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Autore: Ever Lights    26/01/2013    9 recensioni
«Tornerai presto?»
Mi baciò la fronte, stringendomi. Sentii le guance inumidirsi contro la sua divisa militare e provai a trattenermi. Percepivo l’odore di guerra, sangue, dolore, sudore, forza e amore su quel tessuto, ma una cosa in particolare mi colpiva e volevo cancellarmela dalla mente: odore di morte.
Ogni volta che mi avvicinavo a quell’uniforme, ogni volta che la prendevo fra le mani e me l’avvicinavo al petto, in lontananza scorgevo delle urla, dei rombi, degli ordini, lo scoppiare di bombe, mitragliatrici che scoppiettavano… Senza accorgermene, chiudevo gli occhi, li serravo e provavo ad allontanarmi da quei rumori.
«Ancora prima che tu possa dirmi ‘ti aspetto’ e sarò qui, amore.» Mi accarezzò i capelli, mentre io nascondevo il mio viso preoccupato e triste sul suo petto.
[...]
«Ricordi cosa ti avevo detto?»
«Non è facile vivere questa situazione, Edward.», mormorai, guardandolo intensamente. «Non posso lasciarti andare se non ho la garanzia che tornerai.»
[...]
Posò all’improvviso le labbra sulle mie. Non era un bacio come un altro: sapeva di addio, lo percepivo come un ultimo contatto prima della fine, prima che lui mi scivolasse dalle dita.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Be still

Be still
Capitolo quattro: Love of a life




Edward.

Aprii gli occhi con il fiatone e la fronte madida di sudore. Mi toccai il petto e trovai il mio cuore che batteva come non mai.
Sto bene, okay. Solo... Devo calmarmi.
Guardai il buio che mi sovrastava, cercando di tranquillizzarmi. Era stato solo un brutto sogno, ero a casa mia, nel letto, con la donna che amavo al mio fianco.
Mi girai verso Bella, che dormiva tranquilla, il viso rilassato, le man strette a pugno attorno alla pancia. Finalmente faceva sogni tranquilli, perché da quanto aveva detto Renée, per molte notti non aveva chiuso occhio, oppure si era svegliata urlando.
Ma da cinque giorni a parte, finalmente dormiva tranquillamente, senza avere incubi.
Al contrario, sembrava che qualcuno si divertisse a far girare nella mia testa le immagini terribili che avevo visto con i miei stessi occhi in Afghanistan. Nel sonno, rivedevo i bambini senza genitori piangere e chiedere aiuto, le donne che per strada recuperavano i cadaveri di mariti e figli persi in guerra, strillavano sopra i corpi e chiedevano al loro dio dove fosse in quel momento di disperazione. Rividi tutti gli abitanti scappare urlando terrorizzati, le anime innocenti prese dai mitra senza un perché.
Mi chiesi il perché di quella mia scelta. Perché avevo deciso di arruolarmi, sapendo bene quello che mi attendeva? Quando ero bambino, il padre di Carlisle, Joseph, veniva spesso a farci visita; era un soldato e quindi per lui era più che naturale parlare delle guerre a cui aveva partecipato, facendomi così appassionare al campo. Un compleanno ricevetti un aeroplano da appendere, che era un modellino di uno militare. Al compimento dei diciotto anni, feci domanda per l'arruolamento, che fu accolta qualche mese dopo.
E ora però mi stavo nettamente pentendo di tutto, soprattutto del fatto che mi ero allontanato per troppo tempo da Bella e mi ero perso la cosa più importante del momento: nostro figlio.
«Ehi... Stai bene?»
Non so come, ma Bella riuscì a svegliarsi e mi stava guardando di sbieco, con gli occhi assonnati.
«Sì, è tutto a posto.», mentii, carezzandole i capelli. Mi sorrise appena e si tirò leggermente su, issandosi sul gomito.
«Oh...», mormorò, massaggiandosi il fianco. Subito mi allarmai e mi sedetti davanti a lei, aiutandola a tirarsi su.
«Amore, che succede?»
Corrugò la fronte e si toccò la pancia, proprio appena sopra l'osso del bacino. «Mi.. mi devo alzare un attimo.»
La seguii fino in bagno, dove si aggrappò al lavandino prendendo respiri profondi. Teneva gli occhi chiusi, la testa reclinata all'indietro, la fronte corrucciata.
«Mi puoi dire che succede?», chiesi allarmato, provando a scostare i capelli dal viso. Cacciò la mia mano, facendomi segno di rimanere in silenzio e di aspettare.
«Era... una contrazione, diversa dalle altre... Ha fatto più male del solito.» Si massaggiò la schiena, accucciandosi sulla mia spalla.
«Ora è passata?», sussurrai sui suoi capelli e lei annuì. «Sì... Ogni tanto capita, ma mai così... è la prima volta, che strano.»
Alzai le spalle e mi chinai all'altezza della pancia, sollevando il maglioncino da notte.
«Ehi, piccoletto... Vedi di fare il bravo, intesi?» Bella rise, carezzandomi la testa. «Non fare del male alla mamma. È vero che non vediamo l'ora di conoscerti, ma se aspettiamo l'anno nuovo è meglio.»
Quando mi risollevai, le labbra di Bella catturarono le mie. «Magari se sta ancora un po' lì dentro, darebbe ancora un po' di tempo a mamma e a papà per preparare tutto.»
