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Autore: La_Matricola    26/01/2013    3 recensioni
"Aveva visto la disperazione, per una volta, negli occhi di un uomo. Lo aveva sentito gridare per il suo collega disteso a terra. Aveva provato qualcosa. Forse compassione, forse attrazione. Ma non lo avrebbe ucciso."
Chione, giovanissima sicaria nera, al servizio di sua maestà la malvagia Morvyth, è stata incaricata dell'omicidio di alcuni soldati nemici. Ma qualcosa, o qualcuno, le farà ricredere di amare il proprio lavoro.
SCRITTA A QUATTRO MANI CONTEMPORANEAMENTE A "I RINNEGATI DI MALOIE" di @WORLOCK
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chione chinó il capo al cospetto della sovrana, una donna di bell'aspetto nel complesso, ma dai tratti profondamente malvagi. Morvyth la guardava dall'alto, la sua fidata sicaria nera. Sapeva di poter fare affidamento su di lei. Aveva ricevuto notizie di alcuni soldati in avanscoperta sui crinali dei monti ad est del suo regno, ed era una pessima notizia. Nessuno, poteva varcare le soglie del suo regno 'senza invito'. E doveva eliminare il problema alla radice. Per questo aveva deciso di affidarsi alla giovane Chione, una ragazza di appena 20 anni, ma dal coraggio di un puma delle foreste. Si alzó dal trono e scese la corta scalinata che lo congiungeva al pavimento di marmo pregiato, andando a mettersi proprio di fronte alla sicaria. 
 
-Chione. Ho un compito per te.- le disse, gelida, come suo solito. La giovane si inginocchiò sulla gamba destra, e posó una mano sul petto. 
 
-come ordina, mia signora.- replicò, con voce profonda e risoluta, la ragazza. 
 
-dei soldati stanno tentando di passare il confine. Devi. Eliminarli.- strinse i pugni, fino a far sbiancare le nocche, ed aggrottó la fronte. -Tutti!- esclamó, con una nota di estrema e profonda malvagità nel suo tono di voce. Era imponente nella sua esile figura, la sovrana, che la sovrastava nel suo metro e ottanta di altezza. Chione la temeva. Ma la odiava pure. Era al suo servizio esclusivamente per il salario. Decise di chinare nuovamente il capo, e di obbedire agli ordini anche questa volta. 
 
-si mia signora. Come ordina. Eseguo.- la ragazza si sollevò da terra, e tenendo lo sguardo fisso al pavimento, indietreggiò fino alle colonne. Sollevò il cappuccio del manto, ed uscì a passi svelto. Odiava quella donna. La odiava nel profondo. Ma era pur sempre lei che le garantiva di vivere, almeno fin quando non avesse combinato una cazzata imperdonabile. E avrebbe dunque dovuto dire addio alla sua testa. 
 
Si diresse verso la stanza delle armi, e raccolse arco e faretra, riempiendola di frecce ben affilate. Afferrò due P38 e le assicurò ben strette alla fondina legata sulle cosce. Odiava le pistole, come odiava la regina. In breve odiava metà, quasi tre quarti del mondo in cui viveva. L'unica cosa che amava del suo lavoro erano le scariche adrenaliniche che le dava il pericolo di essere scoperta, l'odore del sangue nelle narici, il terrore che leggeva negli occhi delle sue vittime quando capivano che la loro vita stava scivolando via come la sabbia tra le dita aperte di una mano. Il suo lavoro, in parte, lo amava. Non sopportava l'uccidere intere famiglie, bambini compresi. Quello no. Ma erano i voleri della regina, e a quella donna doveva obbedire, ne andava della sua giovane vita. 
 
La tuta in pelle le garantiva di correre silenziosa nel bosco, mimetizzandosi nell'ombra, tra le foglie. Avrebbe dovuto prestare attenzione nei punti di brughiera, in cui poteva benissimo essere individuata dal nemico. Dall'obbiettivo. L'arco ballonzolava sulla schiena, sbattendo dolorosamente tra le scapole ad ogni passo. Si infiltrò tra gli alberi e gli arbusti, tentando di non farsi sentire da anima viva. Li vide, i due uomini, risalire il crinale. Erano completamente allo scoperto. Sorrise, ironica, mentre incoccava una freccia. Non fece tempo a tendere l'arco che un lungo suono di corno risuonò per la valle, cupo come la notte. I due uomini si urlarono qualcosa, ma erano troppo lontani perchè Chione potesse udire le loro parole, e corsero a rifugiarsi nel bosco poco distante. 
 
