulla per distruggerla. Irritarsi mentre la stava adoperando non era certo una buona idea. - … dove le hai installate?-
- Vediamo…- si fece pensieroso Francis, cominciando a fare due conti, -… 2 in corridoio e una sulle scale, 4 in cucina, 4 in soggiorno, 6 nella biblioteca, 2 in bagno (di cui 1 nella doccia e l’altra sopra la vasca), 57 nella sua camera da letto e 3 per ognuna delle restanti camere di poco conto e l’esterno- si aiuto a contare con le dita.
- Pressappoco abbiamo avuto la stessa idea – convenne Alfred sovrappensiero, -… 57!?! – esclamò strabuzzando gli occhi,
- Petit héros…- gli sorrise allora il francese con un sorrisino saccente e pieno di compassione, - non sai forse che la camera da letto è il santuario di una casa? È il luogo dove ogni persona nasconde i suoi segreti più reconditi e i suoi sogni più importanti – gli spiegò portandosi una rosa al viso (da dove le tirasse fuori era un mistero come la scorta inesauribile di hamburger di America), elegante e raffinato come se si stesse prestando alla sponsorizzazione di un profumo.
- Ammettilo che sei solo un guardone..- borbottò invece America, alzando le spalle rassegnato, infondo, non era che gli importasse molto, se Francis aveva comunque svolto il suo compito, ora toccava a lui fare il proprio. Con un sospiro stanco e rassegnato, dedicando al nemico/momentaneo compagno uno sguardo di rammarico, cominciò a regolare la messa a fuoco delle immagini sui teleschermi, i quali adesso trasmettevano delle riprese, ora ben riconoscibili e su diverse angolazioni,  delle varie stanze che componevano l’abitazione di Inghilterra!

- Allora hai avuto problemi a piazzarle tutte? Iggy ha forse sospettato qualcosa? – volle informarsi l’americano, ancora concentrato a sintonizzare correttamente tutte le telecamere, doveva ammettere che Francis aveva fatto un buon lavoro, anche se la cosa un po’ lo irritava. Non vi era angolo della casa di Arthur che non riuscissero a vedere, se non un certo utensile del bagno, il quale oscuramento però dava almeno quel minimo di privacy all’inglese.
- Arthù non sospetta alcun ché, puoi starne sicuro – lo rassicurò con quel tono di superiorità, che tanto era capace di irritare più di un anglosassone,  - Ho approfittato della ristrutturazione della cucina, i cui lavori avevano ritardato, e mi sono confuso tra alcuni addetti. Angleterre non si neppure accorto della mia presenza e, fortunatamente, è sempre stato fuori mentre agivo – gli spiegò, l’espressione un po’ tirata alla memoria dell’orribile tuta da lavoro che aveva dovuto indossare, il cui colore verdognolo slavato faceva a cazzotti con la sua carnagione.
- Ottimo..- commentò Alfred annuendo un poco con la testa, aveva smesso di ascoltarlo ad “Arthù non sospetta”, il come avesse agito non era nel suo interesse e, d'altronde, la parlantina di Francis aveva la straordinaria capacità di abbassare ulteriormente il suo, già scarso, livello di attenzione.

Nessuno dei due si chiedeva se stessero esagerando, agendo in quel modo, spiando di nascosto nell’intima quotidianità di Inghilterra. Entrambi tendevano ad essere dei megalomani egoisti e non avevano dubbi di essere nel giusto.
Infondo, quando ti si para davanti un avversario sconosciuto la cosa migliore da fare è studiarne i movimenti, no? Era stata con questa linea di pensiero che Francis e Alfred avevano deciso di coalizzarsi, stingendo una breve alleanza, nel tentativo di unire le forze per scoprire la misteriosa identità di miss o (più probabilmente o, almeno, cosi speravano) mister X. E per scoprirlo non si fecero il minimo scrupolo ad usare i metodi più loschi, primo tra tutti, quello di pedinare Arthur, sperando che lui stesso li portasse del proprio amante. Purtroppo, se si trattava di spionaggio, Inghilterra in quel frangete gli era nettamente superiore (se 007 è inglese ce ne sarò un motivo). Non aveva faticato ad individuarli durante i loro appostamenti, avvolte seminandoli, se andava di fretta, altre, raggiungendoli e facendogli una scenata, se aveva avuto una brutta giornata e aveva l’esigenza di sfogarsi con qualcuno. Il risultato era comunque  stato disastroso, e se la sfida fosse stata ancora valida avrebbero raggiunto, con tutte le sfuriate con cui Arthur gli aveva aggrediti, i – 34.500.000 punti ciascuno. Fortunatamente, la loro tregua metteva il gioco in momentaneo standby.
Dopo la completa disfatta del pedinamento, e l’amara rinuncia di Francis al suo completo scuro,  aveva optato per un piano più sottile e “raffinato”, a detta sempre del francese, ovvero: installare delle telecamere nell’abitazione di Inghilterra. Era un piano perfetto, a zero rischi, poiché era assai improbabile che qualcuno notasse quelle microtelecamere, non più grandi di una coccinella; America ne aveva ricevuto un set completo con circa un centinaio di esemplari come regalo di Natale dai suoi amici della C.I.A. L’unico problema era “non farsi beccare a piazzarle”, e l’eroe non era certo in grado di passare inosservato, per questo era toccato a Francis l’ingrato compito, aveva ancora gli incubi a causa di quell’orribile travestimento da manovale.
Era quasi preoccupante come, in alcuni casi, si trovassero tanto in sintonia, poiché difatti entrambi avevano concordato che, se non potevano scoprire il luogo in cui si nascondeva mister X, allora ci avrebbe pensato Arthur a portarlo a loro.
Ignara pedina, sarebbe stato lo stesso Inghilterra a dichiarare la fine alla misteriosa identità del proprio amante! Prima o poi l’inglese sarebbe stato costretto a portare X nella propria casa e, soprattutto nella propria camera, avendo quel tipo di relazione, e allora Francia e America li avrebbero beccati. Solo di una cosa non aveva tenuto conto.

