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Autore: Chocolat_ks    27/01/2013    1 recensioni
Alhena Cassiopea Black odiava l’Estate. Era la stagione più inutile e sciocca tra le quattro. Era quella parte dell’anno che detestava con tutta se stessa sin da quando era poco più che una bambina dalle lunghe trecce nere intrecciate in uno chignon troppo severo per lei. E, se avesse potuto classificare i mesi ad alta voce senza suscitare un moto di risentimento sull’affilato viso di sua madre, avrebbe sicuramente esplicato che Luglio era il peggiore.
[Tratto dal primo capitolo, "Il male si avvicina"]
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Famiglia Black, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Marlene McKinnon, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Il male si avvicina

 

Alhena Cassiopea Black odiava l’Estate. Era la stagione più inutile e sciocca tra le quattro. Era quella parte dell’anno che detestava con tutta se stessa sin da quando era poco più che una bambina dalle lunghe trecce nere intrecciate in uno chignon troppo severo per lei. E, se avesse potuto classificare i mesi ad alta voce senza suscitare un moto di risentimento sull’affilato viso di sua madre, avrebbe sicuramente esplicato che Luglio era il peggiore. Le sue giornate afose rendevano le persone che era costretta a frequentare ancora più irritanti e tutta quell’acredine le faceva nascere una ruga in prossimità del lato destro della labbra. L’unico segno che poteva far trapelare senza incorrere nelle proteste di sua madre. Negli anni aveva imparato anche ad attenuare la linea che le rendeva troppo sottili le labbra morbide e rosee, così dissimile da quelle turgide di Bellatrix e quelle a cuore di Narcissa. Doveva. Suo padre affermava sempre che una giovane donna di buona famiglia non poteva mostrarsi così indisponente dinanzi a un possibile pretendente. Nonostante Alhena sapesse benissimo che i rampolli Purosangue non si sarebbero fatti suggestionare da una sua espressione contrita. Il suo cognome era troppo importante per essere screditato. Ciò che la giovane Alhena Black non sapeva era che lo sarebbe rimasto ancora per poco. Mascherava bene le sue emozioni, oramai. Però a Luglio non era mai stata in grado di fingere un sorriso di circostanza. Luglio era troppo anche per il ferreo controllo che l’etichetta Purosangue le imponeva. E così, per evitare lo sguardo arcigno, così simile a quello della sua unica sorella maggiore, di suo padre si rifugiava nell’unico luogo in cui l’afa non riusciva a raggiungerla. A Grimmauld Place, 12. Preferiva trascorrere la maggior parte dei giorni nella casa dei suoi zii, a Londra. Nella capitale inglese, per lo meno, il Sole era mitigato dalle piogge che cadevano a intervalli quasi regolari. La scusa era sempre quella di badare ai piccoli Sirius e Regulus. Nulla di più falso. Sirius era un tale sconsiderato che solo Andromeda, la più posata e mite delle sue sorelle, riusciva ad occuparsi da lui senza ricevere scherzi di cattivo e abbastanza dubbio gusto. E Regulus era troppo rispettoso per fare alcunché. Regulus era obbediente, docile, sembrava quasi un angelo e Alhena, in cuor suo, adorava prendersene cura. Regulus era innocente. Possedeva quel candore e quell’incanto dinanzi al mondo, quello del bambino che effettivamente era, tale da intenerirla. Alhena, qualche volta, lo invidiava. Lei aveva perso quell’espressione di pace già da molto tempo. Sperava che a Regulus fosse stato attribuito un Destino diverso dal proprio. Lo sperava con tutto il cuore.
