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Autore: PolvereVolante    21/01/2013    1 recensioni
"Fin dalle origini luce e tenebra coesistono.
Due entità sempre state in equilibrio, finchè le tenebre non decisero di avanzare.
Con la creazione del cristallo nero e la nomina di Frior, sicario immortale delle ombre, le tenebre diffusero il caos.
La luce decise di intervenire.
Creò il cristallo bianco, con il potere di mille soli, e nominò I DESTINATI.
Sei uomini puri e dall' animo nobile ai quali donò il potere degli elementi, della natura e delle menti.
A defferenza delle tenebre però, non gli concesse l' immortalità, non volendo che venissero corrotti dal potere.
I compiti dei DESTINATI erano tre ; Proteggere il cristallo, contrastare l' oscurità e trovare i loro successori.
Essi dovevano essere trovati ed allenati, per poi mettersi completamente al servizio della luce.
Questo procedimento è stato ripetuto centinaia di volte, e siamo arrivati a te ... "
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Io Sono Così (prologo)
 
 
 
Un nuovo giorno è alle porte, cosa aspettarsi ?
Io, Elisabeth Carson, mi considero una ragazza pratica e obbiettiva , pertanto non ho mai avuto la presunzione di conoscere il futuro o di azzardare ipotesi su esso.
Un’ altro motivo per il quale vivo il momento è che se costruisco una qualsiasi scaletta della mia giornata, viene puntualmente stravolta da strani eventi.
Fin dall’ asilo mi succedono cose strane e avvolte nel mistero, che hanno sconvolto la mia esistenza.
In prima elementare mi ero arrabbiata con una mia compagna di classe e durante la merenda, proprio vicino all' altalena nel cortile, litigammo.
Non so come, ma la bambina si ritrovò ricoperta di terra e radici, mentre io ero perfettamente pulita.
Avrei quasi giurato di vedere la terra sollevarsi e finirle sui biondi capelli boccolosi.
In quinta elementare a scuola assegnarono come compito il prendersi cura di una piantina.
Io persi il vasetto il giorno stesso (un’ altra mia caratteristica è smarrire ogni cosa) e quando lo ritrovai la terra era secca e i semi ancora lì immobili.
La consegna sarebbe stata il giorno successivo.
Avevo iniziato a fissare il vaso intensamente e in un secondo dei germogli erano cresciuti e anche meglio di quelli dei miei compagni, come scoprii il giorno dopo.
Ormai frequentavo il terzo liceo e eventi simili non succedevano dalla seconda media (ero sicura che un albero si fosse piegato per farmi salire su un suo ramo), comunque ero sempre dell’ idea che da un momento all’ altro mi ritrovassi per l’ ennesima volta immischiata in faccende strane.
Quella mattina, come tutte le altre, mi svegliai infastidita.
Per me era impossibile aprire gli occhi con il sorriso, per il semplice fatto che essere buttata giù dal letto dal suono di una  sveglia non mi sembra un classico momento di –gioia- .
Una delle mie caratteristiche è che sono immensamente incoerente con me stessa.
Odio con tutta me stessa le sveglie,  ma considero una perdita di tempo dormire, potete farvi un’ idea del mio carattere complicato.
Posai i piedi nudi sul pavimento, passandomi una mano sugli occhi, mentre l’ altra spostava il leggero lenzuolo che mi copriva.
Era l’ inizio di settembre e Londra stava passando uno dei periodi più caldi di cui avesse memoria.
I cittadini avendo appena lasciato le sedie a sdraio e gli ombrelloni per tornare in ufficio e nelle scuole, erano poco tolleranti e parecchio scontrosi nell’ ultimo periodo.
Io non ero da meno, avevo sempre preferito il freddo al caldo, dato che a quest’ ultimo non si può sfuggire.
Mi incamminai di malavoglia verso il bagno fermandomi avanti allo specchio.
Sembravo davvero uno zombi, la somiglianza era evidente.
Ero una ragazza abbastanza carina, di una bellezza particolare.
Magra e alta al punto giusto e con lunghi capelli rossi e setosi.
Le mie guance erano sempre un po’ rosee e le labbra non troppo carnose.
La cosa che stupiva più di me erano gli occhi.
Grandi, leggermente tirati e incorniciati da lunghe ciglia folte, le iridi di un grigio che cambiava spesso sfumatura.
Questo fenomeno era sempre stato attribuito al cambiamento di luce, anche se negli ultimi tempi avevo costruito una stramba teoria.
I miei occhi diventavano di un grigio simile alle nuvole che minacciano pioggia quando ero arrabbiata,  mentre sembravano argentei quando ero triste …
Scossi la testa, come per scacciare quell’ idea assurda.
Mi riscossi e mi vestii più in fretta possibile, con abiti semplici e pratici.
Non presto molta attenzione al vestiario, basta che stia comoda e che non dia nell’ occhio.
Corsi via dalla mia stanza con la cartella a tracolla, oltrepassando la camera dei miei genitori.
A un tratto mi ricordai di aver promesso di azionare la loro sveglia che faceva il caffè all’ ora di alzarsi.
Era appoggiata al comodino accanto al letto matrimoniale, e mi ci avvicinai in punta di piedi.
Nello stesso modo mi allontanai a compito terminato, ma non prima di aver dato un’ occhiata alle pose assurde dei miei.
