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Autore: Teodosia    21/08/2007    2 recensioni
Chi prova più piacere durante un rapporto sessuale?
L'uomo o la donna?
L'ennesima scommessa degli dei scombussolerà la vita di un uomo comune per sette anni.
Secondo racconto della serie "Teodosia".Rivisitazione in chiave moderna del mito di "Tiresia".
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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You got yout mother

In a whirl

She’s not sure if you’re a boy or a girl

We like dancing and we look divine

Rebel Rebel-David Bowie

Origliare è davvero così piacevole? si chiedeva Ermes ascoltando gli strepiti di Lei e le grossolane giustificazioni di Lui. Una strana domanda per il protettore di ladri e truffe. Si allacciava le scarpe nell’atrio della loro camera da letto in stile vintage. Quando si ha troppo tempo, si fanno cose sciocche. Era adorava il vintage.
Wow, pensò Ermes, sentendo un piatto…no, qualcosa di più grosso: una lampada entrare in collisione col muro.
“Ehilà” disse una vocina tenera alle sue spalle.
“Ehilà” disse lui alzandosi. Ciao ciao piccola Iris.
Poi, il più acuto degli dei si fermò a pensare. Che ci fanno due divinità messaggere insieme nello stesso posto. Una scommessa. Che noia.
“Che ci fai…?”
“Mi ha chiamato Lui. Tu?”
“Mi ha chiamato Lei” Ermes sorrise alla piccola Iris e la baciò sulla guancia. Forse se ne sarebbero stati un po’ da soli.
“Credo tu possa piantarla, adesso”. La voce tonante di Zeus interruppe il loro piccolo momento romantico. Ermes sbuffò annoiato dalla banalità della situazione. Ecco come sarebbe andata a finire: Zeus se ne sarebbe andato tra i terresti, o così avrebbe minacciato. Al secondo, dico, secondo giorno di sua assenza, Era sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe detto di non poter più vivere senza suo marito, che lo amava eccetera. Così sua sorella Demetra accompagnandosi ad Ermes lo avrebbe rintracciato e Zeus sarebbe tornato a casa. Lo stesso ciclo per le ere infinite del mondo. Il bel dio biondo sbuffò.

“Non mi sembra proprio il caso di parlarne ora” aveva risposto un’oretta prima Zeus, quando Era gli aveva chiesto il motivo della sua defiance. Era non ci pensò molto su, prima di alzarsi impettita.
“Non ti sembra il caso? Quando ti sembrerà il caso?”
“Di che vuoi parlare, allora?”
“Di che voglio parlare?” seguì un intraducibile suono gutturale che manifestava l’irritazione di Era. Zeus sapeva di essere perduto e che la sua aria strafottente non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Ma non poteva far altrimenti che rispondere con lo stesso tono annoiato. “Voglio parlare del fatto che tu non invecchi, Zeus. Tu NON INVECCHI. Quindi sai che vuol dire? Vuol dire che se non facciamo sesso è solo perché sei un gran bastardo!”
Zeus spesso rimaneva sbigottito dall’illogicità delle affermazioni della moglie. Si chiese per quale motivo non era rimasto in Costa Azzurra. Con la bionda Leia e con Psiche dalla pelle diafana. Perché?
“Andiamo Era, può capitare a tutti”
“Non può capitare a te! Sei dannatamente onnipotente! Per quale motivo non…” Era pareva zittita dall’impetuosità del suo malcontento.
Ok, prendila così. Possiamo far finta di essere giovani, ma non lo siamo. Io ti amo, piccola”.

Era si stropicciò il viso. Dette le spalle a Zeus per qualche secondo. Quando si voltò piangeva.
“Quando dici così, vuol dire che menti. Quando dici piccola”.
In quel momento Zeus si sentì in colpa per quel che stava facendo a sua moglie, gia di per sé una creatura fragile. E si ricordò del motivo per cui aveva scelto lei e non Demetra e perché l’amava.

Era ci faceva caso. Era ci teneva veramente.
“Allora, che aspetti?” riprese lei. Era pazza pazza pazza di rabbia “Vattene. VAT-TE-NE” scandì “Non c’è qualche Corinzia che ti aspetta? O qualche Europa? Qualche nuovo bastardo da portare quassù?”

La parola bastardo lo irritò. Zeus amava i suoi bastardi. Prese il suo telefonino.
“Iris? Piccola? Mi senti? Iris, ti va di fare un salto qui?” sorrise. Riattaccò. “Adesso chiama Ermes.”

