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Autore: HPEdogawa    26/01/2013    4 recensioni
Quando si risvegliò, non ricordava niente di se stesso. Né il suo nome, né dove si trovasse, tantomeno chi fosse. Sapeva solo di essere sdraiato sulla schiena, a contatto con il legno umido di una chiatta sul fiume Han. Si mise a sedere, confuso e stordito, nonché con un potente mal di testa. Solo quando portò una mano a sfiorarsi la tempia, in cerca di sollievo da quel dolore assillante, si accorse di stringere tra le mani un cellulare. Non lo riconobbe, non avrebbe saputo dire se fosse suo o di qualcun altro. Mise a fuoco l'immagine dell'apparecchio elettronico e notò i suoi polsi rossastri, le sue dita sporche di qualche vivida goccia cremisi, rafferma. Sangue. Sempre più confuso, ignorò quelle macchie sulla sua pelle e schiacciò un tasto del cellulare. Lo schermò si illuminò e, quando lo sbloccò, si ritrovò a leggere un messaggio formato da poche righe:
"Hai inviato questo messaggio a te stesso. Quando ti sveglierai non ricorderai più niente.
Ti chiami Kim Yesung. Sei una spia. Cancella questo messaggio non appena l'hai letto e getta il cellulare."
WonYe.
Yaoi.
Tutti i Super Junior, più possibili apparizioni di altre celebrità.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Choi Siwon, Kyuhyun, Leeteuk, Un po' tutti, Yesung
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Siwon.

 

 

-Siwon-hyung! Siwon-hyung!

Sentendo l'urlo di Yesung, Siwon si precipitò verso le scale, fermandosi di botto non appena vide il più piccolo precipitarsi verso di lui, con addosso solo l'accappatoio, stretto in vita, e un telo sui capelli bagnati. Sarebbe stata una visione estremamente comica, se solo Yesung non fosse scivolato sull'ultimo scalino. Siwon sgranò gli occhi, tendendo le braccia verso di lui, così che il più piccolo si potesse aggrappare. Una volta riacquistato l'equilibrio, Yesung alzò gli occhi verso il più grande, guardando Siwon con le pupille brillanti di gioia e incredulità. L'altro ricambiò l'occhiata, estremamente confuso, domandando:

-Yesung-ah?

-Ho ricordato qualcosa!- esclamò il più piccolo, a bruciapelo. Siwon si ritrovò a sgranare gli occhi:

-C-cosa?

Yesung annuì, come se stentasse a crederci anche lui:

-Ho ricordato qualcosa!- ripeté, sorridendo istericamente: -Ricorderò tutto, Siwon-hyung, proprio come hai detto tu!

Era elettrizzato, agitato, frenetico e parlava a macchinetta. Il suo respiro era affannoso e sembrava non rendersi conto di ciò che lo circondava, dei pericoli che aveva corso scivolando sulle scale. In quel momento, esistevano solo lui, il suo ricordo e Siwon, che sorrideva, contento e sollevato per il netto cambiamento che Yesung stava subendo.

-Calmati- disse infatti scherzosamente, afferrandogli le spalle: -Vestiti, datti una sistemata, ritorna in te e poi scendi. Parleremo non appena ti sarai dato un minimo di contegno.

Yesung annuì, capendo – forse solo in parte – quelle parole e, prima di correre nuovamente sulle scale, facendo il cammino a ritroso, abbracciò di slancio il venticinquenne, bagnandogli appena la camicia. Non si rese conto di ciò che aveva fatto, probabilmente, perché subito dopo era già sparito verso il piano superiore. Ciò nonostante, le labbra di Siwon non si rilassarono nemmeno per un secondo nei dieci minuti che seguirono, fino a quando Yesung non tornò da lui, in cucina. Siwon si sedette a tavola e indicò il posto di fronte a sé. Tra le mani stringeva la busta gialla. Yesung sospirò e annuì, sedendosi con un pizzico di indecisione.

Doveva iniziare a fare i conti col passato.

 

-Stavi affogando, quindi.

-No. Sì. Ok, non lo so.

-Tu sai nuotare, Yesung.

-Grazie dell'informazione, non ci ero arrivato.

-Perché stavi affogando, allora?

L'orologio appeso alla parete alle spalle di Yesung segnava le due di notte. Gli unici rumori – e l'unica luce – in tutta la casa provenivano dalla cucina, dove Siwon e Yesung stavano analizzando, da mezz'ora, il ricordo del più piccolo, il quale, al momento, aveva un gran mal di testa, che di sicuro non lo aiutava a sostenere una conversazione tranquilla.

