Fanfic su attori > Josh Hutcherson
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Autore: IlariaJH    27/01/2013    7 recensioni
Appena tirata su, la colazione perde tutta la sua importanza. Non sento più l’odore di brioches e caffè. Non presto nemmeno attenzione al mio stomaco che continua a brontolare dalla fame. Sono seduta davanti all’attore per cui ho una cotta da quando avevo sedici anni. Sono seduta davanti a Josh Hutcherson.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: PWP
Capitoli:
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Here comes the sun.

Little Darling, the smiles returning to their face,
Little Darling, it seems like years since it’s been here.
Here comes the sun,
Here comes the sun, and I say:
It’s all right.
The Beatles – Here comes the sun.

 

 
 

Mi ritrovo con una benda legata davanti agli occhi, aggrappata letteralmente alla mano di Josh che continua a non volermi dire dove stiamo andando. Cerco di toccare qualcosa attorno a me, ma lui mi prende entrambe le mani, impedendomi qualsiasi movimento. Mi sta facendo innervosire. Ho quasi paura che voglia davvero trascinarmi tra i vialetti di Central Park.
«Mi dici dove stiamo andando?!» chiedo, acida.
Non posso nemmeno vedere che faccia sta facendo! Mi sento impotente. Il pavimento sotto di me si muove con un leggero strattone, e incominciamo a muoverci. Perdo l’equilibrio, ma cerco di tenermi stretta a Josh, che scoppia ridere divertito. Mi giro verso il suono della sua risata, vestendomi del mio sguardo assassino, ma poi mi ricordo che ho una benda davanti agli occhi.
«Sono da questa parte.» dice prendendomi il mento tra l’indice e il pollice e facendomi girare la testa dalla parte opposta rispetto a dove avevo rivolto il viso. «E, se non te ne fossi accorta, siamo in ascensore.»
Faccio una smorfia con la bocca. Sicuramente quella la può vedere. Muovo la testa, in modo da sfuggire alla sua presa sul mio mento. Riesco a immaginarmelo mentre sorride tutto goduto della mia acidità. Già odio le sorprese di mio, in più se ci si mette anche lui!
«Ma pensa!» dico, sempre con lo stesso tono acido. «Grazie, Josh. Proprio non mi ero accorta che mi hai portato in ascensore! Sai, spero che la tua sorpresa non consista nel portarmi trai vialetti di Central Park, perché sto seriamente pensando di scaricarti e se tu continui…»
Non mi lascia finire. Mi posa un dito sulle labbra, mentre ride.
«Giuro.» dice con tono divertito. «La prossima volta ti lascio in camera da sola!»
Sbuffo e cerco di mordergli il dito, ma lui lo sposta prontamente dalle mie labbra e si mette a ridere. Vorrei non avere la benda sugli occhi solo per potergli lanciare un’occhiataccia. Provo a sottrarre dalla sua presa ferrea una mano, per spostare la benda, ma, ovviamente, tronca anche quel mio tentativo.
«Stai ferma!» mi rimprovera. Sento ancora quel tono divertito. Inizio a non sopportarlo. «Dobbiamo scendere. Vieni.»
Gli faccio la lingua, ma poi mi lascio guidare senza dire niente. Mi fa camminare per un po’. Sento il rumore delle nostre scarpe sul parquet dei corridoi dell’albergo. Ad un tratto si ferma e io vado a sbattere contro di lui. Rivoglio la mia vista!
«Potresti evitare di fermarti di botto?!» sbotto ancora inacidita. «Sai com’è, non ci vedo!»
Già me lo immagino, mentre alza gli occhi al cielo e poi mi guarda sorridente.
«Quanto sei fastidiosa..!» borbotta, ancora tutto goduto.
Sbuffo. «Ti ho sentito, sai?» Non mi degna di risposta. «Sarò anche momentaneamente cieca, ma non sono sorda!»
In tutta risposta, lo sento aprire una porta alla mia destra, o almeno credo. Non sono molto sicura che il mio udito funzioni ancora a dovere, visto che sull’ascensore mi sono girata dalla parte opposta rispetto a dove stava Josh. Infatti, lui mi tira verso la mia sinistra. Sono un disastro! In meno di un millisecondo, da caldo in stile Bahamas, passiamo a un freddo in stile Polo Sud. Un brivido mi percorre la schiena, facendomi tremare.
«Dove diavolo mi stai portando?!» gli dico battendo i denti, mentre lui comincia di nuovo a trascinarmi.
Camminiamo per qualche metro, immagino. Poi lui si ferma. Gli vado di nuovo addosso. Sto per mettermi a brontolare un’altra volta, ma lui parla prima che possa farlo io.
«Ci sono delle scale.» mi dice, già divertito al pensiero di vedermi salire le scale con una benda sugli occhi. «Puoi farcela, o vuoi che ti porti in braccio?»
Mi sta prendendo in giro. Lo sento dal suo tono di voce, così simile a quello di Connor quando decide che deve rompermi le scatole. Faccio un passo in avanti, come a minacciare di andarmene senza di lui. Giro la testa verso il lato opposto a quello da cui mi sembra provenire la sua voce, anche se sono convinta di aver sbagliato un’altra volta. Infatti sento il suo respiro a pochi centimetri dal viso. Faccio una smorfia.
«Ce la faccio da sola.» dico facendo un altro passo in avanti, ma andando a sbattere contro un gradino e sentendo una fitta di dolore. Lo sento che scoppia a ridere, ma non demordo. «Vogliamo andare?»
Mi fa salire un gradino. «Ma certo, Vostra Maestà!»
«Grazie.» dico acida salendone un altro, complimentandomi con me stessa per non essere inciampata.
Una voce nella mia testa mi ricorda che non so ancora dove stiamo andando, e che quindi tre gradini non sono chissà quale traguardo, ma non mi lascio buttare giù. Chiudo la voce in un angolino e faccio festa ogni volta che supero indenne un gradino che minacciava di farmi finire male. Josh non dice più niente. Quando superiamo il primo piano decide di farmelo presente, ma notando che rischio di morire ad ogni passo, decide di stare zitto. Lo sento soffocare qualche risata, quando inciampo e mi deve sostenere.    
«Perché non posso togliermi la benda solo per salire le scale?» gli chiedo, facendo la voce da cucciolo indifeso.
«Stai scherzando?!» mi prende in giro fingendosi scioccato. «E perdermi questo spettacolo?! Tu non ti immagini nemmeno quanto io mi stia divertendo!»
Mi fermo un attimo per mostrargli tutto il mio disappunto.
«Idiota…» sbuffo, ma inciampo. Mi prende al volo e mi tiene in piedi.
Mi fermo un attimo per riprendere il mio normale baricentro. Poi mi rivolgo verso le sue risate.
«Vedi?!» ma lui mi prende di nuovo il mento per farmi girare la testa. «Se solo tu mi togliessi la benda…»
Mi zittisce all’improvviso. Mi bacia e, prima che io possa ricominciare a lamentarmi o fare qualsiasi altra cosa, mi mette un braccio attorno alle gambe e mi tira su di peso, facendomi appoggiare sulla sua spalla.
«Hei!» grido scioccata.
Prendo a tiragli pugni sulla schiena, ma lui non mi molla.
«Mettimi giù!» grido, mentre comincia a salire le scale. Sento tutto ballare e ho paura che mi venga il vomito. «Mettimi giù, subito!»
Ovviamente, continua a salire le scale.
«Te l’hanno mai detto che sei davvero noiosa?!» dice divertito. Non aspetta nemmeno una mia risposta, che comunque non otterrebbe perché gli rispondo con uno sbuffo. «Adesso smettila di tirarmi i pugni e fai la brava.»
Gli rispondo con un altro sbuffo.
«E prova a toglierti quella benda e ti porto davvero nel centro di Central Park e ti lascio lì!» mi minaccia.
Rabbrividisco, anche se so benissimo che non lo farebbe mai. Comunque decido di non togliermi la benda. Voglio proprio vedere che diavoleria si è inventato…
 