Chione digrignò i denti. Non potevano morire per mano degli esploratori, doveva ucciderli lei! Ringhiò furente, e si diresse verso i due soldati, i capelli castani che svolazzavano sulle spalle, racchiusi in una piccola treccia, e il mantello che seguiva frusciante i suoi movimenti. Giunta nel bosco ombroso, Chione saltò agilmente sul grosso ramo basso di un alto pino, accovacciandosi come un gatto. Sospirò, e tornò ad incoccare la freccia. Seguì i movimenti degli uomini, finchè furono sotto tiro. Era pronta a scoccare il colpo, quando d'improvviso un grosso puma balzò fuori dal nulla, e si appollaiò su un grosso masso, emettendo un poderoso ruggito feroce. Balzò in avanti, scrutando e studiando i due uomini, terrorizzati dall'animale. Chione osservava dall'alto la scena, la bestia che tentava di sbranare il più minuto dei due soldati, per poi affrontare anche il più possente. Eh no. Chione storse i naso. Uno andava, ma tutti e due no, cara bestiaccia. Sferrò un pugno alla corteccia dell'albero. Nel muoversi spezzò qualche tenero ramoscello che spuntava dal grosso tronco. Uno dei due uomini parve accorgersene. Chione trasalì. Non poteva farsi scoprire. Tese la corda dell'arco e scoccò due frecce, una dietro l'altra. Sperava bastassero quelle, non voleva ridursi alle P38. Il più minuto ricevette i dardi in pieno petto, cadendo secco al suolo. L'altro, ancora sanguinante per le profonde ferite inferte dal puma, si allontanò lentamente. Chione lo seguì, silenziosa, saltando da un ramo all'altro come un gatto. Arrivato al limitare della foresta, in un ammasso di arbusti. L'uomo imitò il verso di un uccello, e rispose una civetta. Di nuovo ripetè il richiamo, e si abbandonò a terra, sfinito. 
 
Tra le foglie comparvero altri due uomini: uno enorme, poteva essere alto due metri, magro, agile. Uno lo seguiva, con sguardo disperato. Chione sbarrò gli occhi. Sentì il sangue affluire copioso sulle guance. Erano gli occhi più belli e profondi che avesse mai visto in quasi vent'anni di vita. Uno sguardo preoccupato, circondato da una chioma biondo ramata. Ma quello che aveva colpito la sicaria era la fulva cornice del suo viso. Brillava come una fiamma viva, e aveva catturato lo sguardo della donna. Rispetto all'altro uomo, pareva un nanetto, ma aveva la sua bella statura. Ed era anche particolarmente muscoloso, notò con piacevole sorpresa la ragazza. Scosse la testa, risvegliandosi dal torpore in cui era piombata. Cosa stava pensando, doveva ucciderli. Entrambi. Incoccò un'altra freccia, e la diresse verso il petto dell'uomo dalla fulva chioma. Ma le mani iniziarono a tremare. Il respiro le acceleró, le labbra vibravano. Non sarebbe mai riuscita ad ucciderlo. Aveva visto la disperazione, per una volta, negli occhi di un uomo. Lo aveva sentito gridare per il suo collega svenuto a terra. Aveva provato qualcosa. Forse compassione, forse attrazione. Ma non lo avrebbe ucciso. Allentò la presa sulla freccia, e la rimise nella faretra. Si sedette sul ramo su cui si era appollaiata, rilassandosi. Sbuffò, sciogliendo la treccia, e sollevando il cappuccio sulla testa. Li guardò andare via, caricati del corpo inerme dell'amico. Scivolò agilmente giù dal ramo e si incamminò verso il villaggio.
 
-quell'uomo sarà la causa di moltissimi problemi.- mormorò tra se e se, imbracciando l'arco, e accelerando il passo. 
 
