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Autore: Nanek    21/01/2013    4 recensioni
Questa è la storia d’amore di James e Charlie, una storia d’amore come tante, forse, ma unica e perfetta per loro due; una storia d’amore che è stata fermata dalla guerra, la guerra del Vietnam.
Ma in questa storia d’amore, c’è anche un altro personaggio: Billy White, soldato semplice, al primo anno di guerra, amico di James.
Ma perché ci deve essere un altro ragazzo in una storia d’amore? Beh, Billy sarà colui che li salverà entrambi.
Tratto dal primo capitolo:
"Caro James,
mi manchi, e sono ormai ripetitiva, te lo scrivo in ogni lettera che mi manchi, ma non credo mi stancherò mai di farlo; amore mio, aspetto la tua risposta ogni giorno, una risposta che non arriva mai, e che mi sta spaventando"
“Cara Charlie,
mi scuso per le mancate risposte, ma qui si fa la guerra, il tempo scarseggia, e i miei soldati hanno bisogno di me.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 2

Lost and insecure you found me

14 ottobre 1971

Aveva spedito quella lettera da sette mesi.

E da sette mesi, il caporale Phillips non era ancora stato trovato.

Billy era tornato sul campo, e miracolosamente, era ancora vivo.
Quel giorno, mentre camminava con gli altri verso la base, si rese conto di quanta forza di volontà avesse dentro, si rese conto, che quella guerra lo stava cambiando, si rese conto che stava lottando davvero.
Come se spinto da uno spirito altruista, come se stesse vivendo per uno scopo, non personale: non stava lottando per salvarsi la vita, non stava lottando per i soldi che avrebbe ricevuto quando quella guerra sarebbe finita, lui stava lottando per il caporale Phillips.

Stava lottando per Charlie.

In quei sette mesi, non perse mai la speranza di trovare il caporale, magari nascosto da qualche parte, magari vederlo zoppicare fino alla base, non voleva convincersi che fosse morto, voleva ancora sperare in un miracolo, lo stesso miracolo che lo faceva stare vivo, lo stesso miracolo che lo proteggeva; voleva tornare ogni sera vivo, voleva tornare per poter trovare una lettera di Charlie.

Sapeva che stava illudendo una ragazza, sapeva che darle tutte quelle speranze non sarebbero state adatte in caso di ritrovamento del corpo senza vita di James, ma nonostante questo, Billy sentiva dentro di sé il dovere di rassicurarla, il dovere di confortarla, come se James fosse ancora lì, accanto a lui.
James era colui che gli aveva salvato la vita, James era un padre, James non lo avrebbe deluso, sarebbe tornato, e sarebbe stato felice con la sua famiglia.

***

-sei destinato a vivere James, te l’assicuro- diceva Billy, mentre si rinfrescava con l’acqua fresca del fiume.

Erano passati solo due mesi dal suo arrivo nell’esercito, il giovane Billy White si sentiva come un pesce fuor d’acqua in mezzo a quella guerra.
Aveva rischiato di morire più di una volta, in appena due mesi; la speranza di tornare a casa vivo, ormai, era andata sotto i piedi: sapeva che non ce l’avrebbe fatta.

-anche tu sei destinato a vivere, ti proteggo io- gli aveva risposto James, indossando la maglietta verde, ormai tappezzata di macchie.

Il caporale Phillips aveva da subito manifestato il suo affetto nei confronti del giovane Billy, il che, poteva suonare abbastanza inquietante; il caporale tentava sempre di difenderlo, lo salvava dagli attacchi diretti, lo spingeva, facendolo cadere, per evitare una bomba o direttamente una pallottola nel cranio, il caporale sembrava più interessato alla sua vita che alla propria, Billy non capiva il motivo di tale attaccamento.

-tranquillo soldato White, posso assicurarti di non essere gay, mi piacciono le donne, anzi, una donna, e oltre a lei nessun’altra- l’aveva rassicurato James, sorridendo a quell’affermazione.

Fu quel giorno che Billy conobbe Charlie, la ragazza del caporale, fu quel giorno che venne a conoscenza di morte e miracoli riguardanti loro due.

