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Autore: TheOnlyWay    28/01/2013    14 recensioni
«Ora possiamo parlare?»
«Lo sai, vero, che non puoi saltarmi addosso ogni volta che non voglio ascoltarti?»
«Mi diverto con poco, che vuoi che ti dica? E poi saltarti addosso non mi dispiace.»
Sei arrabbiata con lui, ricordatelo, si ripeté June mentalmente. Eppure, per quanto avrebbe voluto prendere Harry a schiaffi e urlargli di andare al diavolo, non riuscì a non sorridere debolmente.
«Comincio a pensare che tu abbia qualche problema con la coerenza, Harry. Sbaglio o poco fa hai detto che non c’era niente di cui parlare?» gli ricordò, un po’ mestamente.
Harry alzò gli occhi al cielo e le liberò i polsi. Tuttavia, non accennò ad alzarsi.
«Mi fai così incazzare, June, che non ne hai idea.»
«Io? Oh, questa è bella.»
«Ci sto provando, okay?» Harry sbuffò, poi si lasciò cadere di lato e si mise a pancia in su. Fissava il soffitto, ma con la mente era altrove.
June lo osservò per un attimo, cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa. Non che fosse facile, perché Harry aveva una mentalità particolarmente contorta, oltre che una testa bacata.
«Voglio che tu ti fidi di me.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 1.

 




June rientrò a casa decisamente di buonumore, quel pomeriggio.
Tuttavia, il sorriso le morì sulle labbra, quando le sue narici captarono il profumo del tè alla vaniglia. Suo padre detestava il tè alla vaniglia. Allora perché lo aveva preparato?
Appese il giubbotto di pelle all’attaccapanni nell’ingresso, sfilò le scarpe, lasciandole sul tappeto, e legò i capelli in uno chignon malfatto.
«Papà?» chiamò, dirigendosi verso la cucina. Suo padre era lì, seduto al tavolo, ed era evidente che stesse aspettando lei.
«Ciao, June.»
«Che succede?» domandò, sospettosa, sedendosi sul bancone della cucina e ringraziando per il tè. Soffiò un po’, per raffreddarlo, in attesa che il padre le desse una risposta.
«Niente. Deve per forza succedere qualcosa?» replicò Sam, ignorando volutamente l’occhiata di palese dubbio che June continuava a rivolgergli. Era incredibile la capacità di sua figlia di farlo sentire un ragazzino colto con le mani nel sacco.
«Tu odi il tè alla vaniglia.» si limitò a ricordargli June, inarcando un sopracciglio con aria eloquente.
«Potrei aver cambiato idea.»
«Papà, la stai tirando troppo per le lunghe. Dimmi.» lo invitò, trattenendo un risolino che le era uscito spontaneo.
«Ti và di cenare insieme, stasera? Così ne parliamo.» propose Sam, con un sorriso sereno. A June non sfuggì affatto la sua espressione tesa, nonostante lui cercasse di ostentare una naturalezza che proprio non gli apparteneva, in quel momento.
Perciò si limitò ad annuire, prima di svuotare la tazza in qualche lungo sorso e risciacquarla velocemente. Lasciò un bacio sulla guancia di Sam e lo informò che andava a farsi una doccia.
Sam tirò un sospiro di sollievo, una volta che June non fu più nei paraggi: credeva che l’avrebbe scoperto subito e proprio non sapeva dire se fosse un bene.
Per fortuna, ancora non sospettava niente. O almeno, non sospettava che oltre a loro due ci sarebbero stati anche Jay e suo figlio.
 
