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Autore: xmariaria    27/01/2013    2 recensioni
Quei graffiti erano segni indelebili su quelle mura grigiastre di Brixton.
Si facevano chiamare i Common, cavalieri della notte. Prima o poi li beccherò.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: PWP | Contesto: Contesto generale/vago
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“Caspita ragazzi…vi rendete conto in che situazione state? I vostri voti fanno pena! Ma che avete intenzione di fare l’anno prossimo? L’università vi manderà fuori a calci nel sedere se continuerete così.’’
Stessa routine, stessi orari, vacanze natalizie che durano troppo poco, stesse parole di ogni santissimo anno, stessa pagella schifosa, stessa promozione. Ormai era diventato del tutto normale ascoltare quelle prediche, credevano davvero di cambiarci in quel modo? In classe a stento ascoltavo qualche stupida lezione di quei cretini pidocchiosi che credevano di potermi insegnare da vivere. E come sempre mi ero distratta per la millesima volta dopo quella giustissima osservazione.
“Aurora, cazzo! Quest’anno abbiamo il diploma e i miei voti fanno più schifo dei tuoi.’’ Guardai Stella con aria interessata, ma a chi voleva prendere in giro? Lei era la più brava della classe, non aveva mai avuto un rapporto, una nota, nulla. Sembrava quasi assente per tutti noi –compresa me e i miei soliti discorsi improvvisi che amava- in classe quando si trattava di dover prendere appunti.
“Scherzi, vero? Ma hai visto in che merda sto?’’ Abbassò lo sguardo dispiaciuta, forse avevo usato un tono leggermente alto e accusatorio…ma non era assolutamente mia intenzione fargli peso in qualunque modo. “Stella…tu sei la ragazza più capace che io abbia mai visto…chi è capace di studiare matematica in cinque minuti? Tu. Chi mi ha insegnato qualcosa di chimica? Tu. Non te ne rendi proprio conto? A tenerla una mente come la tua.’’ Le rassicurai di ogni cosa e come era suo solito fare, mi ringraziò gentilmente. A volte non capivo come poteva essermi amica: io ero l’esatto opposto.
La campanella suonò e mi salvò da un sonno profondo dalla quale non sarei riuscita a risvegliarmi facilmente. Controllai l’orario sul diario, e decisi di suicidarmi il prima possibile non appena scoprii che avevamo due intense e meravigliosissime –certo, per quei maschi che amavano tanto fare sport la mattina- di educazione fisica. La professoressa entrò in tuta, con degli occhiali da sole più grossi della sua testa –e fuori pioveva di gran lunga- e con un’energia mai vista in tutta la mia vita.
“Dai, sbrigatevi! Oggi giocheremo contro la sezione ‘F’…diamo il meglio ragazzi!’’ Ah…dimenticavo. Nella mia scuola c’erano le solite gare tra sezioni, una perdita di tempo visto che non si vinceva nulla. Come sempre, ero scelta per prima per il semplice motivo che la professoressa ha da sempre avuto un debole per me.
“Aurora…inizia a correre per fare riscaldamento. E a tutti voi: seguitela e cerchiamo di vincere questa partita!’’ Ad avercela una grinta come lei, signorina Lively.
“Aurora…sei più lenta di una tartaruga! E corri!’’ Lucas stava incollato dietro di me ed io sapevo benissimo a quale scopo: ha sempre amato i pantaloni da tuta che uso quando mi alleno. Quando stavamo insieme, prendeva questa scusa per toccarmi il sedere, ma con lui non c’era mai stato nulla di serio –la mia cotta su Kyle a quel tempo era incontrollabile-. Mi fermai d’improvviso accanto al muretto, lontano dalla professoressa e dai miei compagni di classe che correvano liberi come libellule in un prato. Che potevo farci se ero nata pigra? Mi accorsi solo dopo che mi trovavo nel lato del campo sbagliato, ma mica mi avrebbero ucciso per questo? E poi, di pallavolo e di squadre ci capivo quel che potevo. Vidi arrivare in lontananza tutta la sezione ‘F’ e sapevo benissimo che avrei ritrovato quel misterioso ragazzo. A pensarci bene, non l’avevo più rivisto dopo quel giorno.
Sentii in lontananza un “ ma dov’è finita Aurora?’’ della professoressa Lively, così fui costretta a correre verso di loro.
