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Autore: SNK    21/08/2007    5 recensioni
Non sono abituato a scrivere, non l'ho mai fatto...vi chiedo solo di ascoltarmi. KANKURO PARLA DEL SUO RAPPORTO COL FRATELLO, DELLA SUA ESPERIENZA EMOTIVA SFOGANDOSI COL LETTORE.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kankuro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono chiesto tante volte se valesse la pena scrivere e se la mia vita valesse così tanto da poter essere raccontata.
Tenere una specie di diario? Impossibile, non sono così paziente e meticoloso.
Parlarne a qualcuno? Altrettanto impossibile, chi mi ascolterebbe o avrebbe la pazienza di farlo? Allora cosa mi ha spinto a uscire allo scoperto, aprire questo foglio bianco e scarabocchiarci su ciò che da tanto tempo porto dentro? La voglia di liberarmi…
Non possiedo il dono dell’eloquenza e nemmeno ho la vena dello scrittore, scrivo perché mi va di farlo…o forse solo per far sapere a te che sei qui e che forse leggerai per pigrizia o curiosità queste parole quello che da troppo tempo ormai considero un peso che non sono più in grado di portare da solo. Lo condivido con te…sarà più facile ricordare, scrivere…sopportare.
Vivo alla giornata godendo di ogni singolo giorno come se esso potesse essere l’ultimo: vivo da ninjia, perché ogni missione che mi appresto a svolgere potrebbe essere l’ultima.
Parto e so che potrebbe andare bene o male: parto e non so mai quando torno.
Voglio però iniziare dal principio, parlando con le uniche parole che conosco e che altro non sono che quelle della verità.
Sono nato nel paese del vento: mio zio mi disse quand’ero piccolo che quel giorno di maggio in cui nacqui il cielo era terso, non vi era una sola nuvola e spirava un fresco e secco vento primaverile. Ma nel deserto la primavera non esiste: esistono solo i tramonti; i più belli e spettacolari. È in quei momenti che il deserto si trasforma in un oceano di fuoco. Gaara li adora.
Mia sorella aveva già un anno e mio padre ventisei: mia madre ventitre.
Sinceramente non ricordo più il suo volto, qualche volta passando dal salotto poggio lo sguardo sulla sua foto: una bella donna, bionda, sorridente o almeno lo era in quell’unica immagine rimasta di lei. Ormai il tempo ha ingiallito anche quella.
Karura, era questo il nome di mia madre, l’ho potuta godere solo per due anni e in quel breve tempo trascorso assieme non rammento una sola occasione in cui lei abbia sorriso. Ciò che non scorderò mai dei momenti in cui lei c’era ancora erano le sfuriate con mio padre dopo che aveva messo a letto me e Temari. Allora ancora non conoscevo fino a che punto poteva spingersi la pazzia e l’arroganza di mio padre: credo però che mia madre lo avesse capito già da tempo.
Discutevano ogni sera, urlando, e ho ragione di credere che papà abbia alzato le mani più di una volta. Mia madre gli dava del pazzo: lui ricambiava chiamandola ingrata puttana.
Io e Temari rimanevamo ad ascoltarli dalla nostra stanza da letto al piano di sopra stando abbracciati e silenziosi in un unico giaciglio.
Temari si è sempre sentita la maggiore fin da piccola e nei momenti più burrascosi tra i nostri genitori lei mi si avvicinava di più e mi tappava le orecchie per proteggermi dal sentire la valanga di insulti che saliva dal piano sottostante.
Temari era un maschio mancato: non si fermava davanti a nulla e amava mettersi a confronto con i ragazzi per dimostrare che era più forte. Ma di fronte a papà vacillava anche lei dimostrando così di essere solo una bambina.
Papà era diventato kazekage dopo la misteriosa scomparsa del sandaime. Credo che un uomo come lui non dovesse diventarlo e non dovesse nemmeno avere una famiglia: ma si può chiamare così la mia? Uomo autoritario e severo non si faceva problemi a picchiare me e mia sorella se per sbaglio rincorrendoci per casa finivamo per rompere un soprammobile.
Come ho già detto, credo abbia alzato le mani con mia madre .All’epoca non capivo perché in lui ci fosse così tanta cattiveria: gli altri papà che vedevo non si comportavano come lui con i loro figli.
Vedevo con invidia e odio come gli altri bambini venivano portati al parco e come per loro a Natale ci fossero dei regali.
Ma voglio proseguire con ordine.
Mia madre rimase incinta per la terza volta: era aprile stando a quanto mi ha raccontato mio zio. Io lo confermo solo per un fugace ricordo che ho mantenuto di un fatto che si è svolto proprio quel mese.
Fui accompagnato insieme a Temari in un negozio di giocattoli per la prima e ultima volta nella mia vita: ed è stato proprio li che mio zio mi comperò una marionetta in legno con i fili in cotone di un bambino biondo sorridente e vestito di arancione.
Ci credete se vi dico che la conservo ancora? È l’unica cosa che mi sembra dia l’illusione di aver avuto una famiglia normale. Ma ribadisco di non poterla chiamare così…un papà non picchia i figli e la moglie perché questi non sono educati…una mamma non muore dilaniata da un mostro urlando e maledicendo il figlio responsabile che non avrebbe voluto avere e con lui il marito pazzo che l’ha obbligata al sacrificio.
È così che è nato Gaara: è per lui che i miei litigavano ogni sera e ogni notte.
Della morte di mia madre non conosco alcun tipo di particolare: nessuno, tantomeno papà ha mai voluto dare spiegazioni ne’ a me ne’ a Temari.
Di quel diciannove gennaio solo mia sorella conserva un ricordo: me lo ha confidato solo dopo vent’anni.
Lei allora aveva tre anni e aspettava la mamma e il suo nuovo fratellino seduta sugli scalini di casa.
Ma arrivò solo papà altero e silenzioso come sempre con un fagotto in mano.
Era sporco di sangue rappreso e sabbia incrostata.
  
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