Quando finalmente mi rimette giù mi sento come se tutto attorno a me si muovesse. Su e giù. A onda. Mi tengo un attimo al suo braccio, per riprendermi, poi ricomincio a brontolare.
«Adesso ti tolgo la benda, sì!» sbuffa, leggermente stufo di sentirmi lamentare.
Ci metto un po’ per mettere a fuoco quello che c’è davanti a me. La mia bocca si spalanca in una “O” meravigliata. Sento la felicità invadermi.
«Wow.» è tutto quello che riesco a dire.
Sento Josh ridere accanto a me, mentre guarda l’effetto che fa la sua sorpresa.
«Sorpresa!» dice felice, prendendomi per mano.
L’acidità provata per tutto il tragitto svanisce tutta d’un colpo.
«Lo so che tutto questo di vede anche dalla finestra della stanza.» sembra quasi che si stia scusando. «Ma da quassù si vedono anche le stelle!»
Dalle sue parole capisco che siamo saliti sul tetto dell’albergo.
Davanti ai miei occhi, una distesa infinita di luci di tutti i colori fanno a gara a chi brilla di più. Ho già visto tutto questo dalla finestra della stanza, ma quassù, al freddo, sapendo che è severamente vietato oltrepassare la soglia dalla quale siamo venuti, ha tutto un altro prezzo. Alzo lo sguardo verso il cielo e vedo la luna e le stelle. L’inquinamento luminoso di New York ne copre buona parte, ma il cielo ne è comunque pieno. Non c’è nemmeno una nuvola, perciò tutto brilla. Ovunque io guardi, verso il basso o verso l’alto, tutto risplende.
«Ti piace?» mi chiede, dopo aver steso per terra il plaid sottratto dalla stanza d’albergo.
Non so che dire. Tutto è troppo bello per essere vero. E’ come se stessi sognando. Per precauzione chiudo gli occhi e mi tiro un pizzicotto ma, quando li riapro, sono ancora qua, sul tetto di un palazzo altissimo a guardare dall’alto la città. E’ fantastico!
Mi giro verso Josh, adesso che riesco a vedere ruoto la testa dalla parte giusta, e gli sorrido.
Annuisco. «Anche se non mi è piaciuto per niente il tragitto.» lo prendo in giro.
Lui mi fa la lingua, poi si siede sul plaid, facendo sedere anche me.
Rimaniamo in silenzio per un po’. Mi stringo le gambe al petto e contemplo le stelle. Dopo una giornata meravigliosa come questa, sembra che brillino di una luce diversa. La luna è piena, e sembra ancora più bella del solito.
«Piaciuta New York?» mi chiede dopo un po’, distraendomi dalla mia contemplazione senza pensieri.
Senza distogliere lo sguardo dalle stelle, inizio a raccontargli tutto quello che è successo durante il pomeriggio con Jimmy. Mi soffermo a raccontargli del servizio fotografico alle papere e dei piani che spuntavano come funghi mentre eravamo da Tiffany & Co. Mi animo talmente tanto, che comincio a gesticolare e mi distraggo dalle stelle. Abbasso lo sguardo su di lui, mentre gli racconto tutto quello che provavo mentre passeggiavamo per Times Square. Mentre parlo, mi sembra di tornare a rivivere quei momenti fantastici. Lui mi sorride, come sorriderebbe una maestra al suo alunno che gli racconta animatamente quello che gli piace fare quando è a casa. In effetti, mi sento un po’ una bambina. Ma questo è tutto quello che ho sempre desiderato. Sono i sogni di una vita che si avverano. Magari, non avevo desiderato visitare New York a braccetto con uno stilista un po’ pazzo, nel senso affettivo del termine, e con la consapevolezza che il mio ragazzo è alla premiere del suo nuovo film, ma anche così va benissimo!
Quando finisco, è il suo turno  di raccontarmi della premiere.
«Sempre le solite cose.» dice alzando lo sguardo verso le stelle. «Mancava la tua presenza…» si ferma un attimo. Cerco di elaborare qualcosa di carino da dire, ma lui riprende a parlare. «In compenso, ho incontrato Robin Williams, l’attore.»
Spalanco gli occhi, scioccata. E anche invidiosa. Lui si accorge della mia espressione e torna a guardarmi con un sorriso divertito stampato in faccia.
«Tu hai incontrato chi?!» dico, certa di aver sentito male.
Ride della mia reazione. «Robin Williams.»
I miei occhi si spalancano ancora di più, se è possibile, e la mia bocca si apre in una “O” ancora più grande di quella che avevo fatto quando Josh mi aveva tolto la benda.
Ho sempre amato Robin Williams, nonostante potrebbe essere mio nonno. Il film che mi aveva fatta innamorare, senza vie di scampo, di lui era stato “Hook – Capitano Uncino” e da allora avevo visto tutti i suoi film, senza eccezioni. Mi ricordo che un Natale, avevo sui tredici anni, avevo chiesto ai miei di regalarmi Robin Williams. Mio padre non si era pronunciato, mentre mi madre mi aveva guardata scioccata dicendo “Trovatene uno della tua età. E’ troppo vecchio.” Come se avessero potuto davvero regalarmi Robin Williams! Ovviamente, però, io non lo volevo in quel senso. Volevo solo conoscerlo, perché mi ritrovavo a fantasticare su giornate passate assieme a un nonno come lui. Mentre lo racconto a Josh, lui mi guarda come se fossi pazza e allo stesso tempo come se stessi raccontando la cosa più tenera di questo mondo.
«Ti odio.» concludo mettendo su un finto broncio.
Avrei voluto essere lì solo per incontrare quel mito di Robin Williams. Lui si mette a ridere, sdraiandosi sul plaid e tirando giù anche me, che sto ancora cercando di tenergli il broncio.
«Sai, non è colpa mia se l’ho incontrato senza di te.» dice solleticandomi la guancia con il naso.
Cerco di nascondere il sorriso, ma poi inizia a farmi il solletico e scoppio a ridere.
«Almeno dimmi com’è!» gli dico, girandomi a pancia in giù per guardarlo in faccia. «E’ simpatico?»
«E’ simpatico.» dice tenendomi sulle spine, accarezzandomi la schiena.
Apre la bocca per dire qualcos’altro, ma non lo lascio finire.
«Cosa vi siete detti?» gli dico, spronandolo a parlare.
«Siamo attori.» alza le spalle, come se fosse una spiegazione più che sufficiente. Alzo un sopracciglio, non contenta. «Abbiamo parlato che fare un film assieme sarebbe fantastico. Così gli ho detto che tra poco inizieranno i provini per il nuovo “Journey” e lui ha detto che ci penserà.»
Sento il mio spirito da fan farsi strada dentro di me e scoppiare.
«OH MIO DIO!» mi metto a urlare tirandomi su a sedere sorridendo come un ebete. «Farai un film con Robin Williams! MA CI CREDI?! Voglio venire sul set. Me lo devi assolutamente presentare! Dio, Josh Hutcherson e Robin Williams! Posso morire in pace.»
Lui mi guarda ridendo.
«Non è ancora detto…» tenta di riportarmi alla realtà.
Gli impedisco di finire la frase con un gesto della mano. «Quell’uomo è un mito! Chiunque con un po’ di cervello lo prenderebbe in un qualsiasi cast, per un qualsiasi film.» dico, come se non ammettessi repliche da parte sua.
«Dipende dal tipo di personaggio che deve interpretare…» cerca ancora di dire.
Gli lancio un’occhiataccia. Una che riassume bene anche tutte quelle che gli avrei voluto lanciare durante il tragitto fin quassù.
