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Autore: YouLightMyWorld    25/01/2013    1 recensioni
"Vi siete mai sentiti talmente da schifo da odiare voi stessi, talmente inutili da voler prendervela a morte con qualcun altro, ma riuscendo solo a desiderare di avere un manichino, con tutti i vostri difetti, i vostri segreti più intimi, quelli che mai rivelereste, quelli orribili che fanno ribrezzo al solo pensiero, e beh, pestare questo manichino sotto i piedi, strapparlo, farlo a pezzi con le vostre stesse mani, scaricare ogni singolo briciolo di rabbia che avete in corpo su quel pupazzo, che... che non siete altro che voi? Vi siete mai sentiti così? Così male da voler detestare il mondo, ma potendo solamente riversare tutto il dolore all'interno, distruggendovi?"
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premetto che questa storia, non é frutto della mia testolina, ma quella di Valerio, un mio compagno di classe. Buona lettura.






Di nuovo.
Era successo tutto un'altra volta, per l'ennesima volta; tutto così marcato, come un solco nella mente, ma accaduto in così poco tempo, come un impalpabile, accecante riflesso metallico su un campo di battaglia.

Ed è così che descriverei la mia mente in quel momento, un vero campo di battaglia, una guerra, con tanto di spade, scudi piegati, elmi caduti; lance, che tagliando l'aria fischiano nel puro caos, e armature, troppo labili per resistere al loro passaggio.
Sì, sì, penso che non sia male per far capire ciò che sentivo, e perfetta sarebbe anche l'immagine di una bomba a orologeria.
Un bell'esplosivo, con cavi, quadrante e secondi scattanti. Secondi sull'orlo dell'esaurimento, come io stesso ero appunto sul bordo di un particolare tipo di precipizio. Un'altura non da poco, una caduta che procura diverse ferite; e ripida, oh, quanto ripida, da risalire...

Bene, abbiamo appurato che non stavo proprio alla grande. 
Ma vi siete mai sentiti così? Vi siete mai sentiti talmente da schifo da odiare voi stessi, talmente inutili da voler prendervela a morte con qualcun altro, ma riuscendo solo a desiderare di avere un manichino, con tutti i vostri difetti, i vostri segreti più intimi, quelli che mai rivelereste, quelli orribili che fanno ribrezzo al solo pensiero, e beh, pestare questo manichino sotto i piedi, strapparlo, farlo a pezzi con le vostre stesse mani, scaricare ogni singolo briciolo di rabbia che avete in corpo su quel pupazzo, che... che non siete altro che voi? Vi siete mai sentiti così? Così male da voler detestare il mondo, ma potendo solamente riversare tutto il dolore all'interno, distruggendovi?
Potrà sembrare stupido, il perché stessi male quel giorno, ma bisogna premettere che ho un tipo di carattere che, da quel che capisco, va sempre più diffondendosi tra “noi giovani”: reprimo la rabbia fino al momento in cui adotto qualsiasi scusante come valvola di sfogo, esplodendo come una pentola a pressione dimenticata su un fornello acceso: io le chiamo semplicemente “crisi”, quei momenti in cui ti pieghi in due, cadi a terra, ti sforzi di continuare a respirare, mentre vorresti urlare al vuoto; niente parole, solo per svuotarti fino in fondo.
Ma non esce un suono, e tu sei lì, su un pavimento freddo, solo, con gli occhi sgranati e un'espressione intrisa di rabbia degna di comparire sul volto di uno psicopatico da reclusione.

Eppure non urli, non esce un fiato, nessuna voce, se non fiebili lamenti per lo sforzo di trattenere tutto dentro, ancora una volta.
E tutto questo scompare così, improvvisamente, proprio come improvvisamente aveva deciso di mostrarsi.
C'è un momento di calma, quasi serenità, una piccola accettazione dell'insensato dolore; ma poi questo riparte, e magari più forte di qualche attimo prima; e tenti di aprire la tua stessa testa con la forza delle dita, e di eliminare il volto che ti rappresenta con la ferocia delle unghie.

Ebbene dicevo, forse il motivo è stupido, ma ora sapete il perchè della mia reazione.
Fatto sta che, semplicemente, mi sentivo messo da parte, sostituibile, senza una reale importanza.
Ogni tentativo di entrare in un qualsivoglia gruppo risulta infine vano.
I vecchi amici si disperdono, cambiano, e chi si sente si sente. I nuovi amici possono diventare i prossimi migliori, quelli delle pacche sulle spalle, delle risate, e dei discorsi più seri; delle sfuriate, delle riappacificazioni, dei ricordi. Ma ecco che succede qualcosa, qualcosa di strano, inaspettato, qualcosa di detestabile, che cambia le carte in tavola. E torni ad essere spettatore del mondo, torni a sentire solo un'ombra sedere al tuo fianco, e con te camminare piano sulle rive di un grande lago scuro.
La notte cala di nuovo, ma non vedi la luna, bensì grandi e possenti nubi a chiuderti al di qua del cielo.
Non vedi le stelle, ma solo rami senza vita a decorare questo tetro paesaggio. E vorresti ribellarti, dire “basta”, puntare i piedi e far sentire la tua, alzare la voce sulla folla, gridare tutto al mondo, ma sei ancora su quel freddo pavimento, tra strazianti singhiozzi senza lacrime.

Tutto ciò non mi era nuovo.
Conoscevo bene quelle emozioni, ma... c'era qualcosa, qualcosa che non avevo sentito prima.
Quel brivido, quell'idea perversa e malsana che portano i cambiamenti inattesi. Ce ne è sempre una, ma a volte è un po' nascosta, un po' mascherata. Non era questo il caso.
Limpida, chiara, marcata come un segno nero su un diafano sfondo.

Ma da ovunque venisse quel pensiero, non poteva che essermi familiare, come la vecchia foto di quel lontano parente mai conosciuto, ma che quando vedi fa accendere in te un fremito barlume. “Io lo conosco”, pensi, anche se non sai a chi appartenga quel viso incorniciato.
Così arrivò alla parte conscia di me ciò che fino a quel momento abitava certi bui anfratti della mente. Qualcosa di familiare, e come tutto ciò che è familiare, come una rassicurante routine, non poté che portarmi pace. Una pace decisamente controversa, ma comunque qualcosa di più ordinato del confuso fluire di rabbia che l'aveva preceduta.
E più ci pensavo, più questa pace, o questo seme del male, si faceva strada in me.
Arrivai calmo a notte, quieto quieto, illuminato da una flebile luce elettrica, un poco vibrante.
L'ombra della mia figura si proiettava, nitida, sulle pareti e sul pavimento, quello stesso pavimento dove un'era era terminata, e un nuovo, oscuro tempo, fatto di più finzioni e dolci atrocità, era iniziato.
Nella tremante luce, di fronte al grande specchio che sembrava accogliere tutti gli spiriti della notte, pronti ad assistere al passo decisivo, un oggetto riluceva.
Metallica, liscia, e perfetta, la lama si avvicinò alla fin troppo giovane pelle.


  
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