Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: LumineNoctis    21/01/2013    2 recensioni
Zeus ha avuto figli.
Poseidone anche.
E Ade?
Questa Fanfiction è basata sui fatti, leggermente distorti, del primo libro della saga di Percy Jackson. E' la mia prima vera Fanfiction, spero di trovare il tempo necessario per dedicarmici. ^^
'Si inchinò anche alla Regina degli Inferi, e poi si bloccò. Mi aveva visto, interrompendo il suo inchino a metà. Per quanto non fosse una creatura particolarmente intelligente, capì in poco tempo chi fossi. Sarà stato per via dei miei occhi innaturalmente rossi e gialli. Fece un passo indietro, preoccupata.
- Divino Ade, chi è questa mortale? – fece, indignata.
- Non parlare così di mia figlia, Echidna. E’ mia figlia, si. E’ una semimortale, una mezzosangue. – disse annoiato Ade.
- Una semidea – sussurrò Echidna.'
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tock tock.
- Avanti – mugugnai, sollevando la testa dal cuscino.
Persephone entrò, seguita dallo strascico ondeggiante del suo vestito striminzito di seta rossa. Non capivo perché doveva essere sempre così maledettamente bella e affascinante. Forse per suo marito? Naaah, sapevo bene che lei lo odiava. Forse solo per la soddisfazione di essere bella e vederlo posare l’occhio.
- Tesoro, scendi a mangiare? – disse lei.
- Arrivo subito – le sorrisi.
La mia matrigna era una delle poche cose belle di quel posto torrido. Dolce, sicura di sé, premurosa, spiritosa. Un modello da seguire. 
Lei sorrise a sua volta, i denti bianchi a contrasto con la pelle ambrata. 
Richiuse la porta delicatamente, e rimasi un secondo ad ascoltare i suoi passi che rimbombavano sulla scala di marmo.
Mi infilai una vestaglia nera. Non era dignitoso presentarsi davanti ad un dio in pigiama. Chissà perché, ma fuori dalla mia stanza mi sentivo perennemente osservata e giudicata, sempre tenuta ad essere all’altezza di ogni situazione. Rifeci la coda di cavallo, che si era accasciata da un lato a forza di stare immobile sul letto. Rivolsi un sorrisetto sprezzante allo specchio. Come al solito i miei occhi risaltavano sull’incarnato pallido. Erano di un rosso mattone, con la parte più interna, attorno alla pupilla, gialla. Inquietanti. 
 
Scesi le scale, velocemente, lo sguardo radicalmente a fissarmi i piedi nudi, per non guardare, neanche di sfuggita, il paesaggio fuori dalle finestre vittoriane. Desolazione. Fuoco. Demoni alati ossuti e gracchianti che sputavano fuoco verso le anime stipate nei buchi del Tartaro. 
Arrivai nella Sala da Pranzo. Il lungo tavolo di mogano troneggiava la sala, con tre sedie ossute, due capotavola, e una solitaria, a metà di un lato del tavolo. Mio padre arrivò barcollando dalle scale dietro di me, e una zaffata di puzza di zolfo mi investì. Mi scansai, sperando di confondermi con la parete di ossidiana. Non successe. 
- Vieni a tavola, Cinder – sbottò, la sua voce tagliente che ghiacciava le ossa.
Sbuffai, sprezzante. Spostai la sedia, sapendo che il grattare della sedia sul pavimento lo infastidiva. Lo feci più forte. Mi sedetti, guardando di sbieco mio pare che digrignava i denti. Basta davvero poco a far infervorare gli dei.
Persephone arrivò canticchiando una canzoncina malinconica, stringendo tra le braccia un grosso piatto carico di carne al sangue. Lo poggiò davanti a mio padre, rivolgendogli uno sguardo fortemente ammiccante. Imprecai in silenzio. 
Si sedette anche lei a tavola, senza interrompere lo sguardo appassionato ad Ade, che aveva già afferrato il coltello. Poi Persephone distolse lo sguardo.
- Andrapodon! – gridò, con la testa rivolta verso il camino, in greco. ‘Schiavo’, tradussi mentalmente.
Le fiamme diventarono nere, e poi tornarono arancione. Dal cornicione uscì una piccola figura raggrinzita e pallida, avvolta in stracci. Era il servo che, da sempre, ci serviva ogni pasto, e ogni notte puliva il palazzo. Non sapevo definire cosa fosse, forse un cadavere emaciato e piccolino, un ammasso di carne animato dalla volontà di Ade. Fattostà che questo essere sapeva far apparire all’istante ogni ben di dio, in piatti di bronzo finemente decorato. Ade, invece, mangiava la carne cruda dei preziosi animali di Demetra, dea dell’ agricoltura e madre di Persephone, che quest’ultima amava uccidere e preparare con le sue mani per il suo amato maritino. In teoria gli dei potrebbero nutrirsi esclusivamente di Nettare ed Ambrosia, ma Ade preferiva macchiasi anche del peccato della gola. Persephone approfittava del cibo degli dei, invece. Il servo infernale le posò davanti un calice di ossidiana riempito di liquido fresco ed ambrato, ed un piatto pieno di pezzi di quella che sembrava ambra tagliata a forma di gemma. Persephone pretendeva che la sua Ambrosia fosse tagliata sempre a forma di gioiello. Il servo posò davanti a me un piatto colmo di melograni e frutti dell’oppio, i frutti degli Inferi.. Poi mi sistemò davanti un calice identico a quello di lei, pieno dello stesso liquido ambrato. Lo bevvi. Anche gli dei sentono il sapore di ciò che amano o desiderano di più, e ciò funzionava anche per una semidea come me. Aveva un sapore strano, dolce e vaniglioso. L’avevo sempre amato.