Era aveva chiamato Ermes ed erano rimasti in silenzio per qualche minuto. Era aveva percepito l’arrivo di lui per prima.
“Cos’hai intenzione di fare?” chiese Era.
Silenzio.
“Faremo una scommessa” rispose.
“Una scommessa? Un’altra scommessa? Sono stufa delle tue…” gridava. Prese una lampada e la lanciò contro il muro.
“Credo che tu possa piantarla, adesso” fu la risposta di Zeus. Ansimante, Era si sentì ridicola. Guardò in basso.
“Faremo la tua scommessa”.
“Sceglierai tu le premesse. Se vincerò io, dovrai accettare che ti amo e che sei una pazza e un'isterica. Se vincerai tu non scenderò dall’Olimpo, mai più”.

Tiresia non aveva mai desiderato ardentemente essere una donna come in quel momento.
Mentre archiviava scartoffie, lottando contro nuvole e tornadi di polvere, Tiresia avrebbe voluto seppellire per sempre la sua identità maschile, e possibilmente quei dannati fascicoli che proprio non aveva voglia di catalogare.
La fase della rabbia gli era passata. Ora era solo un po' deluso. Ma niente che una buona partita di basket alla tv con un po' di popcorn avrebbe potuto sistemare.
Era solo una donna, come tante altre. Si rese conto che in realtà poteva superarlo facilmente. Era stato troppo azzardato, e ora la pagava. Ecco.
Ma, ma! Se fosse stato donna, non avrebbe di certo dovuto preoccuparsi di tutto questo! No! Avrebbe solo aspettato le mosse dei suoi corteggiatori, si sarebbe vestita i modo carino, e fine.
Già. Tiresia era un uomo all'antica. Ma neanche. Era solo un uomo ingenuo, ecco tutto.
E per di più, ecco, per di più l'avevano costretto a lavorare in archivio. Lui era un poliziotto, perdio. Si sarebbe accontentato pure di pattugliare una scuola elementare. Ma no. No. A Tiresia tocca l'archivio. E va bene.
Tiresia decise che aveva bisogno di una vacanza. Oh sì, sì. Ne aveva proprio bisogno. Non era vero, ma difficilmente Tiresia l'avrebbe mai ammesso.
Magari avrebbe chiesto al capo giusto due miseri giorni di ferie, così sarebbe potuto andare al lago... Adorava il campeggio sui laghi di montagna.
Abbandonando una pila di fascicoletti rosa sbiaditi, che sollevarono un'ingente quantità di polvere, Tiresia trotterellò contento fino all'ufficio del capo.

Annoiata, Era si girò sul fianco sinistro. Odiava spiare il mondo degli umani. Era così noioso. Con la mente sempre più lontana dal suo obbiettivo, ridacchiò contenta.
Poteva sentire Zeus in piedi, ritto come una colonna dietro di lei. E non riusciva a trattenere le risa.
"Allora, piccola. Hai trovato un umano che fa al caso nostro?"
"Non ancora. Sono così noiosi."
Zeus si stese di fianco a lei, e le prese il mento fra le mani. Aveva un mento ridicolmente piccolo.
"Sarai onesta, vero?"
Era lo fulminò con gli occhi. Zeus pensò che le veniva particolarmente bene.
"Certo".
Si liberò dalla presa di Zeus,e, infuriata, tornò a guardare nel mondo degli umani.

Iris ed Ermes guardavano mestamente i due. Ancora non avevano avuto ordini. Iris aspettava diligentemente. Ermes sarebbe voluto andare a giocare, ma lei non veniva.
Avrebbe voluto convincerla a prendere la gelatina alla fragola che teneva in tasca e poi le sarebbe saltato addosso.
Saltellò ridacchiando da un piede all'altro, ed Iris lo guardò incuriosita.
Zeus ed Era non volevano essere disturbati da nessuno e per nessun motivo. Tuttavia, per quel che vedeva, non stavano facendo niente di particolare.
Fuori Iris sentiva Afrodite che rideva. La sua risata era inconfondibile. Sembrava fatta da mille mila conchiglie che si infrangevano al suolo.
Gli altri dei probabilmente erano riuniti per l'ennesimo banchetto.
Ermes, attraversato dagli stessi pensieri, pensò che avrebbe voluto anche lui essere lì, per giocare con l'ambrosia, che era così divertente, e poi mangiarsela, che era così buona.
Si accorse che aveva voltato la testa in direzione del suono delle voci, e si accorse che pure Iris era attirata da quel vociare e ridere così festante.
Ermes la prese per la mano e decise che ce l'avrebbe portata, con la forza o meno.
Ma qualcosa lo bloccò.
Zeus era scattato in piedi, il volto soddisfatto. Guardava la moglie.
"Quindi, piccola, quell'umano va bene?"
Un lampo di sfida negli occhi, e poi la risposta "Certo".
"Non imbroglieremo, vero?"
Era cercò di trattenere un gesto stizzito "No di certo".
"Perfetto. Ermes!"
Ermes corse da Zeus, che gli diede le istruzioni.
Non appena il dio alato uscì dalla stanza, Era scoppiò in un allegro, isterico, nervoso attacco di risa.