-Non credo che stessi affogando... Voglio dire, uno affoga quando non riesce a nuotare a causa di forze maggiori, o semplicemente perché non ne è capace. Io... Era come se mi stessi lasciando andare volontariamente.

-Ti stavi suicidando.

-Probabilmente.

-Perché?

-Perché ero stanco... e ferito... e credevo che sarei morto lo stesso, probabilmente.

-E poi ti hanno afferrato.

-Già. E sono svenuto subito dopo.

-Ma hai provato a difenderti, quindi probabilmente sapevi che il tuo, se si può chiamare così, “salvatore” non faceva parte dei “buoni”.

-In quel momento mi sarei difeso anche da una mosca. Sapevo di non poter contare più su nessuno.

-E' un ricordo alquanto vago, Yesung-ah.

-Ma almeno so di essere riuscito a fuggire. E, in qualunque posto io sia stato, probabilmente vi sono rimasto per così tanto tempo poiché questa gente – chiunque fosse – voleva delle informazioni. Evidentemente non ho rivelato nulla di segreto.

Il giovane chirurgo corrugò la fronte: -Come fai a dirlo?

Yesung guardò Siwon come se fosse la persona più ingenua del mondo:

-Perché una volta che hanno ottenuto quello che vogliono, ti uccidono.

 

 

Henry.

 

Una melodia classica e intensa risuonava tra le pareti della grande casa nel centro di Shanghai. Sei persone erano sedute al tavolo del salotto, discutendo animatamente riguardo a un milionario in vacanza e a un albergo con delle scarsissime misure di sicurezza. Henry non stava realmente ascoltando quella conversazione, troppo preso a fissare la vista della città nella quale viveva da soli sei mesi. Nei tre anni precedenti era stato, in ordine, a New York, Londra, Hong Kong, Toronto, Nizza e, infine, era giunto a Shanghai. Tutto seguendo la sua amatissima famiglia, rispettata quanto temuta dai ladri migliori del mondo. Persino la famiglia Kim aveva temuto la sua, in passato, almeno tanto quanto, negli ultimi anni, li stava temendo la famiglia Park. Ad Henry non era mai piaciuto ottenere rispetto incutendo terrore. Secondo la sua modesta filosofia di vita, una persona doveva meritarselo, il rispetto, comportandosi correttamente ed evitando di uccidere il primo malcapitato di turno. Odiava maneggiare pistole, pugnali e qualsiasi altro tipo di arma. Odiava il fatto di dover sostenere il nome della famiglia Lau. Odiava il fatto di essere il più piccolo del circolo, ragione per cui, qualsiasi cosa facesse, doveva essere eccellente e superare chiunque fosse venuto prima di lui. Odiava sentire i racconti che parlavano di persone torturate fino alla morte, racconti che scendevano fin troppo nei particolari. Odiava il dormire di giorno e lo stare sveglio di notte – o il non dormire affatto. Odiava quando suo padre tornava a casa con macchie di sangue sui vestiti. Ma, al di sopra di ogni altra cosa, odiava il fatto di avere le mani sporche di omicidio a sua volta. Quasi ogni giorno, Henry si ritrovava a pensare a tutte le cose che non sopportava del mondo in cui viveva e, alla lista precedente, aggiungeva sempre il cibo scadente e l'impossibilità di stare nello stesso posto troppo a lungo. Non aveva mai conosciuto l'affetto di una vera famiglia – in quanto la sua viveva solo per i soldi – e non sapeva il significato di una vera amicizia, o di casa. Non aveva un posto da poter chiamare “casa”, nel senso più profondo del termine. L'unica cosa che riusciva a dargli un minimo di sollievo, era il fatto di sapere che il suo doppiogioco – che stava compiendo con gioia all'insaputa di tutti i malavitosi cinesi con cui aveva perennemente a che fare, la sua famiglia inclusa – una volta aveva salvato la vita di una persona.

 

Di quella persona, Henry non sapeva assolutamente nulla. L'aveva sentita nominare un paio di volte – ognuno, nel mondo dei ladri, conosceva quel particolare nome, e lo si pronunciava da generazioni. E quella persona nello specifico era da molti stimata da alcuni per, appunto, le sue particolari doti di ladro, mentre da altri era a malapena sopportata. Era stato più volte accusato di doppiogiochismo, congiure e infedeltà. Ogni qualvolta che a Henry balzava in mente il pensiero di quella persona – con annesse le accuse ingiuste – sorrideva. La gente si scannava a vicenda pur di accusare anche il fattorino della posta di essere in realtà un agente inviato sotto copertura. Trasformava un granello di polvere in una montagna, non rendendosi conto di avere dentro casa una montagna travestita da granello di polvere.

