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Autore: Blue_moon    30/01/2013    3 recensioni
Secondo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia, è necessario aver letto la prima parte, Prigioni.
Loki è fuggito con il Tesseract, portando con sè Khalida.
Ma qual'è la vera missione della donna?
E cosa sta architettando veramente il Dio dell'Inganno?
Qual'è la vera natura del Tesseract?
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Vi ringrazio infinitamente per il numero alto di letture e le recensioni!
Ci vediamo alla fine, buona lettura.



Il primo tuonò si sentì in pieno pomeriggio.
Rimbombò in lontananza e sembrò rimbalzare sulle pareti della Bocca del Demone come la pallina di un flipper.
Loki sollevò la testa, come se i suoi occhi potessero vedere oltre la roccia sopra di lui.
Chiuse gli occhi, respirando profondamente. L'aria fuori stava cambiando, caricandosi di umidità.
A breve, il temporale sarebbe iniziato.
Un secondo tuono, più vicino, gli riportò alla mente ricordi dolorosi, anche se lontani.
Allacciati ad essi, ce n'erano di molto più recenti.
Ignara, o forse noncurante, dei suoi pensieri, Khalida gli passò davanti, gli occhi chini su uno strumento elettronico di cui Loki non conosceva la funzione.
Al suono del terzo tuono anche lei si fermò, sollevando gli occhi verso l'alto.
Un lieve sorriso, tremendamente irritante al parere di Loki, le spuntò sulle labbra.
Sul collo, Khalida ostentava dei grossi lividi neri, e Loki strinse i denti rammentando.
Il giorno prima, c'era quasi riuscita.
Preda della rabbia, era stato a tanto così dall'ucciderla.
Anche se non rinnegava nessuna delle sue azioni passate, Loki sapeva che ripercorrere la strada della rabbia cieca e del dolore, non avrebbe fatto altro che riportarlo dritto in una gabbia. Se voleva ottenere ciò che desiderava, doveva spogliarsi anche delle ultime briciole di sentimenti che gli erano rimasti.
Il Tesseract lo stava aiutando, la sua natura incredibilmente superiore lo distraeva da qualsiasi altra cosa, portandolo molto spesso ad avere momenti di vuoto assoluto, in cui solo l'energia del Cubo scorreva dentro di lui, impedendogli di sentire qualsiasi altra sensazione.
E ora che ci stava riuscendo, quella donna aveva deciso di mettersi in mezzo.
Non credeva che il suo gesto fosse mosso da sentimenti sinceri, ma anche se lo fosse stato, non gli sarebbe interessato.
Essere l'oggetto dell'affetto di un'umana, gli era del tutto indifferente.
In realtà la sua rabbia era stata scatenata da altro, da un insieme di ricordi che, nonostante tutto, gli premeva come un grumo di sentimenti dritto sullo sterno.
Quel contatto intimo, per quanto insignificante, gli aveva portato alla mente la successione di eventi che l'aveva condotto fin lì. Eventi che aveva seppellito a lungo, ma che ora tornavano prepotentemente alla luce.
Anche se forse nessuno gli aveva mai creduto, aveva voluto bene a Thor e ad Odino.
Li ammirava, anche se ne percepiva i difetti, e molto spesso detestava sé stesso per non essere come loro. Quando aveva capito che non lo sarebbe mai stato, che non avrebbe mai potuto esserlo, si era ripromesso che sarebbe stato meglio. Che la sua gloria avrebbe fatto impallidire la loro.
Ma aveva fallito.
Odino glielo aveva detto chiaramente, con quel “no” pronunciato come una sentenza, sul Bifrost in pezzi.
Il tempo successivo alla sua caduta nel vuoto, l'alleanza con Thanos, la febbre del potere dello Scettro, erano ricordi confusi e offuscati da una rabbia da cui aveva iniziato ad emergere solo durante la prigionia ad Asgard.
Respirò a fondo, sentendo un nuovo flusso d'energia penetrare nel suo corpo.
Faticava ancora a gestire il potere del Cubo, non era in grado di trattenere la maggioranza dell'energia che assorbiva e troppo spesso era costretto a lasciarla andare, per non rischiare di saturare il proprio corpo con effetti decisamente poco piacevoli.
