Libri > Twilight
Ricorda la storia  |       
Autore: Joan Douglas    30/01/2013    14 recensioni
Hai presente quando vai in libreria e, per riaparmiare soldi, richiedi libri usati? All'inizio può darti quasi fastidio che quel libro sia passato nelle mani di un altro. Ma se imparassi ad apprezzare gli appunti a bordo pagina? Se salvassero la tua povera vita da studentessa delle superiori, in una nuova città?
E se fossi talmente cusriosa da voler scoprire di chi fosse, in realtà, quel dannato libro di trigonometria?
«Ehi, Ciuffo» disse una voce, interrompendo i miei pensieri. Chiusi il libro di scatto e lo nascosi in cartella. Non volevo fare la figura della secchiona davanti a OcchiBelli.
«Ciuffo?» ripetei, un po' sorpresa dal rivederlo lì, in quel posto dove l'avevo conosciuto.
Si sedette accanto a me, con eleganza. Indicò la mia ciocca di capelli colorata di verde petrolio. Era nuova, l'avevo fatta da poco. «Sì, Ciuffo.»
Sorrise maliziosamente e io non potei che ricambiare. «Okay, OcchiBelli» risposi, per fargli notare che non era stato l'unico a dare un soprannome.
«OcchiBelli?» Sgranò gli oggetti in questione.
Glieli indicai, con fare ovvio. «Sì, OcchiBelli.»

~
Ad Alessia e alla sua non-sanità mentale, ti adoro, pazza!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Charlie Swan, Jessica, Mike Newton | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

OcchiBelli e Ciuffo

#1

 

La libreria era affollata, la gente ne entrava e usciva di corsa. Sempre tutti erano di corsa, da quello che avevo capito, anche se abitavo da davvero troppo poco tempo lì a San Francisco. Il riscaldamento, chiaramente, non era acceso, ma l'aria era estremamente pesante, insopportabile. Be', dopo tutto era appena la fine di agosto.

Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e mi avvicinai al bancone con tutte le buone intenzioni per informarmi sui libri usati.

«Salve» salutai la donna dai capelli tinti davanti ai miei occhi, «avrei dei titoli da ordinare.»

«Ma certo, cara» rispose facendomi l'occhiolino. Dio, qui a San Francisco era tutto così diverso rispetto che alla mia Forks.

Le diedi i titoli di cui avevo bisogno chiedendole se avevano anche la versione usata. Non amavo comprare libri usati. Ero dell'idea che quei libri mi avrebbero accompagnata per tutta la durata di un anno, e quindi perché comprarli già usati? Era come se fossi gelosa di quei libri.

«Allora» cominciò la donna, battendo qualche click qua e là al computer, alla ricerca dei miei libri di scuola. «Molti dei tuoi libri sono nuovi, perciò non c'è la versione usata...» sospirai di sollievo, ma ben presto il mio sospiro mi morì in gola. «Però ci sono tutti i libri di trigonometria e di biologia, se vuoi.»

Okay, non era andata come volevo io. Non mi restava che accettare e prenderli, per la gioia di mia madre, Renée, che aveva la mania del risparmio.

Diedi conferma alla donna e uscii dalla libreria con quei stramaledetti libri di trigonometria e qualche libro di letteratura; per gli altri avrei dovuto aspettare la fine del mese prossimo, evviva.

Odiavo San Francisco. L'afa si poteva tagliare con il coltello, la gente era troppa, le strade che si susseguivano erano o in salita o in discesa. Non avevo soldi per potermi pagare un biglietto e usare quei tram - ma la cosa non mi dispiaceva affatto, dato che mi facevano solo venire la nausea a forza di quel continuo salire e scendere per le strade -, quindi dovevo accontentarmi dei miei piedi indolenziti, che sembravano ribollire dentro i miei adorati anfibi di pelle scura.

Be', avrete capito che non ero stata molto favorevole all'idea di spostarmi da Forks e di abbandonare i miei amici, quelli con cui, in teoria, avrei dovuto passare ancora due anni, ma tutto questo non era dovuto a un semplice capriccio - anzi, sono proprio l'ultima a essere capricciosa nella mia famiglia, pensai, ricordandomi i continui capricci di mia madre. Avevo lasciato casa mia solo perché, testuali parole, San Francisco è una città così piena di vita, Bella! Non è mica come qui, sai. Io ci sono stata! oppure Non fare quella faccia, Bella, non fare la bambina capricciosa: sai perfettamente che trasferirci lì è fondamentale per tuo padre. Si riferiva al trasferimento di mio padre, dalla caserma di Forks a quella più movimentata di San Francisco, ma io sapevo che quell'avvenimento era stata solo una conseguenza alla sua meravigliosa idea di Trasferiamoci, Bella, tanto qui non c'è vita! Per te, forse, brutta strega.

