Cato è quella persona che mia mamma e mio papà non sono mai stati. Con lui posso parlare, ridere e piangere.
Passiamo ore seduti vicini a raccontarci del nostro passato, delle nostre famiglie, di tutto quello che abbiamo passato.
Del nostro futuro non parliamo mai. Sappiamo entrambi cosa diventeremo. Quello che ci unisce non è amore, ma un'amicizia più profonda delle radici, più bella del sole d'estate. Qualche volta non abbiamo nemmeno bisogno di parlare per capirci, basta uno sguardo, un sorriso che dice più di mille parole. In palestra combattiamo sempre insieme, ci siamo creati una barriera, un muro invisibile che ci divide dagli altri. Io prevedo le sue mosse, lui prevede le mie, i nostri combattimenti potrebbero non finire mai, siamo in perfetta sincronia e così ci muoviamo, senza paura di fare male all'altro, perchè sappiamo che non può succedere. Non si può fare male a una parte di se stessi.
Il mio undicesimo compleanno era alle porte e con lui Cato.
"Cosa ci fai qui?" Guardo il mio orologio ancora assonnata. "Alle quattro di mattina?"
Lui sorride e mi abbraccia, ignorando le mie proteste. Mi accarezza i capelli e mi appoggia una piccola scatoletta nella mia mano.
Lentamente apro il piccolo pacchetto e quasi smetto di respirare dalla sorpresa.
Cato mi ha regalato una collana argentea con un ciondolo. Una spada e un coltello che si incrociano e al loro centro due "C" intersecate. Sento una lacrima rigarmi una guancia e lo abbraccio stampandogli un bacio sulla guancia.
Per un attimo mi sento normale, una ragazzina che ha appena compiuto undici anni e ha ricevuto il suo regalo.
Cato sorride e si gira per andere, ma io lo trattengo e lo tiro nella mia stanza.
"Resta! Tanto non mi addormento più."
Percorro il corridoio al suo fianco. Niente di non si tocca eppure mi sento così vicina a lui.
"Da quando ti ho incontrata sto meglio Clove." Ha sussurrato. Sorrido, è la prima persona che mi vuole bene, la prima persona che mi apprezza, la prima persona che ho paura di perdere.
"CLOVE!" Una voce stridula e piena di panico mi risveglia bruscamente dai miei sogni. "CLOVE!" E' un urlo che non sembra quasi umano, tanto è carico di paura. "RIVOGLIO MIA FIGLIA!" Il mio cuore scivola giù, inizio a correre. A quattro anni ho imparato a contare fino a 10, imparato a controllarmi, ma ora sento che tutta la calma di questo mondo non potrebbe fermarmi.
Mi fiondo su una figura raggomitolata per terra facendole da scudo con il mio corpo.
"Maledizione, cosa ci fai qua?" Le urlo addosso tenendo d'occhio le guardie che la stavano pestando. Cato è inginocchiato al mio fianco. "Voglio portarti via, da questi BASTARDI." L'ultima parola la urla e sputa ai piedi alle guardie.
Succede tutto così velocemente. La guardia mi strattona via e appoggia qualcosa al mio collo.
La scossa arriva, così violentemente, rovescio la testa indietro e sbatto per terra. Cerco di regolarizzare il mio respiro, ma l'unica cosa che esce sono versi strozzati e animaleschi. Combatto contro la senzazione di stanchezza che mi prende, mentre voci roche e cotonate si fanno strada in me. "Clove... no... resta." "UCCIDILA...!" "NO... Clove?" voci confuse che non mi danno pace. Poi il nero più totale.
Fa freddo. Il metallo dove sono appoggiata è gelido... qualcuno ansima, due occhi neri mi fissano, carichi di rabbia. Il cielo sopra di me... gira, sempre più veloce, un vortice di nude emozioni.
Una freccia, si avvicina a me lentamente, affiancata da un uccello azzurro. Non mi muovo, incantata.
Il dolore arriva in ritardo e mi investe come un'onda in piena. La freccia si conficca in me.
Urlo.
Ciao a tutti,
eccomi di nuovo, in terribile ritardo, perdonatemi!
Non trovavo idee per questo capitolo, finchè non ho pensato di metterci dentro anche la mamma di Clove.
Perfavore, fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere.
Adieu,
Lotty