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Autore: Gweiddi at Ecate    26/01/2013    3 recensioni
dedicata a Laica ed e r a t o
Nove anni dopo il sacrificio di Apollo, Sirius e Toma, c'è chi continua a vivere, e chi cerca disperatamente di farlo a sua volta.
"Non c'è niente."
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Apollo, Silvia de Alisia
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Restless






«Quando lo dirai agli altri?»
Rena glielo chiedeva sempre più spesso.
Presto, continuava a rispondere Silvia, ma “presto” non era mai oggi, non era mai il momento esatto. Si poteva sempre fare più avanti. Presto, certamente, ma non ancora.
Perché c’era il rimorso enorme di star nascondendo a tutti che Apollo era tornato, che non era morto.
Lui continuava a non ricordare, e Silvia aveva il terrore di cosa questo potesse significare. Fudo non si era più fatto sentire da quell’unica, paurosa telefonata, e si era sempre premurato di non essere presente le rare volte in cui la ragazza era passata per casa di Apollo.
Ormai non sapeva più cosa raccontare ai ragazzi. Era chiaro che stesse uscendo con qualcuno, e leggeva negli occhi di Chibiko un’accusa silenziosa ogni volta che andava fuori. Quanto avrebbe voluto sentirsi sicura che non ci fossero pericoli dietro l’amnesia di Apollo, e spiegare alla bambina che non stava tradendo la sua memoria.
Si morse il labbro e irrigidì le spalle.
Seduta sul letto, Silvia alzò lo sguardo su Rena, seduta accanto a lei, e scoppiò a piangere sommessamente. Tutta la tensione e l’ansia le scivolarono in sottili rivoli dagli occhi, facendola sentire più leggera.
«Non lo so.» sospirò incerta.
L’amica le posò una mano fredda sulla schiena, rassicurante.
«Cerca di parlare con il comandante, Silvia. Lui ha sicuramente delle indicazioni.» le consigliò. Soffriva, non avendo nessun suggerimento migliore da darle. L’ignoranza per lei che aveva sempre saputo più di tutti, era immensamente frustrante.
«Quel bastardo non vuole farsi trovare! Mi evita come fossi la morte!» proruppe la principessa, irata. «Non posso chiedere ad Apollo di incontrarlo, capirebbe che c’è qualcosa che non va, e…»
«Calmati, Silvia. Calmati.» Rena l’abbracciò.
«Non so cosa fare.» sussurrò la ragazza. L’altra le accarezzò i capelli dolcemente.
«Hai bisogno di parlarne con qualcuno.»
«Ne parlo già con te.» ribatté Silvia esasperata.
«Finché lo so solo io, principessa, è un segreto. Qualcosa di pesante e pericoloso, da nascondere.»
«Rena, ho capito che vuoi che lo dica ai bambini, ma-»
«No.» la riprese la vecchia ragazzina. «No, capisco i tuoi timori. Sono anche i miei, e vorrei poterti aiutare. Vorrei avere le risposte alle tue domande, ma questa volta non sono sicura neanche io. Ma ci sono persone che hanno il diritto e il dovere di sapere. Non portare il peso di tutto questo da sola.»
«Chi, Rena? Con chi dovrei parlarne?»
«Reika. E Pierre, e dunque anche Chloe. Confidati con loro, sono i tuoi amici.»
«I nostri amici.» la corresse Silvia.
Rena sorrise triste.
«Sì, probabilmente sì. Oggi arriveranno, approfittane.»
Silvia tirò su con il naso e strinse la mano a Rena.
«Va bene. Proverò a parlarci.»
«Oggi lo vedi?»
La principessa annuì, e Rena sorrise dolcemente. «Salutamelo.»