- Hey, Alfred…- lo richiamò Francis dopo due ore e mezza di silenziosa osservazione, con delle leggere occhiaie scure formatasi sotto agli occhi,
- Uhm… - si limitò a grugnire l’americano, come segno di averlo udito l’americano, senza però togliere lo sguardo dal teleschermo, mentre beveva rumorosamente una bibita con la cannuccia.
- Una volta scoperta l’identità di Mister X, cosa facciamo? – gli domandò confuso e un tantino titubante,
- Non ne ho idea- rispose lui secco, un poco indifferente, ben più concentrato sull’inglese che, al di là del vetro, si era appisolato sul sofà da circa venti minuti dopo aver iniziato la lettura di un libro. “Devo scoprire qual è il titolo” pensava aguzzando la vista, ripromettendosi di andarne a leggere la trama su wikipedia e poi vantarsi di averlo letto, cosa di cui (forse a causa della pesantezza del tomo), Iggy non sembrava riuscire a fare.
- Ah..- commentò Francis, scettico, dubitando dell’effettiva presenza dell’americano.  -… e se Arthur amasse sul serio quel tipo?!- esclamò poi, colto da improvvisi dubbi, facendo cosi sobbalzare Alfred, il quale per poco non rovesciò la propria bibita. Non si aspettava una simile reazione da parte sua, non in quel momento per lo meno.
- Allora credo che la nostra sfida non avrebbe poi cosi tanto senso – convenne America, pensandoci un po’ su, ma con quell’aria menefreghista come se l’eventualità non lo sfiorasse. – Ma finché non sappiamo chi è non possiamo neppure giudicare il tipo di rapporto che hanno..- aggiunse, e il fatto che suonasse come qualcosa di intelligente stupì alquanto Francis, - ad esempio, consideriamo questa opzione: e se fosse umano? – domandò portando su di lui lo sguardo, in apparenza serio sotto la doppia luce di lampade e teleschermi, da cui interno si poteva vedere Inghilterra rigirarsi sul divano sino quasi a cadere.
– E se Arthur si fosse innamorato di un essere umano? – ripete e sta volta, non con poco stupore, il francese comprese cosa fosse tutta quella serietà che sembrava riempirne lo sguardo, normalmente tanto bambinesco e ingenuo.
America era attanagliato dalla preoccupazione, del genere sottile ma persistente, quelle da cui non si riesce mai totalmente ad estraniansi, che ti segue come un ombra.
Assai raro era vedere l’americano con una simile espressione, e una strana sensazione colpì Francis nel guardarlo, in qualche modo, gli fece compassione. Sembrava un bimbo preoccupato per il malessere di un genitore.
- Vuol dire che soffrirà non poco – gli rispose con un mesto sorriso, sapendo di non poter dissipare le paure che lo attanagliavano, entrambi erano nazione, ed entrambi sapevano quale era il rischio quando si intraprendevano un rapporto sentimentale con un essere umano.
Se si era fortunati e rapporto era una semplice scappatella e via, come capitava a tutti e di cui Francia ne era diventato l’esperto, non vi erano problemi. I guai iniziavano quando i sentimenti non si spegnevano e la relazione continuava.
Molte nazioni non l’avevano mai intuito prima che la realtà gli si palesasse davanti in quell’orribile modo: l’essere umano, le persone, sono fragili. La loro esistenza non può che durare un battito di ciglia se messo a confronto con la longevità di un Paese. La malattia, la vecchiaia ed, infine, la morte, sono passi che ognuno di loro doveva compiere, indipendentemente  da tutto, e alla Nazione non rimaneva altro che guardare, osservare come l’amato si spegnesse poco a poco, con il passare degli anni, senza poter far nulla per impedirlo.
-… ma no, Arthur è tutto fissato con le sue fatine, è impossibile – esclamò in tono infantile Alfred, probabilmente solo per interrompere il pesante tensione che la sua domanda aveva suscitato, cercando di scacciare quella stretta al petto che i propri pensieri gli avevano provocato.
- Bhè… Devo ammettere che non hai torto – dovette però dargli ragione Francis, seppur ancora un poco rabbuiato, si chiedeva se fosse possibile che Arthur avesse rincontrato la sua Elisabetta*, come a lui, non molto tempo prima, era capitato con Jeanne.



