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Autore: Le Borelle    28/01/2013    2 recensioni
Un uomo distrutto che non ha mai capito come funzioni la vita. Una ragazzina pronta ad amare. Un ragazzo insicuro dei suoi sentimenti. Tomas, Irene e Niall. Riusciranno a trovare una ragione per cui valga la pena vivere?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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19 novembre

TOMAS
Si sedette da solo sulla panchina più isolata, con la testa tra le mani. Da lontano, sembrava dondolare come un’altalena, spinta da un bambino subito corso via. Avvicinandosi, si sentiva un sibilo ripetuto. Aiuto, Aiuto. Aiuto. Aiuto. Aiuto. Invocava un Dio a cui non aveva creduto fino a tre ore prima. Voleva pregare, ma si era dimenticato come si facesse. Dio è buono e Dio mi perdonerà, accoglierà le mie suppliche. Non riusciva a piangere, sentiva solo un enorme groppo in gola che faceva male, molto male. I pensieri si rincorrevano senza seguire un filo logico:  immagini della sua infanzia, il volto di suo padre, le voci dei colleghi dell’ufficio, le urla di sua madre e il pianto di una donna, il bianco delle pareti dell’ospedale e della cartella clinica che all’improvviso gli comparivano davanti. Aveva paura e tra le dita tremanti, gli occhi color ghiaccio erano sbarrati. Rimase seduto sull’orlo della panca per ore, pensando a tutto e a niente. Il suono insistente ed improvviso della suoneria lo scrollò dal suo intontimento. Sperò fosse un amico: si sarebbe finalmente liberato dal peso opprimente che da tutta la mattina lo stava soffocando. Fiducioso rispose, ma dall’altra parte una donna con accento straniero gli propose un cambiamento di piano tariffario, secondo questa molto conveniente. La lasciò parlare e dopo 2 minuti di conversazione accettò un contratto telefonico di una compagnia appena creata che prevedeva una spesa fissa mensile di 25 euro, con messaggi e chiamate illimitate verso tutti. Solo dopo aver riattaccato ricordò che non mandava un SMS da 2 mesi e non effettuava una chiamata da una settimana. Scrollò la testa e poi osservò il parco deserto ed il cielo azzurro limpido. Una nuvola solitaria si era fermata a riposare sulla cima di una montagna e la faceva sembrare un vulcano avvolto dal fumo.

IRENE
La giornata non sarebbe potuta iniziare in modo peggiore. Si svegliò venti minuti in ritardo e per non perdere l’autobus saltò la colazione. Ma l’autobus di certo non aspettava lei e partì con addirittura uno straordinario anticipo di 2 minuti. Così corse per circa 2 kilometri fino a scuola e riuscì ad entrare in tempo per la lezione. Si sedette nell’ultima fila, vicino alla finestra e a Jenny, che stava letteralmente divorandosi le unghie. “Beh, che succede? Vuoi mangiarti anche le mie?” La ragazza la guardò e sospirò. “Sono agitata per l’esposizione del progetto di chimica, lo sai che lo odio il prof..” “Un attimo. Oddio. No. Oh, cavolo il progetto! L’ho dimenticato a casa! E adesso che faccio?” Jenny non riuscì a trattenere una risata che divenne sempre più forte. “Io torno a casa. Non ho proprio voglia di prendere un voto di merda, non un altro! Se mi muovo, secondo te riesco a non farmi beccare?” “Forse sì, ce la puoi fare…” “Oddio, ciao, scappo, ciao Jenny!” Di nuovo di corsa: nemmeno 2 minuti dopo essere entrata dal portone color mogano, usciva cercando di non dare troppo nell’occhio. In lontananza, che si avvicinava al cancello intravide un ragazzo con un ciuffo biondo. “Oh, merda. Pure lui mi tocca vedere ora!” pensò mentre accelerava il passo e si allontanava verso sinistra. La sorpassò ad una distanza di qualche metro buono, ma ciò nonostante si sentì arrossire.

