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Autore: eos75    19/08/2007    1 recensioni
Può l'obiettivo di una macchina fotografica leggere nel cuore delle persone? E' quello che scoprirà il più forte portiere della Bundesliga! Tra fotografie, partite e allenamenti, la storia di un'amicizia molto particolare.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I ricordi lo avevano travolto. 
Non stava parlando con me… stava solo ricordando. Fatti, persone, emozioni, sentimenti sepolti da tanto, troppo tempo.
Fissai per un po’ quel bel profilo regolare e quegli occhi neri che avevo tante volte visto ardere come carboni ardenti. Ora erano persi in un lontano passato, fissi a guardare scene già viste.
"Sei sicuro di voler continuare?" chiesi sottovoce.
Chiuse un secondo le palpebre e sospirò  "Si, devo… E’ troppo tempo che devo alleggerirmi di questo peso." si voltò verso di me "Tu, piuttosto, sei certa di volermi ascoltare?"
Gli sorrisi  "E, secondo te, gli amici a cosa servono, scusa?"
"Grazie." e volse nuovamente lo sguardo alla piazza, continuando il suo racconto.

Non so quanto dopo che mio padre era uscito dall’ appartamento, Kim rientrò a casa. Mi trovò seduto sul divano, totalmente immerso nei miei pensieri. Comprese al volo che c’era qualcosa che non andava.
Le raccontai dell’incontro con Richard, della sua velata minaccia. Non capiva. Ma come avrebbe mai potuto capire una situazione del genere, lei, amata e adorata dai genitori che erano sempre stati al suo fianco! Buffo, no? Quanto fossimo complementari in tutto, io e lei! Kim aveva sempre avuto l’appoggio incondizionato di due genitori amorevoli che, disgraziatamente, erano venuti a mancare troppo presto. Io, nonostante li avessi ancora entrambi, li consideravo poco più che estranei ed erano praticamente sempre stati assenti per tutta la mia vita.
"Non posso credere che ti abbia detto una cosa del genere!" non avevo mai visto quei bei occhi verdi tanto infiammati d’ira "Ma come può!"
Le sorrisi stancamente  "Amore, sono almeno vent’anni che va avanti questa storia… Te l’ho già detto: mio padre non condivide la mia vita, non condivide il fatto che mi sia allontanato da lui, dalla famiglia, dagli affari..."
"Ma se l’è cercata lui! Ti ha mollato da solo a dieci anni in Giappone! E cosa pretendeva? Non può prendersela con te, con le tue scelte, con la tua vita, col calcio! Ma che ragionamenti!" si era seduta accanto a me e mi abbracciava tenendo la testa appoggiata alla mia.
"Mi ha lasciato fuori dalla sua vita per anni, per poi pretendere che corressi da lui. Se penso…" ricordi lontanissimi, di quando ero piccolo e mio padre era a casa, accanto a me…
"A cosa pensi?"
Mi alzai e la presi per mano "Vieni, ti mostro uno dei motivi per cui mio padre ce l’ha tanto con me!" mi guardò incuriosita ma non fece domande e mi seguì.
La portai in camera ed aprii l’anta dell’armadio dove tenevo le mie divise. Ne spostai alcune, presi un vecchissimo pallone e glielo porsi. Lo tenne tra le mani, non comprendendo.
"E’ stato uno dei primi regali che mi fece mio padre... Ero piccolissimo, e l’ho sempre tenuto e portato con me..."
Rimase un attimo in silenzio, fissando quella vecchia palla di cuoio, consunta dal tempo e dall’uso. Poi fissò di nuovo il suo sguardo verde smeraldo non mio  "Tu non lo odi… O meglio: tu gli ha sempre voluto bene, ma non gli perdoni di averti lasciato, giusto?"
Ripresi il pallone e lo rimisi al suo posto  "Già… Mi regalò questo pallone, perché anche lui amava il calcio. Freddy, il mio allenatore, era un suo amico di vecchia data. Mi affidò a lui proprio per quello, non solo perché è un ottimo trainer. Ma se ne andò per troppo tempo. Non tornava se non per impegni di lavoro. Quasi mai per me. All’inizio della mia carriera era entusiasta dei miei successi… poi, quando venni in Germania, si accorse che ormai questa era la mia vita. Ed iniziò a mettermi i bastoni fra le ruote… A diciott’anni decisi che non mi sarei più fatto tiranneggiare e mi presi un appartamento per conto mio…"
"Ti ha lasciato in buone mani… ma la situazione è sfuggita al suo controllo… E quando ha cercato di riprenderlo, era troppo tardi." mi abbracciò  "Io non penso che tu odi veramente tuo padre."