Tiresia ancora si chiedeva come fosse riuscito a convincere il capo a concedergli quella settimana di ferie. Forse alla Centrale c’era poco lavoro o,più probabilmente,lui non era poi così fondamentale. Poco male,si era detto. Era stata una di quelle occasioni in cui aveva potuto gettare l’orgoglio alle ortiche e accettare con allegria quella fortuna che il cielo gli aveva concesso: una settimana in compagnia solo di sé stesso,pesci lacustri e una ciotola di fagioli,alle prese con pesca,caccia e notti passate all’addiaccio. Aveva portato con sé anche una discreta scorta di Jack Daniel’s,tanto per ammazzare il tempo. Una settimana ricca di attività virili e selvagge,che non avrebbe mai potuto praticare se fosse stato ancora insieme a lei. Lei che amava Bryan Adams e Titanic e che arricciava il naso ogni volta che Tiresia le proponeva di guardare i Lakers con lui. Andasse in malora.

Era arrivato al lago poco prima dell’ora di cena,e aveva montato subito la tenda monoposto che aveva comprato la mattina al 7eleven. Quella sarebbe stata la sua nuova casa per una settimana e provò subito un moto di affetto per quel pezzo di plastica.

Quella sera non avrebbe pescato. Il cibo che aveva portato da casa era ancora mangiabile,sebbene emanasse un leggero odore di rancido. Aveva farcito dei panini con tutto quello che aveva trovato in casa,con la certezza che sarebbe stato meglio mangiare qualcosa di iper-calorico in grado di mantenerlo in forze per più di una giornata. Ora,però, sperava vivamente che quella roba non sortisse l’effetto contrario e che non lo stecchisse all’istante. La serata,aveva programmato, l’avrebbe trascorsa suonando l’armonica a bocca. Strumento che non aveva mai suonato prima ma che era convinto facesse molto “campeggio”. L’aveva trovata da un rigattiere proprio quel giorno,mentre cercava degli ami per la sua canna da pesca. Per più di un’ora,però,non riuscì a far uscire dal piccolo strumento di latta altro che qualche suono strozzato. Dovette lavorare molto di fantasia per affermare,compiaciuto con sé stesso,che era riuscito a riprodurre perfettamente il ritornello di Knockin’ On Heaven’s Doors. La versione di Bob Dylan,naturalmente. Mentalmente, però, maledisse la sua malsana idea di non portare nemmeno un lettore MP3 con sé.

Stanco,senza fiato,e con i timpani leggermente doloranti,si infilò nel sacco a pelo appena alle nove di sera.

“Mi chiedo dove trovino tutta questa voglia di giocare,alla loro età”.

Ermes sussurrava le parole nell’orecchio di Iris nonostante sapesse benissimo che,essendo in forma divina,quell’umano non avrebbe mai potuto sentirli anche se gli avessero urlato direttamente nelle orecchie. Erano entrambi appollaiati su un ramo di un alto faggio,osservando l’uomo che strimpellava con un dannato strumento musicale a fiato. Ermes si disse che sarebbe stato comodo se,come l’uomo non poteva né vedere né sentire loro,anche loro avessero potuto evitare quello strazio. Quella missione l’annoiava. Di solito preferiva occupare il tempo con altre attività. Di tanto in tanto,schioccava un rapido bacio sulla nuca di Iris,che imperterrita continuava ad ignorarlo. Lei scrutava in silenzio ogni minimo movimento di Tiresia,adagiata sul petto di Ermes,che la cingeva dalle spalle con entrambe le braccia e le gambe. Al contrario di lui,era una che ci teneva a fare bella figura con i “superiori”.

“Credo sia un modo come un altro per dare pepe alla loro relazione. Il loro è un amore eterno,immagino sia dura…”

Ermes schioccò sonoramente la lingua sul palato. “Ci sono tanti modi per tenere viva una relazione. Modi che recano meno disturbi al prossimo,peraltro!” Il dio ammiccò ad Iris,che subito lo bloccò posandogli un dito sulle labbra.