***


«Apollo, se non si trattasse di te, proverei pena.»
«Cosa?»
Il ragazzo guardò male Anya. Erano seduti sulla muretta davanti al condominio dove viveva la fotografa. Lei stava a cavalcioni della cinta, e si vedevano dei buchi vicino alle cuciture dei jeans laceri.
«Ho detto-»
«Ho sentito benissimo. Ma non ho capito il senso.»
«E dire che sei un animale. Credevo che certe cose ti balzassero subito in mente.» commentò allegra.
«Scimmia, chiarisci.»
«Da quant’è che stai con Silvia?» chiese, prendendolo alla sprovvista.
«Non so. Un po’.» rispose, noncurante.
Due mesi e cinque giorni.
Cazzo.
«Ah-ha. Certo, faccio finta di crederti. Tanto sai anche i secondi da cui siete fidanzati.» Anya alzò le sopracciglia, scettica.
«Non siamo “fidanzati”! Noi…» cercò di controbattere. “Fidanzati” era un termine forte. Era come se fosse una cosa ufficiale. La portata dei sentimenti che provava per Silvia lo spaventava già abbastanza, senza che si aggiungessero parole altisonanti.
«Bla, bla, bla. Allora vuoi sapere quello che intendevo o no?» lo interruppe Anya.
«No.»
«Allora, consideravo che per i tuoi standard – che io approvo, per carità, sono anche i miei – ci stai insieme da molto tempo, senza averci ancora fatto sesso. E se tu non fossi così tanto un cagnaccio fastidioso, giuro che mi dispiacerebbe.» spiegò placidamente.
Apollo sentì il volto andargli a fuoco.
«Chi ti dice che non facciamo sesso?»
L’amica lo guardò con aria di compatimento.
«Cucciolo, la tensione sessuale irrisolta tra voi due è così evidente che nemmeno un cartello potrebbe palesarla di più.»
A quel punto il ragazzo aveva le guance roventi.
«Quando esploderà come minimo consumerete un intero pacco di preservativi.» proseguì lei.
«Anya, piantala!» Apollo cercò di zittirla, stringendo i pugni per resistere alla voglia di spintonarla giù dalla muretta.
«Non dirmi che non hai intenzione di usarli, altrimenti ti disconosco come amico! Sai come la penso sulle precauzioni!» replicò la ragazza, scandalizzata.
«Io sto per disconoscerti adesso.» calcò con particolare enfasi l’ultima parola della frase, ma Anya sorrise sorniona.
«Ti piace veramente da impazzire se sei disposto ad accettare i suoi tempi.»
Sì, sì, tantissimo, fin troppo.
Con Silvia attorno tutto acquisiva un significato diverso, più bello. Non si era mai sentito così con nessuno, ma la cosa strana era che, invece, aveva la sensazione di aver già provato quelle cose nella vita. Due volte, e l’ultima era stata recente, lo sapeva. Lo sentiva.
Non pensava sarebbe potuto riaccadere, ma non ricordare il suo passato stava tornando ad essere frustrante.
Da quando conosceva Silvia, sempre più spesso gli balzavano in mente lampi di immagini, voci, odori. Stava cominciando a riconoscere alcuni volti ricorrenti, ma non riusciva mai ad abbinarli ad un nome. C’era un ragazzo con gli occhi verdi e le lentiggini, portava sempre una fascia consunta tra i capelli. Era il viso che Apollo ricordava più spesso, e gli lasciava sempre addosso una sensazione dolceamara. Spesso si legava all’immagine di un uomo alto, con strani capelli bianchi, come fossero piume.
Anya notò l’espressione sofferente dell’amico, e si preoccupò.
«Ehi, cucciolo, tutto bene?»
Quando Apollo alzò lo sguardo su di lei, i suoi occhi brillarono rossi, ed Anya sobbalzò.
«Che hai?»
Il ragazzo si riscosse, e si grattò la nuca.
«Niente. Solo un po’ di mal di testa.» disse, sbattendo le palpebre un paio di volte, come assonnato. Si stiracchiò, e fece schioccare le nocche.
«Apollo! Sai che odio quando lo fai.» lo sgridò Anya.
«Sì, che lo so.» replicò con un gran sorriso, e si alzò dal muretto.
«Adesso dove vai?» domandò lei.
Apollo diede un’occhiata all’orologio, e si stiracchiò un’altra volta, allungando le braccia verso l’alto.
«Mi vedo con Silvia prima di partire.»
«Vai a prenderla a casa?»
«Uhm? No, ci becchiamo in centro.»
Anya si picchiettò l’indice contro le labbra. «Apollo, ma sei mai stato a casa sua?»
Lui sollevò le sopracciglia «No, perché?»
«Nulla.» mormorò. «È un po’ strano. Lei è stata da te qualche volta, no?» proseguì, pensierosa.
«Solo per caso. Non ha neanche mai visto il vecchio.» spiegò, come se questo giustificasse tutto. «Penso sia per i bambini, comunque. Alla fine ci conosciamo da poco, e Silvia è iperprotettiva con loro. Se mi conoscessero, e poi tra noi due andasse male, non sarebbe bello.»
«Le cose con te non sono mai facili, vero?» lo prese in giro Anya.
Apollo rise. «Forse no.»
Sventolò la mano, e riagguantò il casco che aveva lasciato sopra al sedile della moto, davanti al muretto del condominio.
La ragazza portò le mani ai lati della bocca, come un megafono.
«Ehi, salutamela!»



***


Sophia versò il tè. Anche se faceva caldo, apprezzava sempre berne una tazza in compagnia.
Gen sorrise ferino, appoggiando un dito sui bordi della ceramica.
«Questa volta non l’hai rovesciato.»
Sophia arrossì, mordendosi le guance.
«No, questa volta no.»
Sedette davanti a lui, osservando il volto dell’uomo attraverso le sottili volute di vapore che uscivano dalle tazze.
«Allora, hai deciso?» domandò.
Gen annuì in silenzio, e bevve un primo sorso di tè bollente. Lo gustò a lungo, sentendone la fragranza sulla lingua. Era dolce e corroborante, lasciava solo un piccolo retrogusto amaro, che sapeva di verità.
Sophia lo guardava, in attesa.
«Glielo dirò. Parlerò con Silvia.» rivelò infine il comandante.
La donna sospirò con sollievo.
«Sarà arrabbiata. E ferita. Dovrai parlarle con tatto, Gen.» appuntò.
«Lo so. Per questo voglio che ci sia anche tu. Non…» l’uomo sogghignò, apparentemente divertito «Temo che il tatto non sia la mia dote più preponderante.»
Sophia sorrise, scuotendo la testa «Direi di no. Quando la incontreremo?»
«Oggi. Il ragazzo va via per due giorni. Appena sarà partito, voglio contattarla. Poi partiremo anche noi.»
La donna annuì. Strinse le labbra, preoccupata. Gen posò una mano ruvida e calda sopra quelle lisce e delicate di Sophia. La guardò negli occhi, e per un momento lei rabbrividì.
«La prossima volta, lascia che sia io a preparare il tè.» le sorrise.