NIALL
Come sempre era in ritardo ma non se ne preoccupò. E poi la vide, che camminava veloce verso il cancello della scuola. Si chiese quando avrebbe avuto il coraggio di salutarla e poi riuscire a parlarci normalmente senza rovinare tutto. Per tutta la mattina pensò a lei e alla sua indifferenza... Probabilmente non l’aveva nemmeno mai notato. Era una ragazza schiva, stava sempre nel suo gruppo ed evitava con maestria qualsiasi sguardo o incontro. Era convinto che a lei non importasse nulla di tutto ciò. Non bramava alla popolarità come tutte le altre, forse perché tutto quello di cui aveva bisogno lo aveva già. Lui era uno dei ragazzi più conosciuti della scuola, aveva buoni voti, una madre che lo adorava, molti amici e tantissime ragazze. Ma mancava sempre qualcosa, non si sentiva completo e invidiava il modo in cui lei poteva fregarsene di tutto quello in cui lui credeva. Quando arrivò a casa trovò sua madre che come gli altri giorni gli stava preparando il pranzo, “Ehi, Niall, ti ho sentito uscire tardi oggi; sei riuscito ad arrivare a scuola in tempo?”. Il ragazzo si sedette sospirando su uno degli alti sgabelli che attorniavano il lungo bancone della cucina, “Sì che sono arrivato in orario, tranquilla… Cos’hai preparato?” Cercò con lo sguardo qualche indizio e un sorriso gli illuminò il volto, “Non mi dire! Spaghetti italiani con sugo alla bolognese. Mamma, ma io ti amo, come farò a vivere senza la tua cucina?”. Sua madre scosse la testa e ridacchiò, felice di venire apprezzata. Mangiarono insieme discutendo della giornata, il ragazzo mise i piatti nella lavastoviglie e poi salì in camera sua.
 
IRENE
Era al telefono con Jenny quando qualcuno si attaccò con intensità al campanello, facendola sobbalzare, “Che palle, devo andare a vedere chi è perché non c’è nessuno oggi… Ti saluto, ci vediamo domani e grazie per le news.” Appoggiò il cellulare sul tavolino del salotto e si avviò verso la porta. Quando la aprì fissò meravigliata l’uomo coi capelli rossi che appoggiato alla colonna sul porticato si teneva il viso tra le mani. Non sopportava la gente che osava disturbare nelle case di altri per promuovere nuovi prodotti, nuove religioni, nuove associazioni o altro ancora, “Guardi, siamo già a posto, non ci interessa.” L’uomo alzò lo sguardo e rimase impressionata dalla disperazione che i suoi occhi azzurri trasmettevano. “No, aiutami”, ogni parola era un dente sradicato, “dammi una ragione per cui continuare a vivere”. La ragazza controllò se ci fosse qualcuno nei paraggi ma la strada era deserta. Osservò attentamente l’inaspettata visita, era un uomo decisamente più giovane di suo padre, curato e ben vestito. Quando di nuovo incrociò i suoi occhi capì che aveva veramente bisogno d’aiuto. In due soli sguardi aveva percepito l’immenso dolore che quell’essere umano portava con sé e che evidentemente stava per sopraffarlo. Non esitò e gli spalancò la porta, “ci sono tanti motivi per vivere. Io voglio vivere per poter veder realizzati i miei sogni, per finire il liceo, per conoscere i figli di mio fratello, per vedere i miei amici sposarsi, per amare, per accompagnare i miei genitori nella vecchiaia. Vivi, per poi bearti del tepore della primavera dopo il gelido inverno.” Gli sorrise, lo prese per mano e lo fece accomodare sul divano. Non aveva paura di lui, non era più seccata per la visita indesiderata, ma si sentiva pronta ad aiutare quell’uomo che all’ultimo aveva deciso di darsi e dare all’umanità un'altra possibilità.
 
12 dicembre

NIALL
Solitamente organizzava ogni sua azione, terrorizzato dal fatto di potersi trovare impreparato, in svantaggio, debole. Quando sentì la sua voce sull’autobus però, si girò e la salutò di impulso. Stava parlando con un uomo che alzò veloce lo sguardo verso di lui e un lampo gli attraversò gli occhi chiari. Si sentiva un demente, aveva sbagliato, non avrebbe dovuto cedere così. Stava per tornare a voltarsi quando un “ciao” gli trafisse il cuore. Cercò i suoi occhi, per avere conferma che fosse per lui il saluto e trovò due pozzi verdi che lo fissarono per un periodo che gli parve infinito. Non aveva mai avuto la possibilità di osservare quanto fossero belli e a quel punto si scoprì incapace di resistere a guardarli ancora e ancora. Avrebbe voluto esplorare il percorso di ogni singola venatura più chiara e più scura, per poi impararne a memoria l’intricato cammino. Nonostante fosse stato riconosciuto e gentilmente salutato si sentì in imbarazzo, un totale idiota e scese di fretta alla prima fermata.
 