«Mh...», sussurrai e lei mi carezzò la guancia.
«Ti amo... E grazie per essere qui...»


«Edward, sei in casa?»
Quando percepii la voce di mia moglie nell'ingresso di casa nostra, mi alzai così di scatto da prendere in pieno la porta in faccia.
«Cazzo!», imprecai, probabilmente così forte che riuscì a sentirmi.
«Va tutto bene?»
Mi massaggiai la fronte, e fui sicuro che presto sarebbe spuntato un bernoccolo. «Sì! Tutto a meraviglia!»
Uscii da lì in un batter d'occhio e raggiunsi Bella in cucina in pochi secondi. Quando vidi che indossava la maglia che avevamo comprato poco tempo prima, un sorriso nacque spontaneo sul mio viso.
«L'hai messa.», mormorai orgoglioso, e quando capì a cosa stessi riferendo, si toccò orgogliosa il pancione.
«Mh, già.» Rilesse la frase in stampatello che c'era scritta sul tessuto chiaro – arrivo a gennaio, e mi guardò negli occhi. «La commessa mi ha chiesto quanto manca ed è stato strano dire che il termine è fra poco più di due settimane.»
Le baciai dolcemente le labbra, carezzando con la mente l'idea che, davvero, ormai la nascita era vicina. «Fra poco stringeremo il nostro bambino...»
«O bambina.», aggiunse lei, sorridendo. «Ti ricordo che ancora non sappiamo nulla su di lui.»
«O lei.», scherzai e mi diede un pugno affettuoso sul petto. «Sbruffone. Ehi, mi dai una mano con la spesa? Ho preso un paio di cosine carine.»
Svuotammo le borse e Bella mi fece vedere tutti gli oggetti che aveva preso per il bambino, tra cui il primo ciuccio. Mi incantai a vedere quanto fosse piccolo e mi chiesi se sarebbe stato così anche mio figlio.
«Cosa guardi?» Bells mi carezzò una guancia e con gli occhi lucidi gli feci notare il ciucciotto che avevo in mano.
«Stavo pensando... a quanto voglio averlo qui, a quante cose mi sia perso...», mormorai, con la voce incrinata, e lei appoggiò il succhiotto sul pianale della cucina e mi abbracciò.
«Ehi...» Mi fissò con uno sguardo addolcito e mi baciò il palmo della mano, per poi posarsela sul pancione. «Non sentirti in colpa...»
«Invece lo sono... Devo esserlo. Io... è stupido, ma è come se non conoscessi il mio bambino...»
Posò entrambe le mani ai lati del mio viso, allacciando i miei occhi ai suoi. «Ora ascoltami bene, chiaro? Le ecografie, gli esami, le visite... tutto questo, era solo una piccola parentesi. Quando arriverà il piccolo, quando lo sentiremo piangere per la prima volta, le notti insonni che passeremo... Quello sarà l'inizio, il vero inizio di tutto.» 
«Comunque sei rimasta sola ad affrontare tutto.», le feci notare e lei sorrise. «Sarà anche vero, ma me la sono cavata egregiamente. Quindi, non tirati giù, okay? Ora sei qui, questo conta davvero.»
Sviai il resto del discorso e le baciai la fronte. «Appena hai finito, devo farti vedere una cosa.»
Aggrottò la fronte, osservandomi. «Cioè?»
«Tranquilla, non devi preoccuparti.», sorrisi e tornai nella stanza accanto, lasciandola con un enorme punto interrogativo.
«Dai, me lo dici?»
La sua voce sembrava quella di una bambina capricciosa e quando voltai il capo verso la porta, la trovai lì, ferma, a guardarmi. Gli occhi erano sgranati e sbatteva velocemente le palpebre.
«Sarebbe una sorpresa...»
Sbuffò. «Sai che le odio. Perché sei così fissato?»
«E tu perché non riesci mai a farmi contento, accettandole?»
Ci ritrovammo faccia a faccia, nella medesima posizioni: mani sui fianchi, visi seri e sguardi che fissavano l'altro.
«Le accetto, ma non sono capace a stare buona... E tu non sai mantenerle segrete.»
Risi ironicamente e le pizzicai il braccio. «Certo. Mi pare che una volta però ci riuscii.»
Capii cosa stavo intendendo e divenne tremendamente rossa. L'unico regalo di compleanno che ero riuscito a darle, un anno, fu renderla finalmente una donna, ma soprattutto la mia Bella.
«Sbruffone. Comunque ho finito, ora posso sapere?»
Sospirai e la feci girare, per poi metterle le mani sugli occhi. «Non dire niente.»
«No, ti prego!», brontolò, provando a scrollarsi di dosso. «Potrei cadere!»
Ma ormai stavamo salendo gli scalini che portavano al piano di sopra e non aveva molto da lamentarsi.
«Se cadi, ti prendo io.»
«Uff... Mi fai almeno vedere?»
Sorrisi sulla sua spalla e scossi il capo. «Neanche per sogno. Adesso stai brava.»
Percorremmo il piccolo corridoio e mi fermai all'improvviso, facendola barcollare.
«Pronta?»


Bella.

«Pronta?»
Evidentemente, in più di cinque anni di relazione, Edward ancora non aveva ben capito cosa intendessi per “Odio le sorprese”.
Ogni volta che mi riservava qualcosa, finivamo sempre per discutere. Come al solito, era tutta colpa sua, perché era lui a decidere tutto quanto.