***


Stavano girando per il centro.
Silvia non amava troppo lo shopping, generalmente perché si faceva prendere da mille complessi quando provava gli abiti, ma adorava guardare le vetrine. Apollo dal canto suo avrebbe preferito il contrario: aveva accompagnato la ragazza a fare compere pochissime volte – per quanto l’amasse, certe cose non facevano per lui – e si era sempre divertito a sbirciare all’interno del camerino in cui lei si cambiava, prendendola in giro per alcune mise, sgusciando dentro quando le commesse non erano in vista. Silvia gridava sempre come un’ossessa, e cercava di coprirsi con i primi vestiti che le capitavano sottomano, e poi lo spintonava fuori. Ma intanto lui riusciva a vederla coperta solo della biancheria in pizzo chiaro che le piaceva tanto. E poi farla arrabbiare era uno spasso.
I giri per le vetrine, invece, erano una noia mortale.
Aveva accettato di accompagnarla quel giorno solo perché per due giorni sarebbe stato via con un paio di amici, per festeggiare il compleanno di Natsu. Silvia non sarebbe potuta venire, troppo impegnata tra il lavoro e la sua famiglia – la famiglia che lui non aveva ancora incontrato. A volte odiava la pulce che Anya riusciva a infilargli nell’orecchio – quindi eccolo lì, a passare il pomeriggio a guardar vetrine per farla felice. Maledizione a lui.
La presa sulla mano della ragazza si allentò un po’, e Apollo fu costretto a fermarsi.
Silvia stava in contemplazione davanti ad un negozio di vestiti da sera. Tra gli abiti neri e grigio fumo, ne spiccava uno scarlatto, senza spalline. Era aderente persino per la figura scheletrica del manichino, fasciava ogni curva, ricadendo poi liscio fino alle caviglie.
La ragazza lo osservava, pensosa, ed Apollo la immaginò facilmente con l’abito addosso. Sorrise.
«Staresti bene in rosso.» le sussurrò all’orecchio.
Silvia ebbe un fremito, solleticata dalla voce roca, ma si imbronciò, critica.
«È un colore da prostitute.»
Una volta non lo sapeva. Non lo indossava mai solo perché era un colore troppo squillante per piacerle. Preferiva la dolcezza del rosa. Quando i ricordi delle vite passate erano tornati alla mente, aveva rimembrato come le prostitute si tingessero i capelli o indossassero vestiti rossi per farsi riconoscere, e da allora se anche le era mai passato per la mente di portare abiti di quel colore, il pensiero era stato cestinato velocemente. Le avrebbe fatto una brutta impressione.
«Una volta. Ora ti starebbe semplicemente bene.» ribatté Apollo, abbracciandole i fianchi e chinandosi per poggiare il mento sulla spalla della ragazza.
Silvia rabbrividì, e seppe di essere arrossita. Domandò silenziosamente al suo cuore di rallentare, prima che lo sentissero anche nella città a fianco.
Era ridicolo, considerato che ormai si sarebbe dovuta abituare alla presenza di Apollo accanto a sé, al costante contatto tra di loro – mani che si sfiorano, braccia attorno ai fianchi, labbra su labbra, la punta del naso tra i capelli… - ma certi abbracci, alcuni sussurri, le causavano ancora la tachicardia.
Vide il loro riflesso sulla vetrina del negozio, e se possibile il battito accelerò ancora. Così intimi, così loro. Quando aveva quattordici anni non avrebbe mai pensato potesse vedere una cosa simile. Non ci avrebbe neanche sperato, nemmeno dopo essersi accorta di essere perdutamente innamorata di lui.
«Mi sentirei sempre una prostituta.» commentò poco convinta, persino un po’ infastidita.
Sentì il respiro di Apollo all’orecchio mentre lui le sussurrava contro il collo, strofinando la punta del naso sulla sua pelle.
«Non vuoi vestirti di rosso per me?»
Le guance di Silvia si fecero roventi. Mordicchiò il labbro inferiore e deglutì.
Alcune notti sognava di fare l’amore con Apollo. Pensava spesso a come potessero farla sentire le sue mani che le accarezzavano il corpo. Gli dei la fulminassero, a volte era stata pure sul punto di chiedere a Reika come fosse, e buonanotte a tutti i suoi tentativi di tenere segreta la relazione con Apollo.
Non sapeva perché tra loro due non fosse ancora successo. Tante volte era capitato che fossero soli a casa di Apollo, e sarebbe bastato pochissimo, una mano che scivolasse sul bottone dei jeans invece che rimanere cautamente sulla schiena, perché Silvia si lasciasse andare completamente a lui.
Eppure si erano sempre fermati, per un motivo o per l’altro. Forse perché Apollo sapeva che lei non era pronta, che era troppo presto. Da qualche parte intuiva che c’era qualcosa di sbagliato, e quel qualcosa erano lei e il terrore che l’amnesia di Apollo alimentava.
Silvia chiuse gli occhi e cercò di ridere, ma le uscì un suono strozzato.
«Silvia?» la incalzò lui.
La ragazza si girò tra le braccia di Apollo e gli prese il volto tra le mani, baciandolo.
Sentì il giovane sorridere contro le sue labbra. Fece mezzo passo avanti, spingendo una gamba tra quelle di Silvia e la strinse.
Non era una vera risposta, ma per il momento andava bene così.



