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Autore: kateausten    28/01/2013    7 recensioni
La prima volta che Rose si rese conto di essere innamorata di Albus, aveva tredici anni e un caldo immenso.(..) La seconda volta che Rose si rese conto di essere innamorata di Albus aveva quindici anni e uno sbaffo di crema di mirtilli all'angolo della bocca. (...) La terza volta che Rose si rese conto di essere innamorata di Albus, aveva diciassette anni e si trovava sulla Torre di Astronomia.
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Rose Weasley | Coppie: Albus Severus Potter/Rose Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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"Cerco di amare i tuoi gusti musicali".

La prima volta che Rose si rese conto di essere innamorata di Albus, aveva tredici anni e un caldo immenso.
Lei ed Albus si trovavano, come era uso per loro durante l'estate, sdraiati sul letto di Albus a parlare e ridacchiare.
Entrambi godevano di quei momenti quieti, lontani dal loro caos familiare, così amato e soffocante allo stesso tempo.
Rose, quel pomeriggio, stava soffrendo il caldo più che mai, contando anche il fatto che era una delle estati più afose che l' Inghilterra avesse mai avuto da un bel pò di tempo, che la camera di Al era immersa in una calura soffocante e che il vestito le si fosse incollato addosso.
La cosa che odiava di più, però, era avere le mani sudate.
Si spostava continuamente su quelle lenzuola azzurre in cerca di fresco, stropicciandole, osservando i gesti che faceva suo cugino, le sue espressioni, spiandolo come se dovesse fargli un ritratto.
In quel momento Al, però, non era sdraiato accanto a lei. Era seduto sul bordo del letto con una piccola radio che, Rose lo sapeva, gli aveva regalato suo padre, Ron.
Gliela aveva data con un sorriso, quel sorriso speciale che aveva il suo papà quando collegava una cosa o un episodio a sua madre.
Teneva il rumore della musica basso e ancora sembrava non aver trovato una canzone che potesse piacere a entrambi.
O almeno, così aveva detto di voler fare.
"Ecco qua" esclamò con un sorriso innocente, girandosi verso la ragazza, alzando il volume.
"Cosa?" chiese Rose, ma subito dopo si rese conto cosa intendesse Al.
Anche Rose si sedette sul letto, assumendo un’espressione glaciale.
"Al" disse con voce piatta "Levala". E poi: "Non fare il bambino" e anche: "Cambia canzone. Immediatamente".
Albus sghignazzò e abbassò il volume della canzone, ma non accennò minimamente a cambiarla
"Avevi detto di voler trovare una canzone che piaceva a tutti e due! Sei veramente un bugiardo, Albus Potter!" esclamò con uno strillo di tutto rispetto.
"Sul serio, Rose" disse lui, per nulla toccato dall'offesa "Sei l’unica persona al mondo a cui non piacciono le Sorelle Stravagarie".
Rose incrociò le braccia, sentendo i palmi appiccicosi incollarsi agli avambracci.
"Non è vero che sono l’unica" replicò "E non è vero che non mi piacciono".
"Ah no?" chiese Al "Ma se tutte le volte ti becco che ascolti Celestina e affini!".
"Non è vero!"esclamò arrossendo "Ci sono alcune canzoni delle Stravagarie che mi piacciono".
"Davvero?" Albus inarcò il sopracciglio, perplesso "Elencami i titoli, allora".
"Beh" cominciò Rose, attorcigliando il bordo del lenzuolo "I titoli non me li ricordo, sai, sembrano tutti uguali…".
Vide che Albus stava trattenendo una risata così si affrettò ad aggiungere "Però mi ricordo i testi…".
"Ok. Descrivimene almeno uno".
"Certo" disse Rose con aria superiore "C'è quello che parla del...ehm.. castello e del, del... coso, del drago rock che... lasciami finire, e poi del pentolone che... smettila di ridere! Insomma che bolle e poi... ho detto smettila e... e...".
Lo guardò negli occhi, il cuore perse un battito e poi scrollò le spalle, sconfitta.
"Va bene, va bene. Non so neanche un testo" disse "Contento?".
Albus si stava sbellicando dalle risate.
"Idiota" sibilò Rose.
Si girò, indispettita da quelle risate.
"E dai, Rose" disse lui, guardandola teneramente.
Lei non rispose e lui salì per bene sul letto, gattonando fino ad arrivarle accanto.
"Rose" mormorò e a lei parve che quel sussurro le fosse svolazzato nell'incavo del collo e penetrato nell'anima. "Rose, scusami. Davvero. Dai".
Era abituato a scusarsi con la cugina. Questa era la cosa che la ragazza apprezzava maggiormente. Con gli altri ragazzi non era così: se Fred o James le facevano uno scherzo o la prendevano in giro non si sognavano neanche di chiederle scusa.
Mai.
Albus, invece, lo faceva sempre.
Lei si girò, piano. Sapeva di averlo molto vicino al viso.
"Ok" disse abbassando gli occhi "Ok".
Al sorrise e si allontanò.
"Non riesco a capire come mai non ti piacciano" recuperando la radiolina "Fanno delle canzoni piuttosto belle".
Rose arricciò le labbra, girandosi verso di lui.
"Sono troppo rumorose. Preferisco canzoni più melodiche" spiegò. Si cacciò un ricciolo rosso dietro l'orecchio "Però, se vuoi, ne ascolterò veramente qualcuna. Forse mi piacerà".
Albus la guardò sorpreso e poi sorrise.
Rose voleva un altro sorriso come quello. Lo voleva a tutti i costi.
"Facciamo così" propose, senza incrociare lo sguardo del ragazzo "Io ascolterò una delle canzoni più... ehm... melodiche delle Stravagarie e in cambio tu ne ascolterai qualcuna delle mie".
Albus sorrise.
"Va bene" acconsentì lui "Facciamolo".
Albus le si avvicinò tese la mano per suggellare l'accordo.
"Promesso?".
Rose odiava il caldo.
Odiava che i vestiti le si appiccicassero addosso.
Ma soprattutto, odiava avere le mani sudate.
Ma Albus stava aspettando.
Gli strinse la mano, cercando di fare il più velocemente possibile, ma Al gliela trattenne.
Si guardarono negli occhi, con quelle mani intrecciate, l'aria calda nella stanza e la sensazione di essere agli inizi di qualcosa.
"Promesso" ribadì Rose.