«La finisci di cercare di mettere fine al mio stato di fangirlamento?!» gli dico puntandogli minacciosamente il dito contro.
Mi guarda, scioccato dalla parola “fangirlamento”, ma evita di chiedere spiegazioni.
«Mi abituerò mai al fatto che sei ancora una fan, nel profondo?» si tira su e mi attira a se.
Lo guardo negli occhi e poi gli faccio la lingua.
Torniamo a guardare le stelle, mentre continuo a pensare al fatto che tra qualche mese potrei accompagnare Josh alle riprese del suo nuovo film e a svenire davanti a Robin Williams. Perché è questo che succederebbe. Potrei dare di matto o svenire o magari iniziare a tirarmi pizzicotti a tutto andare. Vengo riportata alla realtà dalla testa di Josh che si posa sulla mia spalla. Sempre che di realtà si possa parlare.
«Sai, dovrebbero scoprire una nuova galassia e chiamarla col tuo nome.» dice all’improvviso. Inutile dire che avvampo. Fortunatamente è buio. «Io lo farei.»
Mi sento imbarazzata. Vorrei dirgli qualcosa di dolce, ma non mi viene in mente niente. Non credo che lui si aspetti una risposta ma, dopotutto, mi ha fatto questa sorpresa stupenda e si è subito tutti le mie brontolate. E adesso è tornato ad essere il solito, inguaribile, romantico.
«Allora meno male che tu non sei un astronomo.» dico, dandogli una leggere spallata.
Lui mi guarda, un po’ confuso.
«Hai rovinato l’atmosfera romantica!» dice, senza riuscire a trattenersi dal sorridere.
Rido, mentre mi stringe e mi scompiglia i capelli. Cerco di ribellarmi, ma lui mi tiene stretta.
«E’ la giusta punizione!» dice ridendo.
Ridiamo e poi, lentamente, cadiamo in un silenzio pieno di gioia. Continuiamo a guardare le stelle e la città che spazia davanti a noi. Da quando siamo saliti, credo che le stelle siano diventate di più, anche se non riesco a capire che ore siano. Il cielo, però, comincia ad essere meno scuro e mi chiedo perché Josh mi abbia portato quassù. Così, rompo il silenzio.
«Come mai siamo venuti qui?» gli chiedo, mentre un brivido, uno dei tanti, mi percorre la schiena.
Rimane per un attimo in silenzio, poi sorride raggiante.
«Oltre a farti una sorpresa…» dice lanciando uno sguardo al cielo. «Volevo vedere il sole sorgere su New York. Sono stato un sacco di volte qui, ma non l’ho mai visto.»
Io sto ancora guardando la città. E non posso tenermi dal commentare.
«Il tramonto sarebbe stato più romantico.» dico, prendendolo in giro.
Lui sembra sconcertato. Nel giro di poco ho rovinato due momenti ad altissimo livello di mielosità. Non so cosa mi prenda sta sera, ma non riesco a farne a meno.
«Cosa ti ha fato mangiare oggi, Jimmy?» dice, di nuovo con quel tono che mi ricorda tantissimo Connor. «Pane e simpatia? O hai passato troppo tempo con Connor? Perché questo sarebbe davvero un disastro.»
Scoppio a ridere, perché ha ragione. Ma, anche se con lui non mi sono mai comportata così, non mi sono mai sentita più me stessa in vita mia.
Sento gli occhi stanchi e non sono sicura che riuscirò a rimanere sveglia ancora per molto, in tempo per vedere l’alba. E, comunque, c’è una cosa che mi piacerebbe fare prima di addormentarmi…
«Sai cosa mi piacerebbe fare, adesso?» gli dico con un sorriso biricchino.
Mi guarda senza capire. Non gli do spiegazioni, ma mi alzo in piedi e vado verso la ringhiera che sta tutto attorno ai lati del palazzo. La afferro saldamente, guardo giù, mentre sento quell’adrenalina che soli i posti tanto in alto mi riescono a provocare. E’ una cosa che volevo fare da sempre. Da quando sognavo di venire a qui. L’avevo visto fare in qualche film, e da allora, avevo sempre sognato di salire su un palazzo, di sera, e farlo anche io. Come se fossi la protagonista di quel film che mi era tanto piaciuto.
Lancio un occhiata a Josh, che ancora mi guarda interrogativo e, adesso, anche un po’ preoccupato.
Gli sorrido, poi torno a guardare la città sotto di me e prendo aria.
«HEI GENTE! SONO A NEW YORK!» comincio a gridare con tutta l’aria che ho nei polmoni. «SONO A NEW YORK!»
Immagino che ci si senta così. Liberi. Felici. Come se la vita, dopotutto, non fosse così male come ti fanno credere che sia. Come le tue esperienze passate ti costringano a crederla. Come tutte le persone nel mondo, almeno una volta nella vita, la maledicano per esserlo. Per anni ho vissuto nell’oscurità. E ora? Ora sono qui. Sul tetto di un palazzo, a sorridere a tutte le disgrazie che mi sono capitate. A tutti i torti che la vita mi ha fatto. Sorrido, perché credo che, in un certo senso, tutto quello che ho vissuto abbia portato a questo. A questo momento. A questa felicità. A questa liberazione. A questa vita a cui, lentamente, sto cominciando ad abituarmi. Perché, prima o poi, dopo una caduta, ci si deve rialzare.
Comincio a ridere felice, e sento Josh che mi raggiunge.
«Non urlare!» mi sussurra scioccato. «Sveglierai tutto l’albergo.»
Ma io continuo a ridere.
«OOH-UUUH!» inizio a dondolarmi, tenendomi stretta alla ringhiera. «SONO A NEW YORK! Coraggio, Josh! Prova anche tu. E’ fantastico! SIAMO A NEW YORK!»
Mi guarda letteralmente scioccato. Penso che, per questa sera, io l’abbia scioccato abbastanza. Cerca di farmi allontanare dalla ringhiera e mi intima di fare silenzio, ma io continuo a urlare. E’ una sensazione stupenda. Perché dovrei preoccuparmi di svegliare l’albergo intero? Io sono a New York, e niente ha più importanza.
«Sssssh!» cerca ancora di farmi smettere Josh. «Sei impazzita?! Che ti prende?»
Gli prendo il viso tra le mani e lo guardo negli occhi. Poi lo attiro in un bacio, liberatorio quasi quanto l’urlare in cima a un palazzo. Non sono impazzita. Ho solo voglia di urlare e di essere felice e di baciarlo. Quando mi stacco, sembra essere più convinto. Mi riaggancio alla ringhiera e lui fa lo stesso. Incominciamo a urlare come pazzi. Godendoci tutto questo. Sento la voce che diventa un po’ roca, ma non mi importa.
«NEW YORK!»
Ma in quel momento, qualcuno apre la porta che da sul tetto.
«Che diavolo state combinando voi due quassù?» la voce di una guardia ci fa sobbalzare.
Ci stacchiamo dalla ringhiera con aria colpevole, cercando di trattenerci dallo scoppiare a ridere in faccia all’omone scuro di carnagione che ci scruta con aria minacciosa.
Ci riconduce nella nostra camera, guardando Josh senza credere veramente di avere davanti una star che ha appena pescato a urlare sul tetto dell’albergo. Ci minaccia con un dito di controllare la stanza e noi cerchiamo di rimanere seri ma, non appena chiudiamo la porta alle nostre spalle, scoppiamo a ridere come due bambini.
«Mi dispiace di averti fatto perdere l’alba.» dice, cercando di smettere di ridere.
Ma lui mi attira a se e comincia a baciarmi.
«Stai scherzando?!» mi guarda con un sorriso che gli illumina il volto. «E’ stata una delle migliori cose che io abbia mai fatto!»
Non capisco bene cosa succede dopo, ma mi ritrovo sdraiata sul letto, ancora sorridente, mentre sbottono la camicia di Josh.
 
