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Autore: zeroo kiryou    25/01/2013    1 recensioni
Un sussurro. Una voce. Un lamento. Un urlo.
Mi sento stordito, ho la vista annebbiata e il mio corpo è senza forze. Sento come se stessi galleggiando, fluttuando nell’aria che sa di polvere, sangue e un pungente odore di disperazione e rassegnazione, anche se sono quasi completamente sicuro che quelli gli sento solo io.
Genere: Dark, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un sussurro. Una voce. Un lamento. Un urlo.
Mi sento stordito, ho la vista annebbiata e il mio corpo è senza forze. Sento come se stessi galleggiando, fluttuando nell’aria che sa di polvere, sangue e un pungente odore di disperazione e rassegnazione, anche se sono quasi completamente sicuro che quelli gli sento solo io.
Riapro gli occhi a fatica e ti vedo. Mi accorgo in quel momento in quale situazione mi trovo.
Un dolore lancinante che mi trafigge in ogni punto, ad ogni singolo respiro.
Ho la mente in confusione, anche se ho capito dove mi trovo. Tra le tue braccia.
Ormai ho la certezza di ciò che succederà, l’ho sempre avuta, è una cosa inevitabile anche se avrei voluto rimandare. L’ennesima volta che mi ritrovo faccia a faccia con Lei eppure… non si degna mai di farla finita, non finisce mai quello che inizia, almeno non nel mio caso.
Vorrei chiederti scusa, dirti come mi sento e quello che provo eppure so che se potessi tornare indietro, non ne sarei capace. Mi tirerei indietro, come sempre, lontano da tutte le incertezze e le paure celate nel profondo.
Avrei dovuto liberarmi delle debolezze tempo addietro, un cacciatore fa sempre così eppure… io non l’ho mai fatto, ecco il motivo per il quale Lei questa volta ha deciso di finire ciò che da anni ormai porta avanti senza mai concludere.
Mi abbandono ai miei ricordi, ormai l’unica cosa che mi rimane, oltre alla tua immagine.
Sei l’unica persona che mi sia rimasta incisa nel corpo e nell’anima.
-Ti amo- sussurrò ma il caos generale evita che il mio flebile filo di voce ti raggiunga –Ti amo e ciò non cambierà mai…- perché ormai… per me mai non esiste, esiste solo il “per sempre”.
 
Rimango fermo sul bacone a fissare il vuoto. Non so perché ogni volta finisca con immergermi nel mio essere, un vuoto così totale che nemmeno il sole stesso riuscirebbe a illuminare ,anzi, verrebbe inghiottito e con esso anche tutto ciò a cui tengo e tutto ciò che mi circonda.
-Kazuki!- mi chiami ma sono talmente distratto da non accorgermene –Kazuki!!!- mi urli ancora.
Sei nel corridoio, ora lo so. Mi stai cercando e la cosa non è per niente allettante. Anche se il nostro rapporto, la nostra amicizia, non si basano solo sul lavoro la maggior parte dei momenti in cui possiamo stare insieme è in esso.
-Eccoti finalmente!- mi dici mentre ti metti in piedi sula porta. Mi girò verso di te e ti sorrido.
Sorrido sempre in tua compagnia ma non perché ci sia un motivo, lo faccio solo per nasconderti le mie ansie e le mie paranoie. So che ti preoccuperesti più del dovuto quindi le tengo tutte per me.
-Dimmi- ti dico e ti avvicini senza esitazioni, stringendomi forte.
Mi sento minuscolo accanto a te. Sono più basso e anche più magro, tu invece sei alto e con una corporatura tutt’altro che fragile. Sei palestrato al punto giusto, senza esagerare, quel poco che ti basta per essere virile e per tenerti in forma io invece sono basso e magro ma sono agile, è l’unica capacità positiva che ho, oltre alla mira infallibile.
-Abbiamo da fare- mi dici e non rispondo. Odio lavorare, odio ciò che faccio, odio ciò che sono… ciò che ero e ciò che sono diventato.
-Non voglio- ti dico e ti allontani per incrociare il mio sguardo. Io abbasso il volto e mi giro, osservando il “panorama”.
Sembra strano che noi, demoni che si “divertono” nel cacciare anime impure, viviamo in un posto simile. Lontano da tutto e da tutti, quasi fosse un paradiso personale.
-Sai che il “non voglio” qui non ha significato- mi dici mettendomi una mano sulla spalla.
Mi sento un mostro. So che noi esorcisti viviamo per “liberare” il mondo dalle impurità eppure… mi chiedo ogni volta come mai Dio, essendo così perfetto, abbia creato qualcosa di così problematico.
Vedere ogni volta i corpi delle povere persone possedute contorcersi davanti ai miei occhi, i loro sguardi colmi di dolore e disperazione, quasi quanto quella che in me alberga, mi fanno sempre rabbrividire.
Ascoltare le loro voci, le urla disumane, i lamenti e le preghiere che scagliano contro di noi come frecce infuocate che perforano la carne e bruciano anche dopo che il fuoco s’è spento, come se nulla fosse cambiato.
Sospiro e mi divincolo da quel tuo tentativo di convincermi che anche questa volta andrà tutto bene.
Voglio rimanere non per paura di morire, quella lì è quella che mi spaventa di meno. Ho paura di vederti morire e di avere la consapevolezza di essere inutile, ecco qual è la mia vera paura.
-Perché noi?- ti chiedo e ti limiti a fissare il vuoto insieme a me con il solito sorriso rassicurante sulle labbra –Che abbiamo fatto di così… male, per meritarci questo? Siamo degli assassini- dico infine mentre nella mia mente affiora l’immagine di una bambina.