« Cosa ci fai qui? Sola?» Quella voce strascicata non poteva che appartenere a lui. Al suo caro fidanzato ufficiale, nonché cugino di primo grado da parte di madre. Evan Rosier. Volse lo sguardo verso sinistra, verso il suo immenso maniero, dov’era situato il balconcino da cui si accedeva al giardino di rose bianche. Il suo rifugio. Lì aveva trascorso momenti indimenticabili con le sue sorelle. Lì abitavano i suoi ricordi più belli. Evan era lì, a qualche metro da lei, ancora sull’ultimo gradino della scalinata a chiocciola di marmo bianco. Imponente e austero, con la tipica espressione di superiorità di chi possedeva la consapevolezza di avere il mondo in pugno. Indossava una semplice camicia bianca, ben abbottonata sui polsi per non far neanche intravedere il marchio che gli occupava l’avambraccio sinistro, e un paio di pantaloni di raso nero. Non avrebbe avuto di che lamentarsi per la scelta dei suoi genitori. Evan era un bell’uomo, con quei suoi capelli biondi  e quegli occhi color del mare di Scozia, a metà tra il blu oltremare e il grigio, con quel viso dai tratti signorili e sofisticati. Il ragazzo, di cinque anni più grande di lei, azzerò velocemente la distanza tra loro e si sedette al suo fianco sulla panchina.
« Evan,» mormorò in un sospiro appena accennato, sussurrando il suo nome quasi con costernazione. Sarebbe voluta rimanere sola, almeno per altri cinque minuti. Era scappata dalla sala del suo Manor appunto per quello. Cinque minuti di pace, solitudine. Cinque minuti in cui poter sciogliere la maschera e ritornare a essere la ragazzina impaurita e timorosa che era sempre stata. La ragazzina che doveva, ogni giorno di ogni mese dei suoi diciannove anni di vita, far finta di non essere assolutamente terrorizzata da come si sarebbero potute evolvere le contingenze in quella guerra di cui era protagonista anche la sua famiglia. La ragazzina che aveva paura di sposarsi al mattino e di rimanere vedova nel pomeriggio. La ragazzina che aveva ascoltato le urla della sua più vicina sorella minore senza poter far nulla per consolarla. Andromeda aveva capito. Lei sì che aveva compreso ciò che desiderava. Andromeda avrebbe lottato per la sua felicità mentre Alhena se l’era già fatta sfuggire, « Nulla. Avevo bisogno di assentarmi. Fa troppo caldo,» avanzò come scusa. Non era poi del tutto falso. Era Luglio. Il 15, per l’esattezza. Che mese detestabile. Di nuovo quella ruga. Quell’espressione che suo padre detestava altamente. Era impossibile mitigarla con tutti quei pensieri. Evan la guardò, la scrutò, poi una risata alta, ma mai sguaiata e volgere, proruppe dalle sue labbra rosse e piene. Alhena schiuse le proprie, più sottili e rosate, e si costrinse a non portarsi le braccia al petto, « Ridi di me?» gli domandò, gonfiando le guance magre del viso ovale, una sfumatura di profondo sdegno negli occhi chiari come il cielo, uno dei pochi tratti erediti dalla famiglia Rosier, se non l’unico. Evan, accortosi della sua espressione di bambina, interruppe il riso, ma sul suo volto permase un lieve ghigno pieno di divertimento, e scosse leggermente il capo.
« Di questo, - e le sfiorò la ruga, oramai marcata, sulla guancia, facendola quasi arrossire per quel soave contatto,-  Ti ho vista, sai? Prima. Nella sala,» sussurrò avvicinandosi maggiormente, mentre l’indice continuava ad accarezzarle la gota. Alhena tentò di non avvampare e di non muoversi di un solo millimetro. Non aveva paura di Evan, quello mai, era pur sempre il suo fidanzato, ma tutta quella vicinanza la turbava. Così come le sue parole.
« Non capisco di cosa tu stia parlando, Evan,» bisbigliò timorosa, stringendosi nelle spalle come per proteggersi. Evan Rosier, per sua sfortuna, era un osservatore eccezionale. Sin da bambino si limitava a posare l’indice destro sulla guancia e osservare, osservare, osservare. Agiva solo quando era certo. Certo di cosa, poi, poteva saperlo soltanto lui. E Alhena era divenuta un libro aperto per lui da troppo tempo per poter arginare le sue domande.
