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Autore: Horrorealumna    23/01/2013    1 recensioni
Sussulto, ma lei mi tiene l’indice affusolato premuto sulle mie labbra, intimandomi quindi il silenzio.
Non riesco a definirne i lineamenti, nell’ombra della notte, ma i suoi occhi sono vivi e quasi luminosi. Non hanno più il bel colore azzurro che li caratterizza: sono scarlatti, rossi come il sangue.
Involontariamente sento il mio corpo tremare.
Paura.
Timore.
Posa lo sguardo sul medaglione d’argento per un secondo, poi sussurra:
- Zitta. Resta zitta e non fiatare. Muoviti il più lentamente possibile.
Rimango immobile come ha detto.
- Non muovere gli occhi - mi rimprovera - Chiudili. Ci osserva...
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Regali Di Compleanno
 
I miei genitori avevano assistito alla cerimonia e avevano insistito per riportarmi a casa. Non si fidavano di me, soprattutto se alla guida di una macchina. E da una parte potevo dar loro ragione... ma questo voleva dire che mi consideravano ancora una ragazzina?
Tornati a casa, mamma poté dare sfogo alla sua nuova passione: la fotografia. Continuava a girarmi attorno con la sua macchina fotografica, scattando immagini ogni secondo. Tutte mie.
- Mamma! - dico sorridendo, anche abbastanza imbarazzata - E’ solo il diploma. Non oso pensare cosa potresti combinare il giorno del mio matrimonio... se mai ci sarà.
Sento mio padre chiudere la portiera dell’auto e avvicinarsi:
- Certo che ti sposerai. Ma per quello, Gabrielle, ci vuole ancora tanto tempo. Sorridi... è il tuo compleanno, anche - sussurrò, mentre mamma controllava le batterie scariche dell’aggeggio.
Alza la testa, respirando a pieni polmoni e rivolgendo gli occhi sul cielo sempre nuvoloso e scuro di Rowhilton.
- E poi - aggiunge, senza guardarmi - Non credi sia triste, per un padre e una madre, veder andare via la propria figlia. In più, se non è l’uomo giusto... sai come va a finire, nel migliore dei casi.
Le sue parole mi spaventano. Credo che resterò single.
- Andiamo - conclude tornando alla realtà - Chissà cosa avrà preparato tua madre per pranzo. Stasera festeggeremo con...
Sussulto.
- Papà - dico, cominciando a sudare freddo - Stasera... non posso.
Mi guarda preoccupato; perché? Come ho fatto a dimenticarmene?!
- Gabrielle... ?
- Avevo promesso a Tom Brein che sarei andata a casa sua, per la festa di fine anno. Di addio, capito?
Pregavo. Lo stavo pregando, seppur indirettamente.
Papà passò una mano tra i capelli, un gesto che ci accumunava.
Pensava.
- ... e chi sarebbe questo Tom Brein?
- Lo conosco. E’... era il più bravo del corso - dico, mentre comincio a sentire l’impulso di scappare senza ulteriori spiegazioni: avevo diciannove anni!
- E... - balbettò prima di gridare rivolto all’ingresso di casa - TESORO! Chi è Tom Brein?!
La risposta di mamma non si fece attendere:
- Non lo s- AH! Aspetta, conosco sua madre, Tanya. Sono brave persone.
- A casa di Tom - riprende mio padre a nessuno in particolare - E ha invitato solo te?
- No. Tutta la classe.
Cosa potevo fare? Assecondare i suoi timori o restare bloccata in casa tutta la sera?
 
Qualcosa, in quell’istante, mi costrinse a voltarmi verso il cancello. Era stato un rumore metallico ad attirare la mia attenzione, e un parlottare sommesso.
E mi sarei potuta aspettare chiunque, persino la nostra noiosa vicina.
Non Jason Allyn, in tutta la sua bellezza. Proprio come lo avevo lasciato qualche minuto prima davanti a scuola. Jeans e camicia, con i capelli biondi arruffati e sudati.
Sapeva dove abitavo? Che si ricordasse ancora dell’episodio del mio quarto compleanno?
Incredibile.
Mio padre sobbalza vedendolo.
Ma il ragazzo non lo nota minimamente.
Lo fisso, perplessa. Lui ricambia, impassibile.
 