 

 

Yesung.

 

L'orologio alle sue spalle segnava quasi le quattro. Siwon era crollato sul tavolo poco prima, mentre leggeva un complesso rapporto su una missione in Canada. Yesung, vedendolo addormentato sul piano di legno, aveva sorriso senza sapere perché. Si era perso per qualche secondo a fissare i lineamenti del viso del più grande – la pelle chiara, i capelli neri, corti e ordinati, perfettamente tagliati in modo pratico e comodo, il naso perfettamente dritto e le labbra piene – per poi riscuotersi dai propri pensieri e ritornare a sguazzare tra le scartoffie – non senza un pudico rossore dipinto sulle guance.

Si era dato una sistemata ai vestiti – che gli andavano paradossalmente grandi, nonostante risalissero al suo guardaroba di due anni prima – ed aveva ripreso il suo lavoro. Aveva trascorso le ultime due ore a leggere rapporti, sfogliare pagine piene di dati e diagrammi, a memorizzare fotografie, e il suo cervello minacciava di subire un black-out da un momento all'altro. Ogni volta che gli capitava di leggere una parola o vedere un posto – o una persona – in qualche modo famigliare, chiudeva gli occhi in attesa di un qualche ricordo, ma ad attenderlo oltre le palpebre v'era solo il buio. Un buio invitante, che gli faceva venir voglia di spegnere tutto quanto per le otto ore di sonno tanto desiderate. Purtroppo, aprendo gli occhi, quelle pagine ritornavano a chiamarlo e – nonostante potesse recitarne alcune a memoria – continuava a leggerle e a rileggerle. Quando le lancette stavano per posarsi inesorabilmente sul numero cinque e sul dodici, gli occhi scuri e affilati di Yesung furono catturati dalla foto che ritraeva lui e Siwon – foto aveva accuratamente nascosto infondo alla busta. Sorrise, ripensando al giorno in cui si erano incontrati, sette anni prima. Era sul bus diretto a Daegu. Era il giorno del suo esame finale e nello zaino che portava con sé aveva tutto l'occorrente per affrontare quella missione scolastica. Siwon era arrivato in ritardo alla fermata e...

Un improvviso grugnito lo fece tornare in sé. Guardò Siwon, che aveva mormorato qualcosa nel sonno, e si ritrovò a sbarrare gli occhi. Stava ricordando di nuovo, senza rendersene conto. Riprese subito a fissare la foto. Già allora Siwon era più alto di lui, nonché con un fisico perfetto. Sorridevano entrambi, abbracciandosi, ed erano sorrisi sinceri e spensierati. Troppo sinceri e spensierati per essere finti. Siwon era vero. Era reale. Era fedele. Ed era davanti a lui, indifeso, immerso in uno strambo sogno che lo faceva borbottare di tanto in tanto. Non era un falso con due volti, non era una spia, non era un assassino. Se ne rese davvero conto solo in quel momento. Quella persona che lo stava pazientemente aiutando da ore era semplicemente Choi Siwon, un semplice chirurgo che tanti anni prima aveva perso un amico. Ricordando quelle parole, Yesung sorrise, alzandosi e raggiungendo il salotto, afferrando una coperta ed un cuscino. Tornando in cucina, mise delicatamente la coperta sulle spalle del più grande, sfiorandogli le spalle, per poi poggiare il cuscino sotto al suo volto, delicatamente, cercando di non svegliarlo. A missione compiuta, si perse di nuovo tra quei lineamenti decisi, pensando al fatto che, da ore ormai, c'erano due cose che non tornavano, nella sua testa. Innanzitutto, iniziava a farsi delle domande su chi fosse il mittente della busta. Il nome che aveva letto sulla carta gialla, poco lontano dal suo, brillava nella sua memoria. Gli diceva qualcosa, ma, a causa di quella dannata amnesia, non riusciva a capire cosa. La seconda non riguardava il lavoro. Né le persone che, forse, volevano ammazzarlo – o avevano tentato. Riguardava il suo passato, ma in modo diverso dal solito. Per una volta non pensava ad omicidi, talpe e tradimenti. Finalmente, c'era qualcosa nel suo passato che poteva dargli conferma del fatto che non fosse una brutta persona. Quella cosa aveva un nome e un cognome, un aspetto invidiabile e una gentilezza infinita.

Ed era un amico.

Forse, Choi Siwon era stato il suo migliore amico.