- … co’a c’è Astrid?- biascicò Arthur sbadigliando sonoramente, destandosi di malavoglia dal lieve torpore nel quale era caduto, assopendosi sul divano del soggiorno. “Questa è l’ultima volta che leggo un libro consigliato da Francis…” pensò mentre una voce sottile, cristallina come uno specchio d’acqua, gli riempiva la mente, richiamando più volte la sua attenzione.
“Arthur… Arthur, arthur svegliati!” lo chiamò una piccola sagoma di luce iridescente, non più alta di dodici centimetri, dalle fattezze umane e talmente esile da parer poter spezzarsi ad un semplice sospiro.
- Si, Astrid! Sono sveglio, sono sveglio…- dovette rassicurare la fatina l’inglese, alzandosi a sedere per raccogliere la piccola creature tra le mani, agitata come raramente l’aveva vista in secoli in cui si conoscevano. Le piccole ali trasparenti, simili a vetro e dai riflessi dell’arcobaleno, sbattevano farneticamente, anche se la fata ne aveva bisogno, posata comodamente sul palmo della sua mano. – Ma cosa ti prende?- le chiese allarmandosi a sua volta, osservando preoccupato quello splendido e minuscolo viso da bambola, bello come poteva essere solo il volto di una fata.
“Occhi!... Tanti, tantissimi occhi!!” gridò lei terrorizzata, causando una leggera emicrania al povero inglese, il quale non era abituato a simili acuti da parte sua, “Ci.. ci stanno osservando!!” continuò tremante, la piccola testolina dai lunghi capelli corvini che si agitava freneticamente da una  parte all’altra, ad osservare ogni angolo della stanza.
- Credo tu abbia fatto di nuovo indigestione…- sospirò Inghilterra accennando ad un leggero sorriso divertito, accadeva sempre cosi quando la fatina mangiava uno dei suoi scones (e questo avrebbe dovuto dargli un idea di quanto pessima fosse la sua cucina, se riusciva a far venire gli incubi anche ad un essere fatata).
“No, no, no… “ negò perentoria la fatina, “è da più di 300 anni che non oso mangiare qualcosa preparato da te!” lo rassicurò,
- Ah…- ci rimase visibilmente male Inghilterra, chinando il capo abbattuto, “neppure tu comprendi la mia straordinaria arte culinaria” pensò, mentre Astrid cominciò a gesticolare forsennatamente, cercando di riattirare la sua attenzione.
“Ci sono occhi in tutta casa..” gli confidò recuperando un po’ di calma, tornando ad un tono di voce più tranquillo, anzi, abbassandola drasticamente, riducendola quasi ad un sussurro,
- PERCHÉ PARLI COSI?..- la imitò Arthur, confuso da un simile atteggiamento.
“PERCHÉ, SE I MURI HANNO OCCHI, ALLORA FORSE HANNO ANCHE ORECCHI,E MIO PICCOLO ARTHIE” gli spiegò svolazzandogli vicino all’orecchio, gesto al quanto inutile in realtà, si disse l’inglese, poiché la loro conversazione (almeno quella della fata), non era formata da parole, ma bensì di pura energia, e quindi non era percepibile dall’orecchio umano. Ciò che Astrid agiva su di lui era una specie di telepatia, che solo col tempo Inghilterra aveva imparato a gestire, riuscendo infine a percepire un qualunque discorso intrapreso da ogni tipo di essere magico.
- Ma smettila con queste sciocchezze, le pareti di cosa mia non hanno nulla del genere!- ribatte l’inglese, cominciando a spazientirsi di fronte a tutta quella sua insistenza, se vi fosse stato sul serio un intruso in casa sua lo avrebbe percepito immediatamente, nello stesso momento in cui avesse varcato la soglia senza il suo permesso (avvolte si considerava meglio del proprio antifurto).
“Come!? Non mi credi” si offese Astrid, spalancando gli occhi dorati inorridita, “… sei solo un ingrato Arthie! Io ti avverto del pericolo e tu mi ignori!!?” si infuriò.
“Ah, l’animo delle fate: cambia al semplice spiffero di vento” pensò smettendole di darle retta, sapendo quanto potessero rivelarsi lunatiche e intrattabile le fatine (lui doveva aver pur preso da qualcuno), decidendo che fosse il momento giusto per gustarsi un the, nonostante non avesse idea di che ore fossero.
“Non ignorarmi!!” lo seguì la fata mentre andava in cucina, visibilmente scocciata, se non furibonda, Arthur non poteva trattarla cosi!
- Vuoi del the?.. O hai paura che ti possa avvelenare anche con quello?- le domandò lui tranquillamente, marcando con estremo sarcasmo la seconda domanda, e solo allora Astrid si accorse del peso che aveva avuto sull’inglese la sua rivelazione, ma al quale lei sul momento non ci aveva fatto molto caso.
“Nhaa! Non fare il bambino!” lo rimproverò sbuffando, “Non possiamo fare entrambi gli offesi!”
- Bhè… Io mi sono offeso prima di te, quindi ho la precedenza! – ribatte Inghilterra, dandole le spalle mentre riempieva la teiera nel lavello prima di metterla sul fuoco,
“Può anche essere, ma il mio era un discorso serio!”
- Il fatto che tu abbia disprezzato la mia cucina in segreto per tutto questo tempo È UN FATTO SERIO! –
E il pesante silenzio che ne segui, mentre entrambi ribollivano nella propria rabbia, fu interrotto solo dal fischio della teiera,
“Nhe… Arthie” si avvicinò timidamente la fatina, tirando fuori l’espressione più ruffiana che riuscisse a fare, “il tuo the lo voglio però..” cercò di addolcirselo, cosa che gli riuscì con estrema facilità.
- Va bene..- le acconsentì allora l’inglese con un sospiro stanco, ma accennando un leggero sorriso, gli era impossibile rimanere arrabbiato con lei troppo allungo e sin dall’inizio aveva preparato due tazze sul ripiano della cucina (una della quali era però a misura di bambola).
“Senti Arthie, ma non avevi un impegno oggi.?” gli fece memoria Astrid intanto che entrambi si gustavano la bevanda calda ed ambrata,
- Hai ragione!- esclamò allarmato, andando subito a controllare l’orario sull’orologio appeso sulla parete, ma erano solo le 3.46 del pomeriggio aveva ancora più di due ore prima del suo appuntamento, poteva rilassarsi. – Certo, devo andare all’aeroporto a prender..!- si bloccò, sussultando, rischiando di rovesciare la tazzina di the, i suoi occhi avevano appena visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. – Ma cos’?- non fece in tempo a chiedere prima che un boato assordante invadesse la stanza.