Giunse al villaggio che era ormai notte inoltrata. Aveva rallentato volutamente l'adatura per evitare che gli uomini la scoprissero, mentre li pedinava, ma non poteva perderli di vista. Cercò un rifugio per la notte, e lo trovò nella stalla poco distante dalla casa in cui si erano rifugiati i soldati. Sentiva l'uomo che il puma aveva ferito, gemere dal dolore mentre i colleghi lo assistevano. Si rintanò in un angolo della stalla e attese che calasse il silenzio. 
 
D'improvviso, un gatto decise di rovinarle i piani. Si mise a miagolare istericamente, levando dei versi quasi inumani alla luna. Strideva come un violino scordato.
 
-Fa silenzio, gatto!- Chione si avvicinò all'animale tentando di accarezzarlo per farlo calmare, ma quello soffiò e drizzò il pelo dalla testa alla coda, allungando le piccole zampe e sfoderando gli artigli. Chione si ritirò indietro, e decise di allontanarsi da quella stalla, per evitare che la bestiolina, con tutto il suo soffiare e miagolare, attirasse le attenzioni di qualcuno. 
 
Uscì di soppiatto dalla stalla, il cappuccio calcato sugli occhi, e l'arco in spalla. Due braccia forti la strinsero di colpo, prendendola dalle spalle, e una mano le tappò la bocca. Venne trascinata e sbattuta di peso contro il muro della casa. Il violento colpo le fece mancare per qualche secondo l'aria. 
 
-Chi sei!?- una voce profonda, evidentemente maschile, le porse la domanda più fastidiosa di sempre per una sicaria. Chione non rispose, e l'uomo la scosse. 
 
-rispondimi donna!- le intimò, rabbioso. Le tolse il cappuccio e le sollevò il mento con vigore. Chione chiuse istintivamente gli occhi e voltò il capo, sfuggendo alla presa dell'uomo. 
 
-almeno guardami quando ti parlo, insolente!- sibilò lui. Chione obbedì e si voltò a guardarlo. Nuovamente, le mancò il fiato, ma non per un nuovo spintone. L'uomo che l'aveva scoperta nel cuore della notte era quello stesso uomo che aveva risparmiato qualche ora prima, al limitare del bosco. Rimase a guardarlo con gli occhi sbarrati per qualche secondo, per poi abbassarli a terra. L'uomo mollò la presa dalle sue spalle.
 
-sei fortunata che ci sono soltanto io a curare il mio amico, questa notte. Muoviti, ed entra- la spinse bruscamente avanti, e la fece entrare in casa. Si pose davanti a lei, e allungò una mano.
 
-le armi, ragazza.- Chione era riluttante all'idea di consegnargli il suo arco, e le sue pistole. Ma lo sguardo furente dell'uomo la fece arrendere. Si sentiva nuda senza le sue frecce. L'uomo le gettò in un angolo lontano dalla portata della sicaria, e tornò a fissarla. Chione sentì il suo sguardo entrare dentro la sua mente e rivoltarla come un calzino, ma forse era soltanto un'impressione. Lo sconforto prese il sopravvento. Era stata scoperta. L'uomo finalmente lasciò la presa mentale, e si sedette sulla poltrona, poco distante da dove giaceva il suo amico ferito, che rantolava in preda agli incubi peggiori.
 
-ci sei tu dietro questo?- le chiese, facendo cenno con la testa al collega. Chione scosse la testa, e lui aggrottò le sopracciglia.
 
-allora tu sei la causa della morte di Lion. Sei tu quella che non l'ha fatto tornare.- L'uomo scattò in piedi, di colpo, e si avvicinò a grandi passi verso di lei. Chione indietreggiò fino ad incontrare il muro. Era in trappola ora, braccata come un coniglio indifeso. Lui le si avventò contro, bloccandole con l'avambraccio le spalle al muro, e avvicinandole la lama di un pugnale alla gola. Chione per la prima volta, ebbe paura della morte. Una lacrima corse giù per la sua guancia, fino a bagnare la pelle dell'uomo. Non voleva morire. Non ebbe il coraggio di guardarlo, e voltò la testa. Sentì la presa dell'uomo esitare, per poi lasciarla andare nuovamente. 
 