***


Pierre scese dall’auto e fischiò.
«Sembra solo a me o questo posto diventa più grande di volta in volta?»
«Tranquillo, Pierre, è un problema solo tuo.» rise Chloe, aprendo lo sportello posteriore e aiutando la piccola Lise a sganciare la cintura di sicurezza.
La bambina sembrava il ritratto del padre, con occhi castani e capelli scuri e folti, ma la pelle bianca e morbida e le labbra sottili erano quelle di Chloe.
La piccola allungò le mani per farsi prendere in braccio dalla madre.
«Zio Pierre, zia Chloe!»
Il saluto entusiasta di Chibiko fece sorridere la donna prima ancora di aver visto la ragazzina e i suoi amici venire loro incontro.
Un drappello di gente arrivò ad accoglierli, la stessa che da nove anni li abbracciava con calore e li aspettava per trascorrere insieme le vacanze.
Reika aveva tinto i capelli dalla loro precedente visita, e ora ciocche corvine sfuggite dalla treccia le incorniciavano il viso. Tra tutti loro, Reika le pareva la persona cambiata più di chiunque, non solo nell’aspetto, ora più curato ed elegante: sorrideva spesso, stringeva facilmente amicizia. Persino la sua postura era più rilassata.
Al contrario suo, Rena non era cambiata di una virgola. Parlava con lo stesso tono trasognato e sibillino di un tempo, viveva la routine quotidiana con il placido distacco che aveva dimostrato anche durante la Guerra.
Se il cambiamento di Reika la rincuorava – Chloe stessa era cambiata molto. Si era sposata, era persino diventata madre della bimba che teneva in braccio in quel momento – l’immutabilità di Rena la spaesava, specie quando paragonata alla crescita dei bambini: Maji era diventata una signorina, alta e formosa con tutta l’indole un po’ nevrotica degli adolescenti. Chibiko sembrava più piccola dei suoi tredici anni, mingherlina e con gli occhi enormi e spalancati sul mondo, mentre Hanata e Megane, la coppia indivisibile di scapestrati, avevano già i tratti del viso irruviditi dalla crescita.
Erano tutti più giovani di Rena, e Chloe ricordava quando Chibiko poteva sedersi in braccio della sua vecchia compagna, mentre ora sarebbe stato Megane a poter sollevare con facilità la ragazza inglese dalla sua sedia a rotelle.
Non vide Silvia.
Pierre abbracciò Chibiko, che gli era praticamente saltata addosso, e le scompigliò i capelli.
«Ehi bimba, dov’è la principessa? Si è rintanata nella torre?»
Fu proprio Rena a rispondergli, ma invece che guardare lui, osservò Chloe, sorridendo velata come stesse rivelando un segreto.
«Ha detto che si scusava. Stasera alcuni suoi amici partono e voleva accompagnarli all’aeroporto.»
Pierre rise «Ma tu guarda, noi facciamo tutti questi chilometri e lei ci snobba per degli sbarbatelli!»
Chloe non distolse gli occhi da Rena, guardandola con sospetto mentre la vampira le sorrideva sottilmente e abbassava poi il capo.
Sono amici molto speciali. Attendete che i bambini siano a letto, poi ve ne parlerà.
Chloe drizzò la schiena, e da come Pierre e Reika guardarono Rena, capì che anche loro dovevano aver sentito la voce della vampira nella testa.
Lise si dimenava tra le braccia di Chloe, che le fece poggiare i piedi per terra. La bimba corse da Maji ridendo, e la donna ne approfittò per affiancarsi al marito e a Reika.
Sorridendo forzatamente guardò i ragazzini e sua figlia entrare nel castello, scortati da Rena che canticchiava sommessamente. Aspettò che tutti fossero fuori portata d’orecchi per parlare.
«Cosa succede?»
Reika si pettinò una ciocca di capelli con le unghie corte e mangiucchiate, turbata.
«Non lo so. È da un po’ di tempo che Silvia esce con delle persone. Quest’inverno ha incontrato per caso dei vecchi compagni dell’università e adesso si vede spesso con loro, ma non ne ha mai parlato.»
«Quindi sai cosa intendeva Rena?» chiese Pierre.
Lei strinse le spalle «No. Insomma, Maji ed io pensiamo che abbia trovato un fidanzato, ma non penso sia il tipo di evento che possa interessare a Rena. Immagino che Silvia non ne parli solo per cautela.»
Chloe si accorse di aver spalancato occhi e bocca.
«Silvia sta con qualcuno? Non può essere! Lei e Apollo…»
Pierre posò una mano sulla spalla della moglie, interrompendola.
«Chloe, tesoro, sono passati quasi dieci anni ormai. È giusto che si rifaccia una vita.» disse in tono conciliante. Non sembrava stupito quanto lei, e la cosa la irritò.
Reika annuì, e cercò di spiegarsi.
«Ce lo stiamo augurando tutti. Negli ultimi tempi si è fatta molto più spensierata. Ricordate com’era quando eravamo alla Deava? Rideva, scherzava sempre.»
«Silvia è sempre stata così.» ribatté Chloe, e si infuriò vedendo Reika negare con il capo.
«Negli ultimi anni pareva si stesse spegnendo, Chloe. Più noi andavamo avanti, più Silvia sembrava tornare indietro. Da due anni a questa parte non faceva che pensare di continuo ad Apollo. So che si confidava con Rena, perché più di una volta le ho sentite parlare, ma da che ha ripreso ad uscire è tornata veramente se stessa.»
Reika sorrise tristemente.
«Sapete, quando stava davvero male non parlava mai con me. Forse pensava che non l’avrei capita, ma sapevo che c’era qualcosa che non andava. Mentre ora lo vedo che è a posto. Lo abbiamo visto tutti. È piena di vita, non solo quando ci siete voi o nelle belle giornate, ma sempre. È felice, e io credo sia perché è innamorata. Magari un giorno ce lo presenterà, quando si sentirà sicura. Ora ha troppa paura di essere giudicata.»
Pierre le passò un braccio attorno alle spalle e la scrollò. Rise, cercando di alleggerire l’atmosfera.
«Sei una buona amica, Reika. Vogliamo tutti bene alla nostra principessina.»
Reika annuì ancora, improvvisamente timida come la quindicenne che era stata.
A volte si chiedeva cos’avrebbero pensato Sirius e Glen di lei. Forse il principe De Alisia avrebbe trovato patetico il suo continuo tentativo di riempire con persone sempre diverse il vuoto che i due vecchi compagni le avevano lasciato nel letto e nelle giornate, mentre Glen l’avrebbe abbracciata. Alla fine pensava che entrambi sarebbero stati un po’ delusi. Lei lo sapeva, e lo sapeva anche Silvia. Per questo non erano le amiche che sarebbero potute essere. Forse.
«Non capisco se Rena si diverta a metterci in agitazione.» sbuffò Chloe.
Hanata tornò nel cortile, chiamando gli adulti rimasti fuori.
«Beh, non venite? Zio Pierre, hai promesso di aiutarmi ad allenarmi con i tiri d’angolo!»