La mattina seguente, all’aeroporto, ci dividiamo. Lui, prende il suo volo per Londra. Io, invece, il mio per Los Angeles. Mi piacerebbe andare con lui a Londra, la mia città preferita al mondo in assoluto, ma tra pochi giorni iniziano le sessioni degli esami, e devo assolutamente prendere il massimo in tutti quelli che ho deciso di dare. Per il resto, ho tempo fino a giugno!
Consapevoli che passeranno tre settimane prima che ci rivedremo, ci prendiamo un lungo momento per i saluti, consistenti in baci. Tanti baci.
Poi, però, il telefono di Josh squilla. E’ Janet, la manager, che, pronta per imbarcarsi, lo sta spettando. Lei non ammette ritardi di alcun genere, perciò dobbiamo separaci sul serio. Mi promette che mi chiamerà appena atterrato, ma gli dico di stare tranquillo. Dovrà riprendersi anche per il fuso orario, oltre che per il viaggio, e comunque io starò bene. Sempre che Connor non inizi a tormentarmi tanto da farmi pensare al suicidio, cosa che non è del tutto esclusa.
A Los Angeles il sole splende e il cielo è di un azzurro meraviglioso, senza nemmeno una nuvola. Quando arrivo in aeroporto, vedo, in lontananza, Connor che sorride. Ha un cartello che da lontano e senza occhiali o lenti a contatto non riesco a leggere. Man mano che mi avvicino, però, le lettere si fanno più chiare.
ROMPISCATOLE.
E’ sempre così tenero e gentile!
Gli arrivo vicino e, lanciando un’occhiataccia al cartello che tiene in mano, gli tiro un pugno sulla spalla.
«E’ bello sapere che le buone azioni sono sempre molto apprezzate.» dice, divertito.
Lo guardo con aria assassina.
«Che ti aspettavi?!» e con un gesto improvviso della mano gli faccio cadere il cartello.
Lui si china in fretta a raccoglierlo, lanciandomi un sguardo di disapprovazione.
«Hei!» mi dà una spinta leggera. «Ci ho messo un sacco di amore per preparare questo cartello! La prossima volta te la fai a piedi fino a casa.»
Scuoto la testa, ma sento un mezzo sorriso dipingersi sul mio viso. Lo seguo mentre si avvia a falcate verso la macchina, che scopro essere il fuoristrada di Josh. Almeno non ha preso la moto. Non credo che al fratello avrebbe fatto piacere.
Non appena usciamo dal parcheggio, inizio a pensare che forse avrei fatto meglio a farmela a piedi. Guida decisamente troppo da pazzo! Ogni curva, prego qualche anima buona che da lassù mi protegge, di non far sbandare la macchina per nessuna ragione al mondo. Quando arriviamo nel vialetto di casa, sani e salvi fortunatamente, mi viene voglia di baciare l’asfalto. Non lo faccio solo perché Connor non la smetterebbe di prendermi in giro per il resto della mia vita.
Nei giorni successivi, studio come non ho mai fatto in vita mia. Comincio a pentirmi di non aver fatto niente fino ad adesso, perché c’è davvero troppo da studiare. Contando che devo dare altri due esami oltre ad Anatomia, mi chiedo davvero perché ho temporeggiato fino ad adesso. Fortunatamente, per gli altri due ero già pronta, così devo solo più ripassare qualcosa che mi sfugge qua e là. Inizio a chiedere a Connor di ascoltarmi mentre ripeto quello che non riesco a farmi entrare in testa, visto che lui ha finito per ora e può prendersi una piccola vacanza. Non ho ancora capito bene cosa studia, ma è roba da geni, quindi non provo nemmeno a chiederglielo.
«Mi ascolti o ti fai i fatti tuoi?!» dico spazientita.
È la terza volta che dico una stupidaggine e che mi correggo da sola, mentre lui pasticcia sul suo portatile. Sto ripetendo Anatomia, per l’ennesima volta. Il problema è che ho troppa confusione in testa, e continuo a confondermi. E domani ho l’orale. Il che vuol dire che mi vedo male. Molto male.
«Non ho più voglia di sentirti.» dice sbuffando. «Me l’hai ripetuta già tre volte. La sai, cavolo!»
Alzo gli occhi al cielo. Non mi aiuta.
«Non la so.» dico appoggiando la testa sul tavolo, scoraggiata. «Se la sapessi non continuerei a dire stupidaggini!»
Lui sbuffa, e mi da una spinta, facendomi perdere l’equilibrio e quasi cadere dalla sedia.
«Per forza che dici stupidaggini!» dice afferrandomi per il braccio prima che io possa cadere. «Ormai, più la ripeti più ti confondi le idee.»
«Non è vero.» sbotto con uno strattone del braccio per liberarlo dalla sua presa. «Devo prendere il massimo dei voti. Non mi accontenterò di un 27 o un 28. Punto al 30.»
«Beh, fai come vuoi.» si rimette a pasticciare sul computer, lasciandomi alla mia testardaggine. «Ma non arriverai mai al 30 se continui così. Prenditi una pausa, chiama Josh, vai a portare a spasso Diesel e Nixon. Tutto, ma smettila di ripetere quella roba!»
Emetto un suono contrariato. Avevo voglia di prendermi una pausa, ma ogni volta che cerco di distrarmi mi torna in mente qualcosa che non mi ricordo, e vado in crisi. In più, non posso chiamare Josh, perché adesso starà sicuramente dormendo. Il programma prevede che passino alcuni giorni in ogni città dove si tiene una premiere, per poter partecipare a tutti gli eventi e per farli anche riposare dai viaggi, anche se viaggiano in aereo. In questi giorni sono a Parigi e, alcuni tra gli attori del cast, tra cui Josh, parteciperanno anche a una sfilata di moda, se ho ben capito. Ogni volta che ci sentiamo, lui è così stanco che dopo poco chiude la conversazione per andare a riposare. Gli fanno fare degli orari folli e pretendono che sia anche in forma smagliante per tutti gli eventi. È da pazzi!   
Non rispondo e mi avvio verso la dispensa per vedere se c’è qualcosa da mangiucchiare. Trovo la torta al cioccolato che sta mattina ha preparato Connor. Ne prendo una fetta bella grossa e torno a sedermi al tavolo, guardando un punto fisso nel vuoto e ripensando a quello che so e quello che non so.
«Lo sai che…» comincia a dire guardando la fetta di torta decisamente troppo grande.
Io lo fulmino con lo sguardo.
«… che dopo gli esami devo fare il servizio fotografico con Jimmy e che se scopre che mi abbuffo così tanto mi potrebbe uccidere.» finisco la frase per lui. «Sì lo so, ma sono in tensione. E poi esiste Photoshop apposta!»
Lui alza gli occhi al cielo. Credo che non mi sopporti più. Avermi in giro per casa quando sono sotto esami deve essere peggio che provocarmi mentre sono in piena fase mestruale. Un suicidio, immagino. Mi chiedo come faccia ancora a sopportarmi. Da quando è diventato così paziente?
Distraggo la testa, momentaneamente, dai miei esami, fissando Connor che batte le dita sulla tastiera del suo portatile. Sento un’improvvisa voglia di scoprire cosa sta facendo. Inclino leggermente il capo e, senza dare nell’occhio, mi chino un po’ per riuscire a vedere il monitor, ma lui si accorge che voglio sbirciare. Chiude le finestre aperte prima che io possa fare qualsiasi cosa. Mi guarda, alzando un sopracciglio.