Non più di cinque anni. Era stata posseduta e il mio compito era quello di “purificarla”. Il suo giovane corpo non aveva retto a tutto quello sforzo e alla fine era morta. Ricordavo ancora le sue ultime parole.
“ho paura… non voglio andarmene… non voglio!”
Un brivido mi percorse la schiena nel ricordare i suoi occhi piangenti, la sua espressione di puro terrore, la sua voce che mi pregava di lasciarla, di aiutarla, di toglierle quel qualsiasi cosa fosse che la torturava giorno e notte.
Avevo fatto il possibile oppure… l’avevo solo uccisa.
Non era la prima e decisamente non sarebbe stata l’ultima.
-Il nostro compito è questo, siamo gli unici in grado di farlo- mi dici e inizi ad andare, lasciandomi nel buio della notte –Capisco il tuo dolore ma… finche siamo in due il dolore si sopporta, il male si stermina e… la gioia di aver potuto aiutare qualcuno si condivide- mi rivolgi un ultimo sorriso e sparisci oltre la porta del balcone –Ti aspetto nella stanza, muoviti che dobbiamo andarcene, prima partiamo meglio è!-
 
Prendo la bibbia, il coltello e le numerose pistole che porto sempre con me. Osservo tutto con gli stesi occhi con cui guardo la morte.
Un dolore atroce, un vuoto incolmabile, una consapevolezza così vivida che mi fa disperare. So che se continuo così, celando tutto dentro me stesso, finirò con impazzire davvero, eppure non smetto.
Do un pugno al muro provando dolore. Vedo le nocche arrossate, una che addirittura sanguina ma non smetto. Ripeto l’azione e questa volta con l’altra mano e continuo, finche entrambe non sanguinano come di dovere e anche il muro si sporca di quel liquido rosso che mi fa tanto ribrezzo.
In quel momento entri nella stanza e mi fermi urlandomi contro. Prendi le mie mani e le metti sotto il getto d’acqua del lavandino, lavando le ferite mentre la mia mente vaga, immaginando il nuovo volto, la mia nuova vittima.
Mi fissi adirato, quasi volessi picchiarmi per aver fatto una cosa tanto stupida. Leggo la stessa disperazione che leggo in me nei tuoi occhi, nelle tue gesta, so che sei in ansia, in pensiero, in pena quanto me, ma cerchi di dissimulare per evitare di preoccupare me e tutti coloro che ti circondano.
Ti conosco, vuoi sempre essere la roccia di tutti, quella persona sulla quale la gente può contare sempre, colui che difende e non incolpa, colui che protegge senza danneggiare mai nessuno, ponendo tutto e tutti prima di se stesso.
Ti amo per questa ragione e so che lo sai ma eviti di farmelo capire perché ostacolerebbe il nostro compito e tutto il resto delle missioni.
-Che hai intenzione di fare?- mi chiedi mentre mi metti le bende pulite –Ho bisogno di te, lo sai. Non puoi abbandonarmi proprio ora- la tua voce è secca, neutra eppurela sua calma viene tradita dalla lucidità del tuo sguardo vitreo. Ormai l’angoscia sta avendo il sopravvento anche su di te ma non cedi, sei forte ed è così che ti ricorderò. Come colui che mi dava forza per resistere alla morte.
Colui che mi donava vita in un’esistenza austera quanto la morte stessa.
Non rispondo, mi limito a fissare il suolo sotto i miei piedi consapevole che se morissi, finirei sotto di esso, ardendo nelle fiamme dell’inferno.
Mi chiedo se Dio non avrà difficoltà a giudicare la mia anima. Uccido i demoni che albergano nei corpi umani ma così facendo uccido anche gli essere umani, le loro anime, a volte giovani, a volte vecchie ma la maggior parte pulite.
-Vorrei sapere cosa pensi- mi dici ancora e questa volta la malinconia è palpabile nella tua voce, stai cedendo, lo vedo, non manca molto –Voglio solo… finire il più in fretta possibile per tornare qui… - mi dici e dalla tua guancia vedo una lacrima scendere frettolosa, quasi seguisse i tuoi comandi e cercasse di nascondersi per aver osato farsi vedere.
Stringi le bende e mi fissi ancora. I tuoi occhi colmi di tristezza mi fanno notare quanto posso essere ipocrita.
Dico che odio ucciderli eppure… alla fine non provo nulla diversamente da te che ne soffri. Sei decisamente molto più umano di quanto posso esserlo io, ecco perché andiamo d’accordo, la freddezza la metto io e l’umanità la apporti tu. Divento consapevole che in ognuno di loro, di tutti coloro che ho privato del domani, c’era una parte di me. Ecco perché in quel momento sono così calmo.
Sono morto, ormai.
-Lo voglio anche io…- mi azzardo a dire ma il mio sguardo rimane impassibile verso il suolo –Voglio finirla… sto diventando un maledetto assassino. Un figlio di puttana che per “accontentare” Dio deve uccidere delle persone innocenti!- sto urlando ma non importa, so che tutto ciò che sto dicendo lo pensano anche gli altri, tutti, compresi i nostri capi –Odio tutto ciò che faccio, ciò che sono… quello che sono diventato! Vorrei morire per non vedere più nulla, per non provare più quest’angoscia che non mi da pace, che mi tormenta nel sonno e non appena mi sveglio mi investe ancora e ancora fin quando mi lascia senza respiro, senza una minima reazione, finche mi consuma fino al midollo lasciandomi come una bambole vuota, senza sentimenti che si limita a fare quello che deve eppure continuo a resistere cercando di autoconvincermi che sono ancora qualcuno che possiede un cuore!- mi fermo per prendere fiato con il tuo sguardo comprensivo puntato contro –So che se non lo facciamo noi qualcun altro lo farà ma… perché!? Perché dobbiamo diventare dei dannati noi!? Perché?! Perché!!??- scoppio a piangere davanti a te.
