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Autore: Demetra    23/01/2013    2 recensioni
La fic ha partecipato al contest "Anima nera" indetto dal Collection of Starlight!
«Perché……È la nostra regola Albus. Per il bene superiore, ricordi?! »
Per il bene superiore.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Tom O. Riddle | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Note dell'autrice (discutibilmente utili): questa fiction è stata pubblicata perecchio tempo fà e ha di per sè parecchi errori, molte cose rileggendole ora andrebbero modificate e riscritte, ma visto che ogni singola parola ha partecipato al concorso non ho voluto alterare il testo, lasciando l'originale. Non è ovviamente detto che non ci ripensi in un immediato futuro!

La fic ha partecipato al contest "Anima Nera" indetto dal Collection of Stralight

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In Noctem

 

Tutto sembrava essere stato immerso in una spessa coltre acquitrinosa.

Attraverso le gocce, che scivolavano sul vetro freddo e opaco delle finestre, le torri e le balaustre del castello e del cortile sembravano diluirsi in un'unica indistinta macchia fatta di boscaglia e ceppi nodosi, mentre strati di neve, ammonticchiati nel vialetto, si discioglievano in cumuli di acqua e fango, conferendo all’atmosfera dicembrina una triste tonalità grigia e inconsistente.

Immerso nella luce baluginante del suo studio, Albus Silente si soffermò a lungo a studiare quei profili incerti e sinistri, lisciandosi di tanto in tanto con gesti nervosi, l’elegante veste da camera. Normalmente non avrebbe provato alcuna avversità per una giornata piovosa come quella, ma quella sera ogni lampo che attraversava il cielo sembrava imprimere una scossa fremente anche alla propria veneranda schiena.

Come quando lo aveva conosciuto.

***

«Dove stiamo andando?» aveva domandato curiosamente, senza potersi trattenere dal trotterellargli allegramente al fianco, come un bambino fin troppo vivace.

«A casa mia. Devo assicurarmi che Aberforth si possa prendere cura di Ariana, ma non ci vorrà molto» si affrettò ad assicurare, sperando che il suo compagno non azzardasse qualche ripensamento circa la loro passeggiata.

«Naturalmente» si limitò ad annuire questi, con condiscendenza, cingendogli calorosamente le spalle con un braccio. Per qualche strana ragione si sentì avvampare, ma lo spesso strato alto del colletto inamidato, aveva permesso di nascondere quel suo lieve turbamento, permettendogli di proseguire con crescente alterigia al suo fianco.

«Solo una piccola deviazione» promise nuovamente, grattandosi con aria distratta la sottile barbetta incolta. «E poi…..»

«Padroni del mondo? » domandò il giovane, senza nascondere l’accattivante aria maliziosa che illuminava il suo sguardo.

«Si. Padroni del mondo » confermò risoluto, sorridendo con una spensieratezza che mai aveva provato prima d’allora.

***

La pergamena firmata dal preside Dippet giaceva abbandonata sulla scrivania, dove diverse lettere, sparpagliate artisticamente, attendevano ancora di essere esaminate. Benché avesse più volte riletto e indagato il contenuto, i tratti della grafia sottile e irregolare del vecchio rettore sembravano tradire sapientemente le note di panico e incertezza che lo aveva afflitto per diverse settimane. Dopo tutto quello che era accaduto, la chiusura della scuola sembrava essere divenuta una mossa inevitabile.

Ogni singolo studente sarebbe stato rimandato a casa, dalla propria famiglia, mentre i battenti della più veneranda e rinomata scuola di magia di Inghilterra sarebbero stati chiusi, per sempre. Il Ministero era stato fin troppo chiaro: “Nessuna creatura disapprovata dalle leggi, e dalle dimensioni anomale non convenzionate a un confacente animale domestico, poteva essere ammessa entro le mura segrete del castello”. Pertanto era da presumere, che qualsiasi cosa, infestasse indisturbata i corridoi da diverse settimane, potesse considerarsi avvertita e inclusa nella clausola. Per di più il fragile corpo, alle sue spalle, pallido e smunto, sembrava incombere, a quella lugubre veglia silenziosa, come un’ inquietante presenza, atta a confermare ogni singola parola espressa dal Ministero.

I pochi effetti personali della giovane, giacevano ancora impregnati e umidi della sostanza viscida e appiccicosa che aveva allagato il bagno delle ragazze al secondo piano. Gli occhiali miracolosamente intatti le erano stati tolti, per alleviare quella cupa espressione di terrore che ancora aleggiava sul volto pallido e perlaceo, da quando era stata trovata riversa sul pavimento.

A stento, il giovane insegnante era riuscito a volgere lo sguardo altrove, cercando di concentrarsi sulle acquose scie di pioggia che percorrevano il vetro gelido dei battenti. Persino ora faticava a trovare qualcosa di realmente interessante tra le folate di vento e la gelida nebbia che nascondeva ogni cosa al suo passaggio.

