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Autore: The queen of darkness    22/01/2013    2 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si svegliò in perfetto orario, senza nemmeno bisogno del trillo della sveglia.
Le lenzuola fresche e pulite ospitavano solo lei, e questo dettaglio non avrebbe potuto farla sentire meglio.
Odiava gli uomini, pensava, senza nemmeno dare loro una chance. I loro sguardi viscidi si posavano inevitabilmente sulle gambe di una ragazza qualsiasi, e accettavano inviti a letto di chiunque, senza stare troppo a pensare alle conseguenze o alle fidanzate che li aspettavano a casa. Non le piaceva sentirsi osservata da loro, né sapere di essere desiderata, amata o quant’altro. La sola idea la disgustava.
Con la mano, accarezzò la parete liscia e pulita in un gesto a lei inconsueto; aveva deciso che nella sua nuova e normale, piccola casa non ci sarebbe stato posto per nessun quadro.
Abituata com’era agli ambienti luridi e alle stanze che puzzavano di sudiciume, voleva godersi appieno le mura candide ed immacolate, cosa che non si poteva dire per il suo spirito.
Dopo una doccia veloce, frugò il cassetto della biancheria scontrandosi accidentalmente (o per lo meno voleva che fosse successo per caso) con QUELLA fotografia, l’unica che ritraesse il periodo sacro della sua vita.
Sorrise involontariamente, prima che i ricordi spiacevoli tornassero. La sua figura, nonostante fosse un maschio, con tutti gli “attrezzi” per ferirla, le suscitava tenerezza.
Osservò la persona alta, per nulla arrogante o dominante, che le stava quietamente a fianco.
L’amarezza, però, non tardò a tornare: era ben conscia di ciò dei rapporti che erano stati bruscamente interrotti, dei pomeriggi in cui pregava e piangeva, quando le sarebbe bastata anche solo una telefonata per guarire, o anche solo per sopravvivere.
Forse, pensava, era il caso di appenderla, ma rinunciava sempre, e il voto del muro non c’entrava nulla, per quanto si illudesse. Era una fissazione sua; anche quando in strada pensava che l’avrebbero uccisa, non rischiava mai che lui vedesse ciò che doveva subire da dei sudici, grezzi e sudaticci bigotti, infarinati da versetti biblici e con una libidine inarrestabile.
Quando la bizzarra signora Portland le aveva descritto l’inquilino del suo pianerottolo, -schivo, timido, educato e per lo più assente-, il suo cuore aveva avuto un fremito. Possibile che fosse lui?, si domandava. Sarebbe stato davvero comico, dopo quasi vent’anni, trovarsi a vivere fianco a fianco.
Sospirò, vestendosi in fretta e sobriamente. Quasi non poteva credere ai suoi occhi sbirciando nell’armadio, composto da vestiti dai colori neutri e tutto sommato coprenti, soprattutto se messi in relazione agli stracci succinti che era costretta a portare nella sua vecchia vita.
Uscì chiudendo la porta di casa a doppia mandata, scese le scale con una certa abilità nonostante i tacchi e respirò a pieni polmoni l’aria fredda di donna libera. Nessuno aveva il potere di imporle niente, ormai.
E sarebbe stata ancora più autosufficiente col nuovo lavoro.
Sorrise: era proprio strana la vita. Un mese prima era andata in centrale per far arrestare il più prolifico serial killer di sempre, che la teneva prigioniera da chissà quanti anni, e in quel momento stava per recarsi al suo nuovo lavoro niente meno che all’FBI!
Una situazione che rasentava l’assurdo, si diceva pensandoci, soprattutto perché non erano affatto obbligati a metterla in una squadra così famosa, unita e rinomata, ma era stato lo stesso capo a richiederlo, in quanto aveva notato in lei “un elemento prezioso che sarebbe stato di certo utile all’unità del gruppo di agenti”.
Certo, non avrebbe portato pistola e distintivo, non era autorizzata ad arrestare nessuno ed era lì in veste di consulente, ma le bastava, forse era anche troppo.
Stava per realizzare il sogno della sua vita, elaborato quando lui era ancora al suo fianco e si sforzava di pronunciare il suo nome all’italiana, riuscendo a dire solo una cosa come “Ievah”, ma che la colmava di gioia, in quanto era una prova del fatto che lui ci teneva davvero.
Ecco, si riprese mentalmente, l’aveva fatto di nuovo. In quei giorni non riusciva a smettere di pensarlo, di ricordare la sua risata e di gioirne, nonostante tutto quel che era successo.
Scosse la testa disgustata: se gli uomini erano prevedibili, le donne rimanevano uno scomodo mistero.
 
 
 