Forse erano state le brutte esperienze del passato a portarmi verso quell'odio ricorrente per i regali inaspettati. C'era stato un anno, forse per il mio decimo compleanno, dove Charlie mi portò a fare un giro per i boschi. Adoravo passare il tempo con mio padre, e quella volta non fu tanto diverso, all'inizio. Mi portò sulle spalle, nonostante il mio non gracile peso, e ridemmo per tutto il sentiero. Giunti al torrente, mi aveva lasciato giocare con l'acqua, ma sui sassi scivolai e battei violentemente la testa. Risultato: commozione cerebrale e un braccio rotto, proprio il giorno del mio compleanno. E mio padre aveva fatto tutto di nascosto.
Da quel momento iniziai a odiare le feste e le sorprese, peccato che Edward non ne tenesse mai conto.
«Posso aprire gli occhi?»
«Tu prima rispondimi.», disse mio marito, e potei sentire il suo sorriso contro il mio orecchio. «Sei pronta?»
Annuii e le sue mani si allentarono sul mio viso, per poi sparire del tutto. Ci trovavamo davanti alla porta della cameretta di nostro figlio, ancora a soqquadro. Ci mancavano pochi passi per terminare il lavoro, e in due giorni avevamo pitturato le pareti, appeso i chiodi per delle future fotografie e disposto tutte le luci notturne.
«Che ci facciamo qui?», domandai, allacciando i miei occhi ai suoi. Sul suo volto ricomparve il solito sorriso sghembo e prese a giocare con le mie dita.
«Non ti arrabbiare, okay?»
«Perché dovrei?» Tutto diventava sempre più sospetto, eppure il suo viso mi ingannava.
Indicò la porta. «Basta che non diventi una furia.»
Alzai le spalle, non capendo, e unì la mia mano alla sua e abbassò la maniglia, prendendomi poi per i fianchi e spingendomi leggermente all'interno della stanza.
In pochi secondi passai da una situazione di totale confusione a una di stupore e incredulità assoluta.
«Ma cosa...»
Le lacrime risalirono gli occhi, pungendo sui bordi e rendendo l'immagine davanti a me sfocata.
Tutto sembrava un paradiso. C'era la culla, il fasciatoio, la sedia a dondolo con la coperta, le tendine verdi in tinta con il resto della stanza...
«Edward...», singhiozzai, portando le mani alla bocca. Non avevo parole per descrivere quello che mi si parava di fronte. Fino alla sera prima la stanza era vuota, fatta eccezione per le lucine e il lampadario, ma la culla, il cassettone con i vestitini e i pannolini, le lozioni sopra il fasciatoio, il carillon non c'erano.
Dal vuoto incontrollabile alla vita, letteralmente. Quella stanza ora pullulava di vita e gioia.
«Ma come hai fatto?» Intanto mi ero avvicinata al lettino, che avevamo scelto pochi giorni prima in negozio e subito portato a casa con l'aiuto dei miei genitori. Ora il legno bianco risplendeva sotto la luce chiara del lampadario, il paracolpi con gli orsetti cucito da Renée brillava e sotto le copertine già mi immaginai nostro figlio riposare tranquillo, con i pugni stretti e il respiro regolare.
«Ho approfittato del fatto che ero da solo in casa. E tua madre comunque è un'ottima aiutante, dovrò tenerlo presenta ancora di più dopo il mio ritorno.»
Sorrisi fra le lacrime e accarezzai il carillon appeso sopra la culla. Aveva i personaggi di Winnie the Pooh appesi, che penzolavano dai cordoncini colorati. Pensai già alla melodia che si sarebbe espansa in tutta la camera quando sarebbe giunto il momento della nanna...
«Un giorno se la vedrà con me... Com'è possibile che con la lingua lunga che si ritrova riesce sempre a tenersi buoni tutti i segreti? Non è giusto.», mi lamentai scherzosamente e Edward rise. Rideva come un tempo, era di nuovo lui, lo stesso uomo prima dell'ultima partenza.
Mi sedetti sulla sedia a dondolo, cominciando a oscillare. La mia mente vagò ancora, disegnando una delle immagini del mondo più dolce che potesse esistere: io e nostro figlio accoccolati una vicino all'altro, nel cuore della notte, ad ascoltare i nostri respiri. Lui attaccato al seno e io ad accarezzargli i capelli rossicci, come quelli di suo padre.
«È perfetta, è come l'avevamo sempre immaginata...», mormorai quando Ed mi strinse fra le sue braccia. Il legno bianco dei mobili era divino accostato al verde chiaro delle pareti e all'azzurro del soffitto.
«E sarà perfetta anche per lui...», aggiunse lui fra i miei capelli, osservando il capolavoro che aveva compiuto da solo.
«Sarà tutto perfetto, quel giorno.»



«Allora, vediamo un po' questo bambino.»
Non ero mai stata così agitata in vita mia prima di allora. Edward stringeva convulsamente la mia mano, tremando, e io aspettavo solo di vedere mio figlio sullo schermo di quel computer.
«C'è qualcosa che non va?», chiese la dottoressa, vedendo tutta la nostra preoccupazione manifestarsi all'improvviso. Scuotemmo in capo in contemporanea, per poi sorridere.
«Edward è la prima volta che vede il bambino... Dal vivo, attraverso un'ecografia.»
La donna annuì e posò l'ecografo sulla mia pancia.