Ormai i miei muri sono stati abbattuti, ho raggiunto anche io il punto di non ritorno, quello che ti fa svuotare fino a lasciare solo il tuo involucro.
Mi sento come un bambino mentre ti chini su di me e mi abbracci. Mentre piangi insieme a me.
Non ti vergogni nemmeno, e so che non devi, lo sappiamo entrambi. Non abbiamo mai creduto al detto “gli uomini non piangono”, siamo umani come tutti, piangiamo anche noi.
-Ho paura- mi sussurri mentre mi stringi ancora con più decisione –Non voglio perdere me stesso… non voglio diventare un maledetto stronzo che uccidere con la stessa naturalezza con la quale respira… peggio ancora non voglio perdere te!- lo dici senza esitare, forse nemmeno te ne accorgi ed io, per qualche strana ragione, dimentico il mio dolore e la mia sofferenza per concentrarmi su quel momento, uno dei pochi momenti felici che quel lavoro mi porta.
Ho solo diciassette anni eppure ho visto così tante persone morire… ne ho uccise più di quante ne abbia salvate. Voglio salvare anche te, ormai ho deciso. Se ce ne sarà il bisogno, darò la mia stessa vita per te.
Ti stringo forte mentre assaporo l’odore dei tuoi capelli, il profumo della tua pelle.
Incroci il mio sguardo e prima che me ne accorga mi dai un leggero bacio sulle labbra, delicato e sottile, ma forte. Proprio come te.
-Finiamo in fretta- mi dici abbassando il volto rosso di vergogna –Così possiamo tornare e smettere di pensare per un po’…-
Alzo il tuo volto e ti do un bacio anch’io, ma deciso, senza esitazioni e tu ricambi, stringendomi ancora –Facciamo ciò che dobbiamo fare, andràtutto bene finche siamo in due- sorrido.
 
È più giovane di me, forse ha quindici anni. È un ragazzo, ecco la nuova vittima.
Ti metti di fronte a me, come sempre, per analizzare la situazione. Non sembra violento ma potrebbe scatenarsi da un momento all’altro.
Inizi a preparare l’insieme ed io prendo la bibbia. Mi accorgo che il giovane reagisce a essa, gli da fastidio e posso capirlo, da fastidio anche a me. Si avvicina ma non mi spavento. Ho il coltello di fianco e una pistola a portata di mano, se osasse farmi del male non esiterei a sparargli una pallottola benedetta oppure buttargli dell’acqua santa addosso, almeno per guadagnare tempo.
-Sai quello che fai?- mi chiede e faccio di si con la testa mentre mi metto allerta. Tu ci osservi da lontano, la croce in mano e anche una boccetta di acqua benedetta.
Mi dispiace che tu, con soli vent’anni ti ritrovi come me, ad uccidere gente, a torturarla senza pietà.
-Io… ho paura- mi dice e sembra sincero, posso capire anche quello e fa bene ad averla, forse è anche l’ultima cosa che proverà –Se muoio… aspetta, posso morire?-
Faccio di no con la testa, senza aprire bocca. Mi chiedo dove diamine sia il demone dentro di lui. Perché vedendo tutte quelle minacce non si fa vivo?
-Mi aiuterai, vero?- mi chiede. Ha una voce infantile per avere l’età che sembra ma non commento, mi limito ancora a fare di si con la testa –Perché questa cosa ha preso me? Sono stato cattivo?-
Mi stringo nelle spalle e sfodero il coltello. Ha inciso sulla lama parte di uno dei salmi, anche se non mi sono mai sprecato di leggerlo, e lo metto contro luce, per fare in modo che la luce rifletta su di esso, magari così il giovane si allontana ma non va proprio come mi aspettavo. Rimane accanto a me e fissa il coltello con interesse.
-Mi farai del male se questa cosa non esce?- mi chiede ancora e tu intervieni mettendogli di fronte la croce.
Il giovane si allontana spaventato, forse era troppo vicina. Lo osservi distaccato ma non dici nulla per un po’.
-Non ti faremo niente- gli dici alla fine –Tu cerca solo di non perdere conoscenza, se lo fai, quella cosa si impossesserà di te appieno quindi…-
Il ragazzo annuisce e si sdraia sul letto che gli indichi. Lo leghi ed è lì che inizia a spaventarsi. Lo facciamo per sicurezza ma… qualcosa comincia ad andare storto. Cerco di fa finta di nulla e gli metto la bibbia sulla fronte.
Sento le sue urla che squagliano il silenzio, la madre del giovane che ci osserva. So cosa si sta chiedendo, se non siamo troppo giovani per quelle cose, eppure siamo una delle poche risorse che ha a disposizione.
Inizio con la preghiera e il ragazzo si agita. Ha le convulsioni ma non mi spiego il perché, non era mai successo, si erano sempre limitati a urlare.
-Dovremmo chiedere rinforzi- mi dici ma le sue urla mi impediscono di ascoltare le tue parole. Agisci di testa tua e gli butti addosso l’acqua santa.
Lui urla ancora di più e parla in una lingua a noi incomprensibile. I suoi occhi diventano bianchi completamente e si alza dal letto, strappando le corde.
Per la prima volta provo paura, e non è quella di perdere te, ma di morire.
Prendo il coletto e cerco di affondare, la situazione ci sta sfuggendo dalle mani, mi urli di stare attento e questa volta ti sento bene.
-Non fategli del male! È mio figlio!- ci urla la donna disperata, capisco anche io che c’è qualcosa che non va, ne ero consapevole anche prima eppure non ho parlato… avrei dovuto! Che idiota.