 

 

"Ti lascio sempre l'ultimo pezzo di torta"

La seconda volta che Rose si rese conto di essere innamorata di Albus aveva quindici anni e uno sbaffo di crema di mirtilli all'angolo della bocca.
Albus stava guardando con evidente desiderio quel pezzo di dolce che Rose stava tagliando a pezzettini piccoli piccoli, per gustarselo e assaporarselo, lentamente e con gusto.
Aveva notato come il cugino avesse invece spazzolato a velocità ammirevole la sua porzione- poteva far concorrenza a suo padre- e come, adesso, guardasse la sua fetta.
Notò gli occhi di Al, di un verde chiaro chiaro, così tenero e i capelli neri che glieli nascondevano solo parzialmente. Notò anche la fossetta che aveva sul mento e le lunghe dita affusolate.
Notò il calore, che dalla pancia e dal petto sembrava passarle lentamente alle guancie e la vaga consapevolezza di essere dentro una bolla ghiacciata e di avere un segreto preziosissimo da custodire.
Ma soprattutto notò la voglia, nascosta negli occhi di Al, e il desiderio, sorprendente, che prima o
poi potesse guardare lei con quella stessa espressione.
Erano anni, si rese conto, anni che stava aspettando di vedere quell'espressione su di se.
Come suo padre ai tempi della scuola, Albus non sembrava ancora particolarmente interessato alle ragazze.
Il Quiddicht e gli amici e lei, come amica, certo, ma lei, venivano prima di tutto. E se una ragazza, una qualsiasi di quelle ochette che gli occhieggiavano nei corridoi, sarebbe riuscita a scalzare i suoi principali interessi, se fosse successo prima o poi, a quello, Rose, non voleva pensare.
La ragazza abbassò lo sguardo sul pezzetto di dolce rimasto nel piatto che, neanche a farlo a posta, era il suo preferito; poi lo alzò su Al.
"Lo vuoi?" chiese con voce bassa.
Al la guardò sorpreso.
"No, Rose" disse "E' tuo. Non lo voglio".
"Che bugiardo che sei" sospirò la ragazza in tono esasperato e lui sorrise.
Si sporse verso di lei e prima di afferrare il piatto della cugina- perchè si, l'ultimo pezzo di torta lo voleva- le passò l'indice sullo sbaffo di crema di mirtilli, e se lo infilò in bocca.
"Grazie, Rose".