"Ah no? E allora, signorina, perché mi viene da spaccargli la faccia ogni volta che lo vedo?"
Mi guardò facendomi una smorfia  "Perché hai un caratteraccio, Benji Price!"  e poi, seriamente "Perché ti senti tradito, e vorresti che ti apprezzasse per quello che sei… E non credo, alla fine, che anche lui ti disprezzi, sai? Se ti disprezzasse, non farebbe di tutto per farti mollare tutto per averti con sé, al suo fianco. Non credi?"
Non ci avevo mai pensato… Non avevo mai pensato che, effettivamente, se mio padre mi avesse disprezzato, di certo non mi avrebbe voluto come suo successore… Certo, sono figlio unico, ma Richard Price ha almeno tre nipoti, figli dei miei zii, che lavoravano già allora nell’azienda… Perché incaponirsi con me? Solo perché ero suo figlio? Solo per orgoglio? Forse…
"Kim…"
"Voi due dovreste parlare. Da soli e tranquillamente."
"Non è possibile, sono vent’anni che ci proviamo! E adesso, con questa storia che non sei la donna adatta a me..." le parole di mio padre mi tornavano alla mente, facendomi rimontare in rabbia.
Kim sospirò paziente  "Anche quello… Forse per te vuole una donna del tuo rango, in grado di aiutarti nell’azienda..."
Non la feci finire  "Tu vai benissimo! E non parlarmi di ranghi, per favore!"
Il suo sguardo fu compassionevole "Il solito Benji… Ahaaa che palle! Io di certo non ti mollo, solo perché lo dice tuo padre!" detto questo, mi strinse ancora più forte e mi dette un lungo bacio, per poi staccarsi all’improvviso e guardarmi pensierosa.
"Che hai?" chiesi.
"Mmmmm… dì un po’, ma il matrimonio dei tuoi era combinato?"
Mi prese del tutto alla sprovvista. "N-non… non lo so! Francamente non mi è mai venuto in mente di chiederlo!"
"Ok, informati!" e mi dette un bacio sulla guancia, liberandosi dal mio abbraccio  "Io, tanto che ci pensi, vado a preparare la cena!"  e se ne andò allegramente in cucina, lasciandomi perplesso ed imbambolato nel mezzo della camera da letto.
Il giorno seguente andai agli allenamenti con la testa in subbuglio. Lavorai distrattamente e se ne accorsero tutti, ma nessuno fece domande.
Ripensavo alla sera precedente, a mio padre, ai nostri litigi, a quello che mi aveva detto Kim… E, soprattutto, alla sua domanda.
Solo una persona poteva rispondermi. Lo chiamai quella sera stessa, subito dopo gli allenamenti del pomeriggio.
"Benji! Ciao! Tutto bene? Dimmi, è successo qualcosa?"
Era stato come un secondo padre… E mi aveva sempre trattato come un figlio.
"Ciao Freddy! Tutto bene, grazie! No, non è successo nulla in particolare, solo, avevo una domanda da farti..."
"Dev’essere ben importante per chiamarmi alle otto del mattino!"
Presi un respiro, non era facile parlargli dei miei…
"Ascolta, Freddy, tu conosci i miei genitori da una vita… Da prima che si sposassero?"
"Ma… che domande?! Benji, che succede?"
"Per favore, rispondi!"
"Si, da prima che si sposassero. Ma mi vuoi spiegare..."
"No, non posso… è meglio di no! Per favore, rispondimi senza far domande! Il loro è stato un matrimonio combinato?"
Silenzio…
Aveva capito. Anni di litigi tra me e mio padre, tra il suo pupillo ed il suo migliore amico… Lo sentii sospirare "No, il loro non è stato un matrimonio combinato… Si conobbero al liceo, si innamorarono e si sposarono."
"Grazie."
Silenzio.
"Forse è meglio che faccia una chiacchierata con Richard..."
"No, lascia perdere! Me la cavo da solo! Non ho più dieci anni, Freddy!"