La gente, a quanto pareva, decideva di schiantarsi per strada proprio nel suo primo giorno di lavoro, perché fu trattenuta dalla bellezza di due incidenti stradali con tutto il corteo di ambulanze, poliziotti e civili curiosi.
Col cellulare, aveva avvertito il sovrintendente generale Aaron Hotchner (Hotch, come voleva essere chiamato) dell’inevitabile ritardo, e la voce glaciale del suo nuovo capo non fece una piega.
Controllato ed indecifrabile come sempre, le aveva risposto che avrebbe aspettato. Beh, meglio così.
Da quel che le era stato dato sapere, l’annessione di un consulente era una decisione dei piani alti, che premevano e facevano di tutto affinché la squadra si sgretolasse.
Hotch, però, aveva trovato un modo assolutamente furbo e originale per affrontare la situazione: aveva scelto di persona l’elemento che gli avrebbe fatto più comodo, pescandolo dalle file di poveri disperati con un potenziale cervello attivo.
Se ripensava a questo titolo e alla vita normale che aveva avuto una volta, le si accapponava la pelle, ma un’esistenza non può definirsi piena se non costellata da migliaia di situazioni diverse. O almeno, così amava dirsi.
Finalmente arrivata all’ufficio, corse letteralmente nella sezione “Analisi Comportamentale” sotto le istruzioni di una guardia armata all’ingresso, dopo aver esibito cartellino  e carta d’identità.
Si era mentalmente preparata all’ipotetica pignoleria dei protettori dell’edificio, ma non pensava potessero arrivare fino a tal punto.
Anche se erano le nove passate, nella grande sala squadrata c’erano solo pochissime persone, apaticamente curve sulle loro scrivanie a svolgere pratiche o varie scartoffie, così poté raggiungere Mr. Hotchner nel suo ufficio al piano superiore, che si affacciava a quello sotto protetto da una ringhiera.
Bussò tre volte alla lucida porta di legno bruno.
-Avanti- ordinò una voce ben poco dissimile da quella che aveva udito poc’anzi. Strano come un apparecchio elettronico non ne distorcesse il timbro, come invece succedeva a lei.
Entrò titubante, pregando di fare buona impressione.
L’aria impersonale e difficile da catalogare della stanza la lasciarono per un momento spiazzata; era complicato non personalizzare un ambiente in cui si passava parecchio tempo. Infatti Hotch aveva l’aria di una persona precisa e meticolosa, che passa al lavoro molto più tempo di quello richiesto.
La tranquillizzò un po’ il segno d’umanità rappresentato dalla foto di un bimbo sorridente sulla scrivania lucida, e cercò di rilassarsi senza far trapelare nulla. Era abbastanza brava in questo, come in molte altre cose.
Con un gesto, l’uomo la invitò ad accomodarsi su una delle sue poltroncine scure, e lei obbedì subito, accavallando le gambe non appena si fu seduta.
Non le passò inosservato il guizzo che gli occhi di Hotch ebbero sull’orlo della gonna che salì per pura inerzia  di qualche millimetro sulla coscia, e facendole provare tutto sommato un certo disgusto.
Aveva capito che quello che le stava di fronte era ben diverso dai clienti con cui aveva avuto a che fare (sobrio, ligio al dovere e rispettoso sia delle regole che della decenza), ma comunque la infastidì constatare che, per quanto freddo e distaccato potesse essere, certi istinti li doveva reprimere lo stesso, anche se in modo ammirevole.
Dopo le solite formalità, per lei fu il momento di presentarsi:- Sono Eva Arcangeli e, come lei ben sa, comincerò a far parte della sua unità. Vorrei sapere quando ritiene più opportuno farmi cominciare.
L’uomo posò la penna. –Anche subito, se non le dispiace. Purtroppo in questo tipo di professione non esiste altro modo di valutare le capacità di un’agente se non vedendolo agire sul campo.
-Posso sapere i vostri metodi riguardo lo svolgimento di un incarico?
-Naturalmente. Di solito, se si tratta di posti abbastanza lontani dalla Virginia, andiamo sul posto, ma solo se l’aiuto è richiesto dall’altro stato oppure se il potenziale S.I è un pericolo concreto che richiede il nostro supporto. Vi è poi un’analisi di vittimologia, modus operandi, zona degli omicidi, modalità e frequenza. A lei verrà chiesto di occuparsi dei famigliari delle vittima, ma in particolare di queste.
La donna annuì. –lo so, sono stata informata, e lo ritengo assolutamente ragionevole se si guarda la mia preparazione in merito. Credo l’abbiano già messa al corrente delle mie lacune riguardo alla psicologia in generale.
Hotch si prese un istante prima di rispondere. –L’ho letto nel suo fascicolo, ma so anche che le sue deduzioni sono state fondamentali. Vede, in situazioni come questa raramente si trova un consulente preparato, ma devo ammettere che lei ha destato da subito il mio interesse.
Non era un complimento per adularla, e lei lo sapeva bene, ma era solo una semplicemente una constatazione.
Cambiò posizione delle gambe quasi inconsciamente, e neanche questo restò inosservato. Anche se per una frazione di secondo.
Controllando il fastidio, rispose misurando le parole con cura: -Sarò alla mercé della sua squadra, e anche molto volentieri, in quanto non avrei mai potuto sperare di meglio. Non serve che mi ricorda cosa mi è permesso fare o meno, si sono già premurati di informarmi in precedenza. Ci tengo a dire che sono disposta ad accettare qualsiasi tipo di caso o pressione psicologica, e ho smesso di badare già da un po’ di tempo ad angherie o ripicche del tutto inutili, se mai ci dovessero essere. L’unico problema che sembra essere rimasto, a quanto pare, è la reazione che i miei futuri colleghi avranno sapendo del mio passato.
Lo affermò quasi sorridendo, ma con una terribile serietà.
Un lampo brillò negli occhi del suo superiore: un bagliore che poteva significare mille cose diverse.
Si limitò a farsi ancora più serio, ma la consapevolezza che lui si fidava di lei e che la rispettava ugualmente si radicò in Eva con assoluta certezza.
-Non si preoccupi, sono profiler, sapranno adattarsi.
La ragazza sorrise lentamente. –Lo spero.
  
  
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