“Silenzio,sta entrando in tenda.”

Il buio era quasi totale. L’unica fonte di luce erano la luna e le stelle,ma il loro chiarore filtrava a fatica attraverso le cuciture della tenda. Il suolo era duro e freddo,ma ciò era attutito dalla stoffa soffice del sacco a pelo. Tiresia non tardò molto ad addormentarsi,salvo svegliarsi dopo un’oretta,disturbato dall’insistente ronzio di due zanzare. Aveva con sé una scorta infinita di spray anti-insetto,ma quelle due bestiole erano refrattarie a morire. Insonnolito,spazientito ed esasperato,Tiresia afferrò un‘arma improvvisata -una rivista sulle automobili che aveva sfogliato prima di addormentarsi- e colpì l’aria. Dopo qualche tentativo,sentì il ronzio attenuarsi e dopo bloccarsi definitivamente e bruscamente. Giustizia era stata fatta. Poteva tornare a dormire.

Un momento prima di assopirsi, Iris aveva ricordato ad Ermes che il loro compito era finito e che dovevano tornarsene a casa. Non essendo una vera e propria divinità, Iris aveva ancora il lusso di riuscire a dormire. Cosa che Ermes le aveva sempre invidiato. Le scostò i capelli e si disse che l'amava. Poi ricordò a sé stesso per quale motivo non se n'erano andati. I mortali erano talmente noiosi, si disse. Era avrebbe fatto una scenata se non fosse rimasto lì ad aspettare il risultato del loro maleficio. Era era decisamente irritabile, dal momento che Ermes non era figlio suo. Era era una donna noiosa.
D’altra parte si disse che quella vicenda avrebbe potuto avere anche un lato grottesco. Rimanere a guardare non era poi un tale sacrificio.

Tiresia non aveva considerato la forza della luce del sole in maggio. La plastica bianca della sua tenda ne risultò del tutto illuminata, sin dalle sei del mattino. Tiresia ci provò con tutto se stesso a riaddormentarsi. Ma fu inutile. Allora si disse che pescare al mattino sarebbe stata un'idea grandiosa. La solitudine nella solitudine.
Si mise a sedere e si stiracchiò, sbadigliando. Ebbe la strana, straordinaria impressione che i vestiti gli stessero grandi. La sua giacca a scacchi rossa e verde e i suoi boxer. Inoltre lo meravigliò il tono acuto della sua voce nello sbadigliare. Il freddo poteva fare brutti scherzi. Sperò di non essersi preso un malanno.
Decise di non voler essere un barbuto grigio sinistro vecchio pescatore, e quindi di radersi.
Nell'allungarsi a prendere lo specchietto, la schiuma e il rasoio, sentì una strana forza che lo spingeva verso il basso, circa all'altezza del petto.
Mi sono preso una polmonite? Alla prima notte?
Si stropicciò gli occhi. Forse stava diventando un po' ipocondriaco, come sua madre. Tiresia si accorse di non averla avvertita della sua gita. L'avrebbe chiamata più tardi.
Quando iniziò a spalmarsi con la sua puzzolente schiuma da barba, si accorse che...che il suo mento sembrava...rimpicciolito, ecco.
Tiresia Twist era ufficialmente spaventato. O ipocondiarco. Era ipocondriaco e spaventato.
Fu un attimo, da quando afferrò lo specchio.
Non riuscì neanche a gridare. Al posto dei suoi occhi un po' incavati e spioventi verso il basso, ne aveva altri, dello stesso verde-azzurro ma dolci e sorridenti. I suoi zigomi marcati erano diventati alte gote rosee. La bocca, di per sé piccola e aggraziata, si era trasformata in un piccolo fiore. Gli si erano allungati i capelli, persino. Non di molto. E aveva identificato quel peso al petto. Si disse che quella poteva essere sua sorella. Una gemella, perdio. Che quella non poteva essere lui.