«Ehi, calmati.», sussurrai a Ed, carezzandogli la guancia con la mano libera. Posò il capo accanto alla mia spalla, e poi sentire il suo fiato spezzarsi a intervalli irregolari.
«Allora, eccolo qui.»
Pochi secondi dopo, sul monitor comparve mio, nostro figlio. Ormai ero abituata a vederlo, per via delle visite mensili, ma Edward... Edward rimase totalmente fulminato. Smise di respirare e le sue lacrime mi inumidirono i capelli. «Ehi...»
Gli baciai le labbra, portandogli rassicurazione e lui sorrise, e fu uno di quei sorrisi di commozione, i più belli che potesse mostrarmi.
«È lui...», mormorò e io annuì convinta. «È il nostro bambino.»
«Qui c'è la testa, già in posizione. Poi queste sono le braccina, la colonna vertebrale, le gambe e i piedini.»
«Sono enormi!», commentò ridendo Ed e mi unii a lui. In effetti, non era tanto uno scricciolo, nostro figlio.
«Be', bisogno anche contare che siamo alla trentottesima settimana. Nelle ultime quattro settimane il bambino acquista anche più di un chilo di peso.»
La fissammo allarmati, già pensando alla nascita di un vitello, e non di un neonato di normali proporzioni.
«Ma non è la situazione di questo feto, potete stare tranquilli.»
Prese tutte le misure, dicendoci che erano nella norma, e poi girò la tanto agognata rotellina.
Per quanto possibile, Edward cominciò a piangere più violentemente di prima, ascoltando il suono del cuore del bambino. Ora per lui il pensiero era diventato quasi reale, non più un sogno remoto. Non doveva più vederlo attraverso un computer, ascoltare la mia voce o vederlo crescere con in sottofondo gli spari e altri rumori. Adesso c'eravamo solo noi e nostro figlio, tutto stava diventando concreto.

«Bella addormentata...»
Il naso di Edward percorse il profilo della mia mandibola, e la sua barba mi fece solletico.
«Mh...»
Provai a girarmi dall'altra parte ma lui mi bloccò con le sue braccia, baciandomi il collo. «Devi svegliarti.»
«Ma ho tanto sonno...»
Rise e mi carezzò la guancia mentre io aprivo lentamente gli occhi. Mi ero sdraiata sul divano e avevo pensato di risposarmi un secondo solo, e invece mi ero addormentato...
«Lo so, amore. Ma dobbiamo andare a casa di Rosalie e Emmett.»
«No...», confabulai, con sguardo triste. «Possiamo rimanere a casa? Non me la sento.»
«Dai, un piccolo sforzo.»
Sbuffai e mi alzai goffamente. «Se proprio dobbiamo...»
Quando feci per tirarmi su in piedi, ebbi un capogiro e quasi caddi a terra, se Edward non fosse stato tanto rapido da prendermi.
«Ehi, che c'è?»
Scossi il capo, confusa. «Non penso di riuscire a raggiungere il bagno da sola...»
Mi cinse i fianchi e, una volta in bagno, mi fece sedere sulla seggiolina accanto alla vasca. «Ora va meglio?»
Annuii appena, sorridendo. «Sì...»
«Hai qualche contrazione?»
«Un paio, ma è normale, lo sai ormai...», sussurrai, accarezzandogli i capelli.
«Te la senti di vestirti?», domandò e mi aggrappai alle sue braccia, sollevandomi lentamente. Qualche secondo dopo, lo fissai intensamente negli occhi, irrigidendomi.
«Che succede?»
Qualcosa di viscoso e caldo mi colò lungo la gamba e mi pietrificai, con me ogni singola cellula del mio corpo. «Edward.»
Si spaventò, vedendo il mio volto impallidire, e mi scostò i capelli dalla fronte. «Parlami, che succede?»
«Penso... Penso si siano rotte le acque.»
Silenzio.
«Non sono sicura, però... Ma mi sa che si è rotto qualcosa, qui sotto.», mormorai spaventata, e i nostri occhi si puntarono verso la piccola pozza d'acqua ai miei piedi.
Mi fece risedere sulla sedia, visibilmente agitato. Andava da una parte all'altra della stanza, con le mani fra i capelli; sudava freddo, tremava e borbottava qualcosa sotto voce.
«Edward!» Il mio urlo lo fece tornare alla realtà e tornò vicino a me, porgendomi le mani da stringere. Ah, no, quella contrazione non era per niente leggera, proprio per nulla.
«Sotto... Sotto il letto, c'è il borsone. Prendilo, lì dentro ci sono i miei cambi e quelli per il bambino. Poi vieni a riprendermi, e andiamo subito all'ospedale.»
Feci come aveva detto e io mi abbandonai contro lo schienale, guardando che ora fosse. Le diciannove e cinquanta, e mi sembrò veramente troppo presto per far nascere mio figlio.
Nella mia mente si affollarono migliaia di domande: era sano, era grande abbastanza, avrebbe avuto bisogno di aiuto...
Però mancavano solo due settimane al termine... C'erano neonati che nascevano anche al settimo mese e sopravvivevano benissimo, ma mio figlio ci sarebbe riuscito?
All'ospedale mi diedero subito una stanza, facendomi cambiare velocemente, e tre infermiere furono pronte a controllarmi.
«Ascolta, tesoro, adesso devi aprire le gambe, okay? Così noi controlliamo a quanto sei.»