Ti vedo prendere la spada consacrata che porti con te e venirmi incontro, cercando di difendere sia la donna, sia me.
-Sciocco!- ti urlo adirato. So prendermi cura di me e questo lo sai eppure ti ostini a volermi proteggere, è sempre così –Dobbiamo portarla fuori! Qui non finiremo molto in fretta!-
Mi accorgo di aver sbagliato tutto. La donna doveva uscire eppure l’ho lasciata rimanere. Dovevo accorgermi che dentro di lui non c’erano demoni o anime malvage, era tutto diverso, la paura per gli oggetti sacri era completamente assente.
Non era posseduto da un demone, ma da un angelo.
-Non sappiamo come diamine combattergli!- mi dici quando ormai anche tu hai capito la situazione –Che facciamo? Come dobbiamo reagire?- sembri parecchio preoccupato e non ti biasimo assolutamente, anche io lo sono. Sono impaurito di ciò che non conosco, come tutti i comuni mortali.
-Facciamo il possibile per non morire… se questa cosa esce da qui… in quello stato siamo nella merda e con noi anche tutti coloro che ne entreranno in contatto!- ti dico e mi tocca urlare perché quella cosa urla come se fosse impazzita.
“forse aveva già perso conoscenza prima” penso con disprezzo verso me stesso “forse… prima che noi arrivassimo… maledizione!”
Prendo anche io la spada, notando che lui, come armi, ha preso due croci d’argento che portavamo con noi. Sono parecchio grandi e spesse, sono armi a tutti gli effetti.
Cerco di affondare e tu con me ma è agile, anche troppo. Più di me e non mi sorprende, è un angelo dopo tutto.
Mi distraggo un secondo, notando il viso sconvolto della donna che prega Dio per riavere suo figlio, per salvarlo.
Sono inutile anche qui, lo capisco e mi rassego al mio destino. Non aiuterò mai nessuno, lo so e mi duole.
Vorrei piangere.
Il solo pensiero, la sola consapevolezza di non aver mai fatto in vita mia qualcosa di utile mi brucia. Mi consuma.
All’inizio avevo pensato che sarei diventato esorcista per aiutare, ora mi convinco, e solo ora mi accorgo a pieno che era un’idea sbagliata. Stavo diventando un demone come tutti quelli che combattevo, anzi, ero peggio di loro. Essi lottavano nel nome di Satana, uccidevano per la sua gloria mentre io uccidevo e massacravo nel nome di Dio.
“Dio, aiutami a proteggerlo… Voglio fare qualcosa di buono… Voglio esserti utile, a Te e a tutti i presenti… Dami forza, ti prego mio Signore!”
Non ottengo nulla come mi aspettavo e per quella delusione mi distraggo ancora.
Il giovane mi scaraventa contro il muro con una spinta potente ed io perdo il fiato, rimanendo in ginocchio davanti a lui. La spada in mano, la croce nell’altra, il coltello nella cintura e la pistola dalla parte opposta.
Nulla mi è utile, nemmeno la mia fede!
-Alzati!- mi urli con fare disperato mentre cerchi di tirare su quella povera donna che vede il figlio con occhi completamente diversi da prima –Kazu!!!!-
-Sei debole!- mi urla contro il ragazzo mentre mi prende per i capelli e mi tira su la testa –Sei proprio debole!- mi da un pugno sulla guancia sinistra, scaraventandomi a terra violentemente.
È la prima volta che mi ritrovo in una situazione così, il mio corpo è paralizzato, la mia mente annebbiata come non mai… che devo fare?!
-Non vali niente, sei solo un burattino!- mi urla ancora e mi da un calcio allo stomaco, schiacciandomi contro il muro, fin quasi perforare il mio corpo –Dov’è il tuo Dio adesso?! Ti ha abbandonato? Oppure tu, in lui non ci credi?!- mi tira su con la forza e lo lascio fare.
Sento il sangue colare giù dal labbro e forse ho anche qualche osso rotto, non ne ho idea, so solo che mi fa male da per tutto e che sono incapace di respingere i suoi attacchi.
-Vai all’inferno- oso dire e basta ciò per farlo infuriare.
Mi prende ancora per i capelli e mi butta a terra, trascinandomi come se fossi un sacco della spazzatura, facendomi scontrare tutto ciò che può.
-Muoviti!- mi incalza –Che sei venuto a fare se no? Credevo lo volessi aiutare?!- mi urla ancora ed io sento solo un suono ovattato.
Ormai lo so, la mia ora sta arrivando, me ne accorgo. Sento la tua voce in sottofondo che urla il mio nome ma sono troppo stordito per reagire. Il mio corpo è pesantissimo, già respirare è una fatica.
-Se non ti muovi, ti ammazzo- mi sussurra a un soffio dalla faccia, così tanto che il suo respiro si unisce al mio –Vuoi morire?-
Non mi dispiacerebbe, anzi, mi farebbe un favore. Tanto non faccio che uccidere gente io, almeno così saprò cos’hanno provato tutti coloro che ho privato della vita.
Lo vedo prendere il mio coltello dalla cintura e infilzarmi la gamba.
Un urlo mi sfugge, straziante e disumano, ma mi permette di respirare a fondo, di riempire i polmoni come di dovere.
Lo vedo.
Il tunnel.
È diverso da come me lo aspettavo… di solito si dipinge come qualcosa che luccica, quel luogo nel quale le persone entrano e alla fine trovano la luce.
La luce.
Sono consapevole che quel posto non è il paradiso, non c’è luce, ne caldo, nemmeno un sussurro che mi aiuti, che mi consoli.