“Bel culo!’’ Qualcuno allungò di troppo la mano proprio mentre stavo passando e di certo non se la sarebbe cavata con una semplice occhiataccia. “Cazzo, lascia perdere!’’ Mi venne il batticuore a sentire che qualcuno si fosse importato di me. Un ragazzo che si lascia scappare l’opportunità di palp… “Palpalo direttamente, no?’’ Cos’è che avevo pensato prima nella mia inutile testa? Gentile, carino? Ma che avevo nella testa?
“Credi davvero che te lo avrei permesso?’’ Anche se dentro mi sentivo debole, da fuori c’era uno scudo sempre pronto a risucchiarsi ogni mia emozione, ogni mio timore. Ero impassibile.
“Non lo avrei fatto comunque, a te.’’ Quando mi girai per poter ribattere, vidi quel ragazzo. Mi zittii per la vergogna, mi era sembrato un tipo completamente diverso dal solito ninfomane ossessionato, invece ecco la solita storiella: lui ti fissa per farti capire che in qualche modo ti trova –forse- carina, poi ti ritrovi ad uscire con un mezzo pervertito col cervello più piccolo di quello di un criceto –ed i criceti hanno un cervello davvero piccolo-.
“Buona partita allora, e che vinca il migliore.’’ Alzò un sopracciglio, però…carino lo era e anche troppo. Ninfomane, ma carino.
“Vi stracceremo.’’ Disse, voltandosi sotto un ghigno divertito. Soliti maschi, pensai.
La professoressa Lively diede inizio alla partita con un fischio, presi la mia posizione e mi promisi di dare il meglio. Vedranno cosa siamo capaci di fare, lo vedranno eccome.
“Mia!’’ Urlai, quando vidi il pallone verso la mia direzione, mi alzai di scatto e feci il più bel passaggio di tutta la mia vita. Ma da quando io sapevo giocare a pallavolo? Insomma…ero da sempre la schiappa della classe in educazione fisica –come nelle altre materie, in pratica-. Facemmo punto, Brian mi corse da dietro e mi prese per i fianchi, fino a farmi innalzare in alto. “Bravissima principessa!’’ Principessa? Mi ero persa qualcosa in tutti quei cinque anni? Sorridevo come un ebete a quelle parole, amavo il fatto di poter essere al centro dell’attenzione e amavo dare il meglio di me, soprattutto se ti ritrovi a giocare contro un ragazzo per cui vale la pena scommettere. “Brian…mettimi giù adesso, dai.’’ Lo implorai continuando a ridere, stavamo iniziando a fare troppo scena e non mi piaceva farmi vedere in quel modo da tutti con una gran bella vista da sotto. Solo quando poggiai i piedi per terra, ritrovai lo sguardo del ragazzo misterioso. Scosse la testa, probabilmente non accettava il fatto che una schiappa come me che a stento riusciva a correre, avesse fatto vincere la sua squadra. Strano persino a crederlo.
Quando ritornammo negli spogliatoi per cambiarci, mi accorsi di quanto fossi sudata. Era impossibile indossare il jeans con quelle gambe sudate e non avevo tempo per una frettolosa rinfrescata. Erano tutti rientrati in classe, e come sempre ero l’ultima a lasciare la palestra. Di solito mi trattenevo perché odiavo rimanere con quella strana sensazione di sporco che mi dava il sudore e di conseguenza facevo di tutto pur di darmi una bella pulita. Sentii la porta aprirsi di poco e richiudersi con un tonfo, sarà stato qualche cretino che si aspettava di trovarsi una dozzina di ragazze nude ai suoi piedi. Quando uscii trovai accartocciato un bigliettino; presa dalla curiosità lo raccolsi e lo aprii strada facendo verso classe.

 
“Auri…ti vedo così agitata, qualcosa che non va? Abbiamo vinto!’’ Mi disse Stella aggrappandosi al mio collo, rischiava di strozzarmi se avrebbe continuato ad abbracciarmi in quel modo! Le risposi con una scrollata di spalla e un sorriso appena accennato.
“Ok, è successo qualcosa.’’ Mi disse decisa, ormai mi conosceva davvero sin troppo bene. Le porsi il biglietto senza spiegazioni, intimorita.
“Oh mio Dio! Ma è grandioso. Insomma, qualche ragazzo che ti noti…non sei eccitata da morire? E quando vorrebbe incontrarti questo tipo?’’ Cosa c’era di bello nel trovare un biglietto carinissimo negli spogliatoi dopo aver litigato e provocato due ragazzi della squadra opposta?
“Ho provocato due ragazzi prima…so già a che gioco vogliono giocare. Comunque l’appuntamento è stasera.’’