«Semplice curiosità.» dico fingendomi innocente.
Sposta il portatile lontano dal mio sguardo e si allontana un po’.
«Non sono affari tuoi.» il suo tono non ammette discussioni.
Gli faccio una smorfia e torno a mangiare la mia fetta di torta. Dopo un po’, però, la curiosità mi prende talmente tanto che non riesco a starmene zitta sentendo le sue dita battere sulla tastiera con velocità.
«Oh, andiamo!» sbotto cercando di avvicinarmi. «Fammi dare un’occhiata. Sono solo curiosa!»
Lui corruga la fronte, e allontana di nuovo il portatile.
«No.» dice, guardandomi un po’ contrariato dalla mia insistenza. «Non voglio che tu veda.»
Inclino la testa di lato, cercando di assumere un’espressione da cane bastonato per ottenere quello che voglio.
«Non fare quella faccia, sai?» ha ancora la fronte aggrottata. «Sono cose private.»
Scoppio a ridere, senza riuscire a trattenermi.
«E cosa staresti scrivendo di così privato?» dico scettica. «Le tue memorie? Hai un diario segreto?» non riesco a trattenermi dal ridere al pensiero di Connor che scrive il suo diario segreto come una teenager. Poi, però, ho un’illuminazione. «Aspetta… stai scrivendo alla tua ragazza?»
Una mezza smorfia si impossessa del suo viso e fa per tornare a scrivere, ma ormai sono certa di aver indovinato.
«Oddio!» dico saltando in piedi dalla sedia, sentendomi contenta per lui, sorpresa per il fatto che abbia una ragazza e con la voglia di prenderlo in giro perché si comporta come un’adolescente alle prime armi. «Hai davvero una ragazza?! Connor! Perché non me l’hai detto?!»
Lui mi guarda scioccato e spazientito.
«Esattamente per questo.» dice, guardandomi saltellare tutta emozionata.
Mi emoziono così. Quando sento che le persone sono felici e hanno accanto la persona che si meritano, mi sento felice. Comincio a saltellare e, con le mani davanti alla bocca, inizio a fare versetti strani e incomprensibili. E’ una cosa bella, il fatto che Connor sia così scontroso solo con me. Il fatto che abbia una ragazza. Sono felice!
«E comunque non ho una ragazza.» dice, riaprendo tutte le finestre. Tanto ormai è inutile continuare a nascondermi cosa sta facendo.
Rimango un po’ delusa da quest’ultima affermazione, anche se non sono del tutto convinta che lui non mi stia nascondendo qualcosa. Mi avvicino e guardo il monitor. C’è una foto. una bellissima foto luminosa che riprende due persone. La prima è Connor. Non sembra tanto vecchia come foto, perché è uguale a come è adesso. Sorride, felice. Al suo fianco c’è una bellissima ragazza, anche lei sorridente. Bellissima, credo sia poco. Ha occhi azzurri e capelli biondissimi legati in una treccia fatta a caso. Ma a lei sta benissimo. E’ magra e slanciata. Non c’è niente che non vada in lei. Non un brufolo, non un’imperfezione. La ragazza perfetta. Mi fa sentire male. Confronto a lei, mi sento decisamente brutta. Non che normalmente io mi creda la ragazza più bella del mondo, ma ultimamente avevo cominciato ad avere un po’ più di autostima nei miei confronti…
Connor mi riporta alla realtà, sospirando. Gli lancio un’occhiata veloce, senza farmi vedere. Ma non c’è pericolo che lui mi stia guardando, ha occhi solo per la ragazza nella foto. Come se in quel momento stesse guardando una dea. E, più o meno, è quello che sembra di guardare…
«E allora lei chi è?» gli chiedo scettica, gli occhi ancora puntati sui volti sorridenti della foto.
Connor, ancora incantato, inizia a sorridere come un idiota. Guarda la ragazza, e non può fare a meno di sorridere. Rimango un po’ scioccata da questo sorriso. Non che normalmente abbia una faccia tanto sveglia, ma non avrei mai creduto che prima o poi l’avrei visto con un sorriso da idiota a increspargli le labbra. Lo prenderei in giro a vita, se non fosse che sono curiosa di sapere chi è la ragazza.
Gli passo un mano davanti al viso, come a volerlo svegliare dalla trance in cui è caduto. Lui si scrolla e così gli ripeto la domanda.
«Si chiama Lindsay.» dice semplicemente, come se bastasse a spiegare tutto. Stacca gli occhi dal monitor per guardarmi ma, vedendo la mia espressione ancora curiosa, decide di continuare. «Era la mia ragazza. Ci siamo lasciati qualche mese prima che Josh ti incontrasse.»
Era la sua ragazza. Ma lui ha ancora le sue foto sul portatile. Questo vuol dire che Connor è ancora innamorato.
Mi sembra strano. Non avevo mai pensato al fatto che Connor potesse provare amore. Forse perché ero troppo impegnata a lanciargli frecciatine, godermi la mia storia con Josh e, nel momento in cui avevo bisogno, lasciare che questo ragazzo, incredibile a dirlo, fin troppo sensibile mi aiutasse a non cadere nell’oblio. E invece eccolo qui, con le sue pene d’amore, a guardare un foto con occhi adoranti. Mi sento un po’ in colpa.
«E’ a lei che stavi scrivendo?» gli chiedo con un sussurro. Come se parlare ad alta voce disturbasse il ragazzo accanto a me dalla sua visione.
«No» scuote il capo, deciso.
Credo che mi stia nascondendo qualcosa, o che comunque non voglia dirmi tutto, ma non mi sento di indagare di più su cose che non vuole dirmi.
«Come mai vi siete lasciati?» chiedo prima di riuscire a tenere a freno la mia lingua.
Non vorrei immischiarmi nella sua vita privata, anche se credo che, quello strano rapporto di battute e frecciatine sarcastiche che è il nostro, sia diventato qualcosa di più, dopo quei giorni bui che sembrano lontanissimi adesso. Potrei quasi definirla un’amicizia che va verso il rapporto tra fratelli. E’ strano, non ho mai avuto un fratello, o un’amicizia con un ragazzo che potessi considerare tale. Ma con Connor mi sento davvero come se fosse mio fratello, anche se non ho niente a cui paragonare questo tipo di rapporto.
«Studiava per diventare chirurgo.» dice, fissando di nuovo i suoi occhi sul monitor. «Volava salvare la gente. Poi, un giorno, ha avuto a che fare con una famiglia che non poteva permettersi le cure mediche. Sai, qui in America, o hai i soldi per pagare la sanità, o alla sanità non hai diritto…»
Si ferma un attimo. Sospira, e guarda la foto senza cercare di nascondere la malinconia che gli provoca. Mi tornano in mente le parole di Josh mentre, sotto la pioggia, mi diceva che lui, nonostante tutto, aveva ancora voglia di innamorarsi.
Sai, abbiamo tutti sofferto tanto. Perfino Connor, sotto la sua aria da spavaldo è triste. Immagino sia per questo che volesse parlare dei tuoi sentimenti. Ha bisogno di distrarsi dai suoi.
In quel momento, non avevo fatto caso alle sue parole. Non pensavo che il fratello, che non sopportavo, potesse soffrire. Nulla, a partire da quello che diceva, faceva pensare che stesse soffrendo. Ma forse avrei dovuto capirlo. Io, che dopo tantissime sofferenze, avevo ripreso a vivere con un sorriso che dovevo portare addosso solo per convincere il resto del mondo.