Per quello usava la donna, per riuscire a capire come catalizzarla, controllarla e immagazzinarla.
Era migliorato, ancora qualche giorno e avrebbe potuto abbandonare quella farsa, smettere di tollerare l'insulsa presenza di Khalida e terminare quella parentesi di infelice convivenza.
Avrebbe ucciso Khalida e sarebbe sparito, fino al momento più opportuno al suo ritorno.
Come, in fondo, tutti si aspettavano che facesse.
Non si sfugge alla propria natura.
Anche se Loki aveva pronunciato quella frase come una semplice constatazione, dentro di lui la sentiva più come una condanna, più pesante del giudizio di Odino, di Asgard, o di qualsiasi essere vivente.
Una prigione ben più terribile di quella in cui era stato confinato dal Padre degli Dei o dallo S.H.I.E.L.D.
E Loki aveva sempre detestato le costrizioni, gli obblighi, le imposizioni, anche se provenivano da sé stesso.
Un nuovo tuono, questa volta vicinissimo, lo strappò definitivamente alle sue riflessioni.
Conosceva il suono che annunciava l'arrivo di Thor, e quelle deboli scariche d'elettricità non avevano niente a che fare con quelle generate dal Mjolnir. Non aveva motivo di preoccuparsi.
Grazie al Tesseract era impossibile che Heimdall riuscisse a vederlo e comunque il guardiano, da Asgard, non avrebbe potuto avvisare Thor, che si trovava ancora sulla Terra.
Dubitava che Odino avesse ancora assi nella manica per permettere al figlio di tornare a casa.
Khalida gli passò di nuovo accanto, sempre con quella insolita espressione serena sul volto.
Si diresse con passo calmo verso la scala di metallo che si arrampicava lungo la roccia della grotta.
«Dove vai?», la fermò Loki, alzandosi.
Lei si voltò. «Ad aprire la cisterna per l'acqua piovana. Tra poco si scatenerà un temporale con i fiocchi, meglio fare scorta», spiegò, iniziando a risalire la scala sconnessa.
In pochi secondi sparì al di fuori della porticina di metallo.
Contemporaneamente, Loki percepì l'umidità raggiungere il culmine e, aiutata dalla scarica elettrostatica di un fulmine, una cortina d'acqua calò sul deserto.
Guardò di nuovo la porta.
Decise che, anche se Khalida avesse deciso di fuggire, non gli sarebbe importato più di tanto.
Dopotutto era solo una donna.

Il buio era calato già da diverso tempo quando Loki riemerse dalla meditazione che gli permetteva di estrarre il sapere contenuto nel Tesseract.
Era come se un mondo inesplorato e sconosciuto gli si spalancasse davanti agli occhi.
Conoscenze che gli asgardiani, in tutto il loro fulgore tecnologico, non avrebbero mai compreso. Vette di conoscenza cui nemmeno gli Dei sarebbero mai giunti.
Lui solo ne era capace, attraverso quel manufatto così piccolo.
Il monito di usare quelle conoscenze per ricostruire quel mondo perduto era sempre presente, e diventava perfino pressante nelle sedute di studio più lunghe, ma ormai Loki ci si era abituato.
Avrebbe adempiuto al suo compito, e in cambio avrebbe ricevuto tutta quella sapienza, e il potere per fare qualsiasi cosa. Era un prezzo accettabile.
Fuori il temporale infieriva, continui lampi illuminavano l'interno ormai buio della grotta.
Loki si rese conto di essere solo.
La donna non era ancora rientrata, eppure, se si concentrava, riuscire a sentire la sua presenza poco lontano. Sembrava essere ancora sul tetto.
Sospirando, Loki socchiuse gli occhi.
Una luce dorata lo avvolse e in un battito di cuore si ritrovò all'esterno.
L'acqua lo investì con violenza, ma non ci fece caso. Non sentiva freddo.
La pioggia cadeva con intensità e un vapore tiepido si sollevava della rocce che lentamente rilasciavano il calore accumulato durante i giorni assolati.