Strinsi spasmodicamente la mano di Edward, terrorizzata, e obbedii mantenendo il controllo.
Essere esposta agli sguardi di tutte quelle persone era tremendo, ma imbarazzarmi era pressoché impossibile.
«Unisci le caviglie e divarica le gambe, così. Potrai sentire un pochino di pressione, ma sarà una cosa momentanea.»
Come avevano previsto, percepii una pressione dolorosa che mi fece gemere, ma dopo pochi secondi svanì.
«Sei di quattro centimetri! Quasi a metà, andrà tutto bene. Se hai bisogno, chiama.»
Nelle ore seguenti, non feci altro che suonare il campanello per chiedere di spostarmi, dato che stare sdraiata mi era impraticabile.
«Stai andando benissimo, amore. Sei bravissima.», mi mormorava all'orecchio Edward, ma io non gli davo molta retta, presa com'ero da assecondare i respiri al dolore.
«Fa troppo male...», sussurrai, asciugandomi la fronte. Ed mi strinse le mani, baciandomi le guance.
«Lo so, amore...», rispose, inginocchiandosi davanti a me. Non mi mollava un secondo, teneva sempre lo sguardo fisso su di me.
«Aspetta...» Puntellai le mani sulle ginocchia, incurvando la schiena all'indietro. L'espressione di Edward mi fece capire che da fuori doveva sembrare una bruttissima situazione, e in effetti lo era sul serio.
«Sta andando tutto bene, sei bravissima.», disse mio marito, carezzandomi le braccia. «Sei bravissima.»
Gli sorrisi nonostante la contrazione e mi concentrai ancora di più. «Che ora è?»
«Le dieci e mezza, stai tranquilla.»
«Hai avvisato Rosalie ed Emmett? Solo in quel momento mi ricordai del nostro impegno e subito Ed mi tranquillizzò. «Sì, hanno detto di godere appieno di questo momento.»
Emm e Rose avevano già potuto vivere l'esperienza di diventare genitori ancora prima di noi, e sapevano perfettamente come mi sentissi in quel momento.
«Allora, ricontrolliamo questa mamma?» L'infermiera entrò nella stanza battendo le mani, quasi come se si trattasse di un grande evento.
Strinsi la mano di Ed quando ricominciò il dolore. «Fa troppo male!»
«Lo so, cara, lo so, ma ricordati che tutto questo serve per far nascere il tuo bambino.»
«Inventassero il teletrasporto!», grugnii e qualcuno nella stanza rise, ma io non la pensavo allo stesso modo.
«Ascolta, sei di cinque centimetri. Lo so che sembra che tutto vada lento, ma è del tutto normale, okay? Cammina un pochino, usa la palla... Fai qualunque cosa ti aiuti, va bene?»
Annuii un paio di volte, anche se mi sembrarono solo parole al vento. Tutto, per conto mio, stava andando veramente male, non potevo sopportare ancora tante ore di dolore.
«Torniamo fra un'ora.», promisero e ci lasciarono di nuovo da sola.
Guardai Edward negli occhi e sentii le lacrime salire. «Ed...»
«Ehi, ehi.»
Cominciai a piangere e singhiozzare sempre più forte, mentre le sue braccia mi circondavano. «Ehi, perché fai così?»
«Ho paura, Ed, ho tanta paura...»
«Di cosa, amore?» Mi massaggiò la schiena dolcemente, posando le labbra sul mio collo.
Tossii. «E se fosse ancora troppo piccolo? Se qualcosa andasse pronto? E se non fosse pronto?»
«Hai paura di non essere tu quella pronta?», mormorò e le sue parole mi colpirono, ma forse era proprio quello il suo intento.
«Cosa intendi?» Corrucciai le sopracciglia e lui sorrise. «Sembra che tu abbia paura... per te stessa. Stai andando benone, sei bravissima.»
«Lo dici tanto per farmi piacere.», mugugnai, tirando su con il naso.
«No, invece. Quante donne pensi che vivano questo momento con i tuoi stessi timori? Hai sentito la dottoressa ieri, ha detto che il piccolo è totalmente formato e se dovesse nascere non ci sarebbero problemi.»
«E se qualcosa andasse storto?», domandai scettica. Era impressionante come fossi diventata pessimista: per tutta la gravidanza ero sempre stata di ottimo umore e avevo sperato per il meglio... E all'improvviso la situazione si era capovolta in extremis...
«Perché devi pensare al peggio?» La sua voce divenne bassa ma seria al punto da farmi capire che stavo ragionando nel modo sbagliato.
«Perché non mi aiuti?», ribattei. «Cosa dovrei fare per aiutarti?»
«Smetterla con queste domande.», sibilai fra i denti e sentii il viso diventare bollente. La sua mano si arpionò alla mia immediatamente, stringendola.
«Respira, amore, respira.», sussurrò sulla mia fronte. «Come hai imparato al corso.»
Guardarlo negli occhi mi dava sicurezza, vederlo accanto a me era una prova che non mi aveva abbandonata. Non avrei mai pensato che lui sarebbe stato vicino a me in quel momento, perché troppo spesso lo immaginavo ancora lontano, in quella terra che procurava solo morte e distruzione.
«Hai visto? Sei bravissima.», ripeté ancora. Stava diventando una nenia, una specie di ninna nanna per le mie orecchie.
Gli carezzai una guancia appena mi sentii meglio. «Ti amo.»