«… Ha capito che non voleva semplicemente salvare le vite della gente.» riprende Connor tristemente. «O almeno, non solo quelle della gente che poteva permetterselo. Voleva salvare anche le persone che non potevano permetterselo. Così si è associata a “Medici Senza Frontiere” e ha fatto i corsi per i volontari. Subito non l’hanno presa per nessuna missione poi, però, qualche mese fa, l’hanno chiamata per una missione in Bolivia.»
Si ferma di nuovo. Sembra felice per l’opportunità che Lindsay ha avuto, e allo stesso tempo triste, per non poterla avere accanto a sé.
«E’ partita.» dice con un sorriso triste. «Mi ha detto che questa sarebbe stata la sua vita, e che non voleva che io rimanessi attaccato a lei. Voleva che vivessi la mia vita con una persona che non ne avesse avuta una movimentata come quella che da quel giorno avrebbe avuto lei. Voleva semplicemente che fossi felice e, secondo lei, non potevo essere felice se avessimo continuato a portare avanti la nostra storia. Ci siamo lasciati ed è partita per la Bolivia, ha realizzato il suo sogno e io… Beh, io sono venuto a vivere da Josh. Il Kentucky sembrava troppo vuoto e triste senza di lei. Non ho nemmeno lottato. Ma cosa potevo fare? Era il suo sogno…»
Non so cosa dire. Non sono mai stata brava in queste cose. Nelle conversazioni tra amiche disperate, quella brava era Mary. Io ero semplicemente quella che si lasciava psicanalizzare e, nel caso fosse stata lei a stare male, tiravo fuori frasi che nemmeno sapevo da dove mi uscissero. Lei affermava che quando stava male, io le dicevo cose che la facevano stare meglio, ma ho sempre creduto che mi prendesse in giro. Ho sempre pensato che i suoi problemi riuscisse a risolverseli da sola, solo che non aveva intenzione di dirmelo. Per non farmi stare male, o per non farmi sentire in colpa.
Che è esattamente come mi sento in questo momento, guardando la triste figura di Connor che, immagino, si aspetta di essere confortato.
«Sotto alcuni aspetti le somigli, sai?» si gira verso di me, con un sorriso sincero.
Rimango scioccata e, per sicurezza, lancio un’occhiata alla foto. Tanto per assicurarmi di aver guardato la stessa foto che stava guardando lui. Accertatami di questo, alzo un sopracciglio scettica.
«Hai seriamente bisogno di un paio di occhiali.» dico, tanto per alleggerire la situazione.
Lui scoppia a ridere. Almeno, penso con un sospiro, non ha più sul volto quell’espressione triste.
«Ovviamente, lei non si sarebbe mai messa con un attore.» dice ancora ridendo.
Lo guardo un po’ confusa.
«Non li sopporta.» dice con un’alzata di spalle. «Pensa che siano pieni di sé. Le festività erano una strage! Mamma cercava di fare andare tutti d’accordo, papà sorrideva come se non stesse succedendo niente, Lindsay, con cocciutaggine, continuava a esporre le sue tesi sulla brutta razza che erano gli attori e Josh non faceva altro che guardarla male.» scoppia a ridere, ripensandoci. «Ci saresti dovuta essere. Ti saresti divertita!»
Non riesco a immaginarmi la ragazza bionda che, con una smorfia cocciuta, parla male degli attori e Josh che la guarda male. Prima di tutto perché non credo che quella ragazza così bella e raggiante possa portare scompiglio da qualche parte. E poi perché non credo che Josh sia capace di guardare male qualcuno! Provo a immaginarmelo mentre, tirando un po’ fuori la lingua in un espressione tutta concentrata, socchiude leggermente gli occhi tentando di guardarla male. Magari con la fronte aggrottata per lo sforzo. Scoppio a ridere.
«E tu non dicevi niente?» chiedo, ancora ridendo per l’immagine di Josh.
«Beh, io ero d’accordo con lei.» dice, tornando alla smorfia che usa per prendermi in giro.
«Ma certo!» dico alzando gli occhi al cielo e ridendo.
«Siete tutti uguali, voi attori.» mi chiedo perché abbia messo anche me in quella categoria, ma credo si riferisca al fatto che io recitavo in teatro. «E poi guarda come vi riducete. Josh nemmeno riesce a stare al telefono con te, talmente è stanco!»
Sono d’accordo con lui sull’ultima affermazione, ma non rispondo. Rimaniamo in silenzio per un po’. Cerco qualcosa di dire, ma non so proprio cosa. In questi momenti, credo che avrei dovuto imparare qualcosa da Mary. Lei avrebbe saputo cosa dire, e gli avrebbe tirato su il morale come io non sono in grado di fare, anche se credo che il fatto che sia tornato a prendermi in giro, si possa considerare un mio piccolo successo. Infinitamente piccolo, ma pur sempre un successo.
«Prima o poi tornerà.» dico, anche se non avevo intenzione di dirlo.
Connor mi guarda, un cipiglio scettico sul viso. Non per il fatto che tornerà, ma più perché, anche se lo farà, non tornerà da lui.
«Non ci scommetterei…» dice, con un po’ di amarezza.
Chiude il portatile e si alza dalla sedia, come a voler chiudere quella conversazione.
«Io si.» dico con decisione. Gli porgo la mano destra, in un invito a stringerla. «Che cosa ci scommettiamo?»
Lui guarda la mia mano con un mezzo sorriso.
«Perderai I., lo sai?» dice in tono divertito.
Nonostante tutto, continua a chiamarmi I. E’ qualcosa di solo nostro. Qualcosa che rafforza il mio pensiero sul fatto di considerarci qualcosa di molto simile a fratelli.
«Io non perdo mai.» lo guardo con aria di sfida. «E, visto che tu perderai, dovrai andare in giro per LA a inseguire le celebrità “piene di sé” per tutto il giorno e comportarti da fan accanito, mentre io ti riprenderò con una videocamera.»
Già assaporo il momento in cui Connor, comportandosi come si comporterebbe una fan urlante, correrà dietro agli attori pregandoli di avere un autografo e una foto. Il tutto ripreso da una videocamera e conservato negli anni, pronto ad essere riutilizzato per le frecciatine future.
«Ok, I.» dice guardandomi con superiorità. «Ma se tu perdi… Beh, diciamo solo che sarai in debito con me.»
Eccolo di nuovo, quel comportamento che tanto mi infastidisce. Come se lui sapesse cosa mi succederà prima ancora che io possa solo iniziare a pensare a cosa fare della mia vita. E’ assurdo! Come se mi leggesse nella mente o, peggio ancora, nel futuro.
Mi stinge la mano con solennità poi, sorprendendomi, prende in mano i fogli che stavo studiando e mi guarda in attesa.
«Allora, signorina.» si mette a scimmiottare uno dei suoi professori, sistemandosi occhiali immaginari sul naso e parlando con la “r” moscia. «Che ne dice di iniziare a espormi i suoi studi?»
Lo guardo, e alzo gli occhi al cielo. Forse non mi mentiva del tutto Mary, quando affermava che quello che le dicevo nei momenti peggiori la faceva davvero stare meglio. O almeno, con Connor è stato così.
 