-vai a sederti da qualche parte... sei fortunata, te l'ho già detto.- l'uomo rimise il pugnale nel fodero, e si allontanò di qualche passo. Chione rinculò in un angolo, accanto al fuoco, e rimase a guardarlo da li. Era un tipo istintivo, aggressivo. Coraggioso. Le piaceva. Le faceva ribollire il sangue, anche se per qualche secondo aveva temuto che potesse ucciderla. Sentiva nuovamente il suo sguardo su di lei, indagatore, curioso.
 
-almeno vuoi dirmi il tuo nome?- le chiese. Chione esitò qualche istante, ma decise di rispondergli comunque.
 
-Io sono Chione.- replicò secca. 
 
-cosa sei? una sicaria forse? una nera?- Chione annuì. L'uomo deglutì nervoso. -perchè sei sulle nostre tracce?- le chiese nuovamente.
 
-per ordine della regina.- di nuovo rispose Chione. 
 
-Morvyth?- e nuovamente annuì. L'uomo rimase qualche secondo a guardarla, poi le si fece di fronte.
 
-sei giovane, Chione...perchè alla tua età fai la sicaria?- le chiese, questa volta con un tono di voce più gentile, quasi amorevole. Chione ne fu stupita, e imbarazzata al contempo. Non riusciva a resistere al suo sguardo, il che le faceva arrossire le gote violentemente.
 
-guarda che non sono una bambina. Sono adulta. E i motivi per cui ho deciso di fare la sicaria non sono affari tuoi, soldato.- gli rispose, sibilando. Aveva deciso di mantenersi sulla linea della freddezza. Non poteva cedere al fascino dell'uomo che le stava di fronte.
 
-Red.- Chione aggrottò la fronte e inclinò il capo, facendo cadere qualche ciocca di capelli davanti agli occhi.
 
-è il mio nome.- precisò l'uomo, sorridendole. Chione arrossì per l'ennesima volta e ricambiò quel gesto di gentilezza.
 
-passi dal puntarmi un pugnale alla gola al sorridermi.- l'uomo non disse niente, si limitò a ridacchiare sommessamente. Il cuore di Chione sussultò a quella risata quasi nascosta, e sorrise nuovamente, abbassando lo sguardo. Red la guardò per qualche istante, senza dire nulla.
 
-ti conviene scappare prima dell'alba. I miei compagni torneranno, e se ti trovassero qui, potrebbero non essere così clementi come lo son stato io. - Chione rimase qualche secondo a riflettere, per poi dirigersi verso le sue armi. Imbracciò l'arco, richiuse le P38 nelle fondine, e si tirò nuovamente sul capo il cappuccio, per poi prendere la direzione d'uscita.
 
-meglio che vada ora. Vi precederò nel cammino. Grazie Red.- spalancò la porta ed uscì nel buio della notte. Red la guardò andare via.
 
-ci rivedremo mai, Nera?- Chione rise.
 
-sono sempre alle vostre spalle, soldato!- rispose, per poi correre via nell'oscurità, come un'ombra.
 
 
 
Correva rapida, avvolta dal nero della notte. Si vedevano solo i capelli riflettere la luce della luna, e lo sguardo sfuggente, che passava rapido ad analizzare ogni singolo angolo di foresta. Non si era mai troppo sicuri, camminando sui confini del regno di Morvyth. La Nera si addentrò tra gli alberi, alla ricerca di una preda. Aveva fame. Un fruscio, debole, ma che Chione percepì perfettamente. Munì una pistola di silenziatore, e si mise con la schiena su un grosso tronco. È attese. Di nuovo quel fruscio, qualche foglia cadde da un piccolo arbusto a tre metri di distanza da lei. Deglutì nervosamente e trattenne il fiato.
Un coniglio.
Uno stupidissimo coniglio. Chione si rilassó, e guardò il consiglierò saltellare titubante verso un cespuglio di bacche. 
Un solo colpo, dritto tra gli occhi, e smise di saltellare. Chione ripose l'arma nella fondina sulla coscia, e si avvicinò al coniglio appena passato a miglior vita. Appoggiò le dita sulla pelliccia ancora calda, e sorrise ironica.
 