Mi fermai un attimo per riprendere fiato da una salita particolarmente ripida. Ti odio, San Francisco. Alzai il viso verso il cielo, come per fulminare con lo sguardo anche quel sole cocente che non faceva altro che arrostirmi come un pollo sullo spiedo. Oh, quanto mi mancava il freddo piacevole del mio paesino!

I libri erano pesanti, ma non mi sarei mai sognata di chiamare mia madre per farmi venire a prendere in auto: era un pericolo pubblico e io non volevo di certo rischiara la vita.

Intravidi, alla mia destra, una stradina che si apriva in un parco, contornato da alberi folti, che, forse, mi avrebbero donato un po' di refrigerio da quel caldo torrido. Arrivata alla panchina, mi sedetti, godendo di quel lieve abbassamento di temperatura.

Con circospezione, mi portai una mano alla tasca ed estrassi l'unica cosa che riusciva a tranquillizzarmi ultimamente. Mi chiesi come avevo fatto ad arrivare fino a quel punto per disobbedire ai miei e, di conseguenza, far loro un dispetto. L'unica cosa negativa? Non avevo mai l'accendino e questa volta non ero da meno. Così mi guardai intorno alla ricerca di qualcuno che mi potesse dare una mano. Non c'era nessuno: imprecai ad alta voce rimettendo la sigaretta nel pacchetto, con nervosismo tale che lo feci cadere a terra, tra la ghiaia. Avevo appena trovato una delle poche cose positive di quel posto: non c'erano pozzanghere che ti potevano bagnare le sigarette. Comunque, lo lasciai lì a terra, incavolata con me stessa, con mia madre, con mio padre e la sua incapacità nel disobbedire a sua moglie o anche solo controbattere.

Mi sdraiai sulla panchina, con il puro intento di non tornare a casa non prima dell'ora di cena. Ma qualcuno non era della stessa opinione a quanto pare. Proprio mentre stavo per chiudere gli occhi vidi una sagoma comparire poco sopra le mie palpebre, che io, chiaramente, riaprii con curiosità.

«Non sei un po' troppo piccola per fumare?» mi chiese il ragazzo davanti a me con aria da sbruffone.

Sbuffai, prendendo il mio pacchetto che mi stava porgendo. «Stavo cercando di dormire» risposi, acida, rimanendo sdraiata sulla panchina.

«Be', questo è un luogo pubblico, mi pare, posso fare quel che voglio» disse con aria risoluta.

Aprii completamente gli occhi per guardare il ragazzo che aveva interrotto la mia pennichella improvvisata. Okay, probabilmente non era l'unico a comportarsi così.

Finsi uno sbadiglio per fargli capire quanto fosse indesiderato. «Pff, non hai tutti i torti.» Mi rigirai tra le mani il pacchetto e lo guardai con la cosa dell'occhio, sperando di non essere sorpresa nel mio intento e di non passare per una specie di stalker. Era un bel ragazzo, lo dovevo ammettere. Alto, con un fisco niente male - probabilmente faceva nuoto o qualcosa del genere. Il viso sembrava andare di pari passo con il fisico: ben proporzionato, con una lieve barbetta sulla mascella squadrata. Per fortuna non si accorse del mio esame, ma non se ne andò neanche. Peggio per lui, non avevo intenzione di rivolgergli la parola, neanche morta.

Presi una sigaretta dal pacchetto, ricordandomi solo in quel momento che non avevo l'accendino. «'Fanculo» mormorai a me stessa e alla mia solita distrazione.

Mi girai verso di lui, che mi guardava con un sopracciglio alzato come se si stesse aspettando qualcosa da me. «Hai bisogno d'aiuto, per caso?» proruppe, mentre si accendeva una sigaretta davanti ai miei occhi increduli. L'accendino, avevo bisogno assolutamente del suo dannato accendino.

Mi girai di scatto. «No, non ho bisogno di niente da te.» Ma di certo non mi sarei abbassata a lui.

Si avvicinò impercettibilmente e mi soffiò in faccia una nuvoletta di fumo amaro. Mmh, avevo proprio voglia di fumarmene una. Ma sapevo che mi stava solo tentando.

«Sicura?» continuò, soffiandomi ancora addosso.

Saltai in piedi, di fronte a lui e gli afferrai con velocità immane la sigaretta. Feci un tiro e feci uscire il fumo dalle narici. Ne stavo per fare un altro, ma lo stronzo se la riprese. «Troppo orgogliosa per chiedere un accendino, ragazzina?» Ancora quel tono da sbruffone.