« Come guardi Andromeda,» le comunicò quasi divertito, poi volse il capo verso il giardino, sollevandola da quello sguardo magnetico. Alhena ritornò a respirare normalmente e si lisciò le pieghe immaginarie della lunga veste color del cielo che, con quel buio, era divenuta come la notte senza stelle sopra di loro, « Cosa succede, bambina?» continuò più greve, serio, quasi minaccioso. Quel tono la intimoriva, la imbarazzava. Come quell’epiteto che le aveva affibbiato dalla fanciullezza. Per Evan Rosier lei era sempre stata una bambina. Sebbene non avessero una notevole differenza d’età, Evan l’aveva sempre ritenuta una persona da proteggere, da curare, come una bambola. Una bellissima bambola di porcellana. Come Miss Phobe, la bambola preferita di sua nonna Irma, quella che poggiava sulle lenzuola del suo imponente letto a baldacchino.
« Non chiamarmi così, cugino,» lo ammonì accigliata, in un borbottio confuso. Le labbra le si piegarono verso il basso, appena imbronciate, e gli occhi divennero due fessure color del mare. Lei non era una bambola. Era una persona. Era una Black, per Salazar. Non una Purosangue qualunque, una Black. Il suo sangue era il più puro esistente. Non avrebbe permesso a nessuno di denigrarla. Sentì l’atmosfera raggelarsi e notò che Evan era tornato a guardarla. I suoi erano divenuti grigi, come quando gli aveva riferito sarebbe stato Rodolphus ad accompagnarla a scegliere l’abito nuziale.
« Quando la finirai di appellarmi in questo modo?» Non sembrava arrabbiato, solo stanco. Come se fosse invecchiato di colpo. Allora Alhena riuscì a scorgere tutta quella differenza d’età pesarle come un macigno sul cuore. E si sentì piccola. Una bambina in confronto al grande mago che le era accanto, l’uomo che le aveva mostrato Hogwarts durante il suo primo anno con una spilla da Prefetto appuntata sulla divisa , « Ci sposeremo tra pochi mesi. Sembra sbagliato,» aggiunse a voce più bassa, quasi un soffio di vento. Come se il solo pensiero che lei ritenesse sbagliata quell’unione lo facesse soffrire. Che bizzarro accostamento. Evan e sofferenza nella stessa frase. Era così dissimile dall’idea che aveva lei del suo fidanzato ufficiale. Evan era sempre così distaccato, agiva sempre con nonchalance e maestria. Era fine, elegante e gelido. Di pietra. E, era risaputo, una pietra non può soffrire.
« Scusa,» si affrettò a discolparsi, sobbalzando di poco. Che pensiero orribile. Infuse nelle sue scuse anche il desiderio di perdono per quella congettura così irriverente e crudele. Non poteva davvero pensare quello di lui, no, non ne aveva alcun diritto,  « Non mi sento bene. Meda mi ha detto qualcosa che mi ha molto turbato,» gli spiegò, veritiera. Andromeda, o Meda per i suoi familiari, quel pomeriggio aveva toccato l’apice della follia, secondo i suoi familiari, e stava facendo impazzire persino lei. Per la bontà di Morgana almeno aveva avuto la discrezione di riferire solo a lei i suoi pensieri. Se l’avesse saputo Bellatrix, o i loro genitori, era certa che non sarebbero stati così accomodanti come lo era stato lei. Quel Tonks. Tassorosso, Nato Babbano, abbastanza anonimo. Come facesse ad apprezzare la compagnia di un ragazzo del genere rimaneva un mistero per lei. Sperava solo che Narcissa non si accorgesse di ciò che stava accadendo. Si sarebbe scatenato un putiferio e Andromeda, sempre così ferma nelle proprie decisioni, si sarebbe dovuta schierare da una parte che Alhena non poteva che definire sbagliata. Perché Tonks era la scelta sbagliata. Nulla di più sbagliato.
« Da quando Bella si è sposata con Rod non sorridi più come prima. Sei sempre così irritabile,» esplicò come se non avesse ascoltato la sua ultima frase. Quella constatazione la fece tornare in sé. Era vero. Non poteva che dargliene atto. Da quando Bellatrix si era sposata, nulla era stato più come prima. Aveva dovuto badare alla situazione scottante di Andromeda, alla prorompente malattia di sua madre, ai frequenti sbalzi d’umore di suo padre completamente da sola. Solo Narcissa non le arrecava preoccupazioni.