Mi posò un bacio leggero sulle labbra. «Anche io, amore. Devo continuare a dirti che hai la situazione sotto controllo?»
Scossi il capo, ridendo, e Edward sorrise. «Voglio vederti così, sei bellissima.»
Alzai gli occhi al cielo e con il suo aiuto mi alzai in piedi. «Uh, mi reggono.», mormorai stupita, quasi fosse una specie di miracolo.
«Ce la fai?»
«Basta che mi stai vicino e non mi fai cadere.», risposi. La sua espressione fu rassicurante, quasi come a dirmi “Questo mai”.
«Magari faccio un giro nel corridoio...», sussurrai, ma non appena feci un passo percepii altro liquido colarmi lungo le cosce.
Guardai Edward con faccia disgustata e lo scacciai. «Che schifo, Dio mio... Continuo a lasciare acqua ovunque.»
«Vuoi che chiamo qualcuno?»
Scossi il capo. «No, no, adesso mi asciugo.»
Mentre mi ripulivo con un pezzo di carta, il cellulare di Ed cominciò a vibrare contro il legno del tavolino.
«Chi è?»
Guardò il display. «È mia madre.»
«Rispondi.», mormorai soltanto, sedendomi sul lettino. Strinsi la sponda quando arrivò l'ennesima contrazione, e Edward mi guardò impotente.
«Ciao, mamma. No, non sono a casa.»
In quell'istante mi feci sfuggire un lamento che dopo pochi secondi divenne un urlo incessante.
«Sono in ospedale, Bella è in travaglio. No! Rimanete dove siete, non so per quanto ne avremo ancora. Come vuoi che stia? Le fa male tutto, hanno detto che deve sopportare. Sì, se c'è qualche sviluppo ti chiamo, stai tranquilla.»
Chiuse la conversazione e subito accorse accanto a me. «Sono qui, amore.»
Inclinai la testa all'indietro, picchiandomi il ginocchio. «Fa male, fa male...»
Di nuovo un altro grido prese posto nella mia bocca e non riuscii a trattenerlo. Il volto di Edward divenne pallido e si inginocchiò davanti a me, con gli occhi lucidi.
«Cosa devo fare?», chiese. Lo aveva già fatto per non so quante volte, e capii che si sentiva inutile lì, forse perché capiva che non poteva darmi una mano.
«Che ore sono?»
Si asciugò la fronte e guardò l'orologio. «Sono adesso le undici e mezza.»
«Solo? Non ce la faccio più!», piagnucolai e lui mi carezzò il ginocchio nudo. «Sì che ce la fai.»
«No, invece! Sono stanca, ho sonno, non ho mangiato nulla, e non c'è traccia di miglioramento!»
Nel giro di pochi secondi iniziai a singhiozzare e Edward schizzò in piedi, uscendo dalla stanza. Rimasi per qualche minuto da sola e quando tornò, era violaceo in viso e si scortava un'infermiera.
«È stravolta, non vede? Non potete darle nulla?»
Passai il dorso della mano sugli occhi, mentre la donna mi guardava. «Lei come si sente?»
«Come vuole che stia?», strillai, afferrando la mano che Ed mi stava porgendo. Lasciai che la contrazione passasse, mentre loro mi fissavano.
«Mi fa troppo male! Mi sta spaccando in due!»
La donna sospirò e mi fece distendere. «Ora controlliamo, e vediamo cosa fare.»
Lasciai che facesse il suo dovere e Edward posò la fronte sulla mia. «Va tutto bene.»
«Voglio solo dormire.», mormorai e altre lacrime presero a scorrere.
«Ehi ma qui ormai siamo quasi alla fine! Chiamo la ginecologa!», esclamò e con ancora i guanti corse fuori.
Mi spaventai e iniziai a respirare più velocemente, mentre mio marito mi massaggiava la schiena. «Hai sentito? Manca poco.»
«Allora, cosa succede a questa mamma?» La ginecologa entrò nella stanza, indossando i guanti. «Mi hanno detto che bisogna fare in fretta.»
«Tiratelo solo fuori!», borbottai stringendo gli occhi. Perché il dolore non passava? Non avrei sopportato ancora molto.
«Avanti, controlliamo e...»
Si bloccò e Edward accanto a me si irrigidì. «Che succede?»
«Forse è il caso di andare in sala parto, questo bimbo ha deciso che è giunto il momento di nascere.»
Nei minuti dopo tutto divenne confuso. Attorno a me si erano proiettate cinque infermiere ed eravamo in un'altra stanza. Edward continuava a chiedere quanto ci sarebbe voluto e gli rispondevano solo di svestirmi e di calarmi nella vasca, perché ormai il tempo era alle strette.
«Ascolta, Bella, sei di quasi nove centimetri. Adesso appena senti il bisogno di spingere, fallo, nessuno ti ferma. Adesso c'è?»
Scossi il capo, accasciandomi sul bordo della vasca. «Voglio dormire...»
«No, ora devi rimanere sveglia, tesoro. Se facciamo in fretta, poi puoi dormire quanto vorrai.»
Le mani di Edward impugnarono le mie e mi guardò. «Abbiamo quasi finito, fra poco conosceremo nostro figlio.»
«Voglio solo che stia bene...»
Scostò una ciocca di capelli dai miei occhi. «Starà bene, siete forti entrambi.»
Stavo per sorridere quando una fitta risalì la pancia e percorse la schiena. «Cazzo, cazzo, cazzo...»
