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Autore: claudineclaudette_    28/01/2013    5 recensioni
Il mio nome è Yuri diventerò una guerriera! Il mio maestro…. Ma cominciamo dall’inizio!
La storia di una giovane che cerca di andare contro i pregiudizi della società in cui vive per riuscire a realizzare il suo sogno.
Dico solo un nome: Sephiroth! ...e una parola: Commenti! Perchè più commenti rendono gli autori più felici!
p.s. Lei non è una Mary Sue :p promesso!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Altro contesto
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Ok, mi dispiace. Ho fatto di nuovo passare dei mesi ma ho avuto problemi di salute. Ho passato un bel po’ di tempo a fare risonanze magnetiche ed esami del sangue e sinceramente non avevo nessuna voglia di scrivere (alla fine non avevo niente, ma l'umore non era esattamente dei migliori). E da gennaio sono sotto esame quindi anche se la voglia c’è, è il tempo che manca ma davvero non potevo lasciare ancora in sospeso questo capitolo. Quindi eccolo qui!

Ancora non l’ho riletto (devo davvero rimettermi a studiare): lo ricontrollerò appena avrò tempo ma almeno ecco qui la prima stesura! Un bacio a tutti!

 

E’ strano svegliarsi. Apri gli occhi e per un momento è come se fluttuassi, come se non fossi veramente sveglia. Ci stai un attimo a tornare completamente alla realtà e per me, quella volta, fu più lenta di tutte le altre.

Aprii gli occhi e vidi solo buio. Dovetti sbattere le palpebre un paio di volte prima di capire che non ci vedevo perché era notte, e ancora perché i miei occhi cominciassero ad abituarsi all’oscurità. Sopra di me il cielo stellato, dovetti girare la testa verso sinistra per capire che il calore che sentivo era dovuto a un fuoco che scoppiettava dolcemente.

Cosa ci faccio qui? Riuscii a pensare prima che i ricordi del giorno prima mi colpissero come una valanga. Mi buttai di lato e vomitai sull’erba. Ci volle un po’ perché i conati si attenuassero e mi tirassi di nuovo a sedere, ma non ero sicura di aver finito. Mi strinsi nella coperta nella quale mi ero trovata avvolta. Sotto ero nuda. O mio Dio. Mi scappò un singhiozzo. Sephiroth. Safer era Sephiroth. O mio Dio. Ero con lui quando avevo perso conoscenza, questo lo ricordavo chiaramente, dopo che… ma fermai quel pensiero. Non riuscivo nemmeno a pensarci. Dov’era? Sentii un sospiro alle mie spalle e mi voltai. Ma certo.

Sephiroth si trovava dall’altra parte del fuoco. Seduto per terra, si reggeva la testa tra le mani, ma riuscivo ancora a vederlo in volto. Era pallido come un fantasma con delle scurissime occhiaie sotto gli occhi. Quando si rese conto che lo stavo fissando, alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi.

Fece un lieve movimento, come per alzarsi, ma si immobilizzò a metà del gesto.  – Vuoi…? – chiese esitante.

- Non ti avvicinare – gli ordinai scattando in piedi. La voce rischiò di bloccarmisi in gola e uscì molto più stridula di quanto non mi fossi aspettata.

Al di là di quel primo gesto iniziale non si era mosso e non riuscivo a smettere di fissarlo. Il viso, la linea tirata delle labbra, la postura delle spalle, il modo in cui stringeva e distendeva le mani…tutto in lui mi diceva che quello era Safer. Era l’uomo che amavo.

E l’uomo che amavo era Sephiroth. Il demone albino.

- Oh mio Dio – gemetti mentre un altro conato di vomito mi piegò in due. – Oh mio Dio, oh mio Dio… - caddi in ginocchio e vomitai di nuovo. – Cazzo – dissi con un altro singhiozzo. Adesso piangevo pure. – Cazzo – ripetei. Non mi ero mai lasciata andare a quel tipo di linguaggio ma in quella situazione mi sentivo pienamente autorizzata.

Una volta che i conati si fermarono e i singhiozzi furono messi sotto controllo, tornai a guardare verso Sephiroth, che non mi aveva ancora staccato gli occhi di dosso.

- Come hai potuto – sibilai velenosa.

- Ti prego – disse. Spostò una gamba in avanti, cominciando ad alzarsi, e le mani tese davanti a sé come in un gesto di supplica. – Lascia che ti spieghi.

Lo guardai mentre si alzava in piedi e faceva un passo, esitante, verso di me. Io mi rifiutai di muovere un muscolo. – Cosa c’è da spiegare, esattamente? – replicai gelida, con una calma nella voce che non sentivo. Avevo ancora davanti a me l’immagine delle fiamme. E del sangue.

Prese un respiro profondo, come per prendere coraggio prima di iniziare a parlare. Dopo un secondo lo lasciò andare senza dire una parola. Immagino fosse difficile, per lui. Giustificarsi. Spiegare. Non credo abbia mai dovuto farlo in tutta la sua vita e anche allora una parte di me, una piccola parte di me, nascosta e messa da parte sotto tutto quel dolore e quel cordoglio, lo sapeva. Quella piccola parte che per un istante che durò meno di un battito del mio cuore, volle andare da lui e abbracciarlo.

