Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: ShioriKitsune    28/01/2013    5 recensioni
«In un certo senso, ed in un modo strano e contorto, lui mi ha salvato. Ed io gli sarò sempre grato per questo».
[SebxCiel]
E' la mia prima fan fiction sul mondo di Anime e Manga, spero che vi piaccia. Questa storia è ambientata dopo l'ultima puntata dell'Anime (il manga è ancora in fase di lettura v.v) e inizia raccontando la paura di Ciel riguardo al distacco del suo maggiordomo. E poi, in un crescendo di suspance, si scoprirà quanto Ciel sia stato infantile nel suo giudizio.
Spero davvero che possa essere di vostro gradimento :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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«Il cane da guardia della regina, eh? Gran bel colpo, davvero. Ci creeranno un sacco di problemi, lui e quel suo maggiordomo».
«Ci è stato ordinato così, lo sai. E pensa a quanto sarebbe appagante riuscire a sparire dalla circolazione prima che il maggiordomo ci trovi. Senza di lui, quel moccioso non è niente».
«Ah no? Allora perché è in grado di restare vivo dopo una pallottola nel cervello?».
Silenzio.
Riaprii gli occhi, ma non riuscii a vedere nulla: ero legato e bendato. Faceva freddo, forse troppo per una normale notte di gennaio. Ricordai che indossavo soltanto la camicia da notte, era forse per quello che sentivo il gelo penetrarmi nelle ossa in modo così intenso e doloroso?
Il mio corpo veniva sbattuto da una parte all’altra del carro, nessuno si era preoccupato quantomeno di legarmi a qualcosa. Stupidi umani.
Ma tre domande si affacciarono spontaneamente nella mia testa: chi erano quelli,  perché sapevano di me e per conto di chi lavoravano?
Era chiaro come il sole che due idioti come loro non conoscevano neanche le motivazioni dei loro gesti.
Fui sbattuto con forza contro il legno freddo e duro, e non riuscii ad evitare di emettere un singulto. I due si voltarono all’improvviso, trattenendo il fiato. «Si è svegliato».
«Non è possibile che sia già sveglio», gli fece eco l’altro.
Il carro si fermò. «Dici.. dici che dovremmo sparargli di nuovo?».
«Forse dovremmo. Insomma, non sappiamo di cosa sia capace questo marmocchio».
Ci fu silenzio, e riuscii ad udire chiaramente l’uomo che caricava la pistola. Ma non volevo perdere conoscenza di nuovo.
Agitai convulsamente la testa, emettendo dei mugolii. La benda era così scura che non riuscivo a guardare attraverso, nonostante i sensi sviluppati. Ma forse, se avessi fatto abbastanza pressione sui polsi, la corda si sarebbe spezzata.
«Fermo! Si sta liberando, cos’aspetti a sparargli?».
Mi rassegnai, raggomitolandomi su me stesso e serrando gli occhi in attesa della pallottola che, per la seconda volta, mi avrebbe trapassato il cranio.
“Sebastian”, pregai mentalmente. “Sebastian, dove sei?”
 Ma il proiettile non arrivò mai a destinazione. Un movimento d’aria alle mie spalle mi fece intuire che qualcuno era arrivato in mio soccorso. Sospirai, notevolmente sollevato.
«Vogliate scusarmi, begli uomini, sono venuto a riprendermi ciò che è mio».
Ma quello non era Sebastian.
«E tu chi diavolo sei?», urlò uno dei due, totalmente in preda al panico. Il nuovo arrivato mi tolse le bende giusto in tempo perché io potessi vedere il suo solito piccolo siparietto.
«SHINIGAMI DEATH!».
M’inumidii le labbra, ormai secche e screpolate, prima di rivolgere lo sguardo all’uomo dai capelli rossi. «Grell, cosa ci fai qui?».
«Che domanda stupida, conte Phantomhive. Ti salvo da questi due psicopatici!».
Riuscii a liberarmi dai lacci che mi tenevano serrati i polsi e le caviglie, poi Grell mi prese tra le braccia e iniziò a correre tra la foresta fitta, lontano dai due rapitori messi ormai K.O.
«Non ti ho chiesto di salvarmi», borbottai a braccia conserte, rivolgendo lo sguardo alla vegetazione che mi scorreva davanti troppo velocemente per potermici soffermare.