«Spingi, Bella!»
Incatenai i miei occhi a quelli di Ed e con tutte le forze feci come mi avevano detto. Da fuori dovevo sembrare un mostro, avevo il viso contratto in una smorfia terribile.
«Benissimo! Stai andando perfettamente!», dissero le infermiere e Ed annuì. «Cosa ti dicevo?»
Chiesi di girarmi, così da appoggiare la schiena contro il bordo della vasca. Edward non mi mollava un secondo, e teneva le mani sulle spalle, allacciate alle mie.
Il dolore era tanto intenso da annebbiarmi completamente. Non so quanti minuti passarono, ma a ogni spinta sentivo solo le forze mancarmi e sprofondare.
«Bella, svegliati!»
«Sono sveglia...», mugugnai con la voce impastata. Le labbra di Ed si posarono sul mi orecchio. «Sveglia, amore, dai.»
«Ca... Canta per me...», mormorai e presi a tremare, mentre una contrazione crebbe dentro di me. Un'infermiera, vedendo il mio colorito diventare paonazzo, mi diede una pacca bonaria sul ginocchio piegato.
«Se vuoi urlare, fallo! Se ti aiuta, puoi fare tutto ciò che vuoi.»
Mi lasciai andare e tutti sussultarono, tranne Edward. «Bravissima, amore.»
«Ti prego... ca... canta.», lo implorai e sottovoce cominciò a mormorare la mia canzone preferita.
«Be still and know that I am with you
Sorrisi nonostante il dolore. «Sei con me, lo sarai sempre...»
Mi carezzò una guancia. «Be still and know that I am here
«Sei qui... Sei qui per noi.»
«Be still and know that I am with you
La ginecologa mi incitò a spingere di nuovo, perché mi stavo rilassando forse fin troppo. «Avanti, Bella, si vede la testa. Vuoi farla nascere negli ultimi istanti dell'anno vecchio o nei primi dell'anno nuovo?»
Sgranai gli occhi ma subito dopo li richiusi e strillai. Urlai così tanto che la voce mi si mozzò a metà e strinsi senza controllo la mano di Ed, che non dette segno di cedimento. Lo stavo massacrando, ma più il dolore aumentava, più capivo che non avevo ancora sentito nulla di quello che mi aspettava.
«Perfetto, dai! Questa è l'ultima!»
«Io scommetto che non è vero...», scherzai e Edward sorrise. «Avanti!»
Obbedii e qualcuno rise quando la dottoressa mi sfiorò il braccio. «Dai, Bella!»
«Io lo sapevo che non era l'ultima...», dissi e  quando ripresi ad urlare, mi resi conto di non essere l'unica a farlo.
Dall'acqua riemersero le mani della ginecologa che tenevano un corpicino rosso e ricoperto di roba bianca. Me lo posò sul petto e in quell'istante tutto il dolore svanì.
Il sonno sparì e guardai il bambino, che aveva gli occhi appena aperti. Lo sfiorai, e divenne reale. Non fu solamente più un mio sogno, una mia immaginazione, il sogno di una vita. No, era diverso, in quel momento. La sua pelle non fu un disegno tracciato dalla mia mente; il suo viso, così perfetto, ebbe finalmente una forma, ed era ancora più bello di come me l'ero sempre immaginato.
«Sei stata bravissima!»
Edward, al mio fianco, mi prese il viso fra le mani. «Sono così orgoglioso di te.»
Piangeva, e mi resi conto che non era l'unico a farlo. Sui nostri volti, rigavano lacrime, per la prima volta in tutta la serata, di felicità.
«Ci ha messo più di mezz'ora a nascere, con quattro ore di travaglio alle spalle, ma guardate che capolavoro!», esordì la dottoressa e sorrisi. Sorrisi perché era vero: non era stato il dolore, le spinte, i pianti, le contrazioni, le strette, la paura a farmi capire che stavo diventando madre. La consapevolezza divenne tale quando avevo visto mio figlio, nostro figlio uscire dal mio corpo e posarsi su di me.
Gli occhi di Edward lo fissavano come solo una volta aveva guardato un'altra persona: me.
Ad un certo punto, rise di gioia fra le lacrime. Sul suo viso comparve un sorriso di amore e stupore allo stesso tempo.
«Cosa c'è?», sussurrai stremata, perché proprio non capii cosa c'era da ridere.
Posò le labbra sulle mie, con urgenza, e rimasi esterrefatta. «I miei presupposti non sono stati vani, dopotutto...»
Ancora non intesi e la dottoressa mi accarezzò il braccio. «È una splendida bambina, Bella.»
Sgranai gli occhi e il mio cuore si fermò nell'istante in cui la sua voce, la voce di mia figlia, si propagò nella stanza.
«E che voce che ha la signorina!»
Guardai il suo corpicino che si dimenava, i pugnetti che si agitavano a pochi centimetri da mio petto. Fu come un colpo di fulmine improvviso, quello che mi colpì. Il mondo smise di girare per un attimo infinito, tutti gli orologi smisero di rintoccare, i fuochi d'artificio fuori dalla clinica si spensero all'istante. Mai come in quell'istante capii quanto forte potesse essere l'amore di una madre verso la figlia, non avevo mai percepito tutta la gioia che i miei genitori scoprirono quando mi videro nascere. Non c'erano parole per descrivere come il mio cervello e il mio corpo si sentissero in quel momento, ma i miei occhi non mollavano quelli di mia figlia, che forse già aveva capito chi fossi.