La mia matrigna guardò torva il mio piatto, sorseggiando il suo Nettare. Infatti, quando Ade aveva l’aveva rapita dal cospetto di sua madre, lei aveva accettato di mangiare soltanto sei chicchi di melograno. Da quel momento, odiava il frutto che le ricordava l’inizio della sua vita col suo dolce maritino. Avvertivo i grugniti di Ade che addentava la sua carne, e il gorgoglio del sangue che colava fuori dalle membra degli animali e probabilmente gli finiva nei capelli incolti.
- Di cosa sa, per te? – chiesi a Persephone, indicando con il mento il calice. 
Lei deglutì prima di rispondermi. Assunse un tono dolcemente malinconico. 
- Sa di casa, di frutta e verdura fresca scaldata al sole. 
Sottolineò per bene la parola ‘sole’, sperando che Ade cogliesse il suo risentimento.
Sapevo bene che amava il potere che le dava essere la regina degli Inferi, ma sapevo anche che le mancava l’Olimpo, durante i sei mesi che era costretta a passare in quel buco puzzolente.
Ade si pulì il sangue dalla barba.
- Cindy, ho promesso a quella mortale che compiuti quattordici anni avresti passato la primavera e l’estate nel mondo mortale. Purtroppo devo mantenere la promessa, ho promesso col sangue.
Non sapevo cosa intendesse per ‘promesso col sangue’, ma decisi che non mi interessava. Riguardava di certo o qualcosa di raccapricciante o qualcosa di assolutamente non adatto alla mia età. Notai però con quale disprezzo pronunciasse la parola ‘mortale’.
Ero assolutamente combattuta, anche se sapevo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi. Odiavo questo buco torrido, ma mi immaginavo il mondo mortale come un posto ancora più squallido e puzzolente. E odiavo mia madre già per il solo motivo di aver sfidato un Dio al sottile gioco dell’amore. Chi aveva vinto? Di certo non io.
- Non voglio andarci – sibilai, lanciandomi un chicco di melograno in bocca. Lo schiacciai con la lingua sul palato, e il suo succo dolce ed acidulo mi esplose sulla punta della lingua. Mi scese in gola, lavando via un po’ dell’ amarezza che avrei voluto dedicare a quella discussione.
- Oh, tu ci andrai, invece – si infervorì Ade, mandando scintille con gli occhi.
- E sennò? – chiesi, beffarda.
Lui fece un respiro profondo, come per calmarsi, si alzò dalla sedia, e scostò la tenda di velluto nero dalla finestra. Subito i Campi della Pena e una parte dei Campi Elisi mi balzarono agli occhi.
- Ti mando dalle Furie, per aiutarle con il loro lavoro – sentenziò, gelido, indicando con il dito una zona piena di rivoletti di lava dei Campi della Pena.
Osservai Aletto che scuoteva la sua torcia sopra i Dannati, e le tre Furie che sollevavano e cercavano di far cadere nella lava altri. Rabbrividii.
- Preferisco una bella vacanza alle Isole dei Beati, grazie – sorrisi con innocenza. Anche il servo, che stava in piedi a testa bassa, in un angolo, parve cogliere il mio sarcasmo. Lo sentii squittire.
Lui contrasse la mascella, andandosi a sedere sul suo trono di ossa fuse. Si scostò i capelli lunghi e corvini dal viso, e si accasciò un poco.
- Tu ci andrai – disse calmo – lo farai e basta.
Non risposi, gli lanciai un’occhiata velenosa e mi rivolsi a Persephone, addolcendo un poco il tono di voce.
- Tu che ne pensi? 
Lei alzò le mani e sgranò gli occhi, da falsa innocente. 
- Io? Oh, cara, io non rimarrei in questo buco putrido un istante di più – mi sussurrò ad un orecchio, in modo che Ade non sentisse. Aveva accavallato una gamba, scostando un poco la veste nera, e ora passava un dito magro sul profilo delle ossa del suo trono. 
Sorrisi alla mia matrigna. Del resto, se lei non vedeva l’ora di tornare in superficie un motivo c’era. E non avevo voglia di passare sei mesi da sola con Ade, a sbirciare di nascosto il ricevimento delle sue guardie e delle varie creature a suo servizio, e neanche di stare ad osservare il suo modo animale di mangiare carne cruda. No, non sarei rimasta. Era ora di provare a respirare della vera aria.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: LumineNoctis