Fu quindi con intrepido sollievo che intimò al suo oscuro visitatore notturno di avvicinarsi, quando sentì bussare alla porta.

«Professore…» la figura incerta e un po’ insicura, del giovane studente, parve ancora più trepidante alla luce fievole e baluginosa delle candele, mentre faceva scorrere con un pietoso cigolio il chiavistello del battente di quercia scura.

«Buonasera, Tom. È un po’ tardi per una visita, non credi?»

Si tolse il cappello a punta. «Mi dispiace professore, ma il preside Dippet voleva che mi accertassi che lei avesse ricevuto la sua lettera» sul petto gli brillava lo stemma d’argento da Prefetto.

«Si, Tom, grazie. L’ho ricevuta»

«C’è…ehm…c’è una risposta Professore? » domandò titubante, cercando di non deviare lo sguardo al corpo inanimato, che giaceva a pochi metri dalla scrivania.

«Direi di sì, ma penserò io a consegnarla. Mi sembra troppo gravoso assegnarti un compito del genere, per di più se le mie orecchie non m’ingannano, la mezzanotte è suonata già da un bel pezzo»

«Naturalmente Professore» si affrettò a confermare «Ma stando ai fatti accaduti questa sera, il preside ha considerato opportuna la mia presenza in certe questioni…..accademiche»

«Ragionevole» commentò pacatamente, prendendo posto sull’enorme scranno dietro la scrivania. «Posso chiederti, come hai fatto a sapere del giovane Hagrid e del suo….amico?! »

«Fortuna signore. Non volevo che la scuola venisse chiusa»

«Tu ami questa scuola, vero Tom? » nonostante il tono educatamente comprensivo, c’era una nota di beffarda curiosità in quella semplice domanda.

«Si signore, la amo. La considero casa mia»

«Certo, capisco. Puoi andare ora….» sorrise cordiale, invitandolo con un breve cenno del capo a dirigersi nuovamente verso la porta d’ingresso.

Il ragazzo “Tom” rimase rigido al proprio posto, indugiando per qualche altro minuto, come se si aspettasse che la conversazione dovesse riprendere da un momento all’altro. Ma quando l’insegnate gli voltò completamente le spalle, capì che era ora di abbandonare la stanza. Tuttavia prima che il chiavistello cigolasse nuovamente aprendogli la strada verso il corridoio deserto, si voltò. «Signore?»

«Si Tom?» domandò curiosamente, lasciando che gli occhiali a mezzaluna si inclinassero quel tanto da fargli assumere quell’aria alterigia e pomposa, che sapeva, lo avrebbero messo in imbarazzo.

«Mi dispiace per Hagrid, ma…..è stato per il bene superiore. Lei capisce naturalmente…»

«Naturalmente. Grazie, Tom» Attese con trepidazione che il giovane Tom Riddle uscisse, prima di abbandonarsi nuovamente sulla elegante sedia d’intarsi pregiati, lasciandosi a lunghi sospiri consolati.

Era accaduto, di nuovo.

 

***

«Ariana» sibilò rabbioso «L’ho uccisa….l’abbiamo uccisa!»

«Albus, non c’è tempo per questo» lo esortò il giovane dai capelli lunghi e biondi «dobbiamo andare!»

Non capiva, non riusciva proprio a comprendere per quale dannatissimo motivo il suo compagno di indicibili avventure, inseparabile fino a quel momento, si fosse d’un tratto rivelato così freddo e distaccato. Eppure mentre lo fissava negli occhi, di quel verde così intenso e ambrato, che lo avevano conquistato sin dal primo istante, non riusciva a scorgervi alcuna nota di panico o rimpianto.

Gellert Grindenwald non provava rimpianto, né tantomeno rimorso.

Aberforth non lo guardava più, si era accovacciato contro il tronco di un albero, fissando timoroso il corpo esanime disteso a terra: la maledizione l’aveva colpita così forte da lasciarle un’inebetita espressione di sorpresa ancora impressa sul bel volto. E dire che sua madre, la loro defunta madre, si era così tanto raccomandata di vegliarla pazientemente, proteggerla per quanto fosse possibile, tenendola lontana da qualunque fonte di pericolo.

Invece….

Sembrava che la pioggia si fosse portata via anche la loro ultima speranza.

«Perchè Gellert?» aveva domandato esitante, senza smettere di stringere a sé il volto pallido e smunto di Ariana; i suoi occhi vitrei riflettevano le infinite stille d’acqua che cadevano tutt’attorno in abbondanti scrosci di pioggia.

«Perché.. » ripete questi, umettandosi le labbra, mostrando per la prima volta, da quando erano apparsi, un minimo segno di cedimento.

«Perché……È la nostra regola Albus. Per il bene superiore, ricordi?! »

Per il bene superiore.

 

 

 

 

  
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