-sai perché mi stai simpatico?- gli aveva chiesto James.
-sono curioso caporale.-
-hai gli stessi occhi di Charlie, sicuro di non essere suo fratello?-
-spiacente caporale, sono l’ultimo di sette fratelli.-

***

Billy sapeva tutto su James, e James, sapeva tutto su di lui.

Le loro serate le passavano così, seduti uno affianco all’altro, a contemplare la luna, che sembrava essere l’unica cosa che non mutasse mai nonostante la guerra; stavano lì e parlavano, si conoscevano, si confidavano i segreti più intimi e nascosti.

James era un libro aperto.

Billy sapeva che il caporale aveva una figlia, la piccola Ashley, che non lo aveva mai visto; sapeva che il caporale era abituato alla guerra. I suoi otto anni glieli raccontava nei minimi dettagli: dalla prima missione dal 1961 al 1963 e poi di nuovo dal 1966 al 1971.
Sapeva ogni cosa riguardante Charlie, sapeva cosa amava sentirsi dire e cosa invece non sopportava, sapeva che canzoni ascoltavano insieme e quali invece si divertivano a deridere.
James e Billy erano diventati migliori amici.

Ed ora Billy era lì, in mezzo agli altri, e si sentiva nuovamente solo e abbandonato, alzava lo sguardo verso la luna, e sperava che anche il caporale la stesse guardando.

Billy non riusciva a mettersi l’animo in pace, non riusciva a convincersi che la vita del caporale fosse finita, come gli ripetevano da mesi i suoi compagni.
James gli aveva insegnato a difendersi, James l’aveva salvato, James aveva giurato a Charlie che sarebbe tornato, doveva mantenere la parola data.
Entrò nell’accampamento, e una volta trovatosi disteso sul letto, entrò un soldato: i capelli rossi, il viso lentigginoso, gli occhi color nocciola, sempre lui: Paul, il postino.

Erano mesi che non lo vedeva, e quasi temeva per la sua vita, rivederlo gli dava gioia, gli dava speranza: sapeva che una lettera era destinata a lui, sapeva che era giunto il momento di proteggere Charlie, di nuovo.

Paul cominciò a urlare i nomi dei destinatari.
-Michael Black! Russell Lee! James Phillips!- e a quel nome, tutti si guardarono interdetti.
-il caporale è morto mesi fa idiota!-
-scrive dall’aldilà adesso? Ahah-
-è per me la lettera, idioti.- intervenne Billy, tra i commenti generali.
-da quando sei caporale, novellino?- lo derisero.

Panico.

Che fare in quel momento?
Come spiegare quello che stava facendo?
E come un fulmine a ciel sereno, Billy realizzò una cosa. Una cosa che non doveva passare in secondo piano.

Timore.

E se avessero mandato una lettera a Charlie?
Se l’avessero informata sulla scomparsa di James?
No, quello non era possibile, di solito lo facevano dopo almeno un anno di scomparsa.
E se invece lo avessero fatto perché lui era un caporale?

Billy prese dalle mani di Paul la busta appena arrivata e lo trascinò con sé nel corridoio, in un angolo, dove nessuno potesse notarli.
Paul era come spaventato dalla mossa del soldato, era diventato più muscoloso dall’ultima volta che lo aveva visto, nei suoi occhi non c’era più l’aria spaventata del novellino.

-Paul, mi serve una conferma- gli disse con tono aggressivo; Paul si limitò ad annuire.
-ti hanno già incaricato di portare in America le lettere delle scomparse o delle morti?-

Ma Paul continuava a sembrare spaventato.

-che hai? Ti hanno mangiato la lingua? Parla Paul è importante!-
- l-le d-devo.. s-spedire.. d-domani.. –
-ma come? Non è passato un anno!-
- d-durante l-la g-guerra.. è.. d-difficile.. – lasciò in sospeso la frase.
-dannazione Paul! Smettila di tremare e parla da uomo!-
- negli ultimi mesi è stata dura inviare lettere, le uniche che sono partite a marzo erano solo quelle del caporale Phillips e del medico che richiedeva medicinali, c’erano i bombardamenti, non si poteva inviare le lettere, e , ora che si sta calmando la situazione, volevamo spedirle, questo è tutto- disse tutto d’un fiato.
-sei sicuro che a marzo siano state inviate solo quelle? La lettera della scomparsa del caporale ce l’hai qui? Sei sicuro?- continuava a chiedere Billy, preso dall’ansia.