Sento l’ansia chiudermi lo stomaco. Come tutte le dannate volte che devo sostenere un esame. Non ho nemmeno fatto colazione.
Connor guida, con la solita velocità decisamente allarmante, verso il college. Si è proposto di accompagnarmi e aspettare lì fino alla fine dell’esame. All’inizio non volevo, sentendomi già terrorizzata dalla velocità a cui, sicuramente, avrebbe mandato la macchina a schiantarsi contro un albero. Poi, però, silenziosamente grata, avevo accettato. Non tanto per il fatto che in macchina si fa prima, ma più perché, anche se mi lascia ribollire nella mia ansia restando in silenzio, la sua presenza mi trattiene dall’andare letteralmente nel panico più totale. E’ un lato positivo!
Quando arriviamo mi sorride, come a incoraggiarmi. Guardo il giardino davanti al college, sentendo la stretta allo stomaco farsi più forte.
«Augurami buona fortuna.» cerco di impormi la calma.
«Non ne avrai bisogno.» dice con tranquillità.
Prendo il telefono e faccio per spegnerlo, quando vedo una notifica di un messaggio. E’ di Josh. Lo apro.
 
In bocca al lupo.
 
Sorrido. Non so che ore siano in Francia, in questo momento, ma ricevere un suo messaggio mi fa sentire più sicura di me.
Così, semplicemente, mi avvio verso l’aula in cui terrò l’orale del mio primo esame dell’anno. Come sempre, si passa prima dagli assistenti, che mettono un voto provvisorio, e poi dal professore che conferma o cambia il voto. Respiro, sentendo l’ansia diventare insopportabile. Aspetto che chiamino il mio nome e, quando lo fanno, mi avvio dall’assistente che mi ha chiamata, come se stessi andando al patibolo. L’uomo mi sorride, compila un foglio e poi comincia a farmi domande. Rispondo piano, scandendo le parole, cercando di tenere un tono di voce chiaro e tranquillo. Quando decide di avermi torturata abbastanza, scrive un numero sul foglio e mi guarda sorridendo…
 