Io e Jason non ci siamo quasi mai rivolti la parola in questi cinque anni. Può sembrare strano, ma era lui a tenere le distanze; a me stava bene. Non ci tenevo a essere sua amica.
Anche se mi sarebbe piaciuto tanto. Ma lui mi conosce a malapena... proprio come me. Sua sorella, poi, continua a farmi venire i brividi.
 
- Elle! - grida.
Sento  papà agitarsi al mio fianco. Mi volto ad osservarlo per un secondo solo: è paonazzo; quindi meglio fare in fretta.
Mi avvicino veloce al cancello, con lo sguardo basso. Sento il calore divamparmi in faccia e al petto.
Ogni passo è un insulto represso.
Arrivata a qualche centimetro dalla grata che ci separa, sibilo:
- Mi chiamo Gabrielle. Non Elle!
Rimane in silenzio a contemplarmi gli occhi. Profuma come sua sorella, di fiori. Un profumo alla lunga nauseante. Ecco perché piace a Marisol. Nauseante come lei.
- Sì, scusa. Ma credo che Elle... - sussurrò Jason.
Dio, quanto era scocciante... e dolce. A modo suo.
- Elle è un nome da bambina! - rispondo.
- Appunto... Elle mi piace - ridacchia.
Sento mio padre schiarirsi la voce: brutto segno.
- Comunque... - continua tirando fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni - Sono venuto per portarti questo.
E’il mio cellulare.
Ho... la tasca vuota.
- Sembra che te lo sia dimenticato... sulla sedia, Gabrielle. O che ti sia scivolato - dice porgendomelo - Lo ha recuperato mia sorella, ma ora ha da fare. Ed eccomi qui.
Lo afferro rapidamente e continuo a sentirmi il viso andare a fuoco quando sfioro la sua mano, calda e tesa verso di me.
- Tua sorella? Ringraziala, è stata gentile - mento facendo finta di niente, ricordando i suoi occhi penetranti fissi sulla mia guancia destra.
Poi...
- GABRIELLE!
Papà sembra sull’orlo di una crisi.
- Devo entrare - lo congedo con semplicità - Ci si vede.
Ma interviene ancora...
- Ci verrai stasera, a casa di Tom, vero? - chiese curioso.
- Sì, sì... a stasera! - e parto dritta verso casa, senza ulteriori saluti e senza aspettare mio padre, col telefono in tasca.
 
Non riuscii a tirarmi fuori dalla testa quel maledetto incontro. Era la prima volta, in un certo senso, che ci parlavamo, e già era in vena di nomignoli e gentilezze.
“Forse è nella sua natura, non tutti sono mostri o persone egoiste” mi ritrovai a pensare, quel pomeriggio, stesa sulle lenzuola pulite del mio letto.
Casa mia non era enorme, e nemmeno troppo piccola. Una delle solite casette a basso costo in periferia, accoglienti e calde. La mia stanza era il mio rifugio; era al piano superiore, come quella dei miei, insieme ai nostri rispettivi bagni. Le pareti erano di una giallo pallido, colore che ho sempre odiato; una piccola lampada posta sulla scrivania era la mia unica fonte di luce quando faceva buio. Odiavo tenere la finestra aperta e odiavo oltretutto guardarci fuori, visto che dava sul parchetto, oramai, in disuso dove avevo incontrato i gemelli per la prima volta.
Il cellulare era sotto il cuscino.
Quali interessi potevano aver spinto Marisol a chiedere al gemello di riportarmelo? Lei è sempre stata la diva della classe, credo che nessuno abbia mai socializzato con lei. Penso che al posto del cuore abbia un cubetto di ghiaccio... ma se davvero ha trovato il telefono...
In quel momento... il dubbio incombe più veloce di un lampo: che lei, o Jason, abbiano escogitato tutto questo solo per raccattare il mio numero e cominciare a tormentarmi a vita!?
Cerco di non pensarci. Una persona non può combinarne tante in poche ore, anche se si parla di quei due ragazzi.
Mi alzo, stanca, e balzo vicino all’armadio.
Inutile.
Per quanti anni ci abbia provato, non sono mai riuscita ad emulare quegli aggraziati ed eleganti movimenti che solo Marisol sembrava in grado di compiere. Volteggiava? Come faceva?
L’avevo osservata sfilare per la classe, anche se il più delle volte, restava seduta al suo posto per ore, senza muovere un muscolo. Mai vista sorridere, o scherzare.
Un po’ come Jason... peccato che qualche ora fa mi sia ricreduta definitivamente sul suo conto.
 