Un altro sospiro "Ok, come vuoi... Ricordati che se hai bisogno di una mano con tuo padre…"
"Grazie. Lo so. A presto!"
Tornai a casa e riferii a Kim della telefonata. Il suo viso s’illuminò di un gran sorriso, mentre mi riempiva il piatto  "Ok, signorino Price! Ora hai la tua carta da giocare! Vediamo se te la cavi bene in attacco quanto in porta!" e mi fece l’occhiolino.
Passarono le settimane.
Mio padre non si fece risentire.
Io non lo chiamai.
Vivevo serenamente la mia vita con Kim, giorno per giorno, aspettando la bomba…
Che non tardò a scoppiare.
Arrivò per raccomandata. La ricevette Kim. Non la aprì fino al mio arrivo.
Era di uno degli avvocati giapponesi di mio padre. Ed era decisamente una minaccia. Il consiglio della famiglia Price mi metteva alle strette: se non avessi rinunciato alla mia carriera entro un anno, mi avrebbero diseredato ed il posto di mio padre, a tempo debito, sarebbe stato preso da mo cugino Kevin. Per non perdere i miei diritti, inoltre, avrei dovuto accettare il matrimonio con tale Melody Krone, già, per altro, stabilito in precedenza, e di cui io non sapevo assolutamente nulla.
Ero un furia!
"Ma che vadano al diavolo! Loro, la loro azienda ed i loro loschi affari!" appallottolai la lettera e la scagliai con violenza contro una finestra.
"Calmati!"
"Ma come puoi dirmi di calmarmi! Potrei pure capire la richiesta di abbandonare il calcio! E’ impensabile, ma, tutto sommato, logica! Ma chiedermi di lasciare TE! Sono pazzi!"
Ero in piedi, nel mezzo del salotto. Kim seduta sul divano, i gomiti sulle ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani, Lo sguardo sereno… Ma come faceva a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno?!
"Calmati e siediti!"  mi sorrise… e mi disarmò. Come sempre. Cedetti e mi misi accanto a lei.
Cominciò a parlare piano, con calma "Cos’ hai studiato?"
La guardai sorpreso… Stavo finendo di laurearmi in ingegneria gestionale. Non era facile, tra partite, allenamenti, ritiri.Ma non mi interessava finire nei tempi canonici. Non avevo fretta.
"Lo sai… perché me lo chiedi?"
"Benji, un campione come te potrebbe pure fare a meno di una laurea… per di più di una laurea del genere! Senza contare che, ogni tanto, segui pure i corsi di lingue!" mi rivolse uno sguardo di rimprovero.
"Quello perché mi piacciono... e, magari, mi servono pure, col lavoro che faccio!"
"Ingegneria gestionale non c’entra molto col calcio… Mica ti aiuta a gestire la difesa del Bayern!" stavo per ridere… poi capii dove voleva andare a parare… Aveva fatto centro.
Come al solito…
Riprese seria  "Tu stai studiando perché sai che un giorno dovrai prendere il posto di tuo padre. Perché non è vero che non te ne frega niente! Perché, in fondo (me lo hai detto tu stesso diverse volte) tuo padre ha sacrificato tutto, te compreso, per rimettere i sesto un’azienda che stava andando a rotoli! Ed è stato grande… E, nonostante tutto, tu lo ammiri per questo."
Il su sguardo era pesante da sopportare. Le sue parole verissime.
"Non voglio perderti… Il calcio… è la mia vita. Hai ragione quando dici che al posto del cuore e del cervello ho un pallone! Ma non si può giocare in eterno… Le carriere finiscono… Ho sempre pensato che avrei preso ad affiancare mio padre a fine carriera. E’ vero: ho studiato perché sapevo che avrei lavorato con lui. Ma negli ultimi anni è diventato insopportabile… La storia del matrimonio poi!"
"Kevin è in grado di prendere quel posto?"
Ci pensai… forse… "No." risposi scuotendo ilo capo "Lavora con loro da un paio di anni, ma è soprattutto un ragazzino viziato!"
"Ok. E, secondo te, tuo padre è tanto fesso da lasciare che tutte le sue fatiche ed i suoi sacrifici vengano vanificati da un ragazzino viziato?"
No.
"Parlagli. Con Calma. Anche di me. Se vuoi, verrò anch’io. Non mi faccio mica sostituire da una Melody qualsiasi, sai?!"