TOMAS
Poche settimane prima aveva conosciuto il peggio che un uomo possa vedere nella sua vita. Era convinto di non riuscire a superare l’interminabile attesa che lo separava dalla sua fine, ma adesso credeva invece che il tempo a disposizione fosse veramente troppo poco. Aveva suonato quasi per caso a quella porta ed il destino lo aveva portato dall’unica persona che lo avrebbe potuto salvare. Irene lo aveva accolto senza chiedere spiegazioni e lo aveva aiutato giorno per giorno con parole di speranza, amicizia, affetto. Non le aveva ancora raccontato cosa lo aveva spinto alla sua porta, ma aveva parlato per ore della sua vita solitaria, del suo lavoro inappagante, delle sue relazioni inesistenti. La ragazzina invece spiegava i problemi coi genitori, la difficoltà a scuola, l’amore che ancora non conosceva. In pochissimo tempo si era affezionato moltissimo a Irene, aiutandola come poteva e quando vide il ragazzo che le piaceva salutarla si sentì felice, orgoglioso come un padre. Da quando c’era lei sopravvivere era diventato più facile, cominciava a comprendere ciò che aveva sbagliato un tempo e cercava di insegnarlo anche a lei. Il biondino però fece una smorfia e scese velocemente dal mezzo, lasciando i due completamente disorientati. “Che ti avevo detto? Non ne vale la pena, non voglio perdere tempo a sperare qualcosa che non accadrà… Perché mi saluta se poi non mi si avvicinerà mai?” Anche lui si sentiva ferito dall’atteggiamento del ragazzo che considerò uno stupido per non avvertire quanto fosse stupenda Irene. O forse se ne era accorto: l’intensità e la durata dello sguardo gli erano familiari e lo fecero sperare. “Non dire così. Ti ha salutata per primo ed è già qualcosa. Ma poi soprattutto, gli hai risposto! In un primo momento ero convinto che non avresti aperto bocca, quello sì sarebbe stato l’errore più grande… Non sprecare le occasioni che la vita ti offre, nonostante siano piccole ed apparentemente insignificanti come questa.” Irene sorrise, riconoscente.
 
18 dicembre

IRENE
Era stata una settimana insolita. Aveva convinto Tomas a telefonare ai suoi anziani genitori che non sentiva da anni e adesso si trovava fuori dal suo ufficio aspettando di venire cacciata da un momento all’altro. L’uomo amava il suo lavoro e lo faceva con passione e dedizione ma da anni veniva sfruttato e trattato ingiustamente dal capo che approfittava della sua personalità sottomessa. Qualche settimana prima si era licenziato senza dare spiegazioni ma Irene era convinta che quello non fosse il modo giusto per andarsene.  Ne avevano parlato a lungo e finalmente lo aveva accompagnato al grande palazzo dove un tempo Tomas si recava ogni mattina. Da dietro la porta sentì la voce del suo amico alzarsi e imporsi decisa su quella sconosciuta dell’altro uomo. Sorrideva soddisfatta quando lui uscì dall’ufficio con un’espressione di liberazione sul volto, “Forza andiamocene prima che chiamino la sicurezza”. La prese per mano e la condusse velocemente fuori dalla struttura. Finalmente in strada si girò verso di lei e con gli occhi appannati la abbracciò stretta. La ragazza ricambiò l’abbraccio e pensò a quanto avesse fatto per quello che nemmeno un mese prima era uno sconosciuto. Camminarono fianco a fianco fino ad un bar dove si fermarono a bere un caffè. “Sei una persona meravigliosa. Credevo di essere un fallito, pensavo di morire senza aver concluso nulla, privato dell’amore dei miei genitori, dell’affetto degli amici. Grazie a te invece ho risolto questioni che per anni mi hanno terrorizzato e bloccato in uno stato di limitata coscienza. Sopravvivevo. Ora invece sto vivendo. Voglio vivere per diventare padre e crescere un bambino che diventi perfetto come te. E voglio continuare a vivere perché desidero con tutto me stesso aiutarti in tutte le tue difficoltà future come tu hai fatto con me”. Irene sentiva di volergli un bene assurdo, che mai aveva provato verso qualcuno ma non sentiva il bisogno di dirglielo. “Credimi, lo stai già facendo. Sin da quando hai suonato alla mia porta.”
 
TOMAS
Psicologicamente si sentiva benissimo ma il dolore fisico che ogni tanto lo stritolava come una morsa gli ricordava il suo destino. Ogni giorno le fitte divenivano più frequenti e sempre più amare. Se solo avesse capito prima quanto stava sbagliando nella sua vita avrebbe potuto cambiare qualcosa e invece aveva aspettato l’annuncio del capolinea per comprendere che non era quella la linea che dove percorrere. Ormai era troppo tardi, non c’erano più fermate.
 