 

"Potrei saltare dalla montagna più alta se tu me lo chiedessi"

La terza volta che Rose si rese conto di essere innamorata di Albus, aveva diciassette anni e si trovava sulla Torre di Astronomia.
Si trovava sulla Torre perché era il dieci giugno e la vita, per come l’aveva conosciuta fino a quel momento, stava finendo.
Era l’ultima sera che passava ad Hogwarts; l’indomani avrebbe presso l’Espresso e non avrebbe mai più visto la sua scuola.
In realtà c’erano un sacco di altre cose che non avrebbe più visto. Ad esempio il suo comodo baldacchino; le sue amiche; i fantasmi e il Lago.
E non avrebbe più vissuto un sacco di cose, come le lezioni, le corse per il prato e le cene infinite, piene di risate e agitazione a causa dei compiti lasciati a metà, li in Sala Comune, perché tanto c’era tempo per finirli.
Perché tanto, Hogwarts sarebbe durata tutta la vita.
Rose si lasciò sfuggire un piccolo sospiro, stringendo la bacchetta di faggio e crine d’unicorno.
Hogwarts non era durata tutta la vita.
E c’era anche un’altra cosa, persona, che non avrebbe visto più tutti i giorni e si chiese come avrebbe fatto a non impazzire.
Aveva visto Albus tutti giorni, da quando aveva undici anni e benché lui le avesse promesso che niente, niente sarebbe cambiato nel loro rapporto, Rose sapeva che non sarebbe stato così.
Un nuovo lavoro, nuove amicizie, nuove persone sotto i loro occhi li avrebbero portati inevitabilmente a separarsi.
Niente più Hogwarts, niente più Albus, niente più sicurezze.
"Spero non tu stia pensando di buttarti di sotto, perché non ho la bacchetta dietro e non riuscirei a produrre nessun Levicorpus".
Sentendo quella voce divertita, arrivata come un soffio di vento, proprio dietro alle sue spalle curve, Rose sorrise.
Era lì.
"Credevo ti saresti goduto i festeggiamenti" commentò placida, senza muovere un muscolo.
Sentì Al camminare verso di lei e fermarsi accanto alla sua spalla.
Era tanto più alto di lei, adesso. Rose ricordava quel periodo, intorno ai tredici anni, in cui lei era più alta di lui e ancora si stupiva dei venti centimetri che il ragazzo aveva guadagnato in quegli anni.
Mentre lei… beh, lei ne aveva guadagnati al massimo cinque.
"La Sala Comune è troppo rumorosa per i miei gusti" disse, in tono serio.
"Quanto sei bugiardo" rispose lei, ridendo.
Albus mise su una faccia totalmente innocente, che lo aveva salvato più volte dalle orribili punizioni che il nuovo custode, Henry Bishop, minacciava di dargli.
"Ma Rose" obiettò "Come potevo stare li, a bere Wisky Incendiario mentre sapevo che tu eri qui, sola soletta?".
Gli occhi di Rose si ridussero a una fessura.
"Wisky Incendiario?" ripetè "Se la McGranitt lo sa vi ucciderà e…".
Poi vide che Albus ridacchiava e sospirò.
"Te l’ho detto. Sei un gran bugiardo".
Al si limitò a sorridere e stette in silenzio, mentre Rose si cercò di godere quella vicinanza, che da un anno a quella parte si era fatta sempre più sporadica.
"Non potevo lasciarti da sola. Lo so che questa sera è speciale" disse dopo un po’ "Diamine, persino io sento dei brividi di commozione!".
Rose sorrise. Tristemente stavolta.
Sapeva che quella serata sarebbe stata l’epicentro della sua esistenza. Sapeva che la vita, come l’aveva fin’ora conosciuta, sarebbe finita.
Sapeva che il rapporto tra lei e Al sarebbe cambiato. E tutto perché lei aveva deciso così.
"Dovresti essere con la tua ragazza, Al" affermò piattamente.
Albus si mosse, a disagio.
Era sempre a disagio, quando lui, Rose e Linsday McFallen erano a una distanza ravvicinata. Sia fisicamente, sia verbalmente.
"E’ la nostra ultima sera ad Hogwarts. Dovresti stare con lei" ribadì.
Albus continuò a stare in silenzio.
Quando le aveva detto, un anno prima, che la sua paura più grande aveva capelli
biondi e lisci, occhi scuri scuri ed era una graziosa Corvonero, Rose aveva sorriso.
Era arrivata.
Quiddicht e amici e lei erano stati scalzati.