-scusa, avevo una certa fame!- mormorò, ridacchiando, come se il coniglio potesse sentirla. Un ora più tardi, dell'animale rimanevano soltanto le ossa e la morbida pelliccia, ancora grondante di sangue. Chione si pulì rapida con una manica il bordo delle labbra, e attizzò il fuoco. Portò le ginocchia al petto e si voltò a guardare nella direzione da cui era venuta, verso il villaggio dove aveva ritrovato la sua vittima e il suo tormento. Aveva capito subito che quell'uomo sarebbe stato la causa delle sue magagne, fin dal primo sguardo che aveva osato posare sulla sua figura. La Nera era rimasta sempre isolata, anaffettiva, persino terrorizzata dall'idea di poter provare affetto per qualcuno. Forse non dal primo anno di vita. Ma almeno dai 12 anni. Un anno terribile per Chione. Il solo pensiero la fece tremare, e una lacrima solcò rapida una guancia, per sparire assorbita dal tessuto del corpetto. Inspirò forte con il naso e chiuse gli occhi, aggrottando le sopracciglia. Non poteva affezionarsi a nessuno, con il lavoro che faceva. Le sarebbe capitato di uccidere anche gli amici più cari, non doveva permettere alla passione, all'affetto e all'amore, di insinuarsi nel suo cuore e mettere le radici. Altrimenti si sarebbe tolta la vita lei, piuttosto di veder morire per mano sua, le persone che più amava. Si avvolse nel mantello, e sospirò un'ultima volta, prima di addormentarsi accanto al fuoco, che si stava ormai spegnendo. 
 
 
/// due bambine ridevano, correndo in un prato pieno di margherite. L'erba solleticava i piedini delle due fanciulle, che si dirigevano verso casa dopo una giornata di giochi con gli amici. Del fumo si levava alto da dietro la collina, nero e denso. Il viso della ragazzina più grande si rabbuiò di colpo. La piccolina la guardava con gli occhi marroni spalancati, e i ricci che svolazzavano mossi dalla leggera brezza di quel pomeriggio d'estate. Tirò la veste della sorella maggiore.
 
-Chi...Chione!- Ikke balbettava leggermente, sin da quando aveva iniziato a parlare. -che c'è? V-vedi mamma?- Chione, la sorella maggiore, aveva appena 4 anni di differenza dalla piccola Ikke. Ne aveva compiuti dodici qualche settimana prima. Si ricordava i sorrisi delle zie, e della madre, mentre le auguravano una vita felice. I 12 anni segnavano la tappa fondamentale per le ragazze del regno di sua maestà Morvyth. Potevano essere assunte a palazzo come pupille, educate come discepole della sovrana, e in alcuni fortuiti casi, diventare le sue assistenti, le sue insegnanti per le future pupille. Sapeva di alcune ragazze che erano entrate nella Gilda delle Nere, e non avevano fatto più ritorno a Yroth. Vagavano erranti per il regno. E se tornavano non era un buon segno. 
E il fumo denso e nero che giungeva dalla fattoria dei suoi genitori, era sintomo del ritorno di una Nera. Chione rimase a guardare fissa oltre la collina, i ricci lunghi che si muovevano sinuosi sulla schiena, il vestito che ondeggiava. Avanzò di qualche passo, per avere una visuale più chiara, e spalancò gli occhi. Ikke le si fece accanto, e Chione le coprì la vista con una mano. Davanti ai suoi piedi, lo sfacelo, la morte. La fattoria era in fumo, e il silenzio regnava sovrano. Le spighe erano striate di rosso. Uno dei due genitori aveva tentato la fuga. Ma le pallottole o le frecce delle Nere vanno sempre a segno. Un grido alle loro spalle, una voce femminile impartiva un ordine perentorio. PRENDETELE. Fu una scena al rallenty. Chione afferrò la sorella e la prese in braccio, mettendosi a correre furiosamente giù per il pendio. Era troppo lenta. Decise di sacrificarsi per la piccola, lei l'avrebbero presa come pupilla da allevare a corte, ma almeno lei sarebbe sopravvissuta. Se fosse stata zitta. il balbettio era un difetto per la regina. La nascose così tra due grossi cespi di rose selvatiche, accanto ad un masso erratico. Le bendò le labbra, con gli occhi in lacrime. 
 
-non dire una parola. Se ti trovano, stai tranquilla, ma non parlare. se parlerai, non balbettare, promesso?- le manine di Ikke stringevano convulsamente le sue. Ma Chione dovette lasciarla, e riprese a correre, con la vista offuscata dal pianto. Una Nera la colse di sorpresa, imboscata tra l'erba alta. La afferrò con decisione, e la portò dalle altre. 
 
