A HARD DAY'S NIGHT
CAPITOLO 5: It's been
a hard day's night... And I've been working like a dog.
«Dai, George!» Shake poggiò la mano sullo spigolo del
muro, di fronte allo specchio in cui le due figure maschili si riflettevano.
I due avevano interrotto John durante un bagno di bellezza, mentre sputava
fuori dalla bocca qualche frase incomprensibile in tedesco, immerso
completamente nella schiuma, fino alla testa.
Stava giocando con un sottomarino.
«… Non essere ridicolo» Harrison tirò fuori schiuma da barba e lametta.
«Avevi detto che avrei potuto!»
«Un uomo della tua età che non è in grado di radersi!»
«Non è colpa mia se in famiglia usavamo solo rasoi elettrici... Fra l'altro con
quella borsetta così femminile fra le mani, non criticherei molto».
George si girò e gli lanciò un'occhiata ironica:
«Me l'ha data la ragazza che dorme nel mio letto»
ammiccò, come se fosse l'unico a concludere qualcosa.
«Così puoi portarti uno spazzolino dietro per disboscar...»
«Ma cos'è questa storia degli alberi e della verdura? Ditemelo!»
«Lasciamo perdere» il roadie annuì convinto, mentre guardava il chitarrista
armeggiare con gli attrezzi da uomini.
Dopo che ebbe tolto la copertura di sicurezza alla lametta, il musicista prese
la schiuma da barba e la spremette sullo specchio.
«Comunque, non farai pratica su di me!» con uno
sguardo attento la posizionò in modo che la faccia di Shake fosse perfettamente
allineata con la linea bianca e spumosa.
«Rule Britannia, Britannia rules the...» intanto Lennon dava al momento una
colonna sonora patriottica e a tratti nevrotica, i due lo ignorarono: era
perfettamente nella norma.
«Metti via quella lingua. È disgustosa così rosea e nuda... Dovesse sfuggirmi
il rasoio...» suonò quasi come una minaccia, detta da George, Norman tirò
dentro la propria lingua con un lamento.
«ATTACCO! ARREMBAGGIO! ACQUA! AIUTO!» esclamò ad alta voce John, mentre si
contorceva all'interno della vasca, schizzando acqua, sapone e schiuma di qua e
di là.
«Silurato di nuovo?» gli altri due si erano girati verso di lui dapprima con
un'espressione apprensiva, che poi cambiò in un sorriso quasi accondiscendente.
Norman irruppe all'interno del bagno (che già era piuttosto sovraffollato)
senza nemmeno bussare:
«Andiamo, la macchina che vi deve portare in studio è qui!»
«Bussi sempre così forte quando entri?»
«Hey, dov'è John?»
«Nella vasca».
«Dai Lennon, esci da lì» ordinò il manager guardando la vasca stracolma, ma del
suo collega non vi era nemmeno traccia, almeno in superficie, perciò la stappò,
ma man mano che l'acqua defluiva e la porcellana veniva messa a nudo, c'erano
sempre meno possibilità che il bagnante fosse lì.
«John! John!» Norman fece un'espressione disperata, a metà fra “Oh, cavolo, ho
appena perso il datore di lavoro che mi avrebbe riempito di soldi” e il “Dio
mio, passerò dei guai per questo?”, ma proprio mentre i pensieri peggiori lo
assalivano, il Beatle apparì, entrando nella stanza.
«Cosa fai con quella barca? Avanti, la macchina sta aspettando!» lo rimproverò
John aggrottando le sopracciglia, come se non fosse successo niente.
«George!» il ragazzo si sentì chiamato, perciò si girò «Amelia, dimmi... Vado
di fretta...»
«Volevo solo chiederti il permesso di fare una telefonata dalla tua camera per
prenotare un altro Hotel» sussurrò lei, quasi intimidita.
«Non devi, puoi rimanere quanto vuoi» sorrise rassicurante il musicista,
allungandosi per afferrarle una mano.
Le posò un bacio sulla fronte fin troppo dolcemente, poi scappò via.
La folla era impazzita, naturalmente, ma stavolta almeno c’era meno gente di
quanta ce n’era alla stazione il giorno prima. In più, Paul era misteriosamente
scomparso, quindi le sue fan, che erano il 69% del totale, lo stavano
probabilmente inseguendo da qualche altra parte della città.
Una volta raggiunta la sala, i ragazzi cercarono di temporeggiare, sperando che
Paul fosse nei dintorni, ma niente, così furono spinti da Norman nelle fauci
dei giornalisti. Non appena entrarono tutti iniziarono ad avvicinarsi per
scattare foto e per essere i primi a fare domande.
Visto che Paul non c’era, tutti si fiondarono su John e George. All’inizio
alcuni avevano pensato che anche Ringo potesse essere interessante, visto che
John aveva dichiarato di aver notato il suo naso solo di recente, ma poi il
batterista li aveva messi tutti in fuga con delle battute orribili. Il colmo
fu quando una giornalista gli chiese:
«Come vorresti che si vestissero le tue ragazze?»
