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Autore: stillsurprised    23/01/2013    1 recensioni
«Cosa ci fai qui? Perché sei qui? Dovresti essere a scuola. Tua madre ti ammazzerà.» mi strinse davvero fortissimo, tanto che io non riuscii ad abbracciarlo «Ma.. Marco.. L'unico che mi sta ammazzando qui sei tu.. Fammi.. Fammi respirare..» allentò la presa e si staccò a guardarmi «Tu non dovresti essere qui.» «Tu dovresti essere qui.» allargai le braccia e lui mi riabbracciò forte.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevamo appena finito di litigare. Un altro litigio. Non era però uno dei soliti. Questa volta mi aveva detto addio, ben due volte. Due volte. Sentivo lo stomaco scoppiarmi e le lacrime con la voglia di fuoriuscire. Mi trattenni davvero tanto dal piangere, ma stavo scoppiando. Qualcosa dovevo pur fare. 
Misi ancora la solita canzone a ripetizione, Red. Quella canzone parlava per me. Diceva tutto. Quella era la mia canzone. Di nascosto ai miei genitori presi la lametta e corsi al bagno chiudendomi dentro. Feci ciò che dovevo fare. Mi sfogai come solo io sapevo fare. Perché l'avevo fatto? Perché a causa del mio stupido cervello lo stavo lasciando andare. L'unica persona che davvero contava per me. L'unica persona che avevo reso importante quanto la mia famiglia. Al primo posto con la mia famiglia. 
Lasciai scorrere il sangue, poi come se nulla fosse successo tornai in camera mia. Ritornai ad ascoltare quella canzone, ma dentro sempre il vuoto. Un vuoto che solo quello stupido riusciva a colmare. 
Andai agli allenamenti senza parlargli, senza sentirlo più. Era davvero finita lì? Tornata a casa presi LA decisione. Prenotai il primo treno per Empoli. Dovevo andare da lui. Doveva dirmi in faccia che era finita, che non potevamo essere più amici. Poi avrei preso la borsa e me ne sarei tornata giù al mio paese e mi sarei messa l'anima in pace.. Prima o poi.
Il mattino dopo decisa ad andare lì, da lui. Presi lo zaino, dissi a mamma che sarei rimasta da Marica a dormire e dopo aver preso tutti i soldi che mi servivano andai con la metropolitana fino alla stazione. Un'ora dopo finalmente pronunciarono quelle parole «Il treno per Empoli al binario uno. Treno per Empoli al binario uno.» strinsi lo zaino con una mano e dopo aver sospirato salii sul treno. Presi posto e mi addormentai stringendo fortissimo lo zaino, e soprattutto lo pensai. Pensai a cosa sarebbe successo. Magari mi avrebbe rimesso sul treno e sarei ritornata giù a casa mia. Quasi sicuro.
Dopo ore e ore arrivai lì. «Finalmente.» dissi guardandomi attorno. Tutti parlavano in quel dialetto che tanto amavo e tanto mi piaceva. Presi il cellulare e controllai l'indirizzo che lui, senza farlo apposta, mi aveva dato. In un modo o nell'altro ci sarei arrivata. Ero arrivata fin lì con il treno, da sola, poi sarei riuscita ad arrivare a casa sua. 
Tra il chiedere ai passanti e con un po' d'intuito ci arrivai. Chiusi gli occhi e bussai a casa sua. Quando me lo trovai davanti avevo su una faccia serissima. Lui invece era confuso, troppo. C'era da aspettarselo. 
Mi chiuse la porta in faccia e io ci rimasi. «Eh?» sussurrai e quando feci per bussare ancora una volta lui aprì la porta da solo e mi abbracciò fortissimo «Cosa ci fai qui? Perché sei qui? Dovresti essere a scuola. Tua madre ti ammazzerà.» mi strinse davvero fortissimo, tanto che io non riuscii ad abbracciarlo «Ma.. Marco.. L'unico che mi sta ammazzando qui sei tu.. Fammi.. Fammi respirare..» allentò la presa e si staccò a guardarmi «Tu non dovresti essere qui.» «Tu dovresti essere qui.» allargai le braccia e lui mi riabbracciò forte, ma lasciò che io ricambiassi l'abbraccio. Mi fece entrare in casa e mi fece accomodare. Mi guardai attorno sorridendo osservando la casa. Ero felice di essere lì, poi ci sedemmo al tavolo e mi chiese spiegazioni. 
«Che devo dirti.. -sospirai- Dovevi dirmi in faccia che era finita la nostra amicizia. Sono stata malissimo in queste ore. Avevo bisogno di vederti e sentirmi dire che a me non ci tenevi più.» abbassai la testa e sbuffai, ma lui mi prese la mano e me la strinse «Folle. Sei una folle. E voglio fare pazzie oggi con te.» alzai la testa e lo guardai curiosa. Lui si alzò e prese delle chiavi dalla credenza «Sono di papà.» sorrise e spalancai la bocca sorridendo.
 
«Laughing so damn hard. Crashed your dad's new car.»
 