-è scaltra, rapida, e agile. Lasciamola vivere e addestriamola noi.- furono le parole della giovane Nera che la stava stringendo a se, con forza. La più alta in grado, fece un cenno alla sua seconda, e la trascinarono sul grosso cavallo arabo che avevano con loro. Il cavallo corse via, verso il palazzo. Chione si voltò un ultima volta e fu li che la vide. Avevano scovato Ikke. Ikke aveva parlato. E Ikke balbettava. Non era degna di essere allevata dalla regina, ed era figlia di un soldato rinnegato. Doveva essere eliminata. Chione la vide cadere inerme tra il grano, un fiotto di sangue rosso che schizzava in aria. Gridò il suo nome un'ultima volta prima che sparisse alla sua vista.\\\
 
-IKKE!!- la Nera sussultò, svegliandosi dal sonno in cui era piombata ore prima. Era ormai l'alba, i soldati potevano benissimo essere rientrati, e si maledisse per aver gridato così forte il nome della sorella. Quella scena la perseguitava da 8 lunghissimi anni, e ogni mattino si risvegliava gridando il nome della sorellina. Scosse la testa. Era una Nera ora, era una di quelle che le avevano tolto tutto, eppure doveva accettare questa sua situazione. L'avevano scelta i capi della Gilda, in accordo con le Nere che l'avevano trovata quel pomeriggio. Era la sua vita e non poteva sfuggirvi. Raccattò le sue cose, sparpagliò il legno e i tizzoni ancora semi ardenti, per non lasciare tracce evidenti del suo passaggio. Li cacciò con un calcio nel rivolo d'acqua che scorreva vicino, e lanciò lontano la pelle del coniglio. Ora il suo unico problema era quello di vedere e capire che direzione avrebbero preso i soldati. Conosceva una piccola postazione d'avvistamento poco lontano, costruita su uno degli alberi più alti della foresta. Era una vecchia postazione abbandonata, che era servita in passato per gli uccellatori. Si arrampicó svelta fino alla piattaforma marcescente di legno, e attese. Da li vedeva perfettamente il villaggio, e la casa dove sostava Red con il suo gruppo era proprio in linea d'aria con lo sguardo indagatore della Nera. 
Attese. 
 
Un rumore di zoccoli fece scattare i suoi sensi. Chione si risvegliò dal torpore in cui era piombata, dovuto al vento freddo da tempesta che soffiava violento sopra la foresta. 
Un grosso carro trainato da cavalli avanzava nel cuore della notte, con a bordo grossi sacchi e qualche persona. Chione ne contò tre, e alcuni seguivano a piedi. Stavano ripartendo. Ma perché di notte? Perché con la tempesta incalzante su di loro? Un fulmine aveva già scaricato la sua potenza poco distante, e la ragazza era rabbrividita per lo schiocco deciso della corrente scaricata a terra. Si accucciò ai bordi della piattaforma, sbirciando dalla finestrella. 
 
 
Uno degli uomini era Red. Si guardava in giro con circospezione, scrutando, tentando di scorgere ombre nel buio. Impossibile, se non per lei, abituata ad agire coperta dalle tenebre. Non sapeva della sua presenza poco distante da lui. Decise di seguirli. Non poteva perdere le loro tracce. 
Scese dalla piattaforma di avvistamento, e silenziosa, si mise a camminare nascosta dai grossi tronchi d’albero, parallelamente al loro percorso. 
La sua mente si mise a divagare, mentre guardava, aguzzando la vista, il soldato che le aveva rapito il cuore. Si rivide insieme a lui, qualche anno più tardi, stretta al suo braccio. Sorridente finalmente. Innamorata di qualcuno. 
Un crepitio.
 
 
Chione si voltò, e i suoi sogni sparirono nel nulla, in un rivolo di fumo. Non proveniva certo dal carro, e dagli uomini che camminavano in gruppo. Si appostò tra gli arbusti. Un’alta figura umana maschile si dirigeva verso di lei. Era stata nuovamente scoperta. Sguainò il pugnale e si tenne pronta a colpire.
Un braccio la bloccò a terra, rendendole la respirazione faticosa. Un uomo nerboruto, bruno, con una folta barba nera la stava tenendo schiacciata nel fango tra le foglie, respirandole in pieno volto.
 