«Cosa ci fai qui?», domandò la voce di Khalida, con astio.
Loki si voltò e la vide, seduta su una sporgenza della roccia, qualche metro sopra di lui.
«Potrei farti la stessa domanda».
«Come passo il mio tempo non è affar tuo», replicò lei.
«Decido io cosa è affar mio», ribatté l'alieno, piccato.
Khalida si alzò.
Era bagnata fradicia, i vestiti ridotti a una sottile pellicola sul corpo longilineo. I lunghi capelli neri grondavano acqua e le si arrampicavano in complicate ragnatele sulle guance, la fronte e le spalle.
Loki la avvicinò, deciso a porre fine a quella sua arroganza così fuori luogo.
Solo allora si accorse che il volto della donna non era bagnato solo di pioggia.
Poteva perfino sentirne l'odore.
Stava piangendo.
Lo stupore di Loki superò presto le sue barriere di controllo e si ritrovò a domandare: «Perché piangi?», con una voce che non gli sembrò nemmeno la sua.
Khalida scattò, come se si fosse scottata e lo fissò negli occhi.
«No», disse semplicemente.
Loki sentì nuovamente la rabbia montare. «Pensi di essere nella posizione di negarmi qualcosa?», la aggredì.
Khalida sostenne il suo sguardo. «Evidentemente, sì».
Loki la afferrò per un braccio, torcendoglielo dietro la schiena.
Lei non si lasciò sfuggire un lamento.
Strinse i denti. «Te l'ho già detto, Loki. Smettila di comportarti come se fossi l'unico essere dell'universo ad avere il diritto di soffrire», infierì.
Loki perse il lume della ragione. Khalida si sentì afferrare e scaraventare lontano.
Fortunatamente, riuscì ad evitare un impatto troppo duro con la roccia. Rotolò più volte su sé stessa, graffiandosi le mani e il volto. Percepì che la canotta si era strappata all'altezza dell'ombelico in corrispondenza con un nuovo taglio sanguinante.
Si rialzò in piedi a fatica.
Loki sembrava perfino sorpreso di sé stesso, la rabbia feroce nei suoi occhi era diventata improvvisamente un dolore freddo come il ghiaccio.
Raggiunse Khalida con pochi passi pesanti.
«Credi di sapere quello che ho passato solo perché l'hai letto su un fascicolo? Non sai niente di me, donna», le urlò in faccia.
«Non sono così stupida da credere a ciò che leggo nei fascicoli dello S.H.I.E.L.D.», rispose lei. Non temeva per la sua vita. Se Loki avesse voluto veramente ucciderla, l'avrebbe fatto il giorno prima. C'era qualcosa, anche se non capiva cosa, che lo tratteneva.
Loki evitò gli occhi consapevoli e penetranti di Khalida.
Per un attimo la donna ebbe la sensazione che anche quelle sul volto di Loki non fossero solo gocce di pioggia.
Provò l'istinto di toccarlo, ma non lo fece.
«Quello che so di te, l'ho visto nei tuoi occhi», disse, attirando di nuovo lo sguardo dell'alieno su di sé.
«Tu non sai niente», rimarcò lui, a denti stretti.
Khalida si disse che era il momento di giocare il tutto per tutto. «Allora spiegami», mormorò.
Sapeva che era una richiesta destinata a non venire soddisfatta, solo pochi istanti prima lei gli aveva negato la stessa identica cosa. Non poteva aspettarsi che Loki si aprisse.
Per quanto brava fosse, lui non era mai stato una persona collaborativa.
Probabilmente questa volta ne sarebbe uscita con qualche frattura, ne era certa.
Sperava solo che Loki non le facesse abbastanza male da allertare lo S.H.I.E.L.D., quello sarebbe stato veramente un peccato.
Loki sembrò sorpreso dalle parole di Khalida e la donna vide accalcarsi decine di sentimenti diversi dietro i suoi occhi trasparenti.
Un silenzio pesante e innaturale cadde improvvisamente su entrambi.
Khalida si guardò intorno spaesata, le sembrò di essere immersa in un mare d'acqua nera e gelata.