Paul cominciò a frugare nell’enorme borsone, pieno di buste, tutte sistemate in ordine alfabetico.

Quando arrivò alla lettera “P”, tirò fuori la busta e gliela porse.

-eccola, non l’hanno spedita-
-quanto vuoi per far finta che non sia mai esistita?- sbottò Billy.
- c-cosa?-
-questa lettera non deve arrivare in America.-
- m-ma, il caporale è morto!-
- il corpo non è stato trovato-
- ma.. ma cosa stai dicendo Billy? Non essere ingenuo.-
- ti ho chiesto quanto vuoi per questa lettera, Paul. James tornerà, e io ne sono certo.-

Paul lo guardò, con sguardo curioso, come se stesse cercando di cogliere qualcosa che gli stava sfuggendo; vide la mano di Billy, che teneva ben salda la busta consegnatagli pochi minuti prima.

-tu scrivi lettere alla fidanzata del caporale, fingendoti il caporale?! Sei diventato idiota?!-
-le do la speranza che merita.-
-il caporale è morto da sette mesi! Stai peggiorando le cose!-
-e se tornasse? Il corpo non l’hanno trovato! Perché togliere quella speranza a Charlie, eh? Perché?-

Paul non rispose, si limitò a fissare per terra.

-ti ho chiesto quanti soldi vuoi per questa lettera, ti darò quello che vuoi pur di non inviarla a Charlie, non si merita tutta questa sofferenza, lui tornerà-
-e se così non fosse?-
-andrò io personalmente a dirglielo-
-e se tu muori qui?-
-devi portare sfiga per caso? Pensavo dovessi portare la posta.-

Quella risposta fece sorridere Paul; i due si fissarono, poi Paul, gli consegnò l’altra busta, e si allontanò.
-cosa vuoi in cambio Paul?!- gli urlò Billy.

Ma il postino non si voltò, si limitò a dire –domani portami la lettera per Charlie, caporale, merita di ricevere la sua risposta- salutandolo con la mano alzata.
 


 
Billy sedeva su una roccia, appoggiata sulle gambe la sua macchina da scrivere, illuminato da una piccola lampadina, non troppo visibile per il nemico, ma sufficiente a leggere quella lettera.

“caporale James Phillips, amareggiati di annunciare la sua scomparsa, cordiali condoglianze. Tenente Bell”

La lettera che avrebbe rovinato i suoi piani.
L’appoggiò a terra, prese l’accendino dalla tasca e le diede fuoco.
La guardava bruciare, guardava sparire in briciole di cenere quello che sarebbe bastato a mandare all’aria quella sua missione: dare speranza a Charlie.
Sarebbero bastate quelle poche parole a distruggere tutto.

Prese la sigaretta, che teneva sull’orecchio, l’accese e ispirò un po’, per poi cominciare a leggere la lettera di risposta di Charlie.


“Caro James,
tu non sai quanto mi hai reso felice rispondendo alla mia lettera, ti giuro amore mio, credo di aver pianto per almeno una mezz’ora, se non di più; all’inizio pensavo ti fosse successo qualcosa, ma poi ho visto la tua firma, e il mio cuore non è scoppiato per la troppa gioia.
So che la guerra che stai combattendo è dura, so che non tornerai prima della sua fine, so quanto contano i tuoi uomini per te, e so che sarà dura aspettare tanto tempo prima di una tua prossima risposta, ma io ti aspetterò, io lo giuro che aspetterò, e lo giuro, mi fido di te, so che tornerai.

Devo dire che la tua richiesta mi ha fatto sorridere, mi fai sempre sentire troppo importante amore mio, mi fai arrossire come tuo solito, ma amo anche questo di te.
Il nostro primo incontro, e chi se lo scorda? Io no di sicuro, ed è per questo che oggi, ti racconterò nei minimi dettagli quello che abbiamo passato.