« Ho paura,» gli rivelò, sistemandosi meglio sulla panchina, muovendosi a disagio. Chinò il capo sulla gonna del lungo abito su cui erano poggiate le mani giunte. Non si era accorta delle sue dita che si torturavano l’un l’altra. Evan posò la sua mano su di esse, come per celarle al suo sguardo. Come per accudirla. E Alhena si pentì ancora di più di quel pensiero terribile che l’aveva colta pochi istanti prima. Evan voleva solo proteggerla. Non voleva terrorizzarla o intimorirla, voleva solo prendersi cura di lei. In fondo non poteva chiedere di meglio.
« Di cosa?» le chiese curioso, prendendo poi la sua mano destra tra le proprie e scaldandola. Evan aveva le mani calde, grandi e dalle lunghe dita affusolate. Le mani di un uomo. Quello che a breve sarebbe diventato il suo uomo. Magari il loro matrimonio avrebbe aggiustato tutto. Avrebbe aiutato Andromeda a comprendere quale fosse la via da seguire.  
« Di non riuscirci. Di non essere in grado di prendermi cura di Meda e Cissy senza Bellatrix. E poi… quando ci sposeremo, io dovrò andar via. E Meda si sposerà con Rabastan. Cissy resterà sola e poi andrà in moglie al giovane Malfoy. Ci divideremo. Ho paura di perderle, Evan,» spiegò velocemente, togliendosi parte del peso dal cuore. Non era una bugia. Era certa che Andromeda sarebbe rinsavita e avrebbe accettato le proprie responsabilità di Purosangue. Andromeda doveva rinsavire. Con la guerra, i cambiamenti nella personalità di Bellatrix, la gloriosa ascesa del Signore Oscuro e l’alone di sconforto che annebbiava il cielo inglese, non sarebbe stato per niente saggio un colpo di testa. Anche se, in verità, Andromeda e Narcissa non erano ancora legate da un vincolo di fidanzamento ufficiale. Sarebbe stato troppo prematuro, soprattutto per la piccola Cissy, che aveva soltanto quindici anni. Ma negli occhi di suo padre poteva ben scorgere la sfumatura chiara e risoluta di un uomo che bramava ardentemente liberarsi delle sue figlie il prima possibile,  « Scusami, sono una sciocca. Rientriamo, te ne prego,» lo implorò, cercando di issarsi in piedi. Evan scosse il capo e rinforzò la presa sulla sua mano, tirandola leggermente, obbligandola a rimanere seduta. Poi sorrise, con quel ghigno che l’aveva sempre terrorizzata. Il ghigno di un uomo che non accennava repliche, o negazioni. Di un uomo abituato sempre a prendere ciò che più bramava, senza domandare nulla, nessun permesso. Quel gesto le rammentò la ragione per la quale si era sempre sentita una ragazzina dinanzi a lui. Una ragazzina intimidita per di più,  « Perché sorridi?» gli chiese, quasi tremante. Chiuse gli occhi per un solo momento. Non doveva. Era Evan, in fondo. Suo cugino. Si conoscevano da sempre. Erano cresciuti insieme. Avevano frequentato Hogwarts insieme. Non poteva realmente aver paura di lui. E poi lei era una Black. Non poteva avere paura in generale. Eppure cos’era quel batticuore che le stava sollevando il petto proprio in quell’istante, mentre Evan la stava facendo avvicinare sempre di più a sé? Aveva il respiro corto e le labbra di Evan erano sempre più vicine alle proprie. Non avrebbe potuto scansarsi nemmeno se avesse voluto a causa della sua stretta sul polso. Non chiuse gli occhi mentre guardava la soddisfazione colorare quelli del suo fidanzato di un blu acceso. Morgana, non si sarebbe mai aspettata che il suo primo bacio avesse potuto avere il sapore dell’Estate. Di quella stagione così odiosa.