Chiuse gli occhi e prese un altro respiro. Scosse la testa. – Sei la cosa più importante per me – disse alla fine. - Più importante di qualsiasi cosa e se… - abbassò lo sguardo, come se guardarmi negli occhi fosse troppo difficile. – Se potessi tornare indietro lo rifarei. Farei di tutto per tenerti in salvo.

- Stai zitto. Non voglio starti a sentire! – urlai mentre sentivo gli occhi bruciare e riempirsi nuovamente di lacrime. Perché doveva essere così difficile?

Sephiroth fece un altro passo verso di me. – Hai tutto il diritto di odiarmi… - mi disse con voce rotta. – La verità è che non sono stato in grado di pensare razionalmente a quel punto.

- La verità è che mi hai mentito! – strillai facendo a mia volta un passo verso di lui. Le mani strette a pugno. – Per tutto questo tempo, mi hai mentito!

I suoi occhi furono attraversati da un lampo. – Io sono Sephiroth – disse con durezza, cominciando ad alzare la voce. – Come avrei potuto dirtelo? Sono un mostro, sono il “demone albino”. Non volevo uccidere la tua famiglia ma quando ti ho vista a terra, ricoperta di sangue, non sono più stato in grado di pensare. Io SONO il demone albino. Per quanto avessi voluto illudermi di poter essere un uomo con te, un uomo normale, rimango un mostro. – parlando mi si era avvicinato. Ormai mi stava solo a pochi passi di distanza.

Non sapevo cosa rispondergli e la cosa mi faceva arrabbiare ancora di più. Ero divisa, lacerata da desideri opposti. Perché non potevo odiarlo e basta? Perché dovevo combattere tra il desiderio di piangere, quello di scappare e quello, piccolo e quasi irriconoscibile, che mi diceva di correre tra le sue braccia e farmi stringere, farmi consolare da lui? Farmi dire che mi amava e che tutto sarebbe andato bene da quel momento in avanti.

L’unica cosa di cui ero certa è che dovevo vomitare di nuovo ma ero troppo testarda per farlo così restammo in silenzio, uno di fronte all’altro.

Proprio quando sembrava avesse deciso di dire ancora qualcosa, quando fece quell’ultimo passo che ancora ci separava, alzando una mano, come per toccarmi, trattenendola solo a pochi centimetri dal mio viso, scorgemmo delle luci in lontananza.

- Sono gli abitanti di Wutai – mi disse quieto, senza abbassare la mano. Voleva toccarmi, sfiorarmi, qualunque tipo di contatto gli sarebbe bastato, potevo leggerlo nei suoi occhi, nella posizione del suo corpo. – Lì vive un uomo, uno dei guerrieri più forte di tutto il pianeta. Ti insegnerà a combattere, se vorrai. Oppure ti porterà ovunque tu voglia.

Forse si aspettava una risposta, ma io non potevo fare altro che guardare lui, i suoi occhi…la sua mano. Sarebbe bastato un lievissimo movimento, sarebbe quasi potuto succedere per sbaglio, per farsi toccare. Abbandonarsi al suo tocco. Prendergli la mano e non lasciarlo andare, supplicarlo di non lasciarmi. Ma non potevo farlo, e lo sapevo. Mi costrinsi a fare un passo indietro e a distogliere lo sguardo, con tutta la volontà che avevo ancora in corpo.

Strinse la mano a pugno e abbassò il braccio. – Hai tutto il diritto di odiarmi – ripeté. – Io ti amo. Ti amo, non dubitare di questo, ti prego. Se mai vorrai vendicare per la tua famiglia, se mi vorrai uccidere…io ti aspetterò. – Spalancò quella splendida, maestosa ala nera e mi guardò un'ultima volta prima di alzarsi in volo.

Girai su me stessa per seguirlo con lo sguardo. Stavo piangendo di nuovo. Ancora, un singhiozzo mi percosse e nascosi il viso tra le mani. Mi abbandonai a quel pianto con tutta me stessa perché, mi promisi, quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei fatto. Mi asciugai il volto con un lembo della coperta e mi voltai verso le luci, in attesa.

Dopo poco vidi delle persone emergere dagli alberi. Erano cinque e ognuno di loro reggeva una torcia. Raddrizzai la schiena e aspettai che si avvicinassero, osservandoli.

Quattro di loro erano vestiti con abiti simili, che mi ricordavano gli abiti da cerimonia del mio villaggio. La cosa non mi stupì, sapevo che Nacom era stato fondato da gente che era immigrata a Midgar da Wutai. Era l’uomo al centro che catalizzò la mia attenzione. Vestiva abiti neri e stivali di pelle, a destra, appesa alla cintura, teneva una pistola con tre canne. Gli mancava il braccio sinistro. Aveva i capelli neri e la pelle pallidissima tanto da farlo assomigliare a un fantasma e, mi resi conto quando ormai mi stava a pochi passi, aveva gli occhi rossi come il sangue.

   
 
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