Lui rispose con una fragorosa risata, che non presagiva niente di nuovo:
«... eheheheheh!»
Aveva riso talmente forte che l’aveva spettinata.
John se la stava cavando egregiamente, riuscendo a mettere in difficoltà
chiunque:
«Dimmi, come avete trovato l’America?» aveva chiesto uno sventurato che non
sapeva a cosa andava incontro.
Lennon riuscì a rimanere serio per una frazione di secondo, rispondendo:
«Svoltando a sinistra della Groenlandia.»
Poi scoppiò a ridere.
Allora fu il turno di una signora mora, non esattamente giovanissima, che tentò
con una domanda personale:
«Hai degli hobby?»
John non aspettava altro. Afferrò il suo blocchetto e la penna e scrisse a
lettere chiare, in uno stampatello preciso la parola TITS stando bene attento
allo spelling e al pallino sulla I.
George invece puntava sul fascino del serio, che aveva già stregato la povera
Amelia. Visto che aveva capito che anche la verdura nei denti aveva il suo
perché, aveva deciso che era il caso di conservarla, sebbene nessuno sapesse
come avesse fatto a procurarsela, visto che non era riuscito a toccare cibo.
Stava deperendo praticamente a vista d’occhio. Il chitarrista era parecchio
turbato da quei giornalisti da quattro soldi che facevano domande assurde del
tipo:
«Il successo ha cambiato la tua vita?»
‘Certo che mi ha cambiato la vita, razza di...!!!!!!’
«Come chiamate quel taglio di capelli che avete?»
‘Ma secondo te ha un nome proprio?!?!’
«Arthur.».
«Vieni qui, sembri stressato» Kate tirò Paul per il colletto, avvicinandolo a
sé, proprio dentro il bagno delle donne, che in realtà era deserto.
«Non è proprio rilassante essere tartassato di domande senza poter mangiare
qualcosa» spiegò lui, poggiando i palmi delle mani sul marmo del lavandino,
stringendo la ragazza fra sé e il mobile.
«Com’è che dici tu? Aiutami ad allentare la tensione?» sussurrò lei nel suo
orecchio, mentre gli massaggiava le spalle e sfiorava le labbra contro il collo
liscio del bassista, si mise a sedere sul mobile del bagno, arpionando le gambe
ai suoi fianchi.
«E se dovesse entrare qualcuno?»
«Ho chiuso a chiave…»
«Scusate il ritardo» esordì McCartney, camminando davanti a Kate.
«Ma certo, tanto noi siamo tutti qui a grattarci le p...» John fece un sorriso
sardonico, mentre imbracciava la sua fedele chitarra, seguito a ruota da George.
«Credo che mi farò da parte» accennò un sorriso Kate, spostandosi dietro le
quinte.
Ringo stava mettendo a punto gli ultimi particolari per suonare al meglio la
propria batteria, quando un fonico fece tentennare un piatto.
«Giù le mani» lo minacciò, guardandolo in cagnesco.
«Era solo una suonatina!» si giustificò l'altro, che aveva al collo un paio
enorme di cuffie.
«Respiraci sopra e sono in sciopero» specificò il batterista, regolando
l'altezza del charleston.
«Ci tiene molto alla sua batteria, ha un ruolo importante nella sua leggenda»
spiegò George allo sconsolato tecnico del suono, che si allontanò silenziosamente.
«Che succede?» Paul alzò gli occhi verdi e grandi dal suo quattro corde,
«Fa ancora il muso.»
«Ah! Ci penso io!» John sorrise e attaccò con If I fell, insomma, una ballata d'amore e promesse, suonata all'improvviso.
Come avrebbe potuto non tirare su di morale Ringo?!
Durante la performance, furono montati, attorno ai Fab, una serie di
amplificatori che sarebbero serviti successivamente. George, che indietreggiava
senza pensare a che cosa avesse dietro, ne distrusse uno con un'enorme
nonchalance. Si guardò intorno, cercando lo sguardo dei suoi amici, che però
erano presi a suonare. Quindi, con disinvoltura, fece finta di niente.
Non appena il momento si mostrò opportuno e la canzone terminata, tutti
fuggirono.
Si catapultarono fuori dall’uscita di sicurezza e finalmente poterono respirare
libertà. Non che fino a quel momento non l’avessero fatto, ma l’etichetta
poteva essere parecchio fastidiosa per dei tipi come loro.
Corsero a perdifiato giù per la tromba delle scale: Ringo apriva la fila,
cercando di essere quando più svelto poteva, seguito da George, John, Paul e
Kate. Arrivarono incolumi al piano terra, sul retro, che dava su uno spiazzo
verde riempito in cui erano stati accatastati vecchi oggetti di scena. Il
chitarrista si rallegrò del fatto che Amelia non fosse lì: se ci fosse stata,
di certo non avrebbe perso l’occasione per inciampare e cadere, naturalmente.
Seguirono balli e giochi di gruppo sempre costellati da una sottile ironia. Ci
furono momenti di indimenticabile divertimento, fino a che una voce tuonò alle
loro spalle:
«Suppongo che vi rendiate conto che questa è proprietà
privata!»