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Autore: _blueebird    27/01/2013    12 recensioni
Ci vogliono pochi minuti per leggerla e altrettanti per innamorarti di loro.
Camille, una sedicenne che lotta tutti i giorni per rimanere a galla in una società di pregiudizi, ingiustizie e in continua lotta con la sua timidezza e con i suoi problemi, si innamora. Tra i banchi di scuola, tra gli amici veri e le cattiverie, troverà l'amore che la porterà a crescere, a soffrire e a combattere i suoi demoni.
Una storia che vi prenderà e che vi scalderà il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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La settimana era trascorsa in modo incredibilmente veloce. A parte il martedì, che era stata una giornata impegnativa da tutti i punti di vista, gli altri giorni erano volati, tra partite di pallavolo, qualche interrogazione e fette di torta mangiate a casa delle amiche.
Per la prima volta Fabio mi aveva scritto, per non parlare dell’incontro alle palestre dopo la brutale caduta dal cassonetto dell’immondizia. Il massimo che mi sarei aspettata dalla nostra relazione tra i banchi di scuola, era un semplice ciao. Questo superava di gran lunga le mie aspettative.
Quel martedì avrebbe dovuto essere incorniciato come il 6 e mezzo in matematica, come il biglietto per il concerto del tuo cantante preferito o come la mancia della nonna per Natale.
Ci eravamo scambiati poche parole, ma erano bastate per farmi toccare il cielo con un dito. Quella stupenda sensazione che si crea quando la persona che ami più di te stessa si accorge di te, tra 7 miliardi di persone.
 
-Come stai? Ti sei ripresa dalla caduta di oggi?
-Si grazie. : ) Mi dispiace di avervi fatto preoccupare.
-Hahah  xD Tranquilla. L’importante è che tu stia bene
-Si, diciamo che respiro ancora.
-Hahaha.  Azz.. devo andare, a mio fratello serve il computer per una ricerca. Mi dispiace. Ci sentiamo ti va?
-Certo! : D Grazie di tutto davvero Fabio. Sei stato così gentile! Notte.
-Notte :)
 
Non avevo fatto altro che ripetermi le poche parole che ci eravamo detti e rivivere centinaia di volte la scena in cui ero tra le sue braccia, per la restante settimana.
In classe. A casa. Prima di addormentarmi. La mia testa era diventata un enorme multisala in cui venivano proiettati a tutte le ore i film de ‘Utopia di un amore ‘ nei momenti di estrema malinconia, per poi passare a ‘Bacio alle palestre’  in quelli di romanticismo fino a ‘Figli perfetti’ in cui fantasticavo sui possibili nomi per i miei futuri figli che si potessero abbinare al suo cognome.
 Puntualmente però i film non finivano mai, anche perché si ripeteva sempre la scena più bella. Probabilmente gli spettatori del mio cinema personale si erano stufati di mangiare pop corn al burro e a guardare sempre la stessa vicenda ed erano scappati via urlando, magari diretti in un altro cinema che proiettava Gozzilla.
 
E così era arrivato il sabato. Con i piedi piantati a terra come se fossero due macigni, l’asciugamano arrotolato intorno ai lunghi capelli biondi appena lavati.  Fissavo schifata l’armadio, come se dentro vi fossero chissà quali mostruosi oggetti di tortura. “E così ci rincontriamo.” Dissi rivolta all’armadio aperto. Le palle di fieno rotolavano intorno a noi e il vento del deserto soffiava forte. La musica western riecheggiava di sottofondo e l’armadio aveva la pistola carica pronta a sparare.
 
“Che cazzo mi metto?”  Dissi con un’espressione interrogativa. Estrassi un paio di leggings neri, una canotta bianca e una maglia a maniche corte con fantasia “galassia” che lasciava scoperta una spalla. Molto tranquilla per una serata in discoteca. Mi preparai in fretta.
Feci appena in tempo a finire di farmi la piastra che arrivò Tamara. I sui ci avrebbero portato allo Scalo 23 discoteca poco lontana da casa, giusto a 10 minuti di macchina.

In auto c’erano anche suo fratello e Gian Marco, il primo seduto davanti e il secondo vicino a me. Dopo aver salutato le persone nell’abitacolo ed essere usciti dal vialetto di casa mia non potei non intrattenere una conversazione con il ragazzo vicino a me. “Gian che bello rivederti! Allora com’è andata a Londra? Lo sai che mi dovrai raccontare tutto vero?” Dissi allegra. Sul suo dolce viso si stampò un dolcissimo sorriso un po’ imbarazzato. “Hem, certo, assolutamente! Ah è una città bellissima Camille, mi sarebbe piaciuto che ci fossi stata anche tu.”
Non so come mai ma notai un lieve rossore sulle sue gote in quel momento.
“ Ti ho portato anche una cosa.” Una cosa? Inarcai le sopracciglia. Feci per chiedergli di che cosa si trattava ma il padre di Tamara mi chiese delle notizie su mio fratello, facendomi  dimenticare cosa dovevo chiedere a Gian Marco.
 
Entrammo verso mezzanotte. Non era molto grande, la sala da ballo era discreta e a lato di essa vi erano dei divanetti color mattone di finta pelle dove si ammassava la gente che aveva prenotato il tavolo. C’erano dei ragazzi bellissimi da ogni parte. Alcuni ridevano tra loro, altri ballavano e incitavano il DJ. Perché non c’erano ragazzi del genere nella mia scuola? No, non era del tutto vero, uno ce n’era. Arrossii nella penombra delle luci viola psichedeliche.
 
In quel momento di imbarazzo sbocciato dal nulla, mi voltai lievemente e vidi che Gian Marco mi stava guardando. Gli occhi nocciola e la bocca socchiusa. Non feci in tempo a formulare un pensiero che Tamara mi prese per mano e mi trascinò in pista. C’erano anche Ludovica, Giulia e Lucrezia in mezzo alla folla e le abbracciai dolcemente. Ludovica provò a dirmi qualche cosa ma non capii per via della musica troppo alta.
Ballammo tutti insieme, le mani in alto, i sorrisi complici. Due ragazzi mi chiesero di ballare, ma dopo una canzone mi liberai di loro perché in quel momento volevo solo restare con il mio gruppo di amici e basta.
Ed era ancora lì, lo sguardo di Gian Marco che cercava i miei occhi. Non capivo.
Mi sentivo continuamente osservata. Avevo qualche cosa sul viso?
 
Urlai ai ragazzi che mi serviva un boccata d’aria e che li avrei raggiunti più tardi. Annuirono, così  mi avviai verso la porta.
Mi feci strada tra qualche ragazzo e presso la porta sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Mi girai ed era Gian Marco, visibilmente imbarazzato. Avvicinò il suo viso pericolosamente al mio e con voce e sguardo fermo mi disse: “Ti devo parlare.”



*Angolo dell'autore*
Bene bene, eccomi qui. Adesso comincia a farsi interessante la vicenda... Lo avrete già intuito che sta succedendo qualche cosa di inaspettato per la nostra Camille, ma si vedrà meglio nel prossimo episodio. :3
Questo capitolo è un pochino più lungo perchè ho dovuto omettere qualche giorno della settimana e descrivere le sensazioni della protagonista in merito a ciò che era successo nei giorni precedenti. 
Mi scuso anche per il ritardo. Se trovate degli errori, mi scuso anche per quelli :D
Commentateeeee!
-Sel-
  
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