Era il momento a cui si era preparata. Era il momento che l’aveva lasciata tramortita, con quel sorriso ebete sul viso e la sensazione di avere male al petto.
Forse era vero che i cuori si rompevano.
"Rose…" mormorò Al, ricordandosi che l’anno prima, ogni volta che la chiamava, lei gli urlava contro.
"Ti butteresti da questa torre?" La voce di Rose arrivò spezzata come le ali di un pettirosso.
Albus sbattè gli occhi, sbalordito.
"Cosa?".
"Io per te lo farei".
Rose si sentì prendere energicamente per le spalle e scotennare un po’, violentemente.
Si ritrovò il viso di Albus a due centimetri di distanza.
"Non lo dire più" le sillabò "Mai più".
Rose guardò quel viso così vicino al suo e pensò che sarebbe stato facile fare quello che si era negata per anni. Sarebbe stato facile annullare quella distanza e baciarlo, baciarlo con tutta l’ira, la dolcezza, la disperazione che sentiva in quel momento.
Ma lui disse "Rose" e poi ancora "Mai più, Rose" e lei si divincolò prepotentemente dalle sue mani.
"Smettila" urlò "Smettila di dire il mio nome! Smettila smettila smettila!".
Albus chiuse le labbra sentendo che quello era il momento che entrambi aspettavano da una vita intera. Niente sarebbe stato più lo stesso, tutto sarebbe cambiato dopo la loro ultima notte ad Hogwarts.
Il respiro della ragazza era affannoso, aveva gli occhi pieni lacrime che minacciavano uscire.
"Ok" disse Rose, cercando di calmarsi, di rimettere a posto le idee. Si passò una mano fra i capelli e prese un sospirone.
"Ok" ripetè "La tua scelta è semplice: lei o me. Io sono sicura che lei è… una gran ragazza, una ragazza fantastica. Sul serio. Ma vedi... il fatto è che io ti amo".
Rose lo disse così. Disse così quello che per anni aveva pensato, sussurrato, ingoiato, perchè diamine Albus era suo cugino e non poteva permettersi di provare per lui quei sentimenti.
Ma quei sentimenti stavano li, accolti in maniera brusca e inospitale. Ed erano rimasti, incuranti del volere della persona che abitavano. Per anni.
Ci fu una pausa. Una lunga, lunghissima, eterna pausa.
"Ti amo in un modo veramente incredibile" La voce di Rose era più calma adesso e Albus sentì il sangue defluirgli dal viso.
"Cerco di amare i tuoi gusti musicali",
Al si ricordò confusamente, una proposta di tolleranza musicale nei suoi riguardi, un pomeriggio d'estate di mille anni prima.
"Ti lascio sempre l'ultimo pezzo di torta", Si aggiunsero anche tutti i ricordi delle migliaia di volte in cui lei gli lasciava un pezzetto di dolce, magari quello più cremoso e succulento, perchè lui era ingordo mentre lei era più metodica e lo sapeva, sapeva che lui avrebbe voluto un'ultima fetta. Ed era così anche nella vita, quando lei si privava delle cose migliori solo per lui.
"Potrei saltare dalla montagna più alta se tu me lo chiedessi," Albus la guardò dritta negli occhi, collegando la frase a ciò che aveva detto qualche minuto prima.
"E ciò..." la voce di Rose tremò appena "Ciò che mi porta ad odiarti, mi spinge ad amarti".
Ci fu un'altra pausa, ma questa volta fu più breve perchè Rose sembrava scoppiare e lo disse:
"Per cui...
Prendi me.
Scegli me.
Ama me".
Sembrava un grido, un grido disperato che lo pregava, lo implorava di sceglierla, perchè solo lei avrebbe saputo come amarlo nel migliore dei modi.
E Al lo sapeva.
Si avvicinò lentamente a lei, ma Rose si scansò velocemente.
"Domattina, alla stazione di Hogwarts. Se, quando arriverai, mi prenderai la mano, allora saprò che.. bè, staremo insieme. Se non lo farai... capirò, Al. Capirò".
Lo guardò un'ultima volta, prima di dirgli una cosa, giusta e completamente sbagliata allo stesso tempo.
"Ma se non fosse così... se domani non prenderai la mia mano... Al, non potrò più vederti. Non potremmo più stare insieme. Non come adesso. Lo sai, vero?".
Lo guardò un'ultima volta, impietrito sul posto. Non attese risposta, e se ne andò con il cuore vuoto e la gola secca.