La guardai. Era più bella del solito. No, non l’averi mai lasciata!
Non risposi a quella lettera. Continuai a giocare a calcio ed a vivere con Kim.
Quell’anno vincemmo la Champions. La mia prima Coppa dei Campioni con il Bayern. La vittoria della foto a casa mia…
Finì il campionato. Secondi dietro il Brema. Un pareggio di troppo. La mia porta sempre salva…
Era un giugno terribilmente caldo.
Kim era tornata a casa prima di me perché non si era sentita bene. Un giramento di testa.
"Non ti preoccupare!" mi rassicurò "E’ la solita storia della pressione bassa! Vado a casa al fresco, mangio qualcosa, e stasera sono come nuova! Tu non ti preoccupare e finisci l’allenamento! A dopo!"
Ero preoccupato, naturalmente, ma con lei non si discuteva!
Volai a casa, ma quando arrivai, vi trovai l’auto di mio padre.
Salii velocemente le scale, col cuore che batteva a mille. Spalancai la porta e quello che vidi mi lasciò di sasso.
Richard Price seduto su divano, un bicchiere di the freddo in mano e Kim sulla poltrona accanto che mi sorrideva facendomi l’occhiolino. Per un istante non respirai.
"Stai meglio?" chiesi, ignorando mio padre.
"Si, molto meglio! Ti stavamo aspettando!" inclinò la testa verso Richard e mi strizzò nuovamente l’occhio. Ripresi fiato ma rimasi in guardia.
"Non hai risposto alla lettera…"
Lo fissai. Era tranquillo. E, per una volta, non c’era sul suo volto il solito sorriso sprezzante.
"Non ce n’era bisogno. Non ho nessuna intenzione di mollare la mia carriera adesso. E non ho intenzione di sposare la signorina Vattelapesca! Ho già preso le mie decisioni in proposito!"  rivolsi il mio sguardo su Kim, che arrossì visibilmente.
Mio padre non reagì come avevo pensato "Bene. Me l’aspettavo." fece una pausa. Posò il bicchiere sul tavolino davanti a lui e si alzò, mettendomisi di fronte. Ero pronto  all’ennesimo litigio.
Invece…
"Kevin è un buono a nulla. E lo sai pure tu!" esordì, guardandomi dritto negli occhi e cogliendo la mia sorpresa  "Non ho nessuna, ripeto, nessuna intenzione di lasciargli rovinare il mio lavoro di vent’anni! Tu prenderai il mio posto, volente o nolente!" era un ordine.
"E se non volessi?"
"Allora, spiegami perché stai studiando, e pure con profitto!"
Volsi per un attimo lo sguardo a Kim, che allargò il sorriso. Non sapevo se strozzarla o cos’altro!
Sospirai e gli risposi ironico "Lo sai che do sempre il meglio in tutto quello che faccio… amo essere il primo della classe… Non leggi i giornali?"
"Li leggo… buon per te! Quando sarà il momento ti verrà utile! Per il momento..."
"Si?... Hai altre richieste assurde? Come farmi lasciare la donna che amo per venire a dirigere la tua stupida azienda!"
Si trattenne.
"No. Voglio solo che ti prenda le tue responsabilità."
"Ah si?"
"Benjiamin, non mi provocare! Ne riparleremo più avanti!" mi passò accanto ed uscendo salutò Kim.
La guardai, chiedendole dubbioso  "Cosa gli hai detto?"
"Ho giocato la nostra carta!" e mi sorrise.
"Come?!"
"E’ entrato in  tromba, attaccandomi e dicendomi che non ci saremmo mai potuti sposare perché il tuo matrimonio era già combinato da anni, che faceva parte di un accordo tra famiglie e che io non sono la donna adatta a te! Fermo, non ti agitare!"  mi aveva preceduto.
"Io, con molta calma gli ho solo chiesto una cosa." mi rivolse uno sguardo malizioso.
"Beh?"
"Gli ho chiesto cos’avrebbe fatto se tua madre, invece che essere una ricca aristocratica giapponese, fosse stata una normale donna, magari non nipponica. Più ho meno ha fatto la tua stessa faccia di ora!"
Mi aveva spiazzato "Cos’ha risposto?"
Si strinse nelle spalle  "Non ha risposto."

   
 
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