“Quanto la fai lunga! Tu stasera ci andrai. Prendila come una pausa-studio.’’ Mi mandò un bacio da lontano, ricambiai il saluto con un sorriso finto quanto una Barbie di Bea.
                                                                                                *

“Beatrice! Cazzo, ridammi le vans!’’
“Non mi prendi! Non mi prendi!’’ Qualcuno mantenga il mio istinto contro quella piccola peste. Era sempre la solita: fregava la mia roba per poi giocarci. Quella serata si era messa male a prescindere, non avevo voglia di uscire eppure ero obbligata da Stella e un po’ temevo che potesse essere Kyle per vendicarsi o robe del genere.
“Tornerò presto, mamma non saprà nulla…ok?’’ Cacciai una barretta di cioccolata, un ottimo ricatto per una stupida bambina di sei anni. Mi sorrise e mi promise che quell’uscita sarebbe stata assolutamente segreta. I miei lavoravano come infermieri ospedalieri ed era raro vederli tranquilli in casa, erano sempre frettolosi e a stento salutavano. Quindi, in fin dei conti, non sarebbe stato un problema la mia uscita…ma sempre meglio essere prudenti. Aspettai Stella, che avrebbe fatto da baby-sitter a mia sorella; le diedi la mia benedizione, una pesta come Bea non si sarebbe fermata davanti ad una perfetta estranea per lei.
                                                                                              

Atlantic Road. Tardi pomeriggio. Perfetto, ero persino in anticipo –cosa assolutamente impressionante, sono sempre stata in ritardo-! Mi accomodai accanto ad un muretto, si stava facendo buio e temevo di già il peggio.
“Signorina Adams?’’ “Dipende da chi vuole saperlo.’’ Era la solita risposta da film che ho sempre desiderato dare. Forza, sapevo di essere una stronza, dovevo solo applicarmi e sforzarmi di esserlo un po’ di più e il gioco era fatto!
“Ah, classiche battutine da donne.’’ Feci per girarmi, quando mi bloccò. E sapevo che soltanto delle persone non volevano farsi vedere in quei dintorni. E quelle persone erano i Common.
“Common?’’ “Intelligente, mi chiedo come tu abbia fatto a sapere di noi quella sera. Senti…ti dirò una cosa che andrà rispettata una volta per tutte.’’ Quella sera. Numerosi flashback mi apparirono davanti agli occhi. La felpa, il tipo che mi aveva nascosta…
“Sei tu quello di quella notte?’’ Domandai, ignorando la sua proposta. Anche se quella voce era diversa, non era la stessa calda voce che sentii –anche se ci capii poco o niente- di quel sabato.
“No. Sono un amico. Rivorrebbe indietro la sua felpa…sai, ha un legame affettivo per tutti noi.’’
“Non l’ho mica portata con me, adesso! Domani, qui, stessa ora e sarà di nuovo sua. Ma prima di andartene, promettimi che ci sarà il vero proprietario a riprenderla. Vorrei ringraziarlo, ti prego.’’ Pur non vedendolo di faccia, mi accorsi che sorrideva. Quello sarebbe stato un sì? Mi era sembrato così…carino e dolce con me quella sera, come avrei potuto far finta di nulla? La cosa a cui non trovavo ancora risposta, era perché non si fosse presentato lui stesso. La conferma che i Common facevano parte della mia scuola era sempre più vicina: scritte sui banchi della mia classe, graffiti fuori scuola, silenzio degli studenti, il bigliettino nello spogliatoio stamattina…Tutto coincideva.
Mi rilassai solo con un caffè da Starbucks, che gustai durante tutto il ritorno a casa; ne comprai uno anche per Stella, mi avrebbe uccisa se non lo avessi fatto. Anzi, credo che mi ucciderà a prescindere per questo pomeriggio con quella peste. Rientrai stanca e mi gettai sul divano, porsi il caffè a Stella e notai che per la prima volta, la mia casa era davvero tranquilla.
“Bea dorme?’’ Annuì, rilassai tutti i muscoli e prima ancora che mi chiedesse dell’appuntamento, le spiegai ogni cosa, compreso di quel sabato e di quell’incontro che le tenni nascosta.
“Che hai intenzione di fare? Insomma…non vorresti scoprire cosa c’è dietro tutto questo?’’
