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You got yout
mother
In a whirl
She’s not sure if you’re a boy
or a girl
We like dancing and we
look divine
Rebel Rebel-David Bowie
Origliare è davvero così piacevole? si chiedeva Ermes
ascoltando gli strepiti di Lei e le grossolane giustificazioni di Lui. Una
strana domanda per il protettore di ladri e truffe. Si allacciava le scarpe
nell’atrio della loro camera da letto in stile vintage. Quando si ha troppo
tempo, si fanno cose sciocche. Era adorava il vintage.
Wow, pensò Ermes, sentendo un piatto…no, qualcosa di più grosso: una lampada
entrare in collisione col muro.
“Ehilà” disse una vocina tenera alle sue spalle.
“Ehilà” disse lui alzandosi. Ciao ciao piccola Iris.
Poi, il più acuto degli dei si fermò a pensare. Che ci fanno due divinità
messaggere insieme nello stesso posto. Una scommessa. Che noia.
“Che ci fai…?”
“Mi ha chiamato Lui. Tu?”
“Mi ha chiamato Lei” Ermes sorrise alla piccola Iris e la baciò sulla guancia.
Forse se ne sarebbero stati un po’ da soli.
“Credo tu possa piantarla, adesso”. La voce tonante di Zeus interruppe il loro
piccolo momento romantico. Ermes sbuffò annoiato dalla banalità della
situazione. Ecco come sarebbe andata a finire: Zeus se ne sarebbe andato tra i
terresti, o così avrebbe minacciato. Al secondo, dico, secondo giorno di sua
assenza, Era sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe detto di non poter più
vivere senza suo marito, che lo amava eccetera. Così sua sorella Demetra
accompagnandosi ad Ermes lo avrebbe rintracciato e Zeus sarebbe tornato a casa.
Lo stesso ciclo per le ere infinite del mondo. Il bel dio biondo sbuffò.
“Non mi sembra proprio il caso di parlarne ora” aveva risposto un’oretta prima
Zeus, quando Era gli aveva chiesto il motivo della sua defiance.
Era non ci pensò molto su, prima di alzarsi impettita.
“Non ti sembra il caso? Quando ti sembrerà il caso?”
“Di che vuoi parlare, allora?”
“Di che voglio parlare?” seguì un intraducibile suono gutturale che manifestava
l’irritazione di Era. Zeus sapeva di essere perduto e che la sua aria
strafottente non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Ma non
poteva far altrimenti che rispondere con lo stesso tono annoiato. “Voglio parlare
del fatto che tu non invecchi, Zeus. Tu NON INVECCHI. Quindi sai che vuol dire?
Vuol dire che se non facciamo sesso è solo perché sei un gran bastardo!”
Zeus spesso rimaneva sbigottito dall’illogicità delle affermazioni della
moglie. Si chiese per quale motivo non era rimasto in Costa Azzurra. Con la
bionda Leia e con Psiche dalla pelle diafana. Perché?
“Andiamo Era, può capitare a tutti”
“Non può capitare a te! Sei dannatamente onnipotente! Per quale motivo non…”
Era pareva zittita dall’impetuosità del suo malcontento.
“Ok, prendila così. Possiamo far finta di essere
giovani, ma non lo siamo. Io ti amo, piccola”.
Era si stropicciò il viso. Dette le spalle a Zeus per
qualche secondo. Quando si voltò piangeva.
“Quando dici così, vuol dire che menti. Quando dici piccola”.
In quel momento Zeus si sentì in colpa per quel che stava facendo a sua moglie,
gia di per sé una creatura fragile. E si ricordò del motivo per cui aveva
scelto lei e non Demetra e perché l’amava.
Era ci faceva caso. Era ci teneva veramente.
“Allora, che aspetti?” riprese lei. Era pazza pazza pazza di rabbia “Vattene. VAT-TE-NE” scandì “Non c’è
qualche Corinzia che ti aspetta? O qualche Europa? Qualche nuovo bastardo da
portare quassù?”
La parola bastardo lo irritò. Zeus amava i suoi
bastardi. Prese il suo telefonino.
“Iris? Piccola? Mi senti? Iris, ti va di fare un salto qui?” sorrise.
Riattaccò. “Adesso chiama Ermes.”
Era aveva chiamato Ermes ed erano rimasti in silenzio per qualche minuto. Era
aveva percepito l’arrivo di lui per prima.
“Cos’hai intenzione di fare?” chiese Era.
Silenzio.
“Faremo una scommessa” rispose.