Sappi una cosa: so benissimo che lo ricordi anche tu, ma so anche che sei un romanticone e che ti piace il mio modo di raccontare le cose che abbiamo fatto e vissuto insieme.

Cominciamo allora, era il 10 giugno 1957.
Io avevo, come te del resto, 15 anni.

Credo che io debba essere grata in tutte le lingue possibili a mia madre per averti incontrato quell’anno; in campeggio non ci volevo proprio andare, era troppo noioso per i miei gusti, non si poteva andare nel bosco senza l’accompagnatore, non si poteva fare il bagno nel lago per via delle sanguisughe (ma non c’era nessuna sanguisuga) , non si poteva fare nulla, e tutto questo mi annoiava.
Mi pento, giuro, di esser stata due settimane chiusa in camera, invece di uscire, invece di incontrarti prima.

Ma d’altronde, dovevo arrivare al limite della sopportazione prima di esplodere, prima di prendere il mio giubbotto e inoltrarmi a notte fonda nel bosco, senza accompagnatore.
Mi ricordo quella notte, credo di non aver mai corso così tanto in vita mia, le mie gambe ancora mi fanno male al pensiero, quanto che ho corso, quanti graffi che mi ero fatta, perché da brava imbecille ho tenuto i pantaloni corti.

Ricordo che quando il fiato finì, cominciai a capire in che guaio mi fossi cacciata.

Da sola nel bosco, di notte.
L’ansia che provai mi fa ancora rabbrividire, quanto panico in quel momento, quanta paura.

I miei stessi passi mi facevano sobbalzare, se sentivo un gufo mi chiudevo a riccio in me stessa, se calpestavo un bastoncino secco, lasciavo scappare qualche gridolino.
Quanta paura in quel momento. Quante lacrime sono cominciate a scendere.
Cominciai a correre senza una meta, di nuovo, ed arrivai al lago, vicino al campeggio, ma a notte fonda, non è possibile riconoscere i nostri movimenti, figuriamoci i luoghi.
Mi accucciai alla base di un albero, che fiancheggiava l’acqua e cominciai a piangere, singhiozzando più forte.

Fu allora che sentii una voce.

-che hai tu?- mi chiese quella voce, spaventandomi e facendomi urlare.
-e smettila, frignona- mi rimproverava.
-cosa vuoi da me? Chi sei tu?- chiesi, impaurita.
-sono l’albero magico- rispose, sentii una risatina.
-per chi mi hai preso? Ho 15 anni non quattro- dissi con tono scocciato.
-da come piangi e urli ne dimostri almeno due.. neanche mia sorella è così fifona- continuava la voce.

Non riuscivo a vedere nulla, era troppo buio, non capivo da dove venisse quella voce.
Feci il giro del tronco, ma niente, tra i cespugli non c’era nulla, la voce veniva dall’alto, veniva da un ramo dell’albero.
E solo allora alzai lo sguardo, e vidi, grazie anche alla luce della luna, un’ombra.

-si può sapere chi sei?- continuai, e vidi l’ombra muoversi: qualcuno era appoggiato di schiena al tronco dell’albero, le gambe distese, le mani dietro la nuca.
-te l’ho detto, sono l’albero magico.- continuava a deridermi quella voce.
-guarda che ti vedo..-
-ah si? Che colore sono i miei occhi?- mi istigò la voce.
-se mi dai una mano a salire lo scopro-
-negativo ragazza, questo posto è mio.-

Sospirai.

-io mi chiamo Charlie- annunciai
-e chi te l’ha chiesto?-
-sei un albero antipatico..- e sentii di nuovo una risatina
-puoi dirmi come faccio a tornare al campeggio? Mi sono persa-
-basta che segui il lago qua davanti, arrivi in dieci minuti..-
-beh.. grazie albero- e salutai quella voce.

Fortunatamente quell’indicazione si mostrò esatta e io riuscii a rientrare prima che qualcuno si rendesse conto della mia fuga.
La sera seguente, logicamente, tornai lì, sta volta però, armata di scala, curiosa come mio solito, di vedere a che faccia appartenesse quella voce.
Sempre fortunatamente, quella voce era lì, come ad aspettarmi.