Perchè diamine guardandosi nello specchio, stava fissando una bella ragazza con la schiuma da barba?
Era un errore. Probabilmente stava ancora sognando. Si tolse la camicia e mise su una canottiera e dei bermuda. I bermuda erano tanto larghi da poter fasciare due volte i suoi fianchi. Strinse la cintura. Non poteva essere vero.
Tiresia non era ipocondriaco, era solo terrorizzato.
Prese la sua canna da pesca,una bottiglia di Daniel’s dalla scorta, e andò verso il lago.
Per quanto una parte di lui fosse convinta si trattasse di uno scherzo della sua mente, l'altra continuava a sentire quel peso sul davanti e i bermuda calare.
Piazzò la sedia al margine del lago. Si stupì di provare orrore alla sola idea di toccare quelle esche.
"Vuole una mano?" disse un ultraquarantenne con la pancetta, sorridendo. Tiresia non sapeva che fare, come rispondere. Sorrise, allungando l'esca e l'amo al vecchio pescatore.
"Sa, è strano vedere una signorina da queste parti"
Tiresia balbettò qualcosa a proposito di suo padre. Disse che lui l'aveva abituata a pescare sin da bambina. Il vecchio pescatore Jones. La squadrò. Tiresia capì che la trovava attraente, ma che i suoi abiti erano pittoreschi. La parte più spaventata di Tiresia pareva aver accettato questa cosa, tanto che si stupì della sua capacità di adattamento. La metà più razionale, restava ancora sulla difensiva.
"Grazie mille" disse. Poi si alzò, portandosi via la canna da pesca e tutto il materiale, e se ne andò ancor prima d'aver gettato l'amo.

Tiresia sospirò sollevato la mattina del settimo giorno. Quel campeggio era stato una tortura.
Attento a non scheggiarsi le unghie, cominciò a riporre tutto in valigia. Non vedeva l'ora di mettersi qualcosa di comodo ed appropriato addosso.
Tiresia, dopo quel campeggio, era diventato un'altra persona. Non si rendeva più conto che quelle camicie a quadri di flanella grossa, i pantaloni larghi con mille tasche adatti alla pesca, le canottiere bianche e perennemente sporche... Quelli erano gli abiti adatti. Quegli erano gli abiti che avrebbero dovuto stargli comodi.
Tiresia ormai non pensava più a questo. Pensava ridacchiando alla serata precedente. Era una bella ragazza dal grosso seno, aveva tutto il mondo davanti!
Grazie a due o tre bottoni della camicia slacciati, riuscì a trovare un buon'uomo che la aiutò a smontare la tenda.
Rifiutò gentilmente la sua proposta di aiutarla a portare i bagagli alla Jeep, e si avviò trotterellando alla macchina, tenda e valigia sotto le braccia.
Prima di mettere in moto, lanciò un'occhiata alla tenda del vecchio pescatore. Dormiva ancora.
Pensò di essere davvero una donna caritatevole. Nessuno avrebbe mai fatto la carità a quell'uomo. E nessuna lo avrebbe fatto urlare in quel modo, tra l'altro.
Con un sorriso compiaciuto, girò la chiave nel cruscotto.

Sentimenti contrastanti, frutto di una sensibilità tutta nuova annebbiavano la mente di Tiresia. Sua madre l'avrebbe capito? La risposta era banale. Si. Perchè l'amore di una mamma per il suo bambino supera certi ostacoli superficiali. Perdio, certo che avrebbe capito, si disse, mettendosi a posto i capelli. Così parcheggiò nel suo quartierino tranquillo e di poco valore. Così si avvicinò tranquilla alla porticina blu. Così suonò il campanello.

"Ma..mamma?"
"Chi è?" gracchiò il citofono.
"Mamma?"
"Apetti, aspetti, scusi, chi è?"
"Ma' sono io, Tiresia".
"Maria, Tiresia non c'è. Se n'è andato in vacanza dopo che l'hai mollato".
"Ma' non sono Maria. Sono Tiresia"
"Maria, è davvero uno scherzo di pessimo gusto"
Dopo tutto anche la beffa. La sua voce somigliava a quella di Maria? Dimenticando i dettagli, Tiresia scoppiò a piangere.
Decise di prendere una strada conosciuta e farsela a dritto finché non sarebbe arrivata da qualche parte che non fosse lì. Qualunque posto sarebbe stato meglio di lì.
Con un piacevole nuovo carico di cinismo, con quella strana consapevolezza, si addentrò nei più oscuri vicoli della sua città. E così passò la notte. Al termine della quale decise di accostare, in quella via dei bassifondi e fumarsi una sigaretta sorseggiando liquore. Aveva ancora il suo Jack Daniel's.
"Bevi come una spugna, ragazza!" le aveva detto quel barbone. Scopriva di non poter reggere l’alcol tanto quanto una settimana prima.
Era abbastanza ubriaca e depressa da prendere la decisione sbagliata, quando quel tizio fermò la macchina accanto a lei e abbassò il finestrino.
Che strana vita.

  
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