 

                                                                      ****

La colazione del mattino dopo fu un continuo, eterno, disperato tentativo di far finta di niente, di non guardare, di non sperare.
Mettere a posto nei bagagli le cose che per sette anni avevano riempito quella stanza fu un susseguirsi di ricordi, di risate e di pianti con le sue amiche.
Rose avrebbe sempre pensato ad Hogwarts come la parte migliore della sua vita, come la parte innocente e spensierata dove aveva potuto convivere con la persona che amava.
Si era opposta, dentro di se, a lasciare Hogwarts.
Pensare di allontanarsi da li, anche solo per un breve periodo, le procurava i sudori freddi.
Sapeva che lasciare la scuola era come lasciare Albus.
Voleva tornare all'inizio e rivivere tutto.
Voleva entrare dal portone la prima volta, voleva essere smistata, voleva sorprendersi per ogni incantesimo, ogni fantasma o quadro parlante.
Voleva tornare all’inizio, ma in un attimo fu lontana dalla scuola, sulla piattaforma con l’Espresso fumante davanti a lei.
Gli studenti erano dappertutto, toghe nere che svolazzavano davanti a lei, sorrisi incerti per chi lasciava Hogwarts per sempre e sorrisi un pò meno incerti per chi a settembre sarebbe stato nuovamente li.
Non c’era.
Non sarebbe venuto a stringerle la mano.
Albus era di un altro mondo e lei non poteva entrarci, neanche con tutta la forza di volontà.
Cosa diamine le era preso la sera prima?
Anche volendo, non potevano stare insieme.
Cosa avrebbero detto tutti?
I loro genitori, i loro parenti, il mondo…
Albus era sicuramente più intelligente di lei, ci aveva sicuramente pensato a queste cose.
Lei no.
Si era lasciata guidare dai sentimenti e non avrebbe più dovuto, più voluto…
Una mano calda si infilò nella sua.
Piano, lentamente, come se non ci fosse nessuna fretta, come se avessero tutto il tempo del mondo.
Rose odiava il caldo e anche quell’estate si stava preannunciando afosa come quella
di qualche anno fa.
Aveva la mano sudata.
Ma in quel momento amò il caldo, amo la sua mano sudata e strinse con forza le cinque dita incastrate con le sua.
Cercò di controllare i muscoli facciali, ma era un’impresa impossibile perché stava già sentendo che un sorriso enorme le stava aprendo le labbra.
"Così" disse in tono noncurante mentre aspettavano che le porte del treno si aprissero "Hai scelto".
Sentì Albus che sospirava.
"Non è che mi hai dato tanta scelta. Ti saresti buttata dalla Torre, altrimenti".
Rose girò di scatto, ma vide che Al stava sorridendo, scanzonato, e le teneva la mano intrappolata nella sua.
Ci sarebbero stati problemi, si.
Sguardi sconvolti, giustificazioni, recriminazioni.
Ma Al era li, con lei.
E niente sarebbe stato così difficile.
"Fai poco lo sbruffone" disse, mentre le porte si aprivano "Se non mi fossi data una mossa io, saresti ancora a guardarmi imbambolato".
Albus fece una smorfia.
"Non è vero. Avrei aspettato il momento giusto, con fiori, musica, regali… Mica come te. Mi hai praticamente aggredito".
Rose ridacchiò.
"Bugiardo" disse.
Ma stavolta più dolcemente.

 
Questa storia ha partecipato al contest "Una frase per ispirarti. Gray's Anatomy Sentences" di ticci, classificandosi terza e vincendo il premio "Miglior pairing".
Un grazie di cuore alla giudiciA per le sue belle parole e complimenti a tutte le partecipanti.

  
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