Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: lethebadtimesroll    25/01/2013    15 recensioni
Un problema non sottovalutabile giungeva con i bulli: spietati come animali sia con i ragazzi che con le ragazze, attratti dal cercare rogne solo per dimostrarsi all'altezza o per divertimento, erano l'incubo di tutti, soprattutto di noi. Bisognava sempre evitarli, sempre.
Ma se inspiegabilmente ci si ritrovava a volersi ritrovare sulla strada del ragazzo più forte e più temuto della scuola, se ci si ritrovava a osservarlo da lontano, a sognare continuamente i suoi occhi scuri, beh, allora era davvero un casino.
-
- M-Mi hai spaventata – balbettai, con il cuore che batteva a mille, sebbene il verbo al passato non fosse poi così azzeccato.
Alzò un angolo della bocca in un sorrisetto, continuando a fissare davanti a sé da sotto le lenti scure degli occhiali.
Restammo in silenzio per un po’, con il solo sottofondo del chiacchiericcio post-lezioni. Di tanto in tanto, qualche curioso ci osservava dalla parte opposta del corridoio.
Si decise a parlare solo quando il silenzio iniziava a pesare sul serio, passandosi una mano tra i capelli biondi – C più… Non mi sembra poi tanto grave. –
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic




La mattina seguente mi svegliai stanca ed arrabbiata.
Come prima cosa – perché il buongiorno si vede dal mattino – calpestai Norberto.
Bisognava precisare che da qualche giorno a quella parte aveva la stupida abitudine di dormire ai piedi del mio letto, perciò per quanto mi riguardava si doveva assumere le responsabilità di una scelta così incosciente. Nessun gatto normale avrebbe rifiutato delle coperte calde per sonnecchiare su un duro pavimento di legno, ma da sempre Norberto aveva avuto un’indole abbastanza anticonformista e antisociale.
Calpestai il gatto per l’appunto, e mi beccai un morso nella caviglia accompagnato da un ringhio poco amichevole.
La mia reazione sarebbe stata degna di una protesta da parte degli animalisti, sommata anche a qualche tonnellata di rabbia repressa: ma semplicemente riuscii a controllarmi.
Slegai i capelli e, dopo aver guardato il mio riflesso disordinato nello specchio, mi convinsi a collegare la piastra alla corrente.
Infilai un paio di jeans skinny e una maglietta grigia: un’occhiata veloce all’orologio a parete mi rivelò che ero già in ritardo, perciò corsi in bagno a lavare velocemente i denti. Nel tornare in camera mi trovai davanti agli occhi una scena davvero esilarante perché Norberto, tornato furtivamente per cercare vendetta, si era bruciato il muso con la piastra. Risi mentre lui se ne andava a culo dritto borbottando qualcosa che non riuscii a capire.
Ovviamente fui costretta a pettinare attentamente i capelli, perché si erano ridotti ad un groviglio che avrebbe fatto scappare a gambe levate il più intrepido dei parrucchieri. Perciò impiegai un’altra buona decina di minuti, passando sotto la piastra ogni ciocca che ricadde morbida e calda sulle spalle.
Indossai una giacca di pelle nera che non mettevo da tempo, poi infilai velocemente i libri nello zaino e lo buttai in spalla, scendendo in cucina. Trovai un post-it della mamma che, nonostante ormai ci fossi abituata, mi ricordava che quel pomeriggio avrebbe tardato. In più, tanti baci e la raccomandazione di vestirsi bene.
Lo ignorai, ed uscii di casa senza neppure fare colazione.
Il concetto dei vestiti pesanti in inverno era abbastanza relativo; se c’era qualcosa che, mio malgrado, avevo imparato da Justin, era che quando un vestito ti piaceva potevi indossarlo sempre. Cappellini di lana in estate e t-shirt ad inverno inoltrato compresi.
Chiusi la porta di casa e infilai la chiave in tasca: a quel punto non fu più una sorpresa non trovare il fuoristrada nero ad aspettarmi fuori – a stento ricordavo l’ultima volta che era successo. Osservai per qualche secondo la strada vuota come in trance, poi mi incamminai verso scuola con un sospiro nostalgico. Rabbrividendo dal freddo, maledissi il genere maschile e chiunque l’avesse creato. Solo a metà del tragitto, quando ormai – secondo i miei calcoli – la prima campanella stava per suonare, mi arrivò un messaggio.
Scusa se non sono riuscito a passare stamattina – ci vediamo a scuola.
Sbuffai per poi rispondere, attenta a non inciampare:
Se anche non ci vediamo fa lo stesso. Avrai sicuramente qualcosa di meglio da fare.