Avvertii una fitta al petto, una fitta di quel tipo che rare volte avevo provato nella mia vita. Era dolore, e non fisico. Con la mano, mi coprii l’occhio che racchiudeva il sigillo Faustiano di Sebastian, come a volerlo celare al resto del mondo. Non volevo che Grell si accorgesse che c’era qualcosa di sbagliato, ma chi non se ne sarebbe accorto? Sospirai, stringendomi le ginocchia al petto. Lo Shinigami non stava facendo domande, il che era abbastanza insolito. E fu in quel momento che la mia mente partorì l’idea che, forse, Grell era a conoscenza di qualcosa che io non sapevo.
«Tu, sai dov’è Sebastian?».
Lui si irrigidì appena, ma continuò a correre con il sorriso aguzzo che lo caratterizzava dipinto sul volto. «Sebas-chan? Sfortunatamente sono settimane che non lo vedo, e mi deve ancora un bacio con la lingua. Anche se dopo tutte quelle pose sexy a palazzo Trancy credo che non mi basti più un semplice bacetto», il suo tono si fece basso, magari con l’intento di essere seducente, ma riuscì soltanto a procurarmi un brivido di disgusto. «Sei un inguaribile pervertito».
Grell mi aveva mentito. Sapeva dove fosse Sebastian, ma non aveva intenzione di dirmelo. Non era difficile pensare che lo stesse coprendo, data la sua smisurata cotta per lui, ma coprendo da cosa? Da me? E per quale motivo? I dubbi continuavano ad insinuarsi dentro di me, e il timore di poterlo perdere..
“NO!”. Qualcosa, dentro di me, urlò. Io non avevo paura, non più. Ero il conte Ciel Phantomhive del casato Phantomhive, noto per il coraggio e la fermezza. Non mi era concesso sentirmi debole, neanche per un secondo. Soprattutto da quando ero diventato un demone.
«Non mentirmi, Grell Sutcliffe. Non sai farlo a dovere».
Lui sbuffò, fermandosi di scatto e lasciandomi quasi cadere. «Siamo arrivati alla villa, ringraziami per il trasporto. Che ne dici di un appuntamento con Sebas-chan, come ricompensa?».
Serrai gli occhi in due piccole fessure. «Dov’è William?».
E, come prevedibile, l’attenzione dello Shinigami fu completamente catturata dal nome del suo collega. Strinse le mani l’una con l’altra e, con fare gaio, se le portò al viso. «Will, oh, Will. Grazie, piccoletto, mi hai ricordato cosa devo fare adesso».
Prevedibile, vero, ma la reazione era stata fin troppo pronta. Come se.. come se fosse stata programmata. Nemmeno lui era così tanto frivolo.
«Ehi, Grell, aspetta! Devi ancora rispondere alle mie dom-». Ma era troppo tardi, era già scappato via. Abbassai le spalle, abbattuto. «Dannato».
M’incamminai per il lungo viale della residenza, tornando a domandarmi chi diavolo fossero i due che avevano fatto irruzione in casa, eludendo le difese di Sebastian e rapendomi. Per chi lavoravano? E come facevano a sapere quelle cose su di me? Avrei chiesto a Sebastian di indagare.
Anche se, a dirla tutta, non ero sicuro che lo avrebbe fatto.
Bussai al grande portone della villa, aspettando che qualcuno mi aprisse. Ricordai che non avevo con me la benda, quindi tentai di coprire l’occhio con ciuffi di capelli: per quanto potessi sembrare strano ai miei servitori, era sempre meglio che conservassi almeno una parvenza di normalità.
Mey-Rin arrivò alla porta qualche minuto dopo, tenendo gli occhiali tondi e scheggiati stretti in una mano e un fucile nell’altra. Quando mise a fuoco il mio volto, lo lanciò dall’altra parte della stanza e iniziò ad agitare convulsamente le braccia. «Signolino! Cosa ci fa qui fuoli vestito solo di un così leggelo indumento? Pensavo fosse qualche malintenzionato, a quest’ola della notte!».
Avevo così tanto freddo che iniziai a battere i denti senza neanche rendermene conto. La donna mi circondò le spalle con le braccia e mi scortò in cucina, dove m’immerse i piedi in una bacinella di acqua calda. «Oh, signolino, spero che adesso non le venga un malanno! Cosa le è saltato in mente?».
In pochi minuti riuscii a smettere di tremare. Nel frattempo, erano arrivati anche Finnian, Baldroy e Tanaka, ma di Sebastian neanche l’ombra. A causa delle loro facce assonnate, mi azzardai per la prima volta a guardare l’orologio: erano le quattro del mattino.