Mia madre, Karen , fiera e aggraziata, sempre pronta a prendere in mano la situazione ed eccellente nel suo lavoro di avvocato. Anche mentre dormiva rimaneva dritta e posata ma con la mano stretta a quella di mio padre.
Mr. Carson , lo chiamavo scherzosamente, un uomo buono come un pezzo di pane, molto robusto e alto, che spesso metteva in soggezione i dipendenti della sua ditta immobiliare.
Era steso su un fianco, con il braccio sotto il cuscino che aveva assunto una forma contorta a causa della sua presa ferrea, mentre l’ altra mano teneva delicatamente quella di mia madre.
In realtà Karen e Ralf non sono i miei veri genitori, sono stata adottata quando ero piccola.
L’ avevo sempre saputo e per me erano comunque mamma e papà, come mi avevano sempre detto.
Sono in perfetti rapporti con loro, anche se mi sento continuamente in colpa per non avergli parlato degli strani eventi che mi circondavano, non ero sicura avrebbero capito.
Mi diressi alla porta e uscii in fretta,dando uno sguardo all’ orario.
Come da giorni il sole spaccava le pietre e mi sentii male vedendolo una volta uscita dal cancello del palazzo.
Non osavo immaginare il caldo che ci sarebbe stato in autobus.
Aspettai alla fermata affollata ed entrai nel mezzo di trasporto–macchina di tortura.
Andare a scuola con i mezzi pubblici aveva i suoi alti e bassi.
L’ aspetto negativo era la scomodità, quello positivo era che dal primo liceo arrivavo puntuale a scuola.
Per le elementari e le medie era stato mio padre ad accompagnarmi, facendomi collezionare una lista immensa di ritardi e sgridate.
La terza fermata e scesi dalla macchina crematoria, proprio avanti al mio liceo, un imponente palazzo provvisto di campo da basket e pallavolo al coperto, e campi da tennis e calcetto a celo aperto.
Salii la grande scalinata all’ ingresso, per oltrepassare l’ atrio e raggiungere il grande corridoio alla destra di esso, tappezzato di armadietti.
Raggiunsi il mio e composi il codice: 1111.
I numeri erano sempre stati quelli e non li avevo mai cambiati.
Quel giorno avevo letteratura alla prima ora, tre ore di compito di matematica, un’ ora di educazione fisica e l’ ultima di filosofia, la mia grande passione.
Andavo benissimo in tutte le materie, ma sicuramente non grazie al mio impegno.
Molti miei compagni studiavano il quadruplo di me, invce a me bastava leggere un testo anche una volta sola e riuscivo ad esporlo alla perfezione, potevo guardare un secondo una formula algebrica ed ero capace di applicarla in qualsiasi situazione.
Ero la migliore della classe o forse dell’ istituto al completo, comprese le classi più grandi, senza sapere come.
La prof. di lettere ci aspettava come sempre dietro la sua cattedra, con sguardo serio e occhi vigili, che analizzavano tutti coloro che entravano in aula.
Il mio banco era nella terza fila a destra, non troppo vicino all’ insegnante, ma neanche troppo lontano.
La mia compagna di banco mi aveva avvertita che non sarebbe venuta, dato che dividiamo i libri da portare.
Eravamo diventate grandi amiche al primo anno, quando aveva buttato giù a spallate il mio di indifferenza e gentilezza di circostanza.
Non ho amici molto stretti oltre a Meg, se qualcuno mi chiede una mano in qualcosa sono sempre pronta a porgergliela, ma non sono mai riuscita a creare legami forti con qualcuno.
Sono una persona che odia i sotterfuggi e se penso una cosa la dico e basta, senza tener conto delle conseguenze.
Inoltre non mi importa niente del giudizio della gente quindi non ho mai pensato di cambiare per loro.
Io sono così, il resto non è un mio problema.
L’ ora iniziò e la professoressa propose un capitolo dei Promessi Sposi, opera che avevo già letto.
I libri sono la mia grande passione, le  pareti della mia camera erano tappezzate di volumi e non potevo andarne più fiera.
Mentre facevo finta di leggere ciò che già sapevo, qualcuno bussò alla porta e l’ attenzione della classe si focalizzò sulla maniglia che veniva abbassata e in seguito sul ragazzo che oltrepassava la soglia.
Aveva la testa chinata su un foglio che riconobbi della segreteria.
Era alto e dal fisico asciutto, con una zazzera di capelli castani in disordine.
Portava dei Jeans scuri, una maglietta nera a maniche corte e sulla spalla aveva poggiata una cartella a tracolla.
“Salve, sono un nuovo studente. In segreteria mi hanno detto di dirigermi nella 3° A” disse leggendo quel pezzetto di carta.
“Certo, mi avevano avvertito. Ragazzi lui è Jack Banson e viene dalla Durmres, una scuola in periferia. Siediti in un banco libero !” disse la prof leggendo il nome sul registro.
Fu un secondo, il ragazzo alzò lo sguardo e ci scrutò tutti con fare indifferente e si fermò a guardare me.
Avevo incrociato il suo sguardo come se fossi sotto l’ effetto di una calamita e ci ero rimasta incastonata.
Aveva gli occhi di un verde profondo, scuro, anche se mi era parso fossero verde chiarissimo un secondo prima.

 

  
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