“Una scommessa? Un’altra scommessa? Sono stufa delle tue…” gridava. Prese una
lampada e la lanciò contro il muro.
“Credo che tu possa piantarla, adesso” fu la risposta di Zeus. Ansimante, Era
si sentì ridicola. Guardò in basso.
“Faremo la tua scommessa”.
“Sceglierai tu le premesse. Se vincerò io, dovrai accettare che ti amo e che
sei una pazza e un'isterica. Se vincerai tu non scenderò dall’Olimpo, mai più”.
Tiresia non aveva mai desiderato ardentemente essere
una donna come in quel momento.
Mentre archiviava scartoffie, lottando contro nuvole e tornadi
di polvere, Tiresia avrebbe voluto seppellire per sempre la sua identità
maschile, e possibilmente quei dannati fascicoli che proprio non aveva voglia
di catalogare.
La fase della rabbia gli era passata. Ora era solo un po' deluso. Ma niente che
una buona partita di basket alla tv con un po' di popcorn avrebbe potuto
sistemare.
Era solo una donna, come tante altre. Si rese conto che in realtà poteva
superarlo facilmente. Era stato troppo azzardato, e ora la pagava. Ecco.
Ma, ma! Se fosse stato donna, non avrebbe di certo dovuto preoccuparsi di tutto
questo! No! Avrebbe solo aspettato le mosse dei suoi corteggiatori, si sarebbe
vestita i modo carino, e fine.
Già. Tiresia era un uomo all'antica. Ma neanche. Era solo un uomo ingenuo, ecco
tutto.
E per di più, ecco, per di più l'avevano costretto a lavorare in archivio. Lui
era un poliziotto, perdio. Si sarebbe accontentato
pure di pattugliare una scuola elementare. Ma no. No. A Tiresia tocca
l'archivio. E va bene.
Tiresia decise che aveva bisogno di una vacanza. Oh sì, sì. Ne aveva proprio
bisogno. Non era vero, ma difficilmente Tiresia l'avrebbe mai ammesso.
Magari avrebbe chiesto al capo giusto due miseri giorni di ferie, così sarebbe
potuto andare al lago... Adorava il campeggio sui laghi di montagna.
Abbandonando una pila di fascicoletti rosa sbiaditi, che sollevarono un'ingente
quantità di polvere, Tiresia trotterellò contento fino all'ufficio del capo.
Annoiata, Era si girò sul fianco sinistro. Odiava spiare il mondo degli umani.
Era così noioso. Con la mente sempre più lontana dal suo obbiettivo, ridacchiò
contenta.
Poteva sentire Zeus in piedi, ritto come una colonna dietro di lei. E non
riusciva a trattenere le risa.
"Allora, piccola. Hai trovato un umano che fa al caso nostro?"
"Non ancora. Sono così noiosi."
Zeus si stese di fianco a lei, e le prese il mento fra le mani. Aveva un mento
ridicolmente piccolo.
"Sarai onesta, vero?"
Era lo fulminò con gli occhi. Zeus pensò che le veniva particolarmente bene.
"Certo".
Si liberò dalla presa di Zeus,e, infuriata, tornò a guardare nel mondo degli
umani.
Iris ed Ermes guardavano mestamente i due. Ancora non avevano avuto ordini.
Iris aspettava diligentemente. Ermes sarebbe voluto andare a giocare, ma lei
non veniva.
Avrebbe voluto convincerla a prendere la gelatina alla fragola che teneva in
tasca e poi le sarebbe saltato addosso.
Saltellò ridacchiando da un piede all'altro, ed Iris lo guardò incuriosita.
Zeus ed Era non volevano essere disturbati da nessuno e per nessun motivo.
Tuttavia, per quel che vedeva, non stavano facendo niente di particolare.
Fuori Iris sentiva Afrodite che rideva. La sua risata era inconfondibile.
Sembrava fatta da mille mila conchiglie che si infrangevano al suolo.
Gli altri dei probabilmente erano riuniti per l'ennesimo banchetto.
Ermes, attraversato dagli stessi pensieri, pensò che avrebbe voluto anche lui
essere lì, per giocare con l'ambrosia, che era così divertente, e poi
mangiarsela, che era così buona.
Si accorse che aveva voltato la testa in direzione del suono delle voci, e si
accorse che pure Iris era attirata da quel vociare e ridere così festante.
Ermes la prese per la mano e decise che ce l'avrebbe portata, con la forza o
meno.
Ma qualcosa lo bloccò.
Zeus era scattato in piedi, il volto soddisfatto. Guardava la moglie.
"Quindi, piccola, quell'umano va bene?"