Una luce, in un punto indefinito davanti a lei, danzò per qualche istante. Il paesaggio cambiò lentamente, fino a mostrare l'interno di una struttura in pietra distrutta, scoperchiata da chissà quale cataclisma. Il pavimento era disseminato di corpi alieni e deformi. Grosse pozze di sangue denso e nero si allargavano nella neve che ormai aveva perso tutto il suo candore.
Khalida osservò stranita i sottili fiocchi di neve danzarle davanti agli occhi, uno le si posò sulla guancia e lei avvertì un freddo pungente.
Poco distante, vide un guerriero avanzare a passo lento in mezzo ai cadaveri.
Khalida lo riconobbe quasi subito, nonostante l'armatura imponente: era Odino.
Il Padre degli Dei sembrava cercare qualcosa in mezzo a tutta quella morte.
Fu allora che Khalida lo sentì.
Nel silenzio di ghiaccio, si sentiva il vagito di un neonato.
Khalida si affrettò a seguire Odino, lo affiancò nella sua ricerca fino a raggiungere la fonte di quel pianto.
In confronto ai corpi immensi degli alieni sparsi per terra, quel bambino sembrava poco più di un uccellino, eppure piangeva con forza inaudita, tirando il volto dalla pelle bluastra e stringendo i piccoli pugni.
Khalida conosceva quello disperato spirito di sopravvivenza.
Odino si chinò e prese in braccio il bimbo, che calmò immediatamente il suo pianto.
Al tocco dell'asgardiano, la pelle del piccolo mutò, diventando rosea e liscia. Le iridi rosso intenso vibrarono, per poi sfumare in un verde cristallino.
Khalida lo riconobbe immediatamente.
«Loki», si scoprì a mormorare.
L'illusione, o il ricordo, svanì risucchiato da una luce abbagliante.
Ora Khalida si trovava ad Asgard, in una stanza che aveva l'aria di essere un'arsenale.
Odino si rivolgeva a due ragazzini, aveva una mano sulla spalla di ciascuno.
“Entrambi siete nati per essere re”, disse.
A Khalida girò la testa, mentre la stanza intorno a lei vorticava nuovamente.
Adesso stava davanti a Loki, ormai adulto, e Thor, agghindato come un re.
Davanti a loro, un braciere sollevava lente volute di fumo.
“Certo, alcuni combattono, altri usano dei trucchi”.
Lo scherno di Thor si spense, e altre frasi e immagini frammentate si accalcarono nella mente di Khalida, provata fino al limite delle sue capacità di mortale.
“Sta al tuo posto, fratello”.
Di nuovo la sala delle armi.
“Pensavo che avremmo potuto unire i regni... attraverso te”.
“Non sono altro che una reliquia rubata”.
“Sono il mostro da cui i genitori mettono in guardia i propri figli”.
“Hai sempre preferito Thor a me, perché, nonostante tu affermi di amarmi, non avresti mai potuto accettare un Gigante di Ghiaccio sul trono di Asgard”.
Il volto materno e affettuoso di Frigga.
“Ti ha tenuta nascosta la verità perché tu non ti sentissi mai diverso”.
Uno strappo allo stomaco, un vortice confuso di nuovi ricordi.
Lacrime in bilico tra le ciglia.
“Volevo solo essere tuo pari”.
“Loki, questa è demenza!”.
“Ci sarei riuscito Padre!”.
“No, Loki”.
Con un sensazione simile all'annegamento, Khalida si sentì riemergere da quei ricordi tramutati in illusioni.
Aveva la nausea e le guance bagnate di lacrime e pioggia.
Il temporale infuriava ancora e un lampo le ferì gli occhi, illuminando il volto di Loki davanti a lei.
Lui non le avrebbe mai creduto, ma lei capiva, e dove non poteva farlo, avrebbe accettato.
In fondo era vero. Lei e Loki erano molto più simili di quanto immaginasse.
Fece un passo in avanti, prendendo il volto di Loki tra le mani.
Sotto le dita sentì lacrime fredde come la pioggia.
Lo baciò, senza domandarsi il perché o il motivo.