 

 

Kyuhyun.

 

Kyuhyun sorrise, rilassandosi sulla poltrona di quel piccolo monolocale abbandonato, situato nella periferia di Seoul, in un quartiere alquanto malfamato. L'unica luce proveniva dallo schermo del computer posto davanti a lui e dalle fessure delle persiane rigorosamente chiuse – nonché quasi totalmente mangiate dalle termiti. Si portò una mano all'orecchio, sistemandosi il dispositivo, prima di parlare nuovamente:

-Non ci sentiamo da parecchio, vero?

-Già, da un po'- rispose la voce dall'altra parte della trasmittente.

-Come stai?

-Me la cavo. Tu?

-Tutto a posto.

-I miei genitori?

-Zio e zia sono in Lussemburgo.

-Lussemburgo?

-Il colpo alla banca che progettavano da quattro a mesi.

-Ah, quello.

-Percepisco una nota di malinconia nella tua voce?- domandò il ventenne, ridacchiando.

-Percepisci male.

-Io non mi sbaglio mai.

-Una volta finito questo lavoro tornerò da voi. Perché dovrei mai provare malinconia?

-Perché al momento sei bloccato in un lavoro mediocre per le tue capacità e perché due personcine vogliono rapinare il Louvre.

-Heechul e Donghae.

-Già.

-E ce la faranno?

-Dai precedenti, sono in dubbio per Donghae.

-Fai in modo che non finiscano in carcere.

-Al momento non posso uscire dal Paese, lo sai meglio di me.

-Ringrazia il cielo che ci sia io.

-Io ringrazio sempre e solo me stesso. Ogni tanto zio Cholsu, ma principalmente me stesso.

-Posso quasi vedere la tua espressione di sufficienza.

-Immagina, puoi.

-Kyuhyun, sei loquace 'sta sera.

-Sono di buon umore.

-Wow, che cos'è successo? Hai finalmente trovato un modo per clonarti? O per viaggiare nel tempo così da giocare a Starcraft ventiquattro ore su ventiquattro?

Kyuhyun rimase in silenzio per qualche secondo, facendo un versetto: -Spiritoso, hyung.

-Dai, cos'è successo?

-Un amico è tornato tra noi.

-Gira ancora la voce di Yonghwa? È morto, Kyu. Non ci possiamo fare niente. Non credere a quello che dice zia Jihee. Lo sai che beve tequila corretta col caffè, al mattino.

-Yonghwa questa volta non c'entra nulla.

-Oh, davvero? E allora chi è tornato? Sooha è ancora in prigione dall'incidente in Tibet con lo yak. Quando esce, a proposito?

-Tra sei mesi.

-Alleluja. Ma allora di chi stai parlando? Jonghyun è sulla lista nera di zio Cholsu, Sooha è in prigione, Yonghwa è morto e Minhyuk si sta godendo i soldi racimolati dall'ultimo colpo a Tokyo. L'unico sarebbe...- la comunicazione si interruppe per qualche secondo, e Kyuhyun sorrise appena.

-Oh, mio Dio...

-Esatto, hyung.

-Non è possibile.

-Possibilissimo. Non l'ho ancora visto con i miei occhi, ma è tornato.

-Quando?

-Due giorni fa credo. Al massimo tre.

-Come sta?

-Ti ho già detto che non l'ho ancora visto.

-Come hai fatto a saperlo?

-Mi ha lasciato un messaggio.

-Stai scherzando...

-No, hyung. È tutto vero- sospira Kyuhyun e, per la prima volta dopo tanto tempo, sente il cuore battere all'impazzata nel suo petto, come se stesse ritornando davvero in vita:

-Jongwoon è tornato, Jungsu-hyung.

 

 

Angolino.--

Buonasera!

Sono tornata col nuovo capitolo! Ho provato in tutti i modi ad aggiornare prima, verso giovedì, ma mi sono beccata un raffreddore epico e si può dire che io abbia scritto questa robetta tra ieri e oggi – infatti non mi piace molto, come capitolo. Mi sembra di essermi quasi arrampicata sui vetri per scriverlo, non mi convince affatto. Voi che ne dite?

Adesso è entrato anche Henry nella scena, Yesung si sta dando una svegliata e che mi dite del finale? :D

Come sempre, ringrazio tantissimo chi mi ha lasciato un commento e chi continua a seguire la storia: grazie davvero!

Bon, ho finito. Ci sentiamo al prossimo aggiornamento, vi chiedo di farmi sapere cosa pensate di questo capitolo, per favore. (:

Lara.

   
 
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