NIALL
Non passava un momento che non pensasse a lei. Sognava di salutarla ancora per incrociare ancora una volta il suo sguardo e magari riuscire a capire cosa provasse.
 
21 dicembre

IRENE
Tomas rallentò il passo all’improvviso e cominciò a gemere. “Che succede?”, si avvicinò all’uomo che lentamente si accasciò sul marciapiede. Non poteva essere, non lui, non lei, non a loro. Gridò aiuto e soffocando i singhiozzi si sedette a terra e appoggiò la sua testa rossa sulle gambe. Gli sussurrò mille motivi per vivere mentre intorno a loro si formava un cerchio di persone.
NIALL
Prima un colpo, poi un urlo. Uscì dalla sua camera e chiamando la madre scese di corsa le scale. La trovò a terra che piangeva mentre cercava di riportare la gamba storta in una posizione normale. “Che è successo? Mamma che hai fatto?” Era confuso, niente sarebbe mai dovuto accadere a lui e sua madre, glielo aveva promesso lei quando ancora era piccolo. Loro due, soli ma forti come cinquecento. “Sono cascata, scusami Niall, scusa.” Il ragazzo la abbracciò e le disse di stare ferma mentre aspettava l’ambulanza.
 
TOMAS
Quando riaprì gli occhi il mondo intorno a lui si muoveva senza che lui facesse un passo. Si guardò intorno disorientato fino a quando non trovò lo sguardo preoccupato di Irene. “Tomas, sei svenuto e siamo sull’ambulanza, ti stanno portando all’ospedale. Cosa ti succede?”, da come lo guardava ferita probabilmente aveva già capito che l’uomo le avesse nascosto qualcosa. Non meritava di restarne all’oscuro. Appena sentì di aver recuperato un po’ le forze cominciò a parlarle lentamente. “Scusa Irene se non te l’ho detto finora. Scusa, ma ero troppo spaventato all’inizio, non volevo aspettare la mia morte sopravvivendo come avevo sempre fatto. Non aveva senso, per questo avevo deciso di uccidermi prima. Ma poi sei arrivata tu e tutto è cambiato. Ho creduto che se te ne avessi parlato non avresti continuato ad insegnarmi a vivere, perché non sarebbe servito a nulla ad un uomo che camminava verso la morte. Scusa.”  Cercò di trasmettere alla ragazzina tutto l’affetto che provava per lei. Irene distolse lo sguardo e rimase immobile per il resto del viaggio.
IRENE
Entrò nel pronto soccorso spingendo il lettino di Tomas. La notizia l’aveva sconvolta ma era decisa a perdonare l’uomo non appena ci fosse stato un momento di calma. Accertate le condizioni ormai stabili dell’uomo, lo misero su una carrozzina e si diressero verso il reparto indicatogli dal dottore. Stavano percorrendo un corridoio quando dall’estremità opposta vide arrivare un ragazzo biondo che come lei, spingeva una donna. “Tomas, credi che questa sia una di quelle opportunità di cui mi parlavi?” L’uomo non le rispose ma appena si trovarono di fronte salutò per prima. “Ciao Niall.”
NIALL
 “Ciao”, si fermò in mezzo al corridoio. Si era perso nella tempesta del mare verde degli occhi di Irene.

