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Autore: cheek_s    26/01/2013    6 recensioni
"Era un sentimento strano. Era qualcosa di forte, di travolgente, di potente, qualcosa che ti prendeva in pieno, lasciandoti senza la forza per prendere fiato e respirare. Era il vento tra gli alberi, era il rombo di un tuono, era guidare a massima velocità per una strada libera e senza traffico con i finestrini spalancati e una canzone degli U2 a tutto volume come sottofondo, era selvaggio, devastante, folle.
Ed era meraviglioso."
Annie vuole cambiare il mondo. Zayn il mondo si limita ad osservarlo.
Annie non crede nell'amore. Zayn l'amore l'ha sempre vissuto come distruzione.
Annie sa che ogni cosa accade per una ragione. Zayn, semplicemente, non riesce a trovare una ragione all'essere sé stesso.
Annie ama le tempeste. Zayn la tempesta ce l'ha dentro.
Una scommessa, un segreto, un'affinità che fa spavento.
Un amore che travolge, e lascia senza fiato.
Un amore, e il rumore della tempesta.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Il coccodrillo come fa, pa pa pa pa..”
“Potresti tacere una buona volta?!”
Ronnie si voltò verso di me contrariata, smettendo all’improvviso di cantare e incrociando le braccia al petto.

 


“Questa canzone è un classico”.
“Rassegnati, se non ti avesse fermato lei, lo avrei fatto io”.
Mi girai verso Nathalie, ringraziandola con lo sguardo.


Pur essendo l’unica bionda del gruppo, era di certo la più sveglia  e pronta.
E, oltretutto, era la sola ragazza dai capelli chiari che mi risultasse simpatica.


 Chiusi di scatto il libro di storia, ormai convinta del fatto che, pur volendo, non sarei mai riuscita ad assimilare un numero d' informazioni sufficiente a raggiungere una sufficienza scarsa in una possibile interrogazione.
Studiare insieme non era mai stata una buona idea, ma nessuna tra le mie amiche a parte me sembrava farci molto caso.


Guardai ansiosamente l’orologio appeso alla parete dipinta di blu davanti a me: erano le sei e mezza e Frankie era, come sempre, in ritardo.
Mancava una settimana al compleanno di mia madre, e avevo un disperato bisogno del suo aiuto per gli ultimi preparativi per la festa a sorpresa che ero miracolosamente riuscita ad organizzare in suo onore.


Mio fratello sarebbe ritornato dagli allenamenti di calcio di lì a pochi minuti, e conoscendo la sua lingua lunga e il suo essere così incredibilmente pettegolo, ero sicura che fin quando non fosse venuto a conoscenza del segreto che, in fin dei conti, riguardava anche lui, il mio piano avrebbe continuato il suo corso senza intoppi imprevisti.
Tutto dipendeva dalla puntualità della mia amica. Nel caso in cui fosse arrivata un’ora dopo, mio fratello lo avrebbe scoperto, per poi spifferarlo  a quelle teste di rapa dei suoi amici, che avrebbero sparso la voce e messo su ulteriore carne al fuoco.


E l’ultima cosa che volevo era uno scalco di ricci appeso al chiodo dietro alla porta della mia camera.
Il suono perforante del cellulare di Nathalie mi distolse momentaneamente dai miei pensieri; la vidi afferrare il telefono dalla borsa, dare un’occhiata esasperata al display, e gettarlo con noncuranza sul tappeto, per poi tornare all’interessantissima contemplazione dei suoi follower su twitter.


Mi sporsi verso il telefono e lo afferrai incuriosita, sorridendo non appena lessi il nome del destinatario sullo schermo leggermente scheggiato.
“Perché non gli rispondi?”
Si voltò di scatto verso di me, i grandi occhi azzurri sbavati leggermente di nero spalancati, e mi strappò il cellullare dalle mani, rigettandolo frettolosamente nella borsa.
“Tempo perso”.
“Andiamo Nathalie, si è sempre comportato bene con te! E poi guarda il lato positivo: è il cugino di Ronnie”.
La vidi assumere un’espressione scettica, per poi indicare con un gesto del capo la figura snella di Ronnie, in quel momento impegnata in una danza interpretativa davanti al poster di Robbie Williams appeso sulla facciata del mio armadio.