Suonava un po’ infantile, perciò cancellai l’ultima frase e lo inviai.
Era davvero una fortuna abitare vicino a scuola, specie nel caso si venisse scaricati in maniera così poco carina: salii di corsa le scale a lato del piazzale e, una volta entrata, attraversai velocemente la segreteria e il corridoio.
Arrivai in classe col fiatone, ma fortunatamente la seconda non era ancora suonata e della prof non c’era traccia.
C’era invece uno strano sovraffollamento nell’aula quella mattina, ma per fortuna Michelle, che mi aveva tenuto un posto libero, mi fece segno di sedermi accanto a lei.
- Ehi – la salutai in fretta, aprendo lo zaino per controllare di non aver dimenticato il libro. L’interrogazione era stata la scorsa settimana e mi aspettava un’ora di noia totale, ma nonostante questo cercare di seguire rientrava davvero nei miei piani.
- Nuovo look? – chiese con un sorriso, picchiettando la matita sul banco.
- Nah, ho solo lisciato i capelli – spiegai, richiudendo lo zaino.
Il suo sguardo si perse alle mie spalle; quando finalmente mi lasciai cadere sulla sedia, il libro aperto davanti a me - va tutto bene? – chiese.
- Oh lo so. È assurdo, vero? Semplicemente mi andava… -
- No, intendo, con Justin Bieber – sottolineò.
Socchiusi gli occhi per un momento.
– Da quello che sapevo vi sentite… o no? -
Sbuffai mentalmente, senza alcuna voglia di dirle la verità. Ero riuscita a tenerlo lontano il più possibile dalla mia mente, e il patto che avevo fatto con me stessa prevedeva di non parlarci più se non fosse stato lui stesso a farlo per primo. Magari chiedendomi anche scusa e dandomi una spiegazione del perché i fattacci della sua ex lo interessassero tanto.
- Sì. Tutto bene, certo. Perché? –
- Oh – sorrise confusa, corrugando le sopracciglia – no, così. Credevo che almeno vi sedeste vicini in classe. -
E riguardò alle mie spalle.
A quel punto fui costretta a voltarmi anche io, lentamente e di malavoglia, per trovarlo effettivamente seduto nella mia stessa classe, qualche banco più indietro. Sentii il battito del mio cuore accelerare immediatamente mentre alzavo gli occhi per incontrare i suoi.
Era attorniato dalla solita folla di ragazze e ragazzi che lo circondavano inspiegabilmente dovunque andasse, e quel giorno sembravano tutti perlopiù interessati a me.
Lui compreso, anche se in modo decisamente poco positivo. Teneva le braccia incrociate al petto nella sua posizione di incazzatura standard, che tutto sommato non era malaccio – avevo visto di peggio.
Completamente insensibile al freddo, indossava solo una camicia a quadri arrotolata sui gomiti e un paio dei suoi jeans bassissimi.
Mi voltai di nuovo verso Michelle con una smorfia – Da quando è in questa classe? –
Fece spallucce. – Allora, vuoi sederti vicino a lui? –
- Oh, no, certo che no. – risposi decisa, non troppo forte per non farmi sentire nel silenzio imbarazzato della classe.
Doveva suonare abbastanza incoerente dato quel “va tutto bene” di poco prima, ma in quel momento la prof entrò tutta trafelata, scusandosi per il ritardo e prendendo posto alla cattedra.
Mi sentivo tesa, e per una sorta di egocentrismo assolutamente fondato sentivo gli occhi di tutti addosso a me.
Sospirai.
Beh, almeno ero riuscita a sedermi vicino a Michelle. Se quel giorno non ci fosse stata sarebbe stato decisamente…
- Scusa – sentii una voce ben conosciuta alle mie spalle che, per qualche strano motivo, mi fece contorcere lo stomaco su se stesso. – Ti dispiace spostarti? –
Michelle mi fissò per un attimo e raccolse velocemente il libro e la matita, per poi scomparire.
Neppure il tempo di protestare ed era già lì, abbandonato sulla sedia con la schiena al muro, i capelli impeccabili e uno sguardo truce ad oscurargli gli occhi.
Sospirai teatralmente, massaggiandomi le tempie. Come non detto.
- Perché sei qui? –
Parlai piano, ma la mia voce suonò più chiara di quanto avessi voluto. Non avevo mai sentito un tale silenzio durante l’ora di storia.
- Manca il nostro prof – mormorò. Come spiegazione mi sembrava plausibile, ma non intendevo indagare.
Mi fissò con uno sguardo talmente ostile che mi avrebbe quasi spaventato, se non mi fossi sentita tanto arrabbiata e frustrata contemporaneamente.