Non vedo altro che austera oscurità, angoscia, paura, dolore, rabbia. Tutto ciò che provo per me stesso e in quel momento. Sono nel mio essere? Si, probabilmente si, ciò spiegherebbe perché mi sembra così famigliare, altro che tunnel.
-Vuoi lasciarlo morire, come hai fatto con il tuo compagno?!-
La sua voce mi raggiunge e mi penetra come una pugnalata al cuore. Considero sleale che mi torturi con i miei più oscuri ricordi. Lo odio.
Rivedo il suo volto. È una ragazza, all’epoca ero il suo compagno di battaglia.
Una giovane suora, pochi anni addietro, forse due, forse meno. Eravamo molto legati, sia d’amore fraterno, sia come amici, ma anche come qualcos’altro ma non amore di coppia, un affetto sincero.
Il suo volto era sempre raggiate, rassicurava tutti e con lei andava sempre liscio, o quasi. Cercava sempre di fare il possibile per evitare la morte del posseduto e la maggior parte delle volte ci riusciva, anche se consumava una quantità enorme di forze.
L’ultimo ricordo che ho del suo volto è quello. Il girono della sua morte.
La situazione era sfuggita a entrambi e alla fine il demone si era impossessato di lei. Mi aveva pregato di ucciderla, sosteneva che sarebbe andato tutto bene, che non avrebbe riservato alcun rancore nei miei confronti, anzi, mi sarebbe stata grata. Mi aveva detto che preferiva morire da posseduta, ma ancora con un minimo di lucidità, piuttosto che dover combattere contro di me e morire da indemoniata.
Non avevo avuto scelta e l’avevo uccisa. L’avevo ammazzata con le mie stesse mani!
Il mio essere si mise a piangere in silenzio.
“Ti voglio bene” mi aveva detto. Erano state le sue ultime parole, parole d’affetto rivolte verso il suo uccisore.
Apro gli occhi e lo vedo che si avvicina a te, che come puoi, cerchi di difendere la donna atterrita alle tue spalle.
Mi alzo a fatica, gli occhi umidi e vitrei. Sto piangendo e il ragazzo lo nota.
Mi sorprendo io stesso di essermi alzato, poco prima non sarei stato capace nemmeno di parlare.
Il ragazzo si ferma poco prima di raggiungervi e mi osserva curioso, sa che qualcosa è cambiato e se è così, lo devo solo a lui.
-Nullità, quindi sei vivo?- mi chiede e sorrido sadico.
Vedo il tuo volto contorcersi in un’espressione di stupore e orrore ma non capisco il motivo.
-Brutto figlio di puttana, eri tu?!- chiedo. Non trovo altra spiegazione, è logico! Se lui sa che Mia è morta… non c’è dubbio che ci fosse di mezzo anche lì… per colpa sua ho ucciso la mia amata Mia!
-Complimenti, devo dire che era proprio un bel corpo, molto ospitale, peccato che tu lo abbia ridotto a brandelli- mi ride in faccia e sento la rabbia salire, l’odio crescere, l’adrenalina a mille.
In quel momento sono sicuro che voglio ucciderlo. L’unica cosa certa di tutta la mia vita dalla morte di Mia. Vivevo per vendicarla.
-Fermati!- mi urli mentre la donna urla disperata –Ti sta provocando, non cedere, Kazu!!!-
Ti sento ma le tue parole in quel momento per me non hanno significato.
-Uccidimi- mi incita e non dubito nemmeno un istante.
Prendo la pistola e gliela punto alla testa. So che non devo, so che potrei sbagliare ma sono accecato dalla vendetta e dall’odio, dall’orgoglio che non voglio abbassare, non voglio darmi per vinto.
So che se gli sparo e lo colpisco uccido anche il ragazzo ma non mi fa alcuna differenza ormai, ne ho ucciso così tanti, uno non farà la differenza.
Premo il grilletto e per mia sfortuna si sposta. Vedo la pallottola al rallentatore, se sia un qualcosa che accade davvero o che immagino io non so proprio dirlo. Si avvicina a te ma anche tu ti sposti violentemente.
Spalanco gli occhi spaventato, atterrito, umiliato da me stesso.
Mi fissi stupefatto, so che non mi riconosci eppure il tuo sguardo non mi giudica, anzi, mi sostiene, mi da fiducia!
Scoppio a piangere mentre osservo il corpo della donna tra le tue braccia. Ho colpito lei alla testa.
Urlo disperato, buttando fuori tutta la mia rabbia. Mi odio. Anche se pensavo non mi sarebbe importato, mi sento una merda avendo ucciso ancora e so che lo rifarò.
Sento il giovane ridere e la cosa mi fa infuriare. Scatto in avanti con la spada in mano e cerco di affondare una, due tre, infinite volte, da tutte le angolazioni che il mio corpo mi permette, eppure riesce a pararletutte. Si fa solo dei graffi, ed io a mia volta,ma nulla di più.
So che hai capito che quella è la mia battaglia, per questo non intervieni,ma so che se ce ne fosse bisogno lo faresti, ti stai trattenendo, ti conosco.
D’un tratto il giovane si ferma ed io approfitto per affondare direttamente sul suo ventre.
Sento un urlo di dolore e so che ne soffre, gli si legge nel volto. È successo qualcosa, si è distratto, non avrebbe dovuto, io lo so.
In quel momento mi accorgo che la scarica di energia svanisce, il mio corpo torna pesante e il dolore ritorna ancora più vivido.
Sento il sangue colare ovunque, mio e non, accorgendomi che anche il ragazzino è ridotto male.
Che è successo? Che cazzo è successo?! Non lo capisco, non posso, non voglio… che diamine ho fatto?!!!