***


Silvia lanciò un bacio ad Apollo e salutò mentre il suo ragazzo, Reiji, Natsu, e Bran correvano tra la folla di gente per non perdere l’aereo. Anya rideva, divertita sia dalla fuga degli amici che dai drink che avevano bevuto prima in compagnia. Aveva fatto assaggiare anche a Silvia quel cocktail con gin e scorza di limone ispirato ad una vecchissima saga di film che lei ed Etienne adoravano. Silvia aveva tossito dopo il primo sorso, mentre Anya era riuscita a berne un bicchiere come nulla fosse. Al secondo le si erano arrossate un po’ le guance.
La fotografa prese per mano Silvia ed Etienne e li trascinò fuori per vedere l’aereo partire.
«Ti spiace non essere partita con loro?» le chiese il ragazzo. Era bello come un suo ex paziente fosse diventato un suo amico.
Silvia dovette alzare lo sguardo di molto per guardarlo negli occhi, nonostante avesse imparato da Anya l’arte di indossare i tacchi.
«Scherzi? Senza quei teppisti sarà lei a fare la vera vacanza!» rispose la piccoletta al posto suo.
Silvia rise «Sono solo due giorni, non morirò.»
Anya scrollò le spalle «Spero bastino per rilassarti da tutta quella tensione sessuale irrisolta.»
«Anya!» Etienne la riprese con una risata sommessa mentre Silvia arrossiva fino alla radice dei capelli.
«Cosa?» pigolò sbalordita.
Etienne cercò di agguantare la fidanzata e tapparle la bocca prima che parlasse, ma lei lo morse alla mano e cominciò a ridere.
«Anya, taci. Ahia!»
«È chiaro come il sole che non l’avete ancora fatto! E state diventando matti. Se non vi sfogate, il bisogno tra di voi si potrà tagliare con il coltello. Oh, guarda, sta partendo, eccolo!»
Anya indicò le luci dell’aereo appena decollato, puntando un dito verso il cielo ancora chiaro della prima sera.
Silvia non si curò neanche di guardare.
«Cosa vorrebbe dire che è chiaro come il sole?»
Etienne la guardò con aria di compatimento «Ti prego, ignorala. Quando entra in questa modalità può essere veramente imbarazzante.»
«Allora, ti spiego i miei calcoli.» la ragazza cominciò ad illustrare, assumendo una posa di pacato sussiego.
Etienne alzò gli occhi al cielo, reprimendo il forte istinto di tapparsi le orecchie mentre Anya parlava.
«Preambolo: state insieme da circa due mesi, senza contare tutto il tempo in cui vi siete visti prima. Ora, io conosco Apollo quasi quanto conosco lo spilungone qui dietro, e fidati se ti dico che la somma del tempo supera di molto gli standard soliti che ha il ragazzo. Diciamo che è più del doppio. Magari anche il triplo, a ben pensare. La cosa carina è che nessuno di voi due sembra essersi reso conto di quanto stiate urlando dal bisogno di stare completamente l’uno con l’altro. Siete adorabili, ma sembrate entrambi due ragazzini alla loro prima storia d’amore.»
«Io sono alla mia prima storia.» Silvia cercò di ribattere, ma le uscì un mugolio indistinto e vergognoso.
Etienne guardava da un’altra parte, tentando di non ascoltare. Si era persino allontanato di alcuni passi, solidale per i brutti momenti che la sua fidanzata le stava facendo vivere.
Anya inclinò il capo.
«Wow. Sei una reduce di guerra, credevo valessi come un sex symbol.» confessò candidamente.
Silvia abbassò gli occhi, imbarazzatissima. A quel punto anche Anya diede uno sguardo ad Etienne e si avvicinò alla ragazza, sussurrando per non farsi sentire.
«C’entra qualcosa il fatto che tu e Apollo vi siate conosciuti in quel periodo? Lui non mi ha detto niente se non questo, ma te lo si legge in faccia, sai.» le sorrise con fare incoraggiante.
La principessa non aveva idea di cosa potesse esprimere il suo volto in quel momento. Era passata dall’allegria ad un misto di imbarazzo, tristezza, vergogna e anche fiducia nel giro di pochi secondi.
Anya capiva anche troppe cose certe volte. Si poteva comprendere perché nel gruppo tutti fossero così legati a lei: non c’era bisogno di parlare con Anya, lei riusciva a vedere tutto da sé.
Silvia sorrise di rimando, timida.
«Lo stavo aspettando.»
L’altra ragazza allargò gli occhi e si illuminò «Questo è un motivo in più perché facciate un passo avanti. So che non se lo ricorda, ma infine anche Apollo ti stava aspettando. Fidati.»
Silvia si morse le labbra e annuì «Okay. Ora possiamo chiudere la confidenza imbarazzante?»
Anya ridacchiò «Come preferisci. Altrimenti posso darti qualche suggerimento!» e rise apertamente dell’ennesima paresi facciale della principessa. Troppa vergogna tutta in una volta.
«’Tienne, abbiamo finito le rivelazioni tra donne, ho compiuto anche oggi il mio dovere!»
La giovane si alzò sulle punte delle scarpe con il tacco, richiamando l’attenzione del fidanzato.
Silvia fece un respiro profondo, scrollandosi di dosso i residui di quelle chiacchiere un po’ umilianti, e sentì il cellulare vibrare nella tasca della gonna. Probabilmente era Reika che voleva sapere come stesse. Nel giro di venti minuti sarebbe dovuta essere a casa, ad abbracciare Pierre e Chloe e Lise, e alla fine della serata avrebbe raccontato loro tutto, come Rena le aveva suggerito. Il pensiero le dava l’ansia. Chissà come avrebbero reagito, sapendo che aveva tenuto nascosta una verità simile per tutto quel tempo.
Ciao ragazzi, sapete quando ho detto che stavo uscendo con dei vecchi amici di università? Beh, stavo uscendo veramente con qualcuno, ma non persone di psicologia. Sto con Apollo. Nel senso che è tornato. E non ve l’ho detto perché non ricorda nulla di noi e io non ho idea di cosa significhi, sono terrorizzata.
No, avrebbe dovuto studiare un incipit migliore.
Quando guardò il cellulare vide un il numero di Sophia sullo schermo. Non ricordava nemmeno di averlo in memoria. Si accigliò, e non sentì Etienne parlarle. Rispose alla telefonata.
«Pronto?»
«Silvia? Sono Sophia.»
«Sì, buonasera. Mi perdoni, ma come mai-»
«Gen ed io vorremmo parlarti.»
«Gen? Intende…» le si strozzò il fiato in gola.
«Ti prego di incontrarci. È piuttosto importante. Ricordi dov’è il mio appartamento?»
«Era dalle parti dell’osservatorio, vicino…»
«Vicino la metropolitana, sì. Il condominio davanti. Dobbiamo parlare di Apollo.»
Anya si spaventò, vedendo Silvia sbiancare.
La ragazza riagganciò la telefonata, mentre rabbia e timore le ribollivano dentro.
«Silvia, che succede?»
«Scusate, ragazzi, devo andare.»
«È tutto a posto? Problemi a casa?»
«Sì. Ci… ci vediamo presto.»
Scappò via correndo, senza lasciare il tempo ad Anya ed Etienne di salutarla. Rimasero lì a guardarla andar via, preoccupati.
Gen Fudo era stato attento per mesi a non farsi mai trovare. Non rispondeva al telefono quando Silvia chiamava sapendo che sarebbe stato a casa, usciva ogni volta ci fosse il rischio che la ragazza passasse per di là. Addirittura sapeva da Apollo che nelle ultime due settimane non era mai rincasato. E adesso, immediatamente dopo la partenza del figlio adottivo, lui e Sophia volevano incontrarla.
Le mani di Silvia tremavano mentre stringeva il volante dell’auto.
Era arrabbiata. Per tutto quel tempo il comandante era stato uccel di bosco, e adesso la convocava in sua presenza che se fossero stati ancora alla Deava, maestro e allieva, superiore e soldato sottoposto. E c’era Sophia.