TOMAS
Non riuscì a risponderle. Non riusciva a respirare e questa volta non era a causa della malattia. Il cuore batteva e lo sguardo si soffermò sul viso della donna che si trovava di fronte a lui. Erano passati anni, ma non avrebbe mai dimenticato il calore e la dolcezza che quegli occhi sapevano dargli. “Shannon”, capì all’istante l’ultima cosa che avrebbe voluto fare nella sua vita. “Shannon, guardami. Sono io, sono Tomas. Ho sbagliato. Sono stato uno stupido a lasciarti andare senza aver lottato. Ormai è troppo tardi per rimediare, in ogni senso. Non pretendo il tuo perdono, so di non meritarlo. Ti chiedo solo di ascoltare le mie scuse e comprendere che quando non mi sono opposto alla tua decisione non è stato perché non ti amassi. Sono stato un codardo fino a un mese fa. Per anni ho sofferto non riuscendo a capire che ciò che mi faceva stare così male fosse la tua assenza. Ora sono migliore e mi è chiaro quello che avrei dovuto fare quel giorno. A questo punto io ho esaurito il tempo e non posso più correggere i miei errori, ma sappi che se avessi ancora un solo brevissimo mese farei per te tutto quello che per 18 anni non ho mai avuto il coraggio di fare. Ti ho amata veramente Shannon.” I due ragazzi rimasero zitti mentre gli occhi della donna si velarono per un istante di tristezza. “Non potrò mai dimenticare il dolore che mi hai causato. Nemmeno dopo queste tue scuse. Non sarebbe giusto. Io sono riuscita ad andare avanti, ce l’ho fatta. La mia ragione di vita è mio figlio Tomas.” Shannon prese le mani di Niall tra le sue e le accarezzò delicatamente. “Nostro figlio. Quando me ne sono andata ero incinta. Non hai combattuto per riavere me e non lo avresti fatto nemmeno per avere lui. Per questo non ti ho detto niente.” La donna parlava con calma, sapeva che un giorno o l’altro si sarebbero rincontrati e dopo tutti quegli anni ormai sapeva che nemmeno un mese di suppliche le avrebbero fatto cambiare idea. “Buona fortuna. Addio Tomas.” Shannon l’aveva salutato e si era allontanata con un’infermiera che l’avrebbe portata al reparto di ortopedia. Era rimasto scioccato dalla notizia di essere padre, per tutti quegli anni una parte di sé era cresciuta lontana da lui ed ora se la trovava davanti, già grande. Irene, accompagnata dal ragazzo, lo portò nella stanzetta che gli era stata destinata, “Niall, hai un nome bellissimo. Sei grande, bello, forte, pieno di salute.” L’uomo osservava stupito il viso del giovane, trovando tutte le caratteristiche comuni. “Non ci sono mai stato per te ma forse è stato un bene. Se avessi saputo della tua esistenza non sarei stato un buon padre. E se lo fossi diventato sarebbe stato comunque troppo tardi. So che non è merito mio ciò che sei diventato, ma quel piccolo inconsapevole contributo che ho dato è stata la cosa migliore che abbia mai fatto.”

IRENE
Si sentiva di troppo. Non c’era spazio per lei lì, in quel momento. Si avvicinò alla porta e osservò Tomas con affetto, sarebbe tornata il giorno seguente a fargli visita, se l’avesse aspettata. Sfiorò con lo sguardo Niall e sentì il cuore batterle forte. Dopodiché uscì silenziosamente dalla stanza e si diresse verso l’uscita.
 
NIALL
Non avrebbe mai immaginato di incontrare suo padre in quel modo. Per anni aveva sperato di poterlo conoscere ma negli ultimi tempi non ci aveva più pensato. Come poteva sentire la mancanza di qualcuno che non aveva mai nemmeno visto? Aveva imparato a vivere senza di lui e grazie all’immenso amore che la madre gli donava non aveva mai sentito il bisogno della presenza di un altro genitore. Ora si trovava nella stanzetta di Tomas e seduto su una scomoda sedia bianca osservava dalla finestra quello che sarebbe stato l’ultimo paesaggio che suo padre avrebbe visto. In verità si sentiva triste, ma di una malinconia comune, quella di un qualsiasi altro essere umano al cospetto di un uomo destinato a morire a breve. Si girò verso l’uomo e si vide riflesso negli occhi celesti così simili ai suoi. “Credo che tu sia sempre stata una brava persona, nonostante tutto. Non ti odio, semplicemente mi è indifferente. Mi dispiace per come finirà, non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico. Sono convinto che se fossi cambiato prima saresti stato un padre magnifico. Non so che legame ci sia tra te e Irene ma vedo da come ti guarda quanto bene ti vuole. Spero solo di non commettere i tuoi stessi sbagli.”

TOMAS
Gli occhi gli si inumidirono, era grato al figlio e alle sue parole. Non poteva desiderare altro, si sentiva assolutamente bene, in pace con se stesso. “Grazie figlio mio. È più di quanto meriti e vi sono riconoscente, a te, a tua madre e ad Irene. Vieni qui, abbracciami.” Il ragazzo gli si avvicinò e lo tenne stretto a sé in silenzio per più di un minuto. Poi l’uomo gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e Niall si staccò da lui. “Così vorrei si fosse sempre comportato mio padre. Grazie e addio.”  Il giovane prese la giacca, guardò per l’ultima volta suo padre e poi uscì di fretta. Tomas sospirò stanco e socchiuse gli occhi. Dalla strada udì una voce che gli fece comparire il sorriso sulle labbra.
“Fermati Irene, aspettami.”

 
  
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