-Charlie? Sei tu?- mi chiese, appena sentì i miei passi.
-vedo che non ti scordi di me, albero- risposi io, posizionando la scala, sentii una risata.
-che stai facendo?-
-voglio vedere chi sei-
-non puoi venire qui! Le ragazze non sono ammesse!- ma era troppo tardi.

Mi arrampicai con tutte le forze che avevo in corpo, e raggiunsi quella voce, che quando mi trovai in difficoltà per salire, mi prese la mano e mi trascinò su.
Finalmente, eravamo faccia a faccia.
Ti puntai la pila che mi ero portata dietro, negli occhi, e dire che mi innamorai del tuo sguardo è dire poco.
I tuoi occhi, occhi azzurri, così glaciali, da farmi arrossire, ti eri messo una mano davanti il viso, per proteggerti dalla luce, e mi davi della pazza.

-i tuoi occhi sono azzurri- ti dissi io, in risposta alla sera precedente.
-e i tuoi capelli sono biondi, caro albero.- conclusi, spegnendo la torcia.
Sorridemmo entrambi, poi tu –io mi chiamo James- prendendomi la pila dalle mani e puntandomela addosso.
-tu invece hai gli occhi verdi e i capelli castani, Charlie- e sorrisi.

Inutile dire che quella notte parlammo così tanto da avere la bocca secca, inutile dire che, mi innamorai di te nell’arco di poche ore.
Eri, e sei tutt’ora, così dolce, sempre pronto ad ascoltarmi, sempre pronto a farmi sentire importante, sempre lì, in silenzio a fissarmi e a farmi domande di ogni genere.
Credo che in una notte, tu sia riuscito a conoscere tutto quello che mi caratterizzava in 15 anni di vita, sentivo il bisogno di dirti ogni cosa su di me, sentivo per te un’attrazione così forte da non poter resistere: volevo piacerti, volevo dimostrarti che avevi incontrato la persona che faceva al caso tuo, volevo che tu provassi i sentimenti che stavo provando io, volevo essere tua ad ogni costo.

Ma come ben sappiamo, non sempre tutto inizia bene no?

E infatti, due giorni dopo, quando tornai su quell’albero, tu non c’eri più, avevi lasciato solo un post it, che credo di avere ancora da qualche parte.

“North Chicago Street , 8 , Joliet, IL, Stati Uniti : se ti va di mandarmi qualche lettera, sarò lieto di leggerla. L’albero magico, James Phillips”

Inutile dire che urlai di gioia.

Vivevi a Joliet, io a Romeoville , non eravamo troppo distanti, in un’ora avrei potuto venire a salutarti, ma, non lo feci mai, l’idea di una corrispondenza tramite lettere mi ha sempre entusiasmato, come stiamo facendo ora.
Amore mio, questo ricordo del nostro primo incontro mi fa venire il magone, quanto eravamo piccoli, quanto eravamo ingenui, quanto io mi ero illusa, brutto antipatico che non sei altro, ma ti rendi conto che ci scambiavamo lettere e tu stavi con un’altra? E tutto questo me lo hai detto solo il giorno del nostro primo appuntamento, povera ragazza, provo ancora pena per lei, ma d’altronde, tu eri mio, eri destinato a me, e questo, io l’ho sempre saputo.

James, sono sempre io a raccontare, ma.. sai che mi sono resa conto di non averti mai chiesto cosa provasti tu? Non ti ho mai chiesto nulla, non mi sono mai soffermata sui tuoi pensieri, e mi sento un po’ antipatica per questo; lascio a te la parola amore mio, nella tua risposta vorrei solo sapere che hai provato, nel dettaglio però, non voglio sentire sempre la solita scusa del “mi stavi simpatica”, voglio sapere quello che provi James, voglio sentirmelo dire, voglio non dimenticarmi dei tuoi sentimenti per me.
A presto amore mio,

Charlie”

 
Billy sorrise quando finì quella lettera, si sentì un po’ un intruso in quella storia che non gli apparteneva, ma sapeva benissimo che sarebbe successo: se voleva darle speranza, doveva saper affrontare queste esperienze, sapeva che la timidezza non sarebbe stata d’aiuto, sapeva che doveva essere James in tutto e per tutto.
Ringraziò il cielo di averlo conosciuto così bene, e ringraziò il cielo di conoscere così bene ogni singolo dettaglio della storia di James e Charlie, poteva risponderle senza esitazione, poteva esprimere davvero quello che lui gli aveva raccontato.