-ti consiglio… una mentina…- rantolò Chione, spostando il viso dal respiro fetido dell’uomo che le stava davanti. Lo guardò rapidamente. Era uno dei guerrieri Loa. Ma perché era da solo? Quelli agivano in gruppi numerosi, cosa ci faceva in solitaria nella foresta? L’uomo grugnì, nervoso, e le sputò in fronte.
 
-come ti permetti ragazzina?- ringhiò adirato. La sollevò per il bavero del mantello nero, e la sbattè contro l’albero più vicino. 
 
-cosa saresti tu? E perché sei in giro da sola? Hm?- le chiese. Era forse una domanda di rito, chiederle la sua identità? Le dita di Chione si avvolsero sempre più strette intorno all’impugnatura della lama. 
 
-non è affar tuo, Loa.- gli rispose lei, sibilando. Con una mossa decisa di liberò dalla presa dell’uomo, e tentò di affondare il coltello nella morbida carne del collo. Ma lui fu più svelto. Le bloccò il polso con un pugno, e strinse forte. Chione trattenne un urlo di dolore, ma spalancò le labbra alla ricerca di aria. Le avrebbe spezzato il braccio se non avesse agito. Con la mano libera ruotò l’anello che portava al dito. Nascondeva, sotto la finta pietra, un minuscolo ago avvelenato. Era talmente potente che avrebbe steso un grosso cavallo da tiro in meno di un secondo. 
 
“rapida come una serpe. Precisa come l’aquila. Spietata come i puma.” 
 
Si ripetè mentalmente l’assassina, mentre con un gesto fulmineo, incise la pelle dell’uomo. Un taglio poco profondo, solo qualche stilla di sangue ebbe il coraggio di scorrere sulla pelle sudata. Ma bastò quel piccolo graffio per ucciderlo.
L’omone nerboruto si portò una mano al collo, ridendo. Probabilmente pensava di averla ancora vinta sulla gracile donna. 
D’improvviso spalancò gli occhi. La pelle si fece pallida, i muscoli cominciarono a tremare. Un secondo più tardi, era a terra con la bocca schiumante e gli arti rigidi. Chione si rilassò, finalmente. 
 
 
Non poteva lasciarlo li. Se i suoi compagni avessero rinvenuto il cadavere si sarebbero subito accorti dell'evidente avvelenamento e si sarebbero messi sulle tracce dell'assassina. Doveva farlo apparire un incidente, un'aggressione di animali, lupi magari.  Ululò dunque. Un lupo rispose, un altro fece capolino da dietro una grossa roccia, grigio e con gli occhi blu. La vide. La ragazza sorrise: quella era la sua lupa vagabonda. Semiramide, l'aveva chiamata. Chione si avvolse nel mantello nero, e scivolò rapida via, all’inseguimento delle sue vittime, mentre i lupi facevano banchetto con il cadavere del guerriero. Le rimase il dubbio della presenza di quel Loa solitario nella foresta. Era qualcosa di strano. Ma non era il suo pensiero quello ora, doveva ritrovare il gruppo di soldati. Erano lontani. Quel bruto le aveva fatto perdere le loro tracce. 
La tempesta si avvicinava sempre più veloce, e il vento soffiava forte. Chione si coprì il volto con un lembo del mantello. Le mancava il respiro per la violenza delle correnti d’aria. Stava seguendo le tracce del carro appesantito dalle pietre. Finalmente li vide. Veramente, lo vide. Le erano bastate poche ore per imparare a memoria le sue fattezze, e anche al buio, anche di spalle, lo sapeva riconoscere tra mille. Accanto a lui camminava una donna. Un tuffo al cuore. Rallentò l’andatura, e una lacrima percorse la sua guancia. Che idiota, che stupida. Si era illusa come una bambina. Una Nera con un soldato, ma quando mai. 
Ora, non avrebbe più esitato. Lui sarebbe stato la sua prossima vittima.
 
Dopo quella donna. 
 
Sorrise beffarda, e sfiorò con un dito una delle fondine strette sulle cosce. 
Morvyth sarebbe stata fiera della sua Nera.
   
 
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