“Non lo lascerò andar via. Se la felpa ha un valore affettivo per lui, farebbe qualsiasi cosa per riprendersela, no? E quando la prenderà, mi volterò e gli toglierò il berretto.’’ Risposi decisa alla domanda di Stella. Sì, desideravo da star male scoprire ogni cosa di loro. E poi, so per certo che frequentano la nostra scuola. Troppe coincidenze, troppi sguardi maliziosi, non mi sarà di certo scappato anche stavolta.
Solo quando Stella mi lasciò sola, decisi di farmi una doccia calda e di buttarmi sotto il piumone per un po’ di adeguato riposo. Ancora in accappatoio, aprii lentamente la porta della mia camera, ma vedendo una stranissima ombra accanto alla finestra, scivolai contro il comò e mi ritrovai per terra con le gambe che mi dolevano. “Ahia.’’ Urlai, non riuscivo neppure a trattenere quel dolore, era impossibile mantenere la calma. Ed ogni volta che provavo ad alzarmi, sprofondavo di nuovo per terra, facendomi ancora più male.
“Cazzo, ti sei fatta male?’’ Avevo sentito una voce? C’era qualcuno in quella stanza? Ero troppo lontana per accendere la luce, ero troppo indebolita per poter scalciare verso qualcuno che si avvicinava a me, ero troppo impaurita per gridare, anche se dentro morivo.
“Sono venuto solo a riprendere ciò che è mio.’’ Rabbrividii. Quella voce. La stessa di stamattina alla partita che , maliziosamente, aveva cercato di provocarmi, la stessa voce che mi avvolse in quella notte di freddo. Common.
“Che c’è, hai la lingua tagliata per caso?’’
“Oh. Mio. Dio.’’ Riuscii a dire semplicemente, non sapevo perché era venuto. Come faceva a conoscere casa mia? E il suo amico non lo aveva avvisato di quel “patto”? Come è entrato in camera mia se ho lasciato la finestra chiusa? Tutto questo era assurdo. Avevo sbattuto la testa? Tutte queste domande non avevano neppure una vera risposta. Nulla sembrava reale.
“Cazzo, rispondi? Ti sei fatta male?’’
Gli porsi la gamba dolente semplicemente e quando si chinò per osservare meglio, afferrai il suo viso con le mie morbidi mani e lo portai su, verso di me. Mi avvicinai a lui, anche se ogni mossa era un enorme sforzo di dolore per le mie ossa. Nulla. Non riuscivo ad intravedere nulla, erano appena le otto di sera ed era già buio fondo.
“Chi sei?’’ Gli chiesi, iniziavo ad abituarmi al buio e i suoi lineamenti erano quasi chiari, ma non ero lucida al momento e non mi sarei assicurata di nulla.
“Lo sai già questo.’’ “La tua felpa è sotto al mio letto.’’ Aggiunsi, quasi piagnucolando per il dolore.
Gattonai fino ad arrivare all’entrata della mia camera. Stavo per accendere la luce, quando un forte risentimento mi si morì dentro. Ma non potevo, allo stesso tempo, lasciarmi scappare un’opportunità del genere. Sarei stata una sciocca.
“Posso sapere chi sei? Ti prego.’’
“Lo vuoi davvero?’’ Ero sicura che stesse sorridendo, non era stato così difficile allora.
“Sì.’’
“Che aspetti ad accendere la luce?’’ C’era qualcosa di troppo banale in tutto quello, eppure lo feci: accesi la luce. Lo stomaco mangiò ancora una volta tutte le mie emozioni, lasciandomi in silenzio. Il dolore era scomparso, c’era qualcosa di più forte che mi moriva dentro adesso.




 
Spazio d’autrice.
Con un ritardo mostruoso, eccovi il nuovo capitolo. Non so davvero come scusarmi, ho avuto problemi di connessione, sono stata un mese con un altro pc, ho avuto anche dei piccoli problemi personali che mi hanno spinta a questo ritardo. Spero davvero che mi perdoniate, non ho smesso di pensare neppure per un giorno a questa storia, e il capitolo l’ho scritto verso i primi di Gennaio, ma solo adesso ho avuto tempo per ricontrollare e spero sia tutto al proprio posto. Fa pena, lo so, non sono riuscita a far di meglio! Scusatemi ancora, tantissimo. Non vi assicuro un aggiornamento velocissimo adesso, però credo che tra qualche settimana pubblicherò già il prossimo, visto che so già come continuarla.
Grazie mille per le vostre meravigliose recensioni, spero davvero che non mi abbandoniate proprio adesso! Un bacione.
Maria.
   
 
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