Dall’altra parte dell’oceano, intanto, Alfred e Francis si erano stufati di guardare i teleschermi e avevano preso a giocare a carte.
- Hai qualche tre?- chiedeva l’americano,
- Ma non stavamo giocando a strip-poker?- ribatteva l’altro, già ridotto in mutande da un paio di turni.  

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*: mi riferisco alla regina Elisabetta I (<--- mi ci sono fatta un po' di trip mentali xP )

è un po' tardi per chiederlo, ma avete passato delle buone vacanze? ^^' *fugge*
Scuse?.. Non ne ho. Posso solo dire che mi dispiace farvi attendere tanto per un capitolo, e che probabilmente questo non sarà un granchè apprezzato, poichè non è successo nulla xP , ma sto allestendo la spettacolare entrata in scena dell'ultimo protagonista di questa fanfiction e per essere sicura di non farvi attendere troppo, corro subito a scriverla ^^
Come sempre, ringrazio chi mi sta seguendo, chi ha messo la ff nei preferiti e nei ricordati, e chi mi legge per la prima volta (vi adoro tutti! <3 ) , spero che continuerete a seguire questa mia storia (nel prossimo capitolo, oltre all'introduzione dell'ultimo personaggio si ritornerà anche alla tabella segna punti ^___- ).
P.S: Sperando di non avervi deluso troppo con questo capitolo incloncudente, vi saluto

bye-bye
e alla prossima ;-)))
  
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