Per un momento mi dispiacque sapere di averli svegliati, ma poi ricordai che erano semplici servitori: era quello il loro compito, ed erano tenuti ad adempiervi a qualsiasi ora del giorno.
Non si erano accorti dello sparo? Piuttosto strano, visto che era piena notte e tutto era silenzioso.
«Qualcuno è entrato in casa e mi ha portato via con la forza. Domani provvederò a scoprire chi è stato».
In pochi secondi, - il tempo di metabolizzare la notizia -  in casa scoppiò il putiferio.
Tutti iniziarono ad urlare, chiedendosi cosa fare e dove fosse Sebastian, e soprattutto chiedendosi come mai lui non avesse fatto niente per impedirlo.
«Allora inizia a perdere colpi anche il caro Sebastian, mhm?», sentenziò Baldroy incrociando le braccia al petto.
«No», esclamò in tono esuberante Finnian. «Il signor Sebastian non può perdere colpi. Dev’esserci per forza una spiegazione..».
«Una spiegazione per cosa?».
Tutte le teste della stanza si voltarono in direzione del maggiordomo.
«Sebastian-saaaaaaaaan!».
I miei servitori, eccetto Tanaka, si radunarono tutti intorno a lui, agitandosi per ottenere la sua attenzione. Le loro voci si accavallarono, ma mi parve di comprendere che gli stessero raccontando ciò che era successo.
«..Ma pel il lesto della stolia deve pallare col signolino, signol Sebastian. Non ha fatto in tempo a laccontalci tutto, poco fa».
Il maggiordomo alzò lo sguardo, uno sguardo freddo e falsamente gentile, e lo posò su di me. «Bocchan, mi racconti cosa è successo».
Serrai la mascella per non urlare, un eccesso di collera lo avrebbe solo divertito. In quel momento, tutto ciò che provavo era rabbia, odio, risentimento.
Ero stato tradito dall’unica persona che aveva giurato di non farlo.
Mi alzai di scatto, senza rivolgere la parola a nessuno, e mi diressi nella mia stanza.
La finestra era ancora aperta, segno che nessuno di loro era venuto a cercarmi. Proprio nessuno.
La richiusi, quasi sbattendola, quando avvertii una presenza alle mie spalle.
«Bocchan..».
Mi voltai nello stesso istante in cui udii la sua voce, pronto a schiaffeggiarlo. Ma lui carpì il movimento del mio braccio e mi bloccò la mano a mezz’aria in una stretta salda.
Sgranai gli occhi, quasi digrignando i denti. «Che combini, Sebastian?», gli urlai contro. «Ero in pericolo! E tu saresti dovuto essere lì per salvarmi! Provo ancora dolore, lo sai? Fa ancora male una pallottola nel cervello! Dov’eri quando avevo bisogno di te?».
Serrai di scatto la bocca, rendendomi conto dell’ultima frase pronunciata. Il sorriso sarcastico del demone di fronte a me mi aiutò a capire che nemmeno a lui era passata inosservata. «Lei è un demone adesso, bocchan. Non ha bisogno di nessuno, nemmeno di me».
Ero sempre più irritato, nervoso e umiliato. «Non è questo il punto. Noi abbiamo un contratto e tu sei tenuto a-».
«Lo abbiamo?». I suoi occhi incrociarono i miei, ardenti come l’inferno stesso. «Abbiamo un contratto? Perché non mi sembra che io possa più ricevere qualcosa in cambio da tutto questo».
Mi si strinse lo stomaco.
«Io ti ho dato un ordine e tu devi eseguirl-».
Sebastian si abbassò raggiungendo la mia altezza, e mi posò un dito sulle labbra come a zittirmi. «So quali sono i miei ordini, ma so anche che non sono più tenuto ad eseguirli. Il buoncostume di un demone può spingersi fino ad un certo punto, no? In fondo, siamo esseri egoisti e nient’altro».
Il cuore mi martellava nel petto, mentre lacrime di rabbia e frustrazione minacciavano di distruggere la mia facciata di autocontrollo. Deglutii a vuoto, distogliendo lo sguardo dal suo. «Ho sonno».
Sebastian tornò dritto, facendomi un mezzo inchino e aspettando che io raggiungessi il letto prima di parlare. «A causa della sua nottataccia, la lascerò dormire di più in mattinata. Buon riposo, bocchan».
Mi girai dall’altra parte, stringendo un lembo di lenzuolo nel pugno della mano, mentre alle mie spalle il sole sorgeva.

TO BE CONTINUED:
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e recensite se volete che la storia continui :) Arigatō!
   
 
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