« Alhena, dove sei?» la voce di Narcissa. La bellissima, soave e dolce voce della sua sorellina più piccola, della principessa dei Black. Mai la sua voce le apparve più gradita di quell’istante. L’avrebbe ringraziata per sempre per quel tempestivo intervento. Evan si scostò subito, come scottato, sobbalzando leggermente all’indietro. Ciò le permise di tornare a respirare con continuità. Volse prontamente lo sguardo verso sua sorella, bellissima in quel vestito oro pallido che le fasciava il corpo snello e ancora puerile, senza mostrare quanto fosse sollevata per aver evitato quel bacio inatteso, « Oh ciao Evan,» continuò Cissy accorgendosi del cugino vicino a lei, anche troppo. Sulle sue belle gote di bambina, sempre candide come la neve, apparve un rossore inconsueto e prese a tormentarsi le piccole dita ancora infantili, « Scusate, non volevo interrompere,» mormorò imbarazzata, chinando di poco lo sguardo. Alhena avrebbe voluto tanto sorridere in quel momento. un sorriso grato, sincero e aperto. Non come quelli di circostanza che era costretta a rivolgere a tutti, anche alle persone che non sopportava. Si costrinse ad accantonare quel proposito poiché conscia dello sguardo di Evan su di sé.
« Dimmi, Cissy,» la invitò dolcemente, con la voce più rincuorata mentre si issava in piedi. Aveva scorto un lampo nello sguardo di Evan. Un lampo che non aveva saputo qualificare. Ma, certamente, non era un segno positivo. Gli era stato negato qualcosa. Un suo bacio. La situazione era già così assurda senza il rossore di Narcissa che aveva capito cosa poteva essere accaduto negli istanti precedenti. Perché, era certa, Narcissa aveva compreso benissimo.
« Nostra madre mi ha chiesto di cercarti. Manchi da quasi mezzora. Bella e Rodolphus devono andare,» le spiegò velocemente, nella voce una lieve nota di ammonizione. Alhena avrebbe riso se non avesse avuto dinanzi a sé sua sorella e il suo quasi marito. Era una situazione così assurda. Narcissa la scrutava come se fosse stata lei a cercare quel bacio. Mentre Alhena avrebbe soltanto voluto smettere di fingere che andasse tutto bene nella sua vita.
« In verità anch’io. Rientriamo, mia cara. Grazie, Narcissa. Sei stata molto gentile a ricordarmelo,» aggiunse con gentilezza, prima di rivolgere un sorriso cordiale al quale sua sorella non poté fare a meno di rispondere con uno più ampio e accogliente. Cara, dolce Cissy. Sarai una moglie straordinaria. Felice l’uomo che ti prenderà come sua sposa. Non poté fare a meno di pensarlo mentre si incamminavano verso la sala dov’erano accomodati i loro parenti e i Malfoy, grandi amici di famiglia.
« Alhena, dov’eri finita?» domandò sua madre, la rispettabile quanto gelida Druella Rosier in Black, con voce imperiosa e quasi minacciosa, quando varcò la soglia della sala immensa. Gli uomini gustavano cognac sulle poltrone, intenti a discorrere di politica, mentre Bellatrix e sua madre erano accomodate sul divano a tre posti. Andromeda doveva essersi estraniata poiché aveva cominciato a giocare con il fiocco al polso destro del suo vestito verde acqua, accomodata sulla parte sinistra del lungo divano, sembrando anche più piccola del normale. Lo sfilava e lo riannodava, la mente rivolta ad altro, tanto da non essersi accorta del suo rientro. La situazione diveniva più grave ogni secondo che trascorreva. Avrebbe dovuto agire subito.
« Perdonatemi, zia. Temo di aver trattenuto io vostra figlia. È per me molto interessante discorrere con lei,» riferì pacato, con un sorriso che soltanto Alhena riuscì a cogliere. Quel sorriso sarebbe potuto sembrare anche rispettoso e cordiale, a un primo sguardo superficiale o troppo cieco come quello di sua madre, ma Alhena, che conosceva bene l’uomo che stava diventando il suo futuro marito, comprendeva bene il significato di quel gesto tanto consueto. E, doveva ammetterlo almeno con se stessa, solo con se stessa, che non le piaceva, anzi la disgustava.