Sospirai, portandomi una mano sulla fronte e abbozzando un sorriso d' incoraggiamento verso Nathalie, che scoppiò a ridere divertita.
“Lascia perdere: io e lui siamo troppo diversi”.
Annuii, poco convinta della verità di quelle parole.


Non capivo il perché delle sue continue reticenze: era da più di sei mesi che non usciva con qualcuno; era da più di sei mesi che non la vedevo realmente felice.
Mi diedi una spinta sulle mani, e mi alzai in piedi, dirigendomi verso il salotto.
Casa mia era sempre stata un labirinto di porte e stanze: era accogliente e spaziosa, calda nei mesi infernali e fresca in quelli estivi; l’avevo sempre considerata troppo grande per una famiglia relativamente piccola come la nostra, ma la maggior parte dello spazio disponibile veniva abusivamente occupato due giorni alla settimana da mio fratello e i suoi amici decelebrati senza un minimo di coscienza civile.


Non si poteva dire che li odiassi. Consideravo la parola odiare comunque troppo grande e troppo importante per attribuirla a un gruppo di ragazzini continuamente arrapati che passavano le loro giornate davanti ad un computer o a correre dietro ad uno stupido pallone di cuoio.
Semplicemente non sopportavo il fatto che fossero continuamente distesi sul mio divano a ingurgitare patatine o a urlarsi insulti in una lingua a me del tutto sconosciuta.


Sospirai, scendendo velocemente le scale e ritrovandomi al piano inferiore, dove Victoria  sostava completamente spalmata a terra, lo sguardo rivolto verso la televisione.
“Cosa guardi?”, feci, appoggiandomi al bordo del divano con entrami i gomiti.
“X factor. E’ la replica della scorsa puntata”.
Si voltò verso di me, spostando i lunghi capelli scuri al lato del collo.
“Ti va di vederlo?”
Alzai impercettibilmente le spalle, sedendomi accanto a lei.


Non seguivo molto quel programma, sebbene mio fratello ne fosse praticamente ossessionato.
In generale, non ero una fan dei talent show, pur sapendo che molti ragazzi dopo aver partecipato a programmi del genere avevano fatto carriera, riuscendo a costruirsi una vita da celebrità in pochi mesi.


Non ero mai stata attirata dal mondo dello spettacolo, o almeno non avevo mai sentito il bisogno di essere al centro dell’attenzione.
Avevo delle amiche fantastiche, una famiglia che mi amava  e ottimi voti a scuola: la mia vita si basava su poche e piccole cose. Mi bastava, e non mi lamentavo.
Appoggiai distrattamente la testa al palmo di una mano, intercettando sprazzi della conversazione tra un giudice e un concorrente vestito di tutto punto in piedi in mezzo al palco; aveva appena finito di esibirsi, e la sua espressione trasmetteva chiaramente un senso di  disagio  e insicurezza.


Spostai lo sguardo verso il viso del giudice infastidita, sbuffando e alzandomi dalla mia postazione abbastanza scomoda per dirigermi verso la cucina.
Era quella la cosa che mi dava più sui nervi; il fatto che dovesse essere un perfetto sconosciuto fino ad allora intravisto solo attraverso lo schermo di una televisione a dover decidere per  il tuo futuro e, magari, a infrangere i tuoi sogni con una semplice occhiata.


Non lo concepivo, e per quanto avessi provato a passare oltre, cercando di mettere da parte le mie convinzioni, ero sempre rimasta dell’idea che i talent show non servissero a niente.
E forse, avevo perfettamente ragione.
Aprii l’anta della dispensa, cercando con occhio attento la mia busta di caramelle gommose haribo.
Le mangiavo da quando ero piccola, e in parte quelle semplici buste di plastica colorate, erano  una delle poche cose che mi fossero rimaste di mio padre dopo la separazione dei miei, avvenuta poco più di dieci anni prima.


Ricordavo bene quel periodo della mia infanzia; forse potevo considerarlo il peggiore.
Non che la mia vita fosse mai stata particolarmente entusiasmante: avrei potuto scrivere i momenti più eccitanti dei miei 17 anni di esistenza sul retro di un francobollo , e sarebbe rimasto ancora abbastanza spazio per tutte le opere di Shaskpeare.