June compose velocemente il numero del suo migliore amico, intanto spalancò le ante dell’armadio, alla ricerca di qualcosa da mettersi per quella cena che non la convinceva proprio per niente.
Che bisogno c’era di andare da Tony per parlare un po’? Non potevano stare in casa, davanti ad una pizza, come facevano tutti i venerdì?
Niall rispose al quinto squillo, come al solito.
«Fammi indovinare…» ridacchiò June «Stai mangiando.»
Niall farfugliò qualcosa di incomprensibile, poi deglutì e si schiarì la voce. «Hai un tempismo del cavolo, June.» rise, tranquillo. June alzò gli occhi al cielo.
«Non è colpa mia, se mangi sempre. Se ti avessi chiamato tra tre ore non ci sarebbe stata alcuna differenza.» Niall non rispose, ma June se lo immaginò mentre annuiva, dandole pienamente ragione. La cosa stupefacente era che nonostante mangiasse in quella maniera spropositata, fosse magro come un chiodo.
«Che succede?» le domandò, tranquillo. June sentì che trafficava con qualcosa di rumoroso: un pacchetto di patatine.
«Papà vuole portarmi a cena da Tony, questa sera.» spiegò, lasciando intendere che c’era qualcosa di assolutamente strano, in quell’invito.
«Se il problema è che non sai cosa metterti, hai sbagliato persona. Non posso esserti d’aiuto.» ridacchiò Niall, infilandosi una manciata di patatine in bocca.
«Scemo. Voglio dire, che bisogno c’è di andare fuori?»
«Non so, June. Tu vacci, e vedi un po’ che ti dice.» June annuì, trovandosi d’accordo. Dopotutto, cosa mai poteva succedere di tanto tragico? Si trattava solo di mangiare insieme a papà. Magari era semplicemente stanco di vedere la loro cucina, il che era perfettamente comprensibile.
«E se ci fosse anche Johannah?» domandò improvvisamente Niall, distraendola dai suoi pensieri.
Ecco. Come aveva fatto a non arrivarci subito?
«Vogliono rendere la cosa ufficiale…» mormorò, gettando sul letto un paio di jeans chiari, una canottiera verde e un cardigan nero. Niall rimase in silenzio, aspettando che June superasse lo shock del momento e dicesse qualcosa.
Da parte sua, June trovava assolutamente di conforto il rumore delle patatine sgranocchiate da Niall e si concentrava su quello, per evitare di dare di matto.
«Lo sapevi che prima o poi sarebbe successo, June. E poi Johannah ti sta simpatica!» si affrettò ad aggiungere Niall, per ricordarle che non aveva mai avuto niente contro la fidanzata di suo padre.
«Giusto, giusto.» June si sedette sul letto a gambe incrociate e prese un respiro profondo. Niall aveva ragione: Johannah era sempre stata gentile con lei. E poi era dolce, simpatica e aveva un bel sorriso. E anche suo padre sorrideva di più, da quando la conosceva. Sembrava quasi aver superato il dolore per la morte della mamma.
Elisabeth Gordon era morta quasi tredici anni prima, quando June aveva appena cinque anni. Un brutto incidente d’auto, in cui era rimasta coinvolta al rientro dal lavoro. Un pazzo era passato con il semaforo rosso e si era schiantato contro l’utilitaria di Elizabeth, che era morta sul colpo. Sam, che amava sua moglie più della sua stessa vita, si era ritrovato solo, distrutto dal dolore e con una bambina spaventosamente simile alla moglie a carico. Per anni si era occupato solamente di June, senza permettere a nessuna donna di far parte della sua vita. Poi era arrivata Johannah ed era riuscita a superare tutte le sue barriere: piano, con fatica, ma ce l’aveva fatta. E June sapeva che da parte sua sarebbe stato davvero ingiusto prendersela con lei, che non aveva nessuna colpa se non quella di aver fatto tornare papà più simile a quello che era stato tanti anni prima.
«Ci sei ancora?» domandò Niall, dopo qualche minuto.
«Certo, scusa. Stavo pensando.»
«Vuoi che venga lì, June?» Niall aveva smesso di masticare, notò June. Il che poteva significare solo una cosa: era davvero preoccupato per lei. Sorrise debolmente, poi scosse la testa. Si ricordò qualche istante dopo che non poteva vederla, così si affrettò a parlare.
«Tranquillo, è tutto a posto. Sto solo assimilando la notizia.» sospirò, poi si scompigliò la frangetta, in un gesto che faceva sempre quando si sentiva nervosa.
«Va bene. Se hai bisogno…» io sono qui. Non lo disse, ma sapeva che June l’avrebbe capito comunque.
«Lo so. Ti chiamo quando finisco, okay?»
«Va bene. Ciao, piccola.»
June mise il telefono sottocarica, benedicendo quella fantastica promozione che le permetteva di avere chiamate illimitate verso un numero a sua scelta. Aveva idea che nei prossimi giorni avrebbe avuto bisogno di parlare con Niall molto più spesso di quanto già facesse normalmente.
Sotto il getto caldo della doccia ebbe modo di pensare – ancora – a quello che le stava succedendo quel giorno.
«Finiscila, June. Andrà tutto bene.» provò a rassicurarsi, prima di concentrarsi su qualcos’altro ed evitare un esaurimento nervoso.
Si piazzò davanti allo specchio, indecisa se truccarsi o meno. Trattandosi di un’occasione importante – anche se suo padre aveva fatto di tutto per non farla sembrare tale – forse sarebbe stato meglio un trucco leggero e un po’ sofisticato. Cosa che lei non era assolutamente in grado di fare, visto che era una completa imbranata. Il massimo che si concesse, quindi, fu un po’ di mascara e un po’ di fard per colorire le guance pallide.
Raccolse i capelli in una treccia, che lasciò ricadere sulla spalla sinistra e dopo aver agganciato gli orecchini, poté ritenersi soddisfatta.
Sam l’aspettava in salotto e sembrava piuttosto nervoso, a giudicare da come si tormentava il nodo della cravatta. Non appena vide June, però, si sforzò di assumere un’aria serena.
June gli sorrise e fece una piroetta su sé stessa, lasciandosi ammirare. Voleva che suo padre capisse che non c’era bisogno di sentirsi in agitazione, se lei stessa era tranquilla.
«Sei bellissima, tesoro.» si complimentò Sam, rivolgendo alla figlia un sorriso colmo d’affetto, che June si affrettò a ricambiare.
«Grazie. Anche tu non sei affatto male, pà. Johannah sarà contenta.» rivelò con una risatina, prima di precipitarsi fuori casa e incamminarsi verso la macchina. Sentì suo padre borbottare qualcosa di molto simile a «lo sapevo, che mi avrebbe beccato subito» e scoppiò a ridere. Se solo avesse saputo che il primo ad esserci arrivato fosse stato Niall, sicuramente non l’avrebbe più fatto entrare in casa.
 