Era straordinario vedere come una cellulare composta da due parti diverse di due persone che si amano potesse fondersi, formarsi e dare vita a un bambino.
«Sei stupenda, amore mio...»
La voce mi mancava e forse quella frase gliela avevo detta con il pensiero. Non smise di strillare e le labbra di Edward si appoggiarono ancora una volta sulle mie. Rividi quel bagliore nei suoi occhi che c'era stato in pochi momenti della sua vita, dal nostro primo incontro alla sorpresa il giorno di Natale.
L'amore di una persona non si divide, ma si moltiplica ogni volta che qualcuno di nuovo le fa battere il cuore.”
Avevo letto spesso quella frase sulla cornice portafoto che mia madre mi aveva regalato, e in quell'istante, come una scossa, compresi ancora. Era la stessa sensazione che avevo vissuto quando Edward mi aveva guardata intensamente negli occhi per la prima volta, come quando avevo capito di amarlo più di ogni altra cosa. E ora sapevo cosa voleva dire dare la vita a un'altra persona, mia figlia ne era la prova. Il battito del mio cuore, in quel momento, era la prova di tutto il mio amore, di tutti i tentativi, le lacrime, la paura, la forza, la speranza che avevo racchiuso in me mentre attendevo il ritorno di Ed.
Il tempo era passato inesorabile, e nella mia mente rividi l'immagine di quel test positivo, la prima ecografia dove lei era grande quanto un fagiolino, i primi vestitini, la pancia crescere passo per passo... Erano tutti ricordi che si erano fusi in nostra figlia, erano attimi che mai sarebbero andati persi.
«Sono così orgoglioso di te...», mormorò di nuovo Ed. La sua bocca sapeva di sale, così come probabilmente la mia. Le sue mani si posarono ai lati del mio viso, ma le mie non lasciarono andare il corpo della bambina che adesso si stava tranquillizzando.
«È stupenda...», dicemmo in coro e la dottoressa si avvicinò a noi, con le forbici in mano. «Vuole tagliare il cordone?»
Stranamente, oltre le mie aspettative, Edward si fece avanti e con mano tremolante spezzò quel legame che aveva tenuto collegate me e la piccola per nove mesi.
«Ti amo, ti amo, ti amo.», sussurrò una volta tornato accanto a me. «Mi hai reso l'uomo più felice di tutta la Terra, oggi.»
Sorrisi. «Devi dire grazie a lei, non a me.»
«No, dico grazie a te perché sei tu che l'hai messa al mondo. Sei tu la sua mamma, l'altra parte inestimabile di lei.»
Ripresi a piangere e contai le dita della sua mano. «Cinque dita per manina...»
«Due occhi grandissimi sul viso...»
«Tutto al posto giusto... È perfetta, è esattamente...»
«È lei, è nostra figlia.», concluse Edward per me. «Però non possiamo chiamarla Perfect.»
Ridemmo insieme, come due bambini spensierati. «No, in effetti direi di no.»
«Volete una foto assieme, così magari poi pensate ben bene al nome?», propose un'infermiera e non ce lo facemmo ripetere due volte.
«Può farci una foto mentre la bacio?», chiese Ed dopo il primo flash. Alzai un sopracciglio. «Cosa?»
«Ti prego.», sussurrò, posando le labbra sulle mie nell'istante in cui la fotocamera scattò per la seconda volta.
«Siete perfetti! E direi che questa bambina ha scelto proprio il giorno giusto per nascere. Il primo gennaio a mezzanotte e tre minuti!»
Ancora una volta mi meravigliai e rimasi senza parole. Una sorpresa dopo l'altra...
«So esattamente che nome darle.», mormorò Edward, carezzando il braccio, così piccolo, di nostra figlia.
«Cioè?»
Il suo sguardo fu così intenso da farmi capire in un istante solo cosa intendesse, lasciandomi poi sola per andare a sbrigare le pratiche burocratiche.
Mi chinai verso l'orecchio della bambina, carezzandole la testa piena di capelli scuri.
«Benvenuta, amore mio. Sei la nostra vita, la nostra meravigliosa gioia.»


Angolino tutto mio :3        
Allora, ora spiego. Questo doveva essere l'epilogo, ma sin dall'inizio sapevo che sarebbe venuto lunghissimo.
Perciò ho allungato Be Still di un captiolo, l'epilogo sarà il 5 :)
Che dire? Mi sono emozionata tantissimo nello scrivere questo capitolo perché è quasi interamente la chiave di tutto. Spero di aver risvegliato in voi lo stesso effetto :)
Stasera sono di poche parole... Anche perché sto continuando a piangere ueueeueu ç___ç Una bella bimba, awwwww!
Il nome non ve lo dico MUAHAHH no, vabbé, lo saprete nell'epilogo :) Perciò do l'inizio al TOTO NOME!
Sparate un nome che secondo voi sarà quello della bambina u.u
Piccolo indizio: è racchiuso nell'ultima parte del capitolo u.u
Ringrazio Simona che mi ha aiuata con il titolo, di sua invenzione... Sappi che però non ti perdono -.- Ancora u.u
Come al solito (bla bla bla) dedico il capitolo alle persone a me più importanti <3
Spero di ricevere tante belle recensioncine :3
Un bacione,
Giulia <3

   
 
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