Cominciò a scrivere, cercando di non dimenticare nessun particolare.


“Cara Charlie,
non sai da quanto ho aspettato questa risposta, non sai da quanto tempo ho aspettato Paul con la busta per me.

Rileggere l’inizio della nostra storia mi da i brividi, come sempre, mi riempie l’anima e mi fa vivere; sei sempre adorabile amore mio, ma dico, non la smetterai mai di rinfacciarmi il fatto che stessi con un’altra mentre mantenevo una relazione via lettere con te? Avanti, dimenticati di.. come si chiamava? Daphne? Selena? Tiffany? Non me lo ricordo più sinceramente, e sai perché? Perché io ho scelto te, e ora non arrossire, lo so che lo stai facendo.

Ho scelto te dal primo momento che ti ho sentita piangere sotto quell’albero, ho scelto te quando ti ho aiutata a salire, ho scelto te quando ho illuminato con la pila i tuoi splendidi occhi verdi amore mio.

Visto? Non sto usando la scusa del “eri simpatica”, anche se comunque è vero, mi facevi ridere, il suo senso dell’umorismo è sempre stato un punto a cui non sapevo, e non so tutt’ora, resistere, amavo sentirti parlare, amavo le tue interruzioni dei discorsi per fare una battuta, ridevo e ridevo, e tu mi guardavi incredula mentre lacrimavo dalle risate.

Mi chiedi cosa provai? Vuoi davvero saperlo? Credo di non essere un buon scrittore come lo sei tu, mia cara giornalista.
Credo che sarei banale a esprimere i miei sentimenti, ma se questo può renderti felice, ci proverò.
Ricordo quando ti ho puntato la luce della pila, quanto mi sentii brutto davanti a te, quanto eri, e sei, bella piccola Charlie, ricordo che indossavi il tuo vestito rosso con i fiori, e se lo hai fatto per farti piacere, beh, ci sei riuscita in pieno, dato che io ero vestito con il pigiama.

Non sai quanto ti ho pensato dopo quella notte, al campo tutti mi prendeva in giro, ma a me poco importava.
Poi si sa, sono tornato a casa, ma non mi sono scordato di te; quel post it.. tu non immagini quante prove io abbia fatto prima di appenderlo al tronco, ho consumato un intero blocchetto, e non sai quanta paura avessi: temevo non lo avresti trovato.
Ma, tu sei la mia Charlie, e io il tuo James, e come ti piace ricordare, eravamo destinati a stare insieme.

Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, sei la mia piccola Charlie, che amo tenere tra le mie braccia e riempire di baci sulla testa; amo immergere il mio naso tra i tuoi capelli, amo sentire quel profumo che mi manca da morire in questo momento: cocco.
E a volte rido sai? Perché qui, i capelli delle donne dei miei ragazzi sanno di vaniglia, di pesca, di rose, di muschio bianco, e poi intervengo io e tutti mi guardano interdetti.
Ogni volta che dico di cosa profumano i tuoi capelli, quasi rido, perché mi ricordo le tue manie, mi ricordo le tue parole, come quella volta che ti chiesi perché proprio il cocco.

“ma come?? Non lo sai? Il cocco tiene i capelli lisci e luminosi, le sue fibre mi fanno i capelli più belli di miss Illinois!” e io rido, sempre.

Non ti sto prendendo in giro, ma questo tu lo sai, perché sai che io amo quel profumo, perché so che nessun altra ha il tuo stesso odore, nessun altra è come te, tu sei unica.