Tony era una della pizzerie migliori di Doncaster ed era gestita da un italiano corpulento e con un pancione enorme di nome, appunto, Antonio. Aveva aperto da poco, ma si diceva che la sua pizza fosse in assoluto la più buona della zona.
Sam parcheggiò in una strada adiacente al ristorante: come al solito il parcheggio era già pieno, nonostante fossero appena le otto.
«La prossima volta veniamo a piedi.» disse June, un po’ sarcastica, mentre borbottava contro quelle malefiche ballerine che continuavano a sfuggirle dai piedi ad ogni passo che faceva.
Sam rise, divertito. Quando June gli aveva detto di non preoccuparsi, perché avrebbe accettato ogni sua scelta serenamente, si era tranquillizzato parecchio: credeva che sua figlia gli avrebbe dato parecchio filo da torcere. E invece si era dimostrata matura, e fin troppo comprensiva. Restava da vedere se avrebbe mantenuto la stessa linea di pensiero anche alla fine di quella serata.
«Ciao, June.»
June alzò gli occhi al cielo, prima di rivolgere al ragazzo che stava dietro alla cassa un sorriso forzato.
«Ciao.» Steve le fece un occhiolino, incurante della presenza di Sam accanto a lei e tantomeno dell’espressione di June stessa, che avrebbe preferito spararsi in fronte, piuttosto che stare in compagnia di Steve per più di trenta secondi.
Fortunatamente, vennero accompagnati al loro tavolo abbastanza in fretta, così che Steve non fece in tempo ad avvicinarsi.
«Che piaga, quel ragazzo.» borbottò June, seccata. Suo padre ridacchiò un’altra volta, prima di voltarsi verso l’ingresso e aprirsi in un sorriso felice. June seguì il suo sguardo, anche se aveva già individuato il motivo di quell’espressione. Johannah avanzava verso di loro, avvolta in un sobrio vestito nero. Accanto a lei, c’era un ragazzo che ad occhio e croce poteva avere la stessa età di June, che rimase a fissarlo per qualche secondo, stupita, prima di voltarsi verso il padre e rivolgergli un’occhiataccia. Stava per dirgli qualcosa, quando la mano gentile di Johannah si posò sulla sua spalla.
«Ciao, June.» le sorrise, senza sapere bene come comportarsi.
June sorrise, prima di sporgersi in avanti e lasciare un bacio sulla guancia di Johannah, che restò davvero di sasso.
«Sono contenta di vederti.» ed era vero: Johannah le piaceva veramente.
«Anche io. June, lui è Louis, mio figlio.»
Louis aveva due brillanti occhi azzurri, che June paragonò immediatamente a quelli di Niall. Ed aveva anche un bel sorriso, constatò.
«Piacere.» si strinsero la mano, un po’ impacciati, prima di accomodarsi al tavolo. June lasciò che Johannah si sedesse accanto a suo padre, così lei si ritrovò di fianco a Louis, che ancora non aveva proferito una parola.
«Hai tinto i capelli?» domandò Johannah, tanto per spezzare l’improvviso silenzio che si era venuto a creare.
June annuì, osservando la treccia con aria soddisfatta.
«A papà è venuto un colpo. Dice che il rosso è troppo rosso.» commentò, come se l’affermazione del padre fosse una vera e propria assurdità. La settimana prima, June aveva deciso di essere stanca del suo monotono castano scuro e così, senza dire niente a nessuno, aveva preso appuntamento dalla sua parrucchiera e le aveva chiesto di trasformare quel noioso marrone in un rosso fuoco.
«Non è un colore naturale.» borbottò Sam, scatenando le risate di June e di Johannah, che si guardarono con complicità e iniziarono a parlare di capelli e di argomenti che né Sam, né tantomeno Louis, avevano la minima intenzione di seguire.
Louis si sentiva un po’ frastornato, quella sera. Insomma, aveva capito subito che sua madre aveva intenzione di dirgli qualcosa di importante e aveva immaginato che anche Sam sarebbe stato lì presente. Certo non pensava che ci sarebbe stata anche la figlia diciottenne di quest’ultimo. Era carina, con quei capelli lunghi e con quella frangetta che le dava un’aria un po’ infantile, ma dolce. E poi, aveva davvero un bel sorriso.