Un lampo di sfida negli occhi, e poi la risposta "Certo".
"Non imbroglieremo, vero?"
Era cercò di trattenere un gesto stizzito "No di certo".
"Perfetto. Ermes!"
Ermes corse da Zeus, che gli diede le istruzioni.
Non appena il dio alato uscì dalla stanza, Era scoppiò in un allegro, isterico,
nervoso attacco di risa.
Tiresia ancora si chiedeva come fosse riuscito a
convincere il capo a concedergli quella settimana di ferie. Forse alla Centrale
c’era poco lavoro o,più probabilmente,lui non era poi così fondamentale. Poco
male,si era detto. Era stata una di quelle occasioni in cui aveva potuto gettare
l’orgoglio alle ortiche e accettare con allegria quella fortuna che il cielo
gli aveva concesso: una settimana in compagnia solo di sé stesso,pesci lacustri
e una ciotola di fagioli,alle prese con pesca,caccia e notti passate
all’addiaccio. Aveva portato con sé anche una discreta scorta di Jack Daniel’s,tanto per ammazzare il tempo. Una settimana ricca
di attività virili e selvagge,che non avrebbe mai potuto praticare se fosse
stato ancora insieme a lei. Lei che amava Bryan Adams e Titanic e che arricciava il naso ogni volta che Tiresia le
proponeva di guardare i Lakers con lui. Andasse in
malora.
Era arrivato al lago poco prima dell’ora di cena,e
aveva montato subito la tenda monoposto che aveva comprato la mattina al
7eleven. Quella sarebbe stata la sua nuova casa per una settimana e provò
subito un moto di affetto per quel pezzo di plastica.
Quella sera non avrebbe pescato. Il cibo che aveva
portato da casa era ancora mangiabile,sebbene emanasse un leggero odore di
rancido. Aveva farcito dei panini con tutto quello che aveva trovato in
casa,con la certezza che sarebbe stato meglio mangiare qualcosa di
iper-calorico in grado di mantenerlo in forze per più di una giornata.
Ora,però, sperava vivamente che quella roba non sortisse l’effetto contrario e
che non lo stecchisse all’istante. La serata,aveva programmato, l’avrebbe
trascorsa suonando l’armonica a bocca. Strumento che non aveva mai suonato
prima ma che era convinto facesse molto “campeggio”. L’aveva trovata da un
rigattiere proprio quel giorno,mentre cercava degli ami per la sua canna da
pesca. Per più di un’ora,però,non riuscì a far uscire dal piccolo strumento di
latta altro che qualche suono strozzato. Dovette lavorare molto di fantasia per
affermare,compiaciuto con sé stesso,che era riuscito a riprodurre perfettamente
il ritornello di Knockin’ On Heaven’s
Doors. La versione di Bob Dylan,naturalmente.
Mentalmente, però, maledisse la sua malsana idea di non portare nemmeno un
lettore MP3 con sé.
Stanco,senza fiato,e con i timpani leggermente
doloranti,si infilò nel sacco a pelo appena alle nove di sera.
“Mi chiedo dove trovino tutta questa voglia di
giocare,alla loro età”.
Ermes sussurrava le parole nell’orecchio di Iris
nonostante sapesse benissimo che,essendo in forma divina,quell’umano
non avrebbe mai potuto sentirli anche se gli avessero urlato direttamente nelle
orecchie. Erano entrambi appollaiati su un ramo di un alto faggio,osservando
l’uomo che strimpellava con un dannato strumento musicale a fiato. Ermes si
disse che sarebbe stato comodo se,come l’uomo non poteva né vedere né sentire
loro,anche loro avessero potuto evitare quello strazio. Quella missione
l’annoiava. Di solito preferiva occupare il tempo con altre attività. Di tanto
in tanto,schioccava un rapido bacio sulla nuca di Iris,che imperterrita
continuava ad ignorarlo. Lei scrutava in silenzio ogni minimo movimento di
Tiresia,adagiata sul petto di Ermes,che la cingeva dalle spalle con entrambe le
braccia e le gambe. Al contrario di lui,era una che ci teneva a fare bella
figura con i “superiori”.
“Credo sia un modo come un altro per dare pepe alla
loro relazione. Il loro è un amore eterno,immagino sia dura…”
Ermes schioccò sonoramente la lingua sul palato. “Ci
sono tanti modi per tenere viva una relazione. Modi che recano meno disturbi al
prossimo,peraltro!” Il dio ammiccò ad Iris,che subito lo bloccò posandogli un
dito sulle labbra.