Sophia.
Silvia e lei non si erano viste per alcuni anni, ma la principessa aveva sempre avuto un ricordo felice della donna, mentre scoprire che probabilmente era in combutta con Fudo le avvelenava il sangue.
Era anche spaventata a morte. Se dopo tutto quel tempo finalmente volevano spiegarle cosa stesse succedendo, Silvia temeva fosse perché le cose stavano andando male.
Ebbe paura per Apollo.
Si fermò davanti al cancello del condominio. Probabilmente Sophia stava controllando dalla finestra, perché l’inferriata si aprì prima che la ragazza cercasse il citofono della donna, e Silvia poté entrare per lasciare l’auto nel parcheggio interno.
Davanti alla porta della palazzina Sophia la stava aspettando a braccia incrociate. Cercava di nascondere il gesto, ma stava giocherellando nervosamente con un bottone della camicetta bianca.
«Benarrivata, Silvia.» la salutò con un sorriso gentile, che la principessa fu quasi tentata di ricambiare.
«Dov’è il comandante?»
«Ci sta aspettando di sopra. Vieni.»
Mentre l’ascensore saliva all’ultimo piano, Sophia le riferì che lei e Gen avevano sperato che l’amnesia di Apollo si sanasse negli ultimi mesi, ma non era ancora successo, e quindi era giunto il momento di metterle finalmente in chiaro la situazione in cui si trovavano.
«Avrei voluto dirtelo subito.» aggiunse mentre apriva la porta dell’appartamento «ma Gen pensava fosse meglio tacere, e aspettare che le cose seguissero il proprio corso.»
«Non credevo prendessimo ancora ordini da lui.»
«No. Ma rispetto le decisioni di un padre nei confronti del figlio. Entra pure.»
«Il comandante non è il padre di Apollo.» ribatté freddamente la ragazza.
«Neppure Chibiko è tua figlia, ma ricordo che quand’era piccola ti chiamava “mamma”.»
Silvia ammutolì. Si sentì tradita da quella stoccata da parte di Sophia, ma servì a farle capire che forse la situazione che avrebbe dovuto affrontare non era quella che si aspettava dapprincipio.
Il comandate Fudo le stava attendendo in soggiorno. Era a suo agio in quella casa, come fosse la propria. Intuì che probabilmente era lì che era stato negli ultimi giorni.
Silvia lo ricordava in divisa, con il volto serio e feroce. L’espressione sul suo volto era combattiva come allora, ma attorno agli occhi ora si notavano delle piccole rughe, che la luce del lampadario approfondiva, e qualche capello grigio tra la massa folta e castana. Indossava dei jeans, e già questo era sufficiente a stralunare Silvia, ma fu lo sguardo stanco e gentile con cui la accolse che la sorprese più di tutto.
«È passato molto tempo, Silvia.»
La voce era roca e tonante come sempre. Almeno quello non sembrava poter cambiare.
«Buonasera, comandante.»
Lui sorrise beffardo «Non sono più un comandante, non più di quanto tu sia un Element. Ora sono un comune cittadino.»
Silvia dubitava che Fudo avesse molto del “comune”.
«Se permette, per me rimarrà sempre il comandante in capo.»
Non un genitore. O un amico.
«Sai perché ti ho fatta chiamare?»
«Per parlare di Apollo.»
«Sii più precisa, Silvia.» la invitò lui.
Inspirò. La voce le uscì chiara, senza tremare, nonostante l’inquietudine la stesse stritolando.
«Per parlare della sua amnesia.»
Fudo annuì soddisfatto. Sorrideva ancora.
«Siediti, Silvia. Prendo qualcosa da bere.» si intromise Sophia.
«Non ce n’è bisogno.» rispose la ragazza «Ditemi quello che c’è da sapere.»
La donna guardò il comandante, che annuì con un leggero mugugno. Sophia gli andò accanto, e sedettero entrambi sul divano bianco di fronte a Silvia. La principessa non mancò di appuntarsi come le mani dei due si fossero sfiorate per un istante mentre prendevano posto. A quanto pareva, ciò che era cominciato anni prima aveva trovato uno sbocco.
«Siediti, per favore. Avremo un po’ da parlare.» la pregò ancora la scienziata.
Silvia sedette su una poltrona ed incrociò le caviglie. Le dita le prudevano per il desiderio di stringere qualcosa, ma cercò di far finta di nulla. Non voleva far sapere quanto fosse nervosa.
«Parlate.» intimò ai due davanti a sé.
Gen si sporse in avanti, congiungendo le mani.
«Credo che tu sappia già che l’amnesia di Apollo non è normale. So di non sbagliarmi nel credere anche che tu sappia che il ragazzo ha sempre posseduto metà dell’anima di Apollonius. La metà compatibile con gli uomini come voi De Alisia. L’altra metà…»
«È nell’Aquarion. Sì. L’ho sentito chiaramente quando Apollo e mio fratello hanno salvato l’Albero della Vita.» asserì la principessa. Il ricordo di quel giorno le diede un brivido che non poté reprimere.
«Precisamente. L’anima di Apollo è stata spezzata, e per questo sembra essere così fragile. La prima volta non riusciva a ricordare la vita passata di Apollonius, come Sirius non ricordava di essere stato Celiane, mentre ora sembra che Apollo non riesca a liberare né i ricordi di questa sua vita da prima che Yggdrasil lo rigenerasse, né quelle precedenti.»
«Yggdrasil è un altro dei nomi dell’Albero della Vita, Silvia.» le spiegò Sophia, notando la sua faccia confusa.
«Ma Apollo ricorda: tutte quelle cose che sa non vengono sicuramente da libri di studio. Lui… » protestò.
«Ne siamo a conoscenza, ma qualcosa gli impedisce di riorganizzare le nozioni in ricordi. Non è conscio delle vite passate, ed è a malapena in grado di usare le capacità che l’hanno contraddistinto come Element.» spiegò la donna con tono grave.
Silvia tacque. Guardò il comandante e Sophia, notò un barlume di irrequietezza negli occhi dell’uomo, e allora si irrigidì, aggrappando le dita alla stoffa leggera della gonna. Temette di aver compreso.
«Questa cosa…» respirò a fondo, ma il respirò tremò, e le lacrime cominciarono ad addensarsi agli angoli degli occhi, annebbiandole la vista «Questa cosa può ucciderlo, vero?»
Il comandante annuì, e abbassò per un momento lo sguardo a terra.
«NO!»
Silvia urlò, scattando in piedi.
«Non è vero! Non è vero!»
Sophia corse ad abbracciarla.
«Ti prego, Silvia. Ti prego, ascoltaci.»
Silvia si ritrasse.
«Cosa state facendo per aiutarlo? Ditemi che state facendo qualcosa!»
Il comandante rimase seduto, ma alzò il mento e fissò la principessa negli occhi lacrimanti.
«È una situazione delicata, oltre che immensamente complicata. L’Albero della Vita sta riportando nel mondo i suoi salvatori, rigenera i loro corpi, le loro menti e le loro anime. Quando Sirius, Toma e Apollo si sono sacrificati per salvare Yggdrasil, le due metà dell’anima di Apollonius si sono ricongiunte. L’Albero della Vita non poteva spezzarle nuovamente, e ora la parte incompatibile con gli umani è dentro Apollo. È quell’incompatibilità che sta bloccando il riaffiorare dei ricordi.»
«Cosa dobbiamo fare?» scandì con vigore Silvia, asciugando le lacrime.
«Non molto. Non possiamo dire nulla ad Apollo delle sue vite passate, perché intaccherebbe di troppo l’equilibrio già precario in cui versa. Ho passato gli ultimi anni portandolo ovunque ci fossero posti e persone abbastanza affini con la sua anima da poter stimolare i ricordi, finché tornare a Shangri-La non è rimasta l’unica opzione. Alcune memorie si sono risvegliate, ma nulla che si potesse chiamare un vero risultato. Speravo che questa città potesse essere la spinta necessaria ad aiutarlo.»