Non era un gesto d'amore, né d'affetto.
Era comprensione, accettazione, e forse anche perdono.
Loki rimase immobile, forse sorpreso.
Lentamente, portò una mano al viso di Khalida, e la toccò per la prima volta senza alcun secondo fine. Senza sfida, o volontà di ferirla.
La pelle della donna era fredda, quasi quanto la sua.
Il dolore dei ricordi gli lacerava la mente e il cuore, lo sentiva come se anche l'aria ne fosse satura.
Ricambiò il bacio di Khalida con la disperazione del naufrago che cerca l'ossigeno tra le onde.
Khalida si aggrappò a lui con più forza, e sentì un dolore antico e sconosciuto nel petto, una sensazione dimenticata tra le pieghe del suo animo.
La solitudine che si portava dietro da quando era nata, e che dopo la sua fuga era diventata sempre più grande, mordeva e graffiava le pareti del suo cuore, ansiosa di essere, finalmente, sfamata.
Era infantile e crudele allo stesso tempo.
Loki era l'ultima persona nell'universo che avrebbe potuto fare una cosa del genere, eppure era l'unico che ci stava riuscendo.

Khalida si svegliò lentamente, emergendo dal sonno come fluttuando in una nuvola di neve e ghiaccio.
Si toccò il braccio.
Era ancora nuda, e faceva molto freddo. Una fastidiosa pelle d'oca le increspava la pelle.
Strinse il misero lenzuolo al petto e si sollevò su un gomito.
Non era stata la temperatura a svegliarla.
Loki si era alzato. Le dava le spalle, in piedi accanto alla branda, completamente vestito.
Gli osservò la schiena.
«Vuoi ancora sapere perché piangevo, sul tetto?», domandò.
«Non faccio domande inutili», replicò lui, senza voltarsi.
Khalida sospirò, poi si stese di nuovo, abbandonando la testa sul cuscino.
Chiuse gli occhi.
«Non ho tradito il mio paese senza un motivo», iniziò, bagnandosi le labbra. «Per anni ho svolto il mio lavoro. Torturato, interrogato e ucciso persone che non erano né meglio né peggio di me. Assassini, terroristi, signori della guerra, per me non faceva differenza. Non avevo mai avuto rimorsi. Nessuno di loro si meritava di vivere».
Khalida si interruppe, stringendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime.
Fuori, aveva smesso di piovere.
«Poi mi assegnarono un caso importante, complicato. Una cellula terroristica aveva messo a segno un grande attentato, riuscendo ad uccidere un pezzo grosso del governo, insieme a diversi suoi collaboratori. L'unica persona che i servizi segreti erano riusciti a catturare era una ragazza di sedici anni, la figlia del capo della cellula, che era morto nell'attentato suicida.
Me l'affidarono, dovevo scoprire tutto quello che sapeva, nomi, ruoli, progetti, ogni cosa.
Quando la vidi per la prima volta era come un animaletto spaventato. I soldati l'avevano trattata come una criminale, era stata picchiata e umiliata.
Aveva sedici anni, ma ne dimostrava molti di meno.
Si chiamava Manaar.
Capii perché avevano scelto me. Ero l'unica donna dell'unità ed era logico che una ragazzina che aveva perso i suoi genitori si sarebbe fidata più di una figura femminile che di un uomo.
Quello che non avevo preventivato, erano i miei sentimenti.
Manaar mi assomigliava molto, la mia storia era simile alla sua e potevo vedere dentro i suoi occhi la mia stessa rabbia e lo stesso dolore per essere stata abbandonata dalle persone che dovevano proteggerti. Mi affezionai a lei e lei a me.
In un mese di interrogatorio, scoprii tutto quello che Manaar sapeva, cioè niente.
Suo padre le aveva voluto abbastanza bene da non coinvolgerla mai nelle attività della cellula.
La rassicurai, dicendole che quando avrei fatto rapporto ai miei superiori, l'avremmo lasciata andare.
Pianse sulla mia spalla come una bambina, anche se ormai non lo era più.
La mattina seguente riferii ciò che avevo scoperto.