“Silenzio,sta entrando in tenda.”
Il buio era quasi totale. L’unica fonte di luce erano
la luna e le stelle,ma il loro chiarore filtrava a fatica attraverso le
cuciture della tenda. Il suolo era duro e freddo,ma ciò era attutito dalla
stoffa soffice del sacco a pelo. Tiresia non tardò molto ad addormentarsi,salvo
svegliarsi dopo un’oretta,disturbato dall’insistente ronzio di due zanzare.
Aveva con sé una scorta infinita di spray anti-insetto,ma
quelle due bestiole erano refrattarie a
morire. Insonnolito,spazientito ed esasperato,Tiresia afferrò un‘arma
improvvisata -una rivista sulle automobili che aveva sfogliato prima di
addormentarsi- e colpì l’aria. Dopo qualche tentativo,sentì il ronzio
attenuarsi e dopo bloccarsi definitivamente e bruscamente. Giustizia era stata
fatta. Poteva tornare a dormire.
Un momento prima di assopirsi, Iris aveva ricordato ad
Ermes che il loro compito era finito e che dovevano tornarsene a casa. Non
essendo una vera e propria divinità, Iris aveva ancora il lusso di riuscire a
dormire. Cosa che Ermes le aveva sempre invidiato. Le scostò i capelli e si
disse che l'amava. Poi ricordò a sé stesso per quale motivo non se n'erano andati.
I mortali erano talmente noiosi, si disse. Era avrebbe fatto una scenata se non
fosse rimasto lì ad aspettare il risultato del loro maleficio. Era era decisamente irritabile, dal momento che Ermes non era
figlio suo. Era era una donna noiosa.
D’altra parte si disse che quella vicenda avrebbe potuto avere anche un lato
grottesco. Rimanere a guardare non era poi un tale sacrificio.
Tiresia non aveva considerato la forza della luce del sole in maggio. La
plastica bianca della sua tenda ne risultò del tutto illuminata, sin dalle sei
del mattino. Tiresia ci provò con tutto se stesso a riaddormentarsi. Ma fu
inutile. Allora si disse che pescare al mattino sarebbe stata un'idea
grandiosa. La solitudine nella solitudine.
Si mise a sedere e si stiracchiò, sbadigliando. Ebbe la strana, straordinaria
impressione che i vestiti gli stessero grandi. La sua giacca a scacchi rossa e
verde e i suoi boxer. Inoltre lo meravigliò il tono acuto della sua voce nello
sbadigliare. Il freddo poteva fare brutti scherzi. Sperò di non essersi preso
un malanno.
Decise di non voler essere un barbuto grigio sinistro vecchio pescatore, e
quindi di radersi.
Nell'allungarsi a prendere lo specchietto, la schiuma e il rasoio, sentì una
strana forza che lo spingeva verso il basso, circa all'altezza del petto.
Mi sono preso una polmonite? Alla prima notte?
Si stropicciò gli occhi. Forse stava diventando un po' ipocondriaco, come sua
madre. Tiresia si accorse di non averla avvertita della sua gita. L'avrebbe
chiamata più tardi.
Quando iniziò a spalmarsi con la sua puzzolente schiuma da barba, si accorse
che...che il suo mento sembrava...rimpicciolito, ecco.
Tiresia Twist era ufficialmente spaventato. O ipocondiarco.
Era ipocondriaco e spaventato.
Fu un attimo, da quando afferrò lo specchio.
Non riuscì neanche a gridare. Al posto dei suoi occhi un po' incavati e
spioventi verso il basso, ne aveva altri, dello stesso verde-azzurro ma dolci e
sorridenti. I suoi zigomi marcati erano diventati alte gote rosee. La bocca, di
per sé piccola e aggraziata, si era trasformata in un piccolo fiore. Gli si
erano allungati i capelli, persino. Non di molto. E aveva identificato quel
peso al petto. Si disse che quella poteva essere sua sorella. Una gemella, perdio. Che quella non poteva essere lui.
Perchè diamine guardandosi nello specchio, stava
fissando una bella ragazza con la schiuma da barba?
Era un errore. Probabilmente stava ancora sognando. Si tolse la camicia e mise
su una canottiera e dei bermuda. I bermuda erano tanto larghi da poter fasciare
due volte i suoi fianchi. Strinse la cintura. Non poteva essere vero.
Tiresia non era ipocondriaco, era solo terrorizzato.
Prese la sua canna da pesca,una bottiglia di Daniel’s
dalla scorta, e andò verso il lago.