Silvia stava tremando. Strinse le mani tra di loro.
«Ha fatto ogni cosa possibile? Ha fatto tutto quello che poteva per aiutarlo?»
«Silvia…» Sophia cercò di calmarla.
Gen rispose ferocemente «Ogni cosa. Più e più volte. Ho studiato i casi precedenti, l’ho forzato oltre il limite della prudenza, ho parlato con Toma-»
«Toma? Quell’essere è tornato?» la principessa non nascose l’ansia.
«Si è confinato da solo tra i resti della sua città. Non nuocerà mai più.»
Silvia deglutì a fatica «E mio fratello? Sa qualcosa di Sirius?»
«Lo sto ancora cercando.» rispose, impaziente.
Lei annuì a chiuse gli occhi. Inspirò ed espirò lentamente un paio di volte prima di parlare di nuovo.
«Apollo sta ricordando. Ha quei suoi mal di testa, e poi alcuni ricordi riaffiorano.»
«Me ne sono accorto. Il ragazzo non ne vuole parlare, ma sono cose che si notano. Ma è ancora troppo poco.»
Silvia non voleva guardare in faccia il comandante. Per quanto l’uomo si fingesse tranquillo, la preoccupazione nella sua voce era palpabile, e questo era troppo da poter sopportare. Gen Fudo era un uomo di ghiaccio e acciaio, e se anche lui stava soffrendo, allora lei poteva farsi trascinare dal panico.
«Cosa posso fare per aiutare Apollo?» sussurrò.
«Nulla. Dobbiamo solo sperare che la risonanza tra le vostre anime sia sufficiente a risvegliarlo in tempo.» rispose stoico.
A quel punto la ragazza spalancò le palpebre.
«Allora perché mi sta dicendo tutto questo? Se è già condannato perché vuole dirmelo?» voleva mantenere un tono civile, ma si ritrovò ad urlare di nuovo.
Gen si alzò in piedi, indifferente alle sue grida cariche di accusa, e le mostrò la mano con il palmo rivolto verso l’alto.
«Guarda. Vedi questa mano? Negli ultimi anni con queste ho stretto quel ragazzo, a volte l’ho percosso, e lo sanno gli dei quante volte in più se lo sarebbe meritato. Ho tenuto le sue mani tra le mie quando stava male. L’ho trascinato in ogni luogo per aiutarlo.»
Silvia cercò di tirarsi indietro, ma l’uomo le afferrò il braccio e lo torse gentilmente per esporre anche il palmo della ragazza.
«Le tue mani hanno fatto lo stesso per lui. Tu ed io eravamo i soli a poterlo salvare. Io l’ho sempre saputo, tu l’hai sempre percepito. Perché sei un Element, e perché la tua anima e quella di Apollo, l’anima di Celiane e quelle di Apollonius sono simbionti, destinate ad equilibrarsi a vicenda.»
Le lasciò andare il polso, e Silvia abbandonò le braccia lungo i fianchi.
«Era giusto che conoscessi anche tu il rischio che sta correndo. Non da ultimo, spero che ora la tua aura sia abbastanza agitata a fianco a lui, da far scattare qualcosa. Le anime e le aure purtroppo non sono una vera scienza, ma io non lascerò nulla di intentato.»
«Le cose sono cambiate anche per lei, vero comandante?» domandò.
Silvia osservò lo sguardo che intercorse tra Fudo e Sophia. Notò un anello che non aveva mai visto prima stringere il dito della donna. Non erano le cose ad essere cambiate, ma le persone.
«L’immutabile non esiste. Tutto è in continuo movimento, quindi sì, anche il mio mondo è cambiato.»
Le posò una mano sulla spalla. Era grande, calda e pesante. Silvia la riconobbe come la mano di un padre, più rude ma anche più affettuosa degli abbracci che aveva mai ricevuto dai suoi genitori quando erano ancora in vita. Più rassicurante delle carezze che Sirius poteva averle fatto da bambina.
«C’è ancora speranza?»
Per la prima volta quella sera, Fudo le rivolse un sorriso gentile.
«C’è sempre speranza. Alimenta ogni essere vivente, e finché ci sarà vita, ci sarà anche lei.»
Silvia si morse il labbro, trattenendo le lacrime, e lo abbracciò.
L’uomo si irrigidì in un primo istante, poi sospirò e la strinse.
«Non voglio perderlo un’altra volta. Non posso.» mormorò la ragazza.
«Nemmeno io. Non abbandoneremo la speranza.» la rassicurò.
La principessa asciugò le lacrime che infine le erano sfuggite e si fece da parte. Guardò Fudo e Sophia, chinando il capo verso ognuno di loro.
«Grazie per avermi parlato.»
Fece per andarsene, ma Sophia la chiamò.
«Aspetta, Silvia. Domani io e Gen lasceremo la città per alcuni giorni, ma intendo esserci se avessi bisogno di me. E se ti venissero idee, qualsiasi cosa per aiutare Apollo…»
«Ve lo dirò.»
Uscì dall’appartamento come in trance.
Salì in auto, percorse la strada. La sua testa era vuota. Si sentiva intontita, immersa in una sostanza ottundente che le impediva di sentire, pensare, forse persino esistere. Era a malapena consapevole della musica che usciva dall’autoradio.
Il rumore dei pneumatici sull’acciottolato della via di casa sembrò il fragore di una frana, e lentamente Silvia iniziò a rendersi di nuovo conto di dove fosse. Era tardi, le undici di sera.
Probabilmente i ragazzi erano ancora tutti svegli insieme agli ospiti, ma lei non se la sentiva di affrontarli.
Abbandonò l’auto nel garage e fece il giro per il giardino. Non voleva entrare nel palazzo dall’entrata principale. Non voleva che nessuno si accorgesse di lei.
Nella calura della notte estiva, il profumo del roseto riusciva quasi a nausearla, eppure Silvia si diresse comunque sotto il colonnato in pietra chiara, dove i cespugli spinosi di rose rosse, bianche e rosa erano fitti come una bassa foresta.
Si sedette lì, con le gambe ripiegate contro il petto e il mento appoggiato alle ginocchia. C’era solo la luce della luna, e ad occhi chiusi poteva immaginare che il vento leggero nascondesse il rumore dei passi di suo fratello.
Vivevano ancora alla Deava e tutto andava bene. Era uno di quei rari momenti in cui gli Angeli delle Tenebre sembravano essere troppo stanchi per attaccare, e loro potevano pensare per un po’ di essere persone normali. Sirius scriveva poesie, Apollo era da qualche parte a dar battaglia a Fudo, Pierre stava facendo la corte a Chloe e Tsugumi guardava Reika da lontano.
Era tutto a posto.
Andava tutto bene.
Il cellulare squillò e Silvia non rispose. Lasciò che continuasse a vibrarle in tasca. Voleva solo stare in pace. Un altro po’. Per favore.
Le lacrime lungo le guance erano calde.
Che succede, Silvia?
Non seppe quanto tempo dopo, Rena era di fronte a lei, e anche Reika, Pierre e Chloe stavano arrivando.
La ragazzina le tese una mano. Silvia la strinse, alzandosi per abbracciarla.
«Rischio di perderlo.» le mormorò all’orecchio.
Rena divenne un blocco di marmo, e soffiò un flebilissimo gemito disperato.
No.
No, infatti. No. No, no, no.
Pierre arrivò quasi correndo.
«Principessa, che succede? Ci hai fatto preoccupare.»
Ciò che è giusto, è giusto, pensò Silvia. Cercò di ricomporsi, ma anche se tentava di tranquillizzarsi, le lacrime proseguivano a scendere.
Reika si fece avanti, ansiosa.
«Che succede, Silvia?»
La principessa strinse le labbra.
«Non sono stata sincera con voi. Mi dispiace. C’è una cosa che devo raccontarvi.»
Rena le tese una mano. Stringere le sue dita sottili e fredde le diede forza.
«Apollo è tornato.»