Sbattei violentemente l’anta di legno scuro, abbassando le maniche della mia felpa blu e ritornando in salone, dove Victoria era stata raggiunta da Ronnie e Nathalie.
Osservai rispettivamente tutte e tre le mie amiche, meravigliandomi ancora una volta di quanto potessero essere diverse l’una dall’altra.
Erano solo in sette, eppure per me valevano più di ogni altra cosa.


Sorrisi, inondata dalle loro risate, e mi appoggiai allo stipite della porta, portandomi le braccia al petto.
“Come diamine possono eliminare Jonathan?! E’ il migliore lì dentro!”
“Ti piace solo perché è un figo”.
“Sei davvero limitata”.
“E tu stai parlando come quella di Camp Rock”.
“Non ricordo nemmeno più la trama di Camp Rock”.
“Joe Jonas e i suoi fratelli canterini boni non sono facili da dimenticare”.
Mi avvicinai meglio allo schermo, guardandolo incuriosita.


L’uomo che stavano inquadrando in quel momento aveva una testa davvero assurda; come se gli avessero passato un tagliaerba nel bel mezzo del cuoio capelluto.
Indicai il televisore, ancora più perplessa.
“Hey! Quel tizio ha la testa a uovo!”
Scoppiammo a ridere, venendo interrotte quasi immediatamente dalla voce roca di mio fratello, in piedi sull’uscio di casa.


“Quel tizio con la testa a uovo si chiama Simon Comwell, ed è l’uomo più influente nel mondo della musica”.
Mi voltai di scatto, fulminandolo con lo sguardo.
“Nessuno ha chiesto la tua opinione, Harry”.
Sorrise beffardo, buttando il borsone da allenamento al lato del portaombrelli e sfilandosi la giacca invernale pesante, per poi dirigersi verso di me e scompigliarmi i capelli con un gesto veloce della mano.


“La mia sorellina oggi è di cattivo umore, eh?!”
Lo allontanai  bruscamente, sedendomi sul bordo del divano ma continuando a fissarlo trucemente in quegli occhi smeraldo così simili ai miei.
“Tieni le mani a posto, riccio. Non oso immaginare cosa tu abbia potuto toccare con quelle manacce”.
Scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro e dirigendosi in contemporanea verso la credenza della cucina, afferrando sbrigativo un bicchiere.
Mio fratello Harry ed io eravamo sempre stati completamente diversi, sebbene avessimo gli stessi  geni.


Mi ero sempre chiesta cosa ci trovasse  l’intera comunità femminile della mia scuola in una sottospecie di babbuino dalla risata sguainata e la voce da maniaco sessuale.
Evidentemente  le sue continue zuffe con energumeni grandi il doppio di lui  o le leggende metropolitane sulle sue magiche avventure nei bagni gli avevano fatto guadagnare dei punti a favore nella scala delle ragazze facilmente riciclabili.


Mi voltai verso le mie amiche, intente alla contemplazione adorante del didietro di Harry imprigionato in un paio di jeans scoloriti.
Assunsi un’espressione rassegnata, facendo segno a tutte di andare in camera mia.


Sbuffarono annoiate, e io le seguii, lanciando un’ultima raccomandazione alla capra riccia campeggiante in cucina.
“Io vado in camera. Appena arriva Frankie aprile e offrile da bere. E mandala da me”.

 

Mi fece segno di non preoccuparmi, mentre tentava di tenere in equilibrio con un solo braccio un piatto di torta e una busta di patatine.
Sospirai, salendo lentamente le scale e preparandomi mentalmente a quella che si prospettava una lunga e difficile serata.
 
 
 
 
 
ASHMAMBOH.
SSSSSSSalve pipol (?)
Questa è la prima storia che scrivo qui. In realtà, inizialmente ne avevo anche un'altra,ma l'ho cancellata. Pensavo fosse troppo drammatica lol.
Spero che con questa le cose vadano meglio, anche perchè ho un sacco di idee in serbo per voi *fa la risata malefica*
Fatemi sapere cosa ne pensate :)
  
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