« Non preoccuparti, caro,» replicò sua madre con tono zuccheroso e mellifluo, tale da farle accapponare la pelle. Certe volte la preferiva gelida e imperturbabile, almeno sapeva come comportarsi, « Vorresti unirti a noi per la cena? Il caro Lucius e i signori Malfoy ci terranno compagnia,»  aggiunse con un sorriso ampio e falso. Poteva scorgere tutta la meccanicità del gesto dalla piega delle labbra. Tremavano leggermente, segno che faticava molto a mantenere quella smorfia di cortesia forzata.
« Domando perdono, ma devo andare anch’io,» sussurrò suadente, scambiandosi uno sguardo d’intesa con Bellatrix, Rodolphus e Rabastan. Sua sorella e i suoi due cognati, nonché Evan, erano quattro dei più vicini collaboratori, se così potevano definirsi, dell’Oscuro Signore, di Lord Voldemort. Uomo pericoloso, a suo dir. Troppo radicale. Non sarebbe più saggio rimanere nelle tradizioni? Era questo l’interrogativo che la tormentava da quando Bella aveva scelto di aderire alle idee di quell’uomo. In fondo i Babbani non avevano mai scoperto l’esistenza del mondo magico. Non v’era alcun pericolo di insurrezione o guerra da parte loro. Era ben lungi dall’esprimere le sue idee. Sarebbe stata considerata una scellerata, pavida ragazzina che non avrebbe saputo scorgere una minaccia nemmeno se l’avesse avuta nella sua stessa casa. Suo padre annuì, greve, prima di sorridere compiaciuto. Era fiero di sua figlia, l’imperturbabile Cygnus Black. Della sua guerriera dal viso ammaliatore, dagli occhi magnetici e dal sorriso troppo bello. Bellatrix era stata il figlio maschio che non aveva mai avuto. Forte, indomita, bellissima. Come ogni Black. Una grande strega, la migliore. Una combattente eccezionale. Non come lei, troppo dolce, troppo protettiva, una giovane donna che cercava sempre di portare pace. Non come Andromeda, ferma e risoluta nelle sue decisioni, poco malleabile come, invece, sarebbe dovuta essere una donna del suo calibro. Non come Narcissa e il suo mite candore di fanciulla. Bellatrix era la Black perfetta. Incarnava tutti i loro ideali. Quasi sospirò per quella constatazione. Quel gesto appena accennato attirò l’attenzione dell’uomo vicino a lui. Gli occhi di Evan la scrutavano, come per cercare in lei un segno, una sfumatura per comprendere cosa sentisse. Quegli occhi azzurri, glaciali persino.  Quegli occhi che le scavavano l’anima. Che le rubavano la parte più intima di sé. Alhena rifuggì agilmente il suo sguardo, attratta da un altro evento, ugualmente scomodo. Una brezza calda e soffocante entrò dalle finestre appena aperte, sollevando di poco le pesanti tende rosso scuro. Si insinuò nelle sue ossa, riscaldandola con un calore malevolo e odioso. Quella brezza portò con sé una novità. Una novità che distrusse tutte le certezze di una diciannovenne che era certa di saper tutto di quella che sarebbe stata la sua vita. Alhena Cassiopea Black s’era sempre ritenuta una ragazza fortunata. Era di buona famiglia, di bell’aspetto, aveva ricevuto un’ottima educazione sia a casa sia nella rinomata Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Conosceva il galateo e il bon ton, sapeva danzare con leggiadria e suonare in modo eccelso il clarinetto. Ma ciò che la inorgogliva di più di se stessa era il suo sopraffino istinto. Aveva, infatti, un sesto senso formidabile. E, in quel momento, mentre scorgeva le tende animarsi di fuoco, il sesto senso si attivò, mostrandole ciò che il Destino stava prospettando per lei. L’inizio di tutte le sue sventure.

  
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