***


Apollo finì di vomitare e si asciugò la fronte.
«’Fanculo.» grugnì. La testa gli martellava come se tutto il cervello stesse pulsando.
«Tutto a posto, amico?» Reiji gli si avvicinò, guardandolo dubbioso.
Apollo cercò di drizzarsi, ma gli cedette una gamba e Natsu lo agguantò per il collo della maglietta.
«Ah, cazzo, mi strozzi!»
Il ragazzo si divincolò e tirò uno spintone all’amico.
«Diamine, mi basta il mal di testa per morire, non servi anche tu!»
Natsu si grattò la cresta di capelli neri «Va bene, la prossima volta ti lascio spiattellare la faccia contro il cesso.»
«Ohi.» Reiji gli batté la mano larga da giocatore di basket sulla schiena «È passato adesso?»
«Sì, non ti preoccupare.»
«Sembra a me o ultimamente i mal di testa sono peggiorati?»
Apollo scrollò le spalle «Stronzate. Sono cose che capitano. Datemi un momento e poi sono pronto per uscire.»









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Insomma, vi ho fatto penare, vi ho fatto aspettare, ma alla fine il capitolo è qui, fresco di stesura - traduzione: l'autrice pesacula finalmente ha aperto il file e in due giorni è riuscita a farcela. Applaudite, prego.
Sono tentata di fare una gara con voi: ci metto meno tempo io a darvi anche il prossimo capitolo - che è già in fase di stesura - o voi a lasciarmi almeno cinque recensioni?
Ma vabbè, è un trucco scorretto e di bassa lega, quindi lasciamo perdere xD
   
 
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