Sai una cosa? Vorrei tanto dirti ancora tutto quello che sento per te, ma questo, rovinerebbe la mia intenzione: non voglio finire con il ripetere sempre le stesse cose, non voglio sciupare in solo una lettera quello che sento per te.
Ti chiedo quindi, di aspettare una prossima lettera, nella quale, tu comincerai a raccontarmi di quel che è successo il 16 luglio 1958, data a me cara, e tu sai perché.
Scrivimi presto piccola mia,

James”

Billy piegò quel foglio di carta e lo mise in una busta, già pronta con l’indirizzo battuto a macchina.
Quella lettera era perfetta, era esattamente come James l’avrebbe scritta, e lui lo sapeva benissimo.
Il motivo di tale sicurezza lo fece tornare indietro nel tempo, una notte passata a fare il turno di guardia con il caporale.

***

-caporale, mi parli della sua di ragazza, io sono a corto di informazioni per quanto riguarda il tema donne-
-che vuoi sapere di lei?-
-non lo so.. quello che lei si ricorda-
-mi ricordo tutto di lei.-
-mi dica le prime cose che le stanno passando per la mente.-
James ci pensò su prima di rispondere.
-beh, Charlie odia che io nomini Whitney, lei era la mia ragazza quando avevo 15 anni, e anche mentre scambiavo lettere con Charlie-
-lei è una volpe caporale- rise Billy tirandogli una pacca sulla spalla.


-lo so, ma.. Whitney non è mai stata importante per me, quindi.. quando Charlie si diverte a rinfacciarmi questa storia, io fingo sempre di non ricordarmi il nome, impresa ardua, visto che cinque ragazze su dieci, a Chicago, si chiamano così-

sei sempre adorabile amore mio, ma dico, non la smetterai mai di rinfacciarmi il fatto che stessi con un’altra mentre mantenevo una relazione via lettere con te? Avanti, dimenticati di.. come si chiamava? Daphne? Selena? Tiffany?
 

 
-poi.. Charlie arrossisce sempre quando le dico che io ho scelto lei-

Perché io ho scelto te, e ora non arrossire, lo so che lo stai facendo.
 

 
-quando Charlie vuole sentirsi dire qualcosa di tenero, per esempio perché mi sono innamorato di lei, mi dice sempre che devo smetterla di dirle che mi stava simpatica, perché non ti puoi innamorare di chi ti sta simpatico.. sennò non era nulla di vero, o almeno questo è quello che lei crede-

Non sto usando la scusa del “eri simpatica”

 
 
-Charlie ama quando le ripeto quello che lei dice, le sue citazioni, o le sue battute, perché così sa che io so tutto di lei, e che non mi scordo mai nulla.-

“ma come?? Non lo sai? Il cocco tiene i capelli lisci e luminosi, le sue fibre mi fanno i capelli più belli di miss Illinois!”

 
 
-poi, logicamente, ama il fatto che io mi ricordi le date più importanti della nostra storia.-

tu comincerai a raccontarmi di quel che è successo il 16 luglio 1958, data a me cara, e tu sai perché.

 
 
-ed infine, Charlie ama il fatto che io.. beh.. non esprima il mio amore per lei tutto su un colpo, rischio di finire sul banale, come dico sempre io, e.. a lei piace che io esprima quello che sento un po’ alla volta, perché quel poco, sa che è magnifico-

Sai una cosa? Vorrei tanto dirti ancora tutto quello che sento per te, ma questo, rovinerebbe la mia intenzione: non voglio finire con il ripetere sempre le stesse cose, non voglio sciupare in solo una lettera quello che sento per te.

 
 

-queste sono le cose a cui sto pensando ora, Billy, ma fidati che io, di Charlie, so tutto, a momenti anche quante lentiggini aveva sulle guance a 15 anni-




Note di Nanek:

ed ecco a voi, a distanza di pochi giorni, il capitolo numero 2 :) un capitolo bello lungo direi, ma d'altronde, chi non si ricorda nei minimi dettagli cose di questo tipo?
                                                                       spero vivamente che vi possa piacere, 23 visite solo nel capitolo 1 e già due recension da parte di due care persone, che io adoro <3 ma che loro lo sanno già ;)

                                                                       spero vi piaccia questo capitolo.. spero vi piaccia la piega che Billy sta prendendo ;) spero spero spero.. sono una tipa speranzosa insomma!!
                                                                       non vi disturberò ulteriormente :) a presto!

Nanek

  
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