Tolgo la spada con violenza e gli schizzi di colore rosso mi sporcano il viso. Assaggio il liquido e mi sento schifato. Il sapore rivoltante del sangue in eccesso… sento che sto per vomitare ma mi trattengo.
Osservo il suo sguardo, perso nel vuoto, quasi assente, sta morendo, lo so ma non mi dispiace… anzi, mi rincuora sapere che non morirò solo.
-Mi avevi detto… che non potevo morire!- mi dice e questa volta non è l’angelo a parlare, ma il ragazzo.
“quindi non era privo di sensi al nostro arrivo” penso e scoppio a piangere ancora.
Ancora una volta, l’ennesimo sbaglio. Urlo a vuoto, il corpo che a poco a poco cede. L’angelo era uscito, ecco perché ero riuscito ad affondare… avevo ferito il ragazzo che volevo proteggere, non colui che volevo uccidere!
Mi prendo il volto fra le mani e affondo le unghie nella carne, noncurante del dolore che mi provoca anche esso. Mi odio e vorrei essere già morto. Tutto ciò è successo per colpa mia… sono stato o il colpevole.
Mi sono fatto accecare dalla rabbia, dal rancore, dalla paura e dal dolore dimenticando ciò che mi ero proposto di fare.
-Aiutami- mi supplica mentre, a fatica, prende la mia veste e la stringe con quel poco di forza che gli rimane nel corpo –Aiutami ti prego… non voglio morire… non voglio…- piange senza fermarsi mentre mi supplica ma non posso fare niente, non sono Dio, non sono Satana, non sono nessuno.
-Mi dispiace- gli dico e strappo la sua mano dai miei vestiti –Te l’avevo promesso… -piango ancora mentre stringo la sua mano –Te l’avevo promesso… merda! Mi dispiace… mi dispiace… mi dispiace!!!- so che non risolve nulla chiedere perdono eppure non riesco a smettere.
Ripeto quella frase all’infinito mentre lui mi urla di aiutarlo e conosco solo un modo per farlo.
Prendo il coltello e lo stringo forte –È l’unica cosa che posso fare- gli dico e faccio per affondare sul petto ma mi ferma con un urlo.
-Non voglio, non voglio… Ho paura!!! Per favore, aiutami ma non lasciarmi morire, non uccidermi!!!-
Lascio cadere l’arma e mi sdraio a terra, chiudo gli occhi e gli riapro subito, anche se a fatica. Ti vedo in piedi di fronte a me con la pistola puntata contro il ragazzo.
Gli hai sparato ma non lo vedo come un omicidio, l’hai solo risparmiato di soffrire ancora.
-Kazuki- mi sussurri all’orecchio mentre a stento riesco a scorgere la tua figura sopra di me. Mi baci la fronte con tenerezza, quasi avessi paura che il semplice sfiorarmi mi provocasse dolore, quasi potessi spezzarmi.
Mi sollevi senza fatica e insieme ci avviamo verso l’uscita di tutto quel caos. Bruci il luogo con i corpi ancora dentro e poi riprendiamo il nostro cammino.
-La prossima volta andrà meglio- mi dici cercando di non pensare a ciò che ormai sappiamo entrambi è imminente –Vedrai… quando torniamo ti preparerò un bagno caldo… ovviamente prima dovrai rimetterti in sento, ma vedrei andrà bene. Capiranno la situazione, non ci sgrideranno nemmeno- sorridi ma sulla tua guancia vedo scivolare una lacrima, poi un’altra e un’altra, finche non ti fermi e, stringendomi dolcemente tra le tue braccia, scoppi in un pianto disperato.
Ti siedi a terra mente osservi le lingue di fuoco che si innalzano verso il cielo, anche esso di un colore rosso fuoco.
È tardi ormai, il sole sta scendendo e con esso so che tramonterò anche io.
-Perdonami- mi dici mentre mi stringi ancora.
Sento le tue calde lacrime che mi scivolano sul volto e il loro sapore salato sulle labbra.
Vorrei piangere anche io ma non ho nemmeno la forza per farlo, ormai sono senza speranze. Mi chiedo solo da dove sia spuntata quella forza, non mi credevo capace di una cosa del genere.
Mi odio più di prima. Mi disprezzo per aver ceduto, per non averti ascoltato, per averti negato la possibilità di aiutarmi, per averti negato la mia comprensione, il mio essere.
Rivedo ancora il suo volto, quello della giovane suora che pochi anni addietro avevo ucciso. Mi chiedo dove sia, se all’inferno o in cielo, ma non so proprio darmi una risposta.
Mi scosti i lunghi capelli dal viso mentre sul tuo volto si dipinge un triste sorriso. Il tuo pianto non cessa. Non so se sia per l’idiozia che ho commesso, per la morte del ragazzo e della madre oppure… per ciò che mi attende.
-Finche siamo in due il dolore si sopporta, il male si stermina e… la gioia di aver potuto aiutare qualcuno si condivide- mi dici mentre a stento riesci a trattenere le lacrime.
Io apro le labbra, cercando di sussurrarti qualcosa ma ormai non respiro quasi, mi manca il fiato, penso che ho più sangue fuori, sui miei vestiti, che all’interno del corpo.
Avrei voluto continuare, avrei voluto aiutare davvero qualcuno. Mai come adesso mi sento idiota.
Mi ero promesso di salvarti, di proteggerti e di dare la vita per te, ma non sono stato nemmeno in grado di prendermi cura di me, di salvarmi.
Mi accorgo di essere egoista. Ho sempre pensato a me e solo a me mentre facevo finta di pensare ad altri. Sono solo l’involucro di una persona, colui che avrei potuto essere e che non sono mai stato, che non diventerò mai.