La prof iniziò a fare l’appello.
- Molto carino da parte tua cacciare via la mia amica. Ci stavo parlando. –
- Non mi interessa – alzò lievemente le sopracciglia, in quella sua espressione che sembrava rimbambita ma in realtà era solo concentrata – vuoi spiegarmi cosa ti ho fatto? –
Aprii la bocca, sorpresa dal fatto che non l’avesse ancora capito, ma poi la richiusi. – Se vuoi parlarmi potrai farlo in ricreazione, forse. Ora devo seguire la lezione. –
Lo sentii sbuffare, poi estrasse qualcosa dalla tasca. Poco dopo mi ritrovai con un iPhone nero sul libro, aperto alla schermata di un nuovo messaggio.
“Quanto sei pallosa. Dimmi qual è il problema.”
Gli lanciai un’occhiata di sottecchi e presi il telefono.
“So vhe sei uscito con lei.”
Gli allungai il telefono, spostando il diario davanti per nasconderlo.
Mi tornò indietro neppure dieci secondi dopo. Bloccato.
Ebbi qualche difficoltà a sbloccarlo, e con la coda dell’occhio vidi Justin battersi una mano sulla fronte.
“È vero. Ma se pensi che mi piaccia ancora sei completamente fuori strada.”
Alzai lo sguardo sulla prof: sembrava che l’argomento fosse un po’ noioso persino per lei, e in quel momento stava spiegando a voce bassa con la testa abbandonata sulla mano.
 “Forse e piu importante di me, se m hai lasciata da sola per lei”
Glielo passai ancora. Tenne gli occhi fissi sullo schermo per qualche istante. Alzò lo sguardo sulla cattedra, per poi tornare a digitare una risposta.
- Non bloccarlo – bisbigliai.
Sospirò.
“Crede di piacermi ancora, ma non è così. C’era solo bisogno di mettere le cose in chiaro. C’è un’altra ragazza che mi piace da impazzire ora, e non è lei.”
Per poco non lasciai cadere il telefono a terra.
Era ovvio che gli piacessi, per quanto inconcepibile potesse essere; ma leggerlo lì, scritto per davvero, mi fece sorridere come una cretina. Cancellai i messaggi e gli restituii il cellulare, cercando di recuperare un’espressione dignitosa. Non lo guardai.
Era probabilmente l’ora più silenziosa a cui avessi mai assistito: l’argomento era talmente soporifero che sembrava quasi un miracolo che ci fossero dei superstiti, e la loro attenzione era concentrata su tutto meno che sulla spiegazione.
Tutti sapevano di me, nonostante non mi facessi vedere spesso in giro con Justin. Avevo un carattere troppo chiuso e passavo la maggior parte del mio tempo in casa a studiare; per quanto ricordassi, lo avevo accompagnato qualche volta ad allenamento o alla pista da skate in cima alla città, a cui bisognava aggiungere la serata stupenda in cui ci eravamo parlati per la prima volta. Probabilmente quella era la fine della lista.
Per non so quale strana coincidenza di eventi inoltre non avevo neppure conosciuto i suoi amici, e potevo quasi dire che la cosa non mi dispiacesse fino in fondo. Il nostro rapporto però, tutto sommato, era abbastanza strano.
Justin si abbandonò di nuovo contro al muro, soddisfatto della mia reazione al suo messaggio.
In seguito cercai di fingermi interessata alla lezione, impresa che risultava ardua dal momento in cui teneva gli occhi fissi su di me, mettendomi naturalmente a disagio.
Gli lanciai qualche occhiata eloquente che ignorò bellamente: perciò, decisa a non usare più quel maledetto telefono, sussurrai – puoi smetterla di farmi i raggi x? –
Si protrasse verso di me, prima di lanciare un’occhiata veloce alla prof. – Che hai fatto ai capelli? – bisbigliò, fissandoli con l’ombra di un sorriso sulle labbra piene.
In quel momento la campanella suonò, facendo ridestare l’insegnante e buona parte dell’aula da uno stato comatoso di dormiveglia.
- Li ho solo pettinati – risposi a voce alta, mentre tutti si ridestavano e iniziavano a rialzarsi. Dato lo stato piuttosto comatoso della classe, fummo i primi ad uscire. Mi si affiancò passandomi un braccio sulle spalle per avvicinarmi a sé.
– Forse dovresti pettinarli più spesso – osservò, spostandomi i capelli dietro la schiena con l’altra mano.
Sorrisi, un po’ in imbarazzo ma decisamente lusingata.
- Che lezione hai adesso? – salutò un ragazzo che non conoscevo, prima di prestarmi nuovamente attenzione.