Incrociai i suoi occhi e mi stupii di non essermi ancora resa conto del loro raro colore: verde, ma proprio verde, come quello del mare che c'era in Florida. Era profondo. Se avessi visto subito solo i suoi occhi, mi sarei stupita che il proprietario potesse essere così insopportabile. Non lo so, mi sembravano degli occhi così belli. Chissà perché, la mia mente li ricollegava ad una persona buona d'animo.

«Oh, ma si può sapere che cosa vuoi da me?!» sbottai, per poi dire: «Okay, va bene, mi dai quel cazzo di accendino così me ne accendo una?».

Non sembrava convinto. Scosse la testa, alzando un sopracciglio, scuro, rispetto alla sua pelle pallida per quel posto così assolato. «Ah, no, non ci siamo proprio. Se me l'avessi chiesto subito, te l'avrei anche prestato, ma ora...» Scosse nuovamente la testa, con finta espressione delusa.

Se avessi potuto ringhiare l'avrei fatto di sicuro. «Uffa, ma cosa vuoi da me?!» chiesi ancora.

«Se vuoi l'accendino dovrai...» si fermò, come a meditare.

«Dovrò?» lo esortai, alzando gli occhi al cielo.

«Divrai... chiedermelo per favore.» Sembrava soddisfatto della sua trovata. Si vede che aveva capito quanto fossi orgogliosa, e lo ero, statene sicuri.

«Oh, ma che palle! Perché gli psicopatici capitano tutti a me?» Mi riferivo a mia madre, chiaramente, e alle sue trovate geniali. Sospirai. «Ehm, okay, va bene... per fa...» mi bloccai.

«Per fa...?»

Lo posso strozzare? pensai, in fondo avere un papà poliziotto può avere i suoi vantaggi... «Perfavore!» dissi velocemente, tant'è che non si capì nulla.

Aggrottò le sopracciglia e si portò una mano all'orecchio. «Come? Non ho capito.»

Faccia da schiaffi, faccia da schiaffi... «Per. Favore. Okay? L'ho detto, l'ho detto» ripetei più a me stessa che a lui e allungai una mano dove lui vi appoggiò il tanto agognato accendino. E mi accesi la tanto agognata sigaretta. Il gusto del tabacco mi sfiorò il palato, la lingua si impregnò di quell'odore sublime, amaro, che mi piaceva tanto. Chiusi persino gli occhi per godermi di più il suo effetto tranquillizzante che aveva su di me.

«Certo che sei peggio di me» proruppe la voce del ragazzo al mio fianco. «Da quanto fumi?»

Non vedevo il motivo per non rispondere. «Saranno sei mesi, ma non ne sono sicura.»

Fischiò, in segno di sorpresa. «Caspita!»

Pensai a mia madre quando l'aveva scoperto. Naturalmente non era nei miei programmi: l'unico mio obbiettivo era quello di tener lontani dalla mia vita i miei genitori, dopo che mi avevano informato del trasferimento. Tutto nasceva da lì probabilmente. Portai la sigaretta alla bocca e lo osservai passarsi una mano tra i capelli disordinati. Sì, era proprio un bel pezzo di ragazzo, lo dovevo ammettere. «E tu?» mi limitai a chiedere.

Mi sorrise, come se si fosse appena reso conto della sua vittoria. «Non mi sembra il caso dirtelo.» Circondò con le labbra la cicca, per poi prenderne una corposa boccata. Dovevo anche ammettere che se fossi stata quella sigaretta, in quel preciso istante, non mi sarebbe dispiaciuto, ma avevo ancora una dignità. Certo, poteva essere un gran bel ragazzo, poteva avermi colpita con la sua spavalderia - la maggior parte dei ragazzi si comportava da cagnolino, nei miei confronti... patetici -, ma non lo conoscevo neanche, non potevo buttarmi tra le sue braccia e far la figura della sgualdrina.

Così ignorai la sua risposta e le sue labbra e mi portai le cuffiette dell'i-pod alle orecchie per ascoltare un po' musica e, di conseguenza, ignorarlo. La voce di Joan Jett si impadronì delle mie orecchie. Alzai il volume al massimo; sospettavo che potesse sentire anche lui. Mi sdraiai nuovamente sulla panchina, godendomi l'ombra. Ma proprio mentre ero convinta che se ne fosse andato, lasciandomi in pace, sentii una cuffietta scapparmi dall'orecchio. Ma non era di certo caduta da sola, no, no.