Apro le ante con un movimento secco, con l’aria dovuta allo spostamento che mi scompiglia i capelli appena asciugati. Il vestito per la festa è coperto da un velo bianco.
L’avevo preso qualche settimana fa. Qualche sfizio potevo togliermelo!
Era un vestitino, non troppo corto visto che non ci tenevo a scandalizzare i miei genitori super-apprensivi. Era completamente rosso, con merletti e nastrini neri qua e là, a decorarlo e ad impreziosirlo. Un brillante era incastonato e tenuto attaccato alla scollatura sul petto. Collant scuri e scarpe in tinta, con un filo di trucco, ed ero pronta.
I capelli li avrei raccolti a minuti in un’intricata doppia treccia con un nastro scarlatto. Me l’aveva insegnata mia nonna tempo fa, quando ero davvero piccola. Ricordo... lei era solita chiamarmi Elle...
Non che significhi qualcosa riguardo Jason. Mia nonna è morta sette anni fa e lui non la conosceva di certo.
Semplici e inquietanti coincidenze.
 
Alle otto e trenta scendo in soggiorno, pronta per la festa.
Al mio arrivo, mamma si ferma a cucinare e mi fissa con i lucciconi agli occhi:
- La mia bambina! - piagnucola, venendomi accanto e pizzicandomi dolcemente la guancia - Diciannove anni... e sei così bella! Ti farei una foto in questo magnifico vestito... ma sembra che la macchina fotografica ci abbia abbandonati.
E’ così dolce. Mia madre. Però non vorrei mai diventare come lei... non l’ho mai identificata come modello da seguire. Eppure non eravamo tanto diverse.
Mio padre all’inizio sembra abbastanza riluttante a farmi uscire di notte così, ma alla fine si abbandona ai ricordi anche lui.
Nella borsetta al mio fianco sento un leggero tremolio. Controllo...
- Allora... Gabrielle, andiamo! - esclama mio padre, dopo aver controllato l’orologio - Prima ti accompagno, prima ti vengo a prendere!
E’ un messaggio.
Da... Jason?
Come ha... ?!
Oh. No.
 
Elle, sono fuori casa tua, visto che vieni alla festa posso darti un passaggio
- Jason

 
Mi sento male.
Cosa vuole da me?!
Se lo dicessi a mio padre, mi scuoierebbe viva.
- Ehm... papà... mi ha appena contattata... Lucy... ricordi Lucy, vero? - balbetto in preda al panico.
Annuisce. Bene.
- Sta venendo a prendermi - continuo.
Mi fissa.
- Ora. Anzi... è già qui.
Continua a fissarmi. Perché quando fa così non mi fa sentire sicura?
Mamma intervenì:
- James, caro, proprio quello che volevi, no? Non c’è baseball, stasera?
Annuisco. Qualunque cosa... qualunque cosa...
- In effetti... sì - disse papà - Vai con Lucy. Ma torna presto!
Gli stampo un bacio sulla guancia per addolcirlo, saluto e attraverso il cortile. La dolce espressione lascia il posto ad un ghigno.
Cinque anni per fare amicizia... nell’ultimo giorno.
La sua macchina aveva il motore acceso. Sapeva... che sarei venuta. Ma forse non sapeva che gli avrei urlato contro per tutto il tragitto. Solo allora avrebbe davvero conosciuto Gabrielle Barnes!
Entro e sbatto la portiera più forte che posso.
Lo guarda.
Sta sorridendo.
- Buon compleanno, Elle - dice dolcemente porgendomi un pacchetto.
Perché i miei compleanni sono tutti così strani?!
 

 
NOTE AUTRICE:
Ecco il secondo capitolo! :D
Fatemi sapere, mi raccomando, nelle recensioni, cosa ne pensate! ;) Anche perché io adoro parlare coi recensori!
A presto, col prossimo capitolo!
Baci! :3
   
 
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