- Due ore di ginnastica. Ma ho casualmente dimenticato la roba a casa, perciò non la farò. –
Ridacchiò – non sei molto portata, vero? –
- La ginnastica è inutile. E comunque sono portata per tante altre cose. –
- Ah sì? Ad esempio? –
- Beh, non saprei. Ad esempio… - di colpo mi resi conto che la strada per la palestra era dall’altra parte. Il corridoio era quasi deserto. – Dove stiamo andando? –
- A fumarci una sigaretta – ribatté tranquillo, come se fosse stato il nostro scopo fin dall’inizio. – Dicevi? –
Mi fermai subito – ma io ho lezione ora! –
- Ma dai? – si fermò, inarcando le sopracciglia scure – anche io se è per questo – sbuffò rincamminandosi, e mio malgrado fui costretta a seguirlo.
- Se ci trovano è un casino – mugugnai, ormai rassegnata. Svoltammo l’angolo scendendo le gradinate interne che portavano al retro della scuola: in quel tratto non c’era anima viva.
- Quattro anni che vengo qua e non mi hanno mai beccato. E poi smettila, stai diventando noiosa – sorrise.
La porta a vetri dava su un piccolo porticato adiacente ad un giardino incolto. Le finestre delle classi erano completamente serrate.
Mi sentivo il cuore battere forte, continuando ad osservarmi intorno nervosamente e sperando dal profondo del cuore che nessuno ci vedesse. Non avevo mai fatto una cosa del genere e non ero propriamente sicura del fatto che quella dovesse essere la prima volta.
Ci sedemmo sul marciapiede contro al muro. Incrociai le gambe mentre lui le distese davanti a se, sospirando. Infilò la mano in tasca quando – oh, fanculo – sbottò – le ho lasciate in classe! –
- Fantastico – borbottai. Imprecò, estraendo il cellulare dalla tasca e inviando un messaggio.
- Non è grave, andiamo – commentai. Ricevetti in risposta solo un lamento contrariato.
Risi, alzandomi per poi pulirmi i pantaloni. – Direi che ora possiamo tornare a lezione, finalmente. –
Ma non si mosse.
- Aspetta… - si passò una mano fra i capelli, facendomi poi segno di sedermi di nuovo – c’è qualcosa di cui vorrei parlarti. –










Scusate.
So che questo capitolo è molto brutto, non è di certo qualcosa per cui vale la pena aspettare, ma sono quelle cose di transizione che purtroppo sono necessarie, un po' come andare dal dentista a togliersi i denti. Il senso del titolo (e qualcosa di decente si spera) si scopriranno nel prossimo. Per ora spero che tanto basti a pararmi il culo perchè, a dirvi la verità, non so niente di ciò che succederà.
Alcune di voi mi hanno detto "so che sei molto impegnata ma per favore cerca di aggiornare presto" la verità? Non sono impegnata per niente. Non faccio un cazzo da mattina a sera.
Il fatto è che sto passando un momento veramente penoso, il periodo più brutto della mia breve vita per quanto ne so, e mi riesce difficile fare qualsiasi cosa che non sia stare in casa a cazzeggiare.
Sono arrivata al punto di avere (non voglio fare invidia a nessuno, chiedo scusa in anticipo) due biglietti in tribuna per il concerto del ragazzo che aspetto di vedere da anni, ad un'ora di macchina da casa mia e dubitare seriamente di riuscire ad andarci.
Questo, per chi non riuscisse ad immedesimarsi, è un trauma.
Non starò ad annoiarvi con le mie vicende personali perché non voglio fare vittimismo, e poi ho un'ultima cosa da dire:
Grazie.
Credevo davvero in questa storia quando l'ho pubblicata. Ora, a distanza di tempo, mi rendo conto che è stupida e banale, ma ci ho messo e - per quanto mi è possibile - continuo a metterci il cuore. Non posso credere che sia finita in classifica e che se la stia cavando bene, perchè la mia vita ora è un totale disastro e vedere che almeno qui io sono qualcuno e ciò che faccio è qualcosa che piace, voi non avete idea di quanto significhi per me. Tengo un sacco a questa storiella e ad ogni fantastica ragazza che mi continua a recensire e a sostenere nonostante i miei vergognosi ritardi e i miei contenuti spesso discutibili.
Io spero solo di riuscire a mettere un po' di ordine in me stessa, e di conseguenza nel mio scrivere, e di portare questa storia al livello che credevo meritasse cinque o sei mesetti fa. Se non capite non vi preoccupate. Non ha senso.
Spero di riuscire a continuarla senza deludere nessuna di voi. Vi adoro.
A presto.
   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: lethebadtimesroll