In meno di dieci minuti ci ritrovammo nella macchina del padre, con lui alla guida e io al suo fianco che ridevo con le mani che mi coprivano gli occhi «Piano. Ti prego. Non sai guidarla.» urlavo guardando ogni tanto la strada. Anche lui rideva come un pazzo, mi appoggiai con la faccia sulla sua spalla e lui continuava a ridere «Se fai così peggiori la situazione.» disse lui ridendo. «Tu devi rallentare o gliela rompiamo.» «Abbiamo la cintura di sicurezza, non moriamo.» lo guardai e gli diedi uno schiaffo sulla spalla «Non c'entra nulla.» «Zitta nacchera, io guido e quindi so ciò che faccio.» «Addio mondo.» ridemmo insieme e mi staccai da lui guardando la strada e stringendo gli occhi quando accelerava. 
 
«We in the car sing, sing, singing our song.»
 
Quando lui andò più lento decisi di prendere l'iPod dalla tasca dello zaino e misi a tutto volume la nostra canzone, la nostra Someone Somewhere. La canzone che tanto ci eravamo dedicati, finalmente potevamo cantarla assieme. Presi coraggio io per lui, dato che era fin troppo timido, e diedi il via alle "danze". Lo guardavo mentre cantavamo e sorrisi per tutto ciò. Con lui al mio fianco mi sentivo a casa.
Mi portò in un parco e io subito corsi fuori dritta sul prato e mi ci buttai su. Lo sentii ridere dietro di me e mi stesi a guardarlo «Il verde. E' il tuo colore preferito. Guarda quanto è verde qui!» allargai le braccia e guardai il cielo «Oggi è una bellissima giornata. Il cielo è azzurrissimo.» lui si sedette per terra e io lo guardai di sottecchi «E' una bellissima giornata perchè tu sei qui.» sorrisi e mi misi dietro di lui e lo abbracciai fortissimo. Appoggiai la guancia sulla sua spalla gonfiando l'altra e lui mi strinse le braccia. Restammo fermi in quella posizione per un po'.
 
«I'll never let you go, woah, this is my oath to you. Just thought that you should know. Woah, this is my oath to you.»
 
Mi sedetti davanti a lui e gli presi le mani e presi fiato «Mi dispiace per tutto. Sono stata un'idiota. Di certo non lo sono come te -ridacchiai, poi tornai seria- però sono un'idiota. Ho pensato solo a me stessa e nient altro. Ti voglio bene, Marco. E non voglio perderti. Assolutamente. Ti prometto che mai accadrà.» lui mi prese il polso destro e me lo baciò «Mai più, okay?» lo guardai ed annuii. 
Mi venne un'idea guardando la sua maglia bianca. Mi alzai e presi un pennarello nero dallo zaino e gli feci levare la maglia. «Perchè?» «Levala e basta.» lui lo fece. Mi stesi a pancia in giù sull'erba, molto lontano da lui, e mi misi a scrivere. "Ti voglio tanto bene idiota, sei importantissimo e non ti lascerò mai andare." sul davanti, poi continuai con varie frasi. "You're my someone somewhere." e poi "Close your eyes and please don't let me go." e ancora "Take my hand tonight we could find some place to go, cause our hearts are locked forever and our FRIENDSHIP will never die." e infine, ma non meno importante "But this time I mean it, I'll let you know how much you mean to me." guardai il lavoro e mi alzai e gli misi la maglia. «Mo' sei figo.» risi e mi sedetti e lo abbracciai forte «L'idiota mio.» sussurrai e lui rise piano nel mio orecchio «La mia pesca.» sussurrò.
Ci ritrovammo due ore dopo alla stazione che ballavamo come due cretini e la gente che ci guardava, ma a noi cosa importava? Continuammo fino a che non fui costretta a prendermi tutta la mia roba e ad avviarmi al treno che mi avrebbe portato a casa. Non volevo abbracciarlo. Ci sarei stata malissimo dopo. Quello sarebbe stato come un addio. E io odiavo gli addii. 
Con la testa bassa mi avviai al treno, quando mi arrivò un messaggio "((HUG?))" sospirai e correndo indietro andai ad abbracciarlo fortissimo. Mi prese in braccio e mi strinse forte a se «Sono stato benissimo con te in queste ore. Non è un addio. Ci rivedremo, Maria. Te lo giuro. E' una promessa.» «Ti voglio bene, Marco. Ti voglio tanto bene.» gli bagnai la maglia con le lacrime, poi mi staccai per forza dato che richiamarono il mio treno e corsi dentro. 
Via lontano da lui. Mi appoggiai al finestrino e lo vidi piangere. Ciò che non volevo era successo: stava piangendo. Gli mandai un bacio con la mano e gli feci un cuore. Poi non lo vidi più.
Guardai il soffitto bianco della mia camera, poi le parete gialle della carta da parati e infine accesi l'iPod e riguardai tutte le nostre foto. Sorrisi coprendomi con il lenzuolo. No, non era un sogno.
   
 
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