Non assomigliava un granché al padre, se non per il colore degli occhi: marrone. Di solito, il marrone non è un colore molto espressivo, ma guardando June negli occhi Louis aveva dovuto ricredersi. I suoi occhi erano tutto, tranne che inespressivi. Anzi, avevano una tonalità calda e profonda e poi erano grandi e contornati da ciglia lunghe e scure. Era bella, anche se aveva qualcosa che non lo convinceva. Nonostante ogni aspetto di lei esprimesse dolcezza, sembrava una tipa tosta.
«Okay, papà. È ora di sputare il rospo.» ecco, appunto. Proprio come aveva immaginato. Louis si ritrovò completamente d’accordo con June, così incitò la madre a fare lo stesso.
«Lo vuoi sapere così, diretto?» domandò Sam, un po’ agitato.
June sbuffò, spazientita. Che bisogno c’era di tirarla così per le lunghe?
«Spara.»
Sam tentennò un altro po’, fino a che Jay decise di prendere la situazione in mano e rivelare il motivo per cui avevano messo in scena quel teatrino.
«Ci sposiamo, June.» secca, concisa. Ecco un altro punto che June annotò a favore di Johannah, che la stava osservando in attesa della sua prossima mossa.
Perciò June annuì.
«Non è tutto.» disse, prima di bere un lungo sorso d’acqua e prepararsi al colpo finale. Sentì Louis agitarsi nervosamente sulla sedia, in attesa. Se solo fosse stata più aperta, meno gelida e, soprattutto, più propensa ad intrattenere rapporti umani, gli avrebbe preso la mano e gli avrebbe sussurrato di stare tranquillo. Ma lei non prendeva facilmente confidenza e di conseguenza si limitò a guardare Louis di sott’occhio e a stare ferma immobile.
«Hai ragione, non è tutto. Io e Jay – June apprezzò parecchio che suo padre si fosse deciso a parlare – abbiamo deciso di vivere insieme. Tutti insieme, a casa di Jay.» precisò, stringendo nervosamente la mano di Jay, che sembrava più tranquilla di lui, ma comunque in agitazione.
«Oh.» si limitò a sussurrare June, colta decisamente alla sprovvista. A casa di Jay. Questo significava lasciare casa sua, la cameretta che sua mamma aveva arredato, i suoi libri, tutto. Era un duro colpo, quello. Ma lo accusò con orgoglio e con fermezza. Quel pomeriggio stesso aveva detto che suo padre meritava una nuova vita, perciò non avrebbe fatto niente, per complicargli la situazione. Sapeva perfettamente che nemmeno per lui era stato tanto facile prendere una decisione come quella.
«Congratulazioni.» si sforzò di sorridere, poi sentì la mano di Louis cercare la sua sotto il tavolo. Non lo conosceva e se fosse stata in un’altra situazione probabilmente gli avrebbe tirato una sberla, ma in quel momento si sentiva smarrita, confusa e sull’orlo di un precipizio. E la mano del ragazzo – sconosciuto, ma gentile – era l’unica cosa che le impedisse di caderci.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ecco qui il primo vero capitolo della storia. Come avete visto, è decisamente più corposo del prologo sminchio che vi ho proposto. Posto in quest’orario un po’ strano perché passerò tutto il pomeriggio a fare da taxi (visto che la mia macchina è morta e defunta e siamo solo con quella di mio papà.) e non sapevo se stasera avrei fatto in tempo a farlo. So, eccolo qua.
A me non dispiace, se devo essere sincera. Voi che ne pensate? Che ne dite di June? Cominciate un po’ a capirla? Di tutti i miei personaggi, vi avverto, lei è quella meno sclerotica di tutte. Davvero, è quella normale e in cui un po’ mi rispecchio.
Comunque, come al solito, vi ringrazio per le recensioni al prologo, per aver inserito la storia tra le seguite/preferite e ricordate – siete davvero tante, sono contentissima! – e vi abbraccio fortissimo. (Sono affettuosa, oggi, avete visto?)
Fatemi sapere che ve ne pare, ci conto davvero tanto.
Vi adoro <3
 
Fede.
 
A lunedì prossimo! ^^
 
   
 
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