La paura, il dolore, la rassegnazione, la solitudine, l’angoscia, l’indifferenza, l’egoismo, l’ipocrisia fanno tutte parte di me, anzi, quelle emozioni sono tutto ciò che ho.
Stringo il tuo braccio con quel poco di forza che mi rimane, forse quella di un neonato, forse poco più perché te ne accorgi.
Prendi la mia mano, stringendola nella tua e la baci con dolcezza.
-Non lasciarmi… ti prego…- mi implori tra le lacrime ma sai che è inutile. Le lacrime ricominciano a sgorgare copiose, bagnandomi ancora il viso.
Piangi come un bambino e mi fai tenerezza, ma anche pena.
Mi chiedo come una persona bella come te, sia nel fisico, sia nell’animo, possa piangere sul corpo morente di uno come me. Come diamine tu sia stato capace di affezionarti a me, crudele e spietato come sono.
Vorrei accarezzarti il viso ma il mio braccio non risponde. Decido di abbandonarmi alle tue braccia e rimango lì ad aspettare che ciò che avevo atteso così tanto si compia.
 
Sente il corpo del giovane fasi sempre più molle, il suo petto gonfiarsi più irregolarmente e alla fine un ultimo soffio, mentre una lacrima gli riga la guancia, scivolando furtiva, cadendo sul suolo, lasciando un piccolo cerchio irregolare di colore più scuro.
Il giovane prende l’amico e lo sdraia sul freddo suolo polveroso. Si prende la testa tra le mani e scoppia ancora.
Gli occhi rossi, in parte per il pianto e in parte per il dolore, le labbra chiuse nervosamente, tremanti. Le unghie che vanno quasi ad affondare nella carne per la disperazione.
Osserva con orrore il corpo davanti a se e non smette di lamentarsi. Sa di non esserne colpevole eppure si reputa tale.
Sussurra il suo nome mentre lo riprende, facendolo sedere sulle proprie gambe e stringendolo. È ancora caldo ma sa che ciò non durerà a lungo eppure vuole ricordarlo così.
Vuole ricordare il calore di quel corpo, il suo profumo, la sua consistenza, ma tutto ciò si contrappone a quel giovane che in preda alla rabbia uccide un altro, ancora più giovane. A quel ragazzo che impugna una pistola e uccide una donna, quel ragazzo che in preda alla paura si alza a fatica e combatte per ciò in cui crede, anche se era la cosa sbagliata.
-Gli volevi bene, eh?- gli chiede una voce femminile.
Il giovane alza la testa senza smettere di abbracciare il corpo esanime.
Ha uno sguardo carico di disprezzo, di rancore, di voglia omicida, ma si trattiene. Sa che la vendetta non gli porterà nulla di buono, nulla di utile se non altro dolore.
-E tu chi cazzo sei?- chiede con voce inespressiva.
-Sono Mia, sono venuta a riprendermelo- risponde la giovane senza sforzi. Ha la voce tremolante, gli occhi, anche lei, rossi e leggermente gonfi.
Ha pianto di recente e lo fa ancora facendo. Il suo volto è ancora rigato dalle lacrime.
-Perché?- chiede il giovane stringendo di più l’amico, ormai è quasi freddo –Perché non l’avete impedito?! PERCHE’!!!!????-
-Devo spiegarti poche cose- taglia corto la fanciulla -quindi ascoltami. Tu, come lui e come me, hai fatto un errore. Hai creduto di essere un esorcista ma non eri tale, eri un cacciatore- rimane in silenzio ad osservare il ragazzo che la fissa serio. Stringe nervosamente il corpo, quasi avesse paura che volesse toglierglielo –È normale che tutto questo sia successo… succede da tanto ormai. C’è una leggera differenza tra un esorcista e un cacciatore. L’esorcista è un essere di natura malvagia che “segue la retta via” e combatte i demoni. Un cacciatore è invece un animo buono che uccide… gli angeli- rimane in silenzio, aspettando una reazione dal giovane ma non ottiene nulla, solo lacrime di dolore e rabbia –Tu sei un cacciatore, come lo era Kazuki, come lo ero io… per questo nelle nostre missioni c’erano degli angeli di mezzo. La chiesa sa che non può battergli con gli esorcisti quindi si servono di noi senza dirci cosa siamo… e dire che siamo pochi…-
-E he ci devo fare io? ormai la mia guerra è un’altra, non so se te ne sei accorta… se sei qui vuol dire che hai assistito al tutto, no?- la sua voce è rocca, piena di rancore –Ormai… io dovrei continuare con la mia vita eppure… eccomi… in fondo dovevo saperlo- una risata amara gli sfugge dalle labbra mentre l’ennesima lacrima gli riga il volto –In questo lavoro affezionarsi è uno sbaglio, tutto è uno sbaglio, uccidere, far vivere, scacciare, purificare, tutto!- urla alla fine con disprezzo –Che cazzo devo fare, che cazzo, dimmi?! Ho perso lui, che cazzo mi rimane?! Non ho niente! Non ho mai avuto niente e ora so che non avrò mai nulla, nulla!!!- sbatte il pugno contro il ginocchio, tremante di collera –Volevo solo tornare a casa… e stare tranquillo…- si mette a piangere ancora con più decisione –Volevo solo aiutarlo a vivere più serenamente… eppure non ho fatto altro che causargli problemi… ma perché!!!!????-
-Diventa un cacciatore e vendicalo come di dovere- gli ordina la giovane mentre si avvicina –Non ti dico di uccidere tutti gli angeli ma se mi dai ascolto… posso dirti cosa fare!-
-Non sono riuscito nemmeno a salutarlo… Merda!-
-Calmati e ascoltami!- gli urla contro la giovane mentre lo colpisce alla guancia. Uno schiaffo sonoro, secco e doloroso che lo riporta alla cruda realtà –Pensi davvero che piangerti addosso funzioni?! Scordatelo! Combatti per lui! Noi due diventeremo le tue armi, solo così riuscirai a essere ciò che devi… che avremmo dovuto essere anche noi…- una lacrima le scende lungo la guancia poi un’altra e un’altra finche il suo pianto non diventa malinconico come quello del giovane esorcista –Ascoltami… lui non ti abbandonerà te lo posso assicurare- avvicina il palmo della mano alla fronte del cadavere e chiude gli occhi –Ora lo so, anche lui lo vuole-
-È morto… l’hai capito questo?-
-Iodiventerò il tuo scudo- gli dice una voce accanto alla giovane. Quella di Kazuki –Mentre lei, Mia, sarà la tua spada…-
Il giovane si alza di scatto, ancora con l’amico tra le braccia.