Così, mi alzai per l'ennesima volta a causa di quel rompipalle. «Porca vacca, ma è mai possibile che esista un essere come te?!» Ribollivo di rabbia: ero andata lì per rilassarmi, non per essere disturbata da un perfetto sconosciuto.

Rise, mettendosi la cuffietta nell'orecchio e facendo cadere la mia a causa della nostra differenza notevole di altezza: gli arrivavo alla spalla, infatti. Doveva avere almeno vent'anni, ma non ero mai stata brava in queste cose.

Mi rassegnai e lui disse: «Ah, ah, adesso dici così, ma ne sei così sicura?»

Alzai un sopracciglio. «Ma chi ti credi di essere?»

Così, gli strappai la cuffietta dall'orecchio, afferrai la borsa dei libri e uscii dal piccolo parco, dirigendomi verso casa, quella casa che non era mia.

 

***

 

«Swan, veda di far attenzione, non siamo qui per giocare, noi» proruppe il professore di trigonometria, richiamandomi dal mio apparente stato di trance.

Ormai il terzo anno di liceo era cominciato da un mese, quindi niente più convenevoli, purtroppo, soprattutto da quando avevano capito che non avevo voglia di fare nulla, troppo pigra. La cosa che mi piaceva fare di più? Be', forse ascoltare musica con le cuffiette, uscire con gli amici - anche se a San Francisco non avevo ancora instaurato ottimi rapporti con i miei compagni di classe -, oppure... non questo non mi pare il caso di dirvelo, è una cosa solo mia, che non può sapere nessuno. Nemmeno la mia migliore amica lo sapeva.

Si poteva dire che, nel complesso, fossi una stupida asociale testarda, con un unico chiodo fisso in testa: non ascoltare le lezioni di trigonometria. Già, odiavo quella materia con tutta me stessa, e il fatto che avessi il libro usato non mi aiutava di certo a farmela piacere di più. Gli esercizi che ci dava da fare a casa il professore non erano nemmeno scritti sul libro e, se c'erano, non si capiva un bel nulla, quindi non potevo approfittarne.

Presi il mio quaderno fingendo di prendere appunti, ma in realtà scarabocchiai tanti piccoli cerchi astratti collegati tra loro. Non aveva un senso logico eppure mi piaceva... finché non mi resi conto di star disegnando un occhio, lievemente allungato, con la penna verde. Oh, no, non mi poteva perseguitare anche a distanza quel ragazzo! Caspita, non ne conoscevo nemmeno il nome.

«Allora, signorina Isabella Swan, dato che era così interessata alla lezione, che ne dice di eseguire l'esercizio di pagina centoventidue?»

Sussulta, al suono del mio nome detto da quella sottospecie di orco che mi ritrovavo al posto del professore. La mia compagna di banco, Jessica, si schiarì la voce, in un vano tentativo di mascherare una risata.

Conti titubanza, presi la pagina dove c'era l'esercizio e lo esaminai. Okay, dire che non ci capii niente è un eufemismo enorme. Ma poi, proprio quando ero convinta che avrei sbagliato per l'ennesima volta, guadagnandomi una nota e confermando al professore che non stavo ascoltando, mi resi conto di alcuni appunti a bordo pagina e mi stupii nello scoprire di riuscire a decifrarli.

Finsi per un attimo di pensare al risultato e poi dissi: «È coseno.»

Il professore, Mr. Cole, mi guardò allibito; i miei compagni di classe non erano da meno. Ringraziai mentalmente l'antico proprietario del libro per il suo miglioramento di grafia e sorrisi ingenuamente, come per dare atto a Mr. Cole che avevo ascoltato.

«Ehm, benissimo, continuiamo la lezione, ragazzi.»

E da quel giorno in poi la trigonometria cominciò a piacermi un po' di più, ma solo grazie al misterioso proprietario del libro.

 

***

 

Mi passai una mano tra i capelli neri e scompigliati, mentre uscivo da scuola con un sorriso soddisfatto sulle labbra. La cartella pesava sulla mia schiena, indolenzita dopo la lezione stancante di ginnastica.

Jessica mi si avvicinò proprio mentre mi prendevo una sigaretta e me la accendevo. Il sapore della vittoria mischiato a quello amaro del tabacco. «Ehi, Isa» mi salutò. La guardai, incuriosita da quell'attacco di simpatia che non mi aveva mai riservato. Non avevo ancora conosciuto nessuno in quella scuola, o, comunque, non così tanto, da poter essere chiamato amico. «Senti, questo week-end ci sarà il mio compleanno, e ho deciso di fare una strepitosa festa alla discoteca "Twilight". Ho invitato buona parte della scuola.»