I miei superiori reagirono in un modo che non mi aspettavo: se la ragazza non sapeva niente, era inutile tenerla in vita.
Il governo voleva qualcuno da punire, un innocente non serviva a niente.
Come tante volte prima di allora, mi venne dato l'ordine di terminare il mio incarico con un omicidio».
Khalida si passò distrattamente una mano sul braccio, seguendo il profilo dei tatuaggi lievemente in rilievo sulla pelle.
«L'hai fatto?», domandò Loki.
Lei voltò gli occhi. L'alieno si era girato e la guardava fisso. Probabilmente stava tentando di capire se stesse mentendo o meno.
«Ci pensai seriamente. Decisi che non avevo altra scelta. Che era solo un ordine come un altro. Ma quando arrivò il momento di premere il grilletto, non ce la feci.
Le volevo bene, ma non era quello il motivo principale.
Manaar non meritava di morire.
Sparai alle guardie e, sfruttando le mia conoscenza della prigione, la feci fuggire.
Eravamo arrivate nel cortile, mancavano pochi metri quando le vedette ci avvistarono e ci scaricarono contro raffiche di proiettili.
Io rimasi illesa, Manaar venne colpita al torace.
Riuscii a trascinarla al riparo, ma non potevo fare più niente per lei, era già morta.
Fuggii e per uno strano scherzo del destino sono riuscita ad evitare la vendetta delle persone troppo potenti che avevo sfidato fino a pochi mesi fa, ma alla fine mi hanno trovato e mi hanno quasi uccisa. È stato allora che mi sono rifugiata sotto le ali di Fury.», le parole sgorgavano dalle labbra di Khalida come un fiume in piena. Nemmeno agli agenti dello S.H.I.E.L.D. che avevano documentato la sua storia aveva parlato così. Si era limitata a rispondere alle loro domande.
La donna si mise seduta, nascondendosi dietro i capelli neri.
«Sin da quando ero una bambina, sono stata forte. Non piango mai. Nemmeno per la morte dei miei genitori ho versato una sola lacrima. Solo quando piove, mi concedo di farlo, così almeno non lo faccio da sola. Quando ci riesco, lo faccio solo per Manaar, per la sua vita che se è andata a discapito della mia», concluse, sospirando. «Avevi ragione, sono una bugiarda, non saresti stato il primo prigioniero a morire sotto la mia custodia».
Il silenzio divenne pesante, Khalida immaginò che Loki se ne fosse andato, ma non ebbe il coraggio di controllare.
Iniziò a rivestirsi in fretta, scalciando via il lenzuolo e i rimpianti.
Quando infilò la felpa, un filo si impigliò nell'anello che portava all'anulare.
Lo guardò a lungo, con una terribile sensazione di deja-vù.
«Perché mi hai raccontato tutto questo?», le chiese la voce di Loki.
Lei cercò i suoi occhi.
Erano tornati calmi e immobili come al solito.
Niente indicava che qualcosa fosse cambiato, eppure lei lo sentiva, nel freddo di lui ancora sulla pelle, sulle labbra.
«Perché meritavi la verità», replicò.
Loki annuì appena per accettare la sua risposta, poi si voltò e si allontanò con passo misurato e calmo.
Khalida si guardò le mani escoriate.
Se aveva mai avuto una possibilità di uscire viva da quella missione, ormai se l'era giocata.
Quando Loki avrebbe scoperto del suo tradimento, l'avrebbe uccisa.
E Khalida aveva la consapevolezza, pesante sullo stomaco, che se lo sarebbe meritato.
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Capitolo pesantissimo, lo so.
Spero comunque che vi sia piaciuto.

Alcune precisazioni.
Tra Loki e Khalida E' successo, effettivamente, ma non è detto che significhi qualcosa.
Le parti in corsivo dell'illusione di Loki sono prese parole per parola da "Thor", inserendo anche una delle scene eliminate.
Adesso conosciamo anche l'ultimo segreto di Khalida.
Tenete conto che la storia è praticamente finita, mancano due capitoli, e l'epilogo.
Detto ciò, ci vediamo la settimana prossima.

Nicole
  
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