-Non commettere lo stesso errore che ho commesso io… lotta per te stesso e ciò che credi giusto… non farti acciecare dalla sete di vendetta… lotta per proteggere qualcuno -
-Kazu…- sussurra il giovane guardando il vuoto. Le labbra gli tremano ancora.
-È ora di andare- dice la giovane e gli sfiora la fronte poi il buio.
 
Mi sveglio di colpo. Sono su un letto ma non so di preciso dove. Mi fa male da per tutto, ho la nausea e tutto mi gira intorno come in un vortice di immagini senza alcun senso.
-Giuda- mi sussurra una voce accanto –Ti sei svegliato alla fine. Sai, dormi da due giorni. Non sapevamo che avessi ma adesso mi rassicura che stai bene-
-Dov’è Kazuki? – chiedo. È il mio primo pensiero e anche in quello strano sogno lui c’era.
-Mi dispiace- mi dice il mio compagno mentre si alza –Non tornavate più e alla fine siamo andati a cercarvi. Ti abbiamo trovato svenuto con il suo corpo tra le braccia. Lo stringevi forte e nemmeno perché avevi perso i sensi volevi lasciarlo… è stato un’impresa ma alla fine ci siamo riusciti… mi dispiace davvero- mi dice alla fine.
Lo vedo girare in tondo nella stanza. Mi metto a sedere e lui mi osserva in silenzio.
Osservo le mie mani notando qualche cerotto qua e là, evidentemente avevo dei tagli ovunque perché subito dopo noto le bende sparse sul mio corpo.
-Non alzarti ancora, stai ancora male- mi dice mentre mi fa sdraiare ancora –Parte dei tuoi vestiti era a brandelli quindi… la tua uniforme è da rifare… hai richieste particolari?-
Non rispondo anche se lo ascolto. Mi chiedo cosa mi sia successo, la mia mente ha una confusione totale di avvenimenti in ordine sparso… senza alcun senso.
-Giuda, tutto bene?- mi chiede ancora mentre mi mette una mano sulla spalla.
Mi accorgo che il dolore è sparito. Giro a vuoto per la stanza finche non trovo ciò che cerco.
Su una sedia ci sono un paio di jeans neri, una maglietta e una felpa nera, le scarpe e il mio cappotto in pelle lungo quasi fino al suolo.
Il ragazzo si accorge del mio sguardo smarrito e mi osserva –Ripeto, la tua divisa era a brandelli quindi… dovrai dimenticarla per un po’, va bene?-
Mi limito a fare di si con la testa e mi guardo le mani –Mi sono perso qualcosa?- chiedo cercando di essere indifferente a in cuor mio so che vorrei piangere ancora, e ancora fin quando il mio corpo non abbia più liquidi da espellere.
-Nulla di eclatante… solo… ti hanno portato dei nuovi “giocattoli”- mi dice mente si dirige verso l‘armadio. Lo apre e prende una pistola argentea e una spada simile a quella che ho perso nell’ultima missione –Non si sa chi le abbia portate e nemmeno di che materiale siano… si sa solo che sono per te-
Mi alzo dal letto senza esitare e mi vesto in fretta, noncurante delle sue raccomandazioni.
-Dove vai, Giuda?!- mi chiede mentre gli strappo le armi dalle mani ed esco dalla stanza in fretta e furia.
Ora lo so a cosa si riferiva, solo ora me ne accorgo.
Mi guardo alle spalle e subito dopo mi trovo davanti Dante, il capo dei sacerdoti.
Mi sento gelare il sangue. È la prima volta che lo vedo di persona eppure ci sono parecchi suoi ritratti in giro per gli alloggi.
-Ero venuto perché pensavo che ti avrebbe fatto bene un po’ di compagnia- mi dice con fare sconsolato, quasi gli importasse davvero qualcosa sul mio conto –Ma… stai andando in missione? Sei ancora mezzo fasciato, no?-
Sorrido divertito e faccio di si con la testa –È una missione personale- rispondo facendomi serio –Ho del lavoro da sbrigare-
-Hai bisogno di qualcosa? Devo almeno sapere dove vai-
-Ha bisogno di sapere solo una cosa- gli dico mentre inizio ad allontanarmi ancora –Un cacciatore ha sempre una preda… e anche se la vendetta non mi porterà nulla di buono…- sorrido triste mentre stringo la croce sul mio petto.
La riconosco, è quella di Kazuki.
-Che hai in mente?! Cos’è questa storia del cacciatore?- Dante sembra scandalizzato.
-Sono un cacciatore ora, un cacciatore di Angeli- rispondo mentre gli rivolgo un ultimo sorriso divertito.
Sento le sue lamentele in sottofondo, la sua ira che si scaglia contro di me insieme a quella del giovane che era nella mia stanza ma non mi importa, nella mia mente ci sono solo poche parole:
ad ogni fine, c’è un nuovo inizio
   
 
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