«Pronto?» la voce di Josh gracchia assonnata dal mio telefono in vivavoce.
«30, signori e signore!» urlo al telefono, entrando in macchina e svegliando Connor che si era appisolato. «30 in Anatomia!»
Il ragazzo davanti a me ci impiega un po’ a capire che sta succedendo, poi, in un lampo di genio, sorride e mi abbraccia forte.  Il ragazzo al telefono ci impiega ancora di più, ma quando finalmente ci arriva, si mette a urlare felice al telefono, come se fosse stato lui a ricevere il 30 in Anatomia! Ridono e si congratulano con me, mentre io mi sento la persona più felice del mondo. E niente, nemmeno la prospettiva di aver ancora due esami da sostenere, può scalfire questo piccolo momento di felicità.

 
 

SPAZIO AUTRICE.

 

Eccoci, finalmente!
Beh, vi avevo avvisato che avrei aggiornato ogni due settimane. :P
 
Innanzi tutto, volevo dirvi che la parte in cui Josh e Ilaria si mettono ad urlare sul tetto, l’ho scritta sotto l’influenza che ha avuto il fatto di tenere tra le mani il biglietto per il concerto dei Green Day a Milano! Quindi è venuto decisamente stupido, solo che non mi andava di modificarlo XD
 
Poi, volevo prendermi un piccolo spazio per un ringraziamento particolare a
Valeria.
Da queste parti forse meglio conosciuta come
Hazel92, e forse ancora meglio conosciuta come l’autrice di “Questa volta la fortuna è stata dalla mia parte”, storia bellissima sul nostro Joshua Musetto Da Strapazzo Hutcherson, che consiglio vivamente!
La volevo ringraziare con tutto il cuore perché, con molta pazienza, mi ha aiutata a non perdermi nel complicato mondo dell’università in cui mi sono addentrata per scrivere questo capitolo.
Grazie, carissima! ^^
 
Infine, volevo aggiungere una cosa che mi sono scordata di mettere nello
Spazio Autrice dell’altro capitolo: io non sono mai stata a NY, quindi tutto quello che ho descritto l’ho solamente visto in foto, e ho cercato di renderlo il più realistico possibile. C:
 
E come sempre, grazie a tutte le ragazze che recensiscono, perché mi riempiono di gioia, e anche a tutte le Lettrici Silenziose, perché il solo fatto di vedere aumentare le visualizzazioni mi rende felice. :’)
 
Detto questo, vi saluto, e a risentirci al prossimo capitolo! :3
 

Baci, baci, Ila.

 
 
  
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