Perché me lo diceva? Non mi voleva mica invitare, vero? «E io che c'entro?»

Scoppiò a ridere, come se avessi appena detto una delle migliori battute del secolo. «Buona questa, Isa! Non ti facevo così spiritosa!» Perché non mi hai neanche rivolto una parola dall'inizio dell'anno, stupida, pensai. Per fortuna che non mi poteva leggere nel pensiero. «Allora, la festa sarà in maschera, quindi non venire vestita da...» mi lanciò uno sguardo, come se stesse guardando il mio modo di vestire per la prima volta. «Be', così.» M'indicò, senza trattenere una smorfia di disgusto alla vista dei miei anfibi che, di certo, non mi facevano la caviglia sottile. Lanciò persino uno sguardo di disprezzo alla mia maglia a maniche corte con lo stemma dei Nirvana. Mi sistemai meglio la borsa scura sulla spalla, indifferente.

Ma questa qua non aveva preso in considerazione l'idea che non volessi venire? Poi, però, mi ricordai del rimprovero di mia madre qualche giorno prima. «Okay, ci sto. A che ora?»

Ci lasciammo poco dopo, lei con un sorriso a trentadue denti e io con uno finto. A Forks mi piaceva così tanto uscire con i miei amici, ma qui... qui era diverso. Non conoscevo nessuno e, a primo sguardo, nessuno mi attirava. Dovevo avere seri problemi mentali. Perché a Forks sì e a San Francisco no? Mi potevo benissimo adattare, non ero poi così chiusa come avevo fatto credere ultimamente.

Quando arrivai al parco, il caldo era ancora onnipresente e la luce filtrava attraverso le foglie di quel luogo, che avevo cominciato a frequentare sempre più spesso. Non mi era più capitato di vedere OcchiBelli - come l'aveva chiamato Cassie, la mia migliore amica - quando le avevo raccontato del mio strano incontro.

Mi sedetti su quella panchina e presi tra le mani il libro di trigo, aprendolo alla pagina dell'esercizio di quella mattina. Era strano, ma sembrava che quella scrittura mi chiamasse con tutta la sua forza. Ero incuriosita e, per la prima volta nella mia vita, sfogliai quel libro di mia spontanea volontà, senza l'esortazione del professore. Le pagine seguenti erano ricche di appunti a bordo pagina, alcuni indecifrabili, altri capibili. Notai che non c'erano solo gli esercizi già fatti, ma anche spiegazioni e schemi che spiegavano più facilmente quello che per me era incomprensibile. Colpita da un'illuminazione, tornai alle prime pagine, alla ricerca di un nome che potesse rivelarmi l'identità dell'antico proprietario del libro. Ma niente, non trovai nulla che potesse assomigliare a un nome e un cognome.

«Ehi, Ciuffo» disse una voce, interrompendo i miei pensieri. Chiusi il libro di scatto e lo nascosi in cartella. Non volevo fare la figura della secchiona davanti a OcchiBelli.

«Ciuffo?» ripetei, un po' sorpresa dal rivederlo lì, in quel posto dove l'avevo conosciuto.

Si sedette accanto a me, con eleganza. Lo invidiai: io non lo ero mai stata. Indicò la mia ciocca di capelli colorata di verde petrolio. Era nuova, l'avevo fatta da poco. «Sì, Ciuffo.»

Sorrise maliziosamente e io non potei che ricambiare. «Okay, OcchiBelli» risposi, per fargli notare che non era stato l'unica a dare un soprannome.

«OcchiBelli?» Sgranò gli oggetti in questione.

Glieli indica, con fare ovvio. «Sì, OcchiBelli.»

 

 

 

 

 

Salve a tutti!

Eccomi con una breve storiella, giusto per passare il tempo e farvi divertire (spero). :D

L'idea è partita mentre stavo facendo i miei adorati compiti di latino (l'ironia mi sembra ovvia) e ho notato che gli esercizi erano già stati fatti dal tipo che ce l'aveva prima di me. c: Sia ben chiaro, non vi aspettate argomenti serissimi in questa breve ff, perché l'ho cominciata per puro scopo di passatempo, quindi niente drammi, ma solo una Bella leggermente incazzata e ribelle. ^^"

La storia - più o meno - ce l'ho già in mente, ho solo bisogno di un vostro okay per continuarla. Quindi recensite e fatemi sapere! (:

Se non venisse apprezzata, penso che la cancellerò, non ci sono problemi.

 

Un abbraccio,

ChocolateEyes

 

PS: Ripeto: la storia è abbastanza corta! Sarà già tanto se scriverò tre capitoli più un breve epilogo. (:

  
Leggi le 14 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Joan Douglas