Per quanto una parte di lui fosse convinta si trattasse di uno scherzo della
sua mente, l'altra continuava a sentire quel peso sul davanti e i bermuda
calare.
Piazzò la sedia al margine del lago. Si stupì di provare orrore alla sola idea
di toccare quelle esche.
"Vuole una mano?" disse un ultraquarantenne con la pancetta,
sorridendo. Tiresia non sapeva che fare, nè come
rispondere. Sorrise, allungando l'esca e l'amo al vecchio pescatore.
"Sa, è strano vedere una signorina da queste parti"
Tiresia balbettò qualcosa a proposito di suo padre. Disse che lui l'aveva
abituata a pescare sin da bambina. Il vecchio pescatore Jones.
La squadrò. Tiresia capì che la trovava attraente, ma che i suoi abiti erano
pittoreschi. La parte più spaventata di Tiresia pareva aver accettato questa
cosa, tanto che si stupì della sua capacità di adattamento. La metà più
razionale, restava ancora sulla difensiva.
"Grazie mille" disse. Poi si alzò, portandosi via la canna da pesca e
tutto il materiale, e se ne andò ancor prima d'aver gettato l'amo.
Tiresia sospirò sollevato la mattina del settimo
giorno. Quel campeggio era stato una tortura.
Attento a non scheggiarsi le unghie, cominciò a riporre tutto in valigia. Non
vedeva l'ora di mettersi qualcosa di comodo ed appropriato addosso.
Tiresia, dopo quel campeggio, era diventato un'altra persona. Non si rendeva
più conto che quelle camicie a quadri di flanella grossa, i pantaloni larghi
con mille tasche adatti alla pesca, le canottiere bianche e perennemente
sporche... Quelli erano gli abiti adatti. Quegli erano gli abiti che avrebbero
dovuto stargli comodi.
Tiresia ormai non pensava più a questo. Pensava ridacchiando alla serata
precedente. Era una bella ragazza dal grosso seno, aveva tutto il mondo
davanti!
Grazie a due o tre bottoni della camicia slacciati, riuscì a trovare un buon'uomo che la aiutò a smontare la tenda.
Rifiutò gentilmente la sua proposta di aiutarla a portare i bagagli alla Jeep,
e si avviò trotterellando alla macchina, tenda e valigia sotto le braccia.
Prima di mettere in moto, lanciò un'occhiata alla tenda del vecchio pescatore.
Dormiva ancora.
Pensò di essere davvero una donna caritatevole. Nessuno avrebbe mai fatto la
carità a quell'uomo. E nessuna lo avrebbe fatto
urlare in quel modo, tra l'altro.
Con un sorriso compiaciuto, girò la chiave nel cruscotto.
Sentimenti contrastanti, frutto di una sensibilità
tutta nuova annebbiavano la mente di Tiresia. Sua madre l'avrebbe capito? La
risposta era banale. Si. Perchè l'amore di una mamma per il suo bambino supera
certi ostacoli superficiali. Perdio, certo che
avrebbe capito, si disse, mettendosi a posto i capelli. Così parcheggiò nel suo
quartierino tranquillo e di poco valore. Così si avvicinò tranquilla alla
porticina blu. Così suonò il campanello.
"Ma..mamma?"
"Chi è?" gracchiò il citofono.
"Mamma?"
"Apetti, aspetti, scusi, chi è?"
"Ma' sono io, Tiresia".
"Maria, Tiresia non c'è. Se n'è andato in
vacanza dopo che l'hai mollato".
"Ma' non sono Maria.
Sono Tiresia"
"Maria, è davvero uno scherzo di pessimo
gusto"
Dopo tutto anche la beffa. La sua voce somigliava a quella di Maria? Dimenticando i dettagli, Tiresia scoppiò a piangere.
Decise di prendere una strada conosciuta e farsela a dritto finché non sarebbe
arrivata da qualche parte che non fosse lì. Qualunque posto sarebbe stato
meglio di lì.
Con un piacevole nuovo carico di cinismo, con quella strana consapevolezza, si
addentrò nei più oscuri vicoli della sua città. E così passò la notte. Al
termine della quale decise di accostare, in quella via dei bassifondi e fumarsi
una sigaretta sorseggiando liquore. Aveva ancora il suo Jack Daniel's.
"Bevi come una spugna, ragazza!" le aveva detto quel barbone.
Scopriva di non poter reggere l’alcol tanto quanto una settimana prima.
Era abbastanza ubriaca e depressa da prendere la decisione sbagliata, quando
quel tizio fermò la macchina accanto a lei e abbassò il finestrino.
Che strana vita.