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Autore: Kim NaNa    31/01/2013    5 recensioni
«Il tempo guarisce tutte le ferite.» Macché, il tempo è come il sale, su una ferita brucia e continua a fare male.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Cronaca di Michelle.
 
 
Scrivere.
Ormai non faccio altro, come se non avessi alternative, come se parlare fosse un reato perseguibile per legge e punibile con la pena capitale.
Io odio parlare, eppure avrei tante cose da dire.
Da dove comincio?
Dal principio.
Bene! Ma qual è il mio principio? Proprio non lo so.
Perché me ne sto qui a scrivere, invece di uscire fuori e godermi il mondo? Perché lascio che le dita scorrano su questi tasti, imprimendo nero su bianco momenti di vita che sarebbe meglio cancellare?
Ci starebbe benissimo un tasto «Reset» nel mio cervello. Formattare tutto, dal principio appunto.
Come sarebbe una vita senza ricordi? Me lo chiedo spesso, forse sempre.
Libera da ogni peso, libera da ogni pensiero, libera da ogni tormento, libera persino da me stessa. Ma il tempo speso? Quello non mi verrebbe restituito lo stesso e sarebbe tempo perso comunque.
TEMPO PERSO.
E sì, proprio perduto. Andato. Smarrito. Bruciato.
Come le gocce di un rubinetto difettoso, il tempo scivola via senza possibilità di ritorno o di riutilizzo. Come le lancette di un orologio che scorrono sempre in avanti, col loro solito ticchettio, mai una volta che percorrano il quadrante all’inverso.
Io non uso orologi. Mai. Detesto anche sentirla quella lancetta che scandisce i secondi!
Odio tutto ciò che mi ricorda il passar del tempo, dei giorni, delle ore…
È scontato scrivere di odiare il giorno del mio compleanno, vero? È così ovvio…
Odio quel giorno, più di ogni altra cosa… perché io odio essere venuta al mondo! Odio essere venuta al mondo così come sono: un concetrato di difetti e brutture!
Ma sarà vero che sono come dico di essere?
Sono sempre stata drastica, estrema, distruttiva. Con me stessa però… solo con me stessa.
E con gli altri?
Ho dovuto aspettare molto tempo prima di iniziare a duellare con gli altri, con quelli che non si risparmiavano mai con me, neanche quando ero poco più di una bambina.
Cinica.
Sono diventata una cinica, una che definiscono più acida di un limone… una che ha dovuto imparare a difendersi… una che  si è costruita una corazza affinchè non infierissero più sul suo cuore ormai ferito.
E quelle ferite?
Non sono mai andate vie. Mai, neanche col passare del tempo.
«Il tempo guarisce tutte le ferite.» Macché, il tempo è come il sale, su una ferita brucia e continua a fare male.
Ah, per la cronaca, mi chiamo Michelle e ho TOT anni - L’età ad una donna non si chiede mai, che volete! -  e la sola cosa che mi riesce meglio è proprio scrivere. Non che sappia farlo, ma almeno riesco a dire più di quello che vorrei dire con le parole.
E oggi voglio parlare e raccontarvi una storia… di certo non una storia di amore e tradimenti, dove c’è sempre la solita protagonista tutta dolcezza e sorrisi che si innamora del giovane bello e maledetto, impegnato però, con la peggiore delle donne… oggi voglio raccontarvi la storia di Michelle, anzi no, vi racconto la storia del momento più indimenticabile della vita di Michelle. La mia, tanto per intenderci.
Una mattina di tanto tempo fa mi sono svegliata e ho iniziato a morire.
Non ricordo quando sia cominciato, so solo che ha avuto inizio una strana condanna, la mia, quella che mi ero attribuita dopo quel tempo speso a incassar colpi esterni.
Un bizzarro modo di difendermi il mio, non credete?
Ma non andavo bene o almeno così mi hanno sempre lasciato credere…
Uno spazzolino in gola dopo ogni pasto: è così che è cominciato tutto.
Vomitavo, con abilità mista a disperazione, l’enorme quantità di cibo ingerito nel corso delle mie - tutte uguali - giornate. Vomitavo tutto quello che mi appesantiva cuore e anima, umiliando il mio essere e aumentando quel disgustoso senso di colpa e disagio che deteriorava la mia essenza.
E raccoglievo i cocci della mia vita, dando libero sfogo a quelle lacrime sempre agli angoli dei miei occhi, pronte a suggellare quei momenti di estremo potere prima e di assoluta debolezza dopo.
Le lacrime.
Lacrime amare. Lacrime di sofferenza. Lacrime di solitudine. Lacrime di ribellione.
Le lacrime le mie uniche compagne di questi anni, quelle lacrime inutili versate nelle notti più lunghe per questa vita mai vissuta.
Cos’era quel dolore che mi divorava dentro?
Dov’erano i miei anni?
Dov’era finita la mia giovinezza, la mia gioia di vivere?
Tutto andato.
Perché?
Se lo sapessi non sarei qui a domandarmelo.
Una mattina aprii nuovamente i miei occhi azzurri e non vidi nulla. Ero cieca e morta dentro. Neanche il mio riflesso, che tanto mi tormentava, riuscii a vedere.
Ero spenta.
Mi alzai come inebetita, raggiunsi l’armadietto dei farmaci e ingoiai tutte le compresse che c’erano. Così, me le misi in bocca come fossero caramelle e quando la bocca fu troppo piena per aggiungerne altre, cominciai a deglutire, spingendomene delle altre una alla volta.
Ero impazzita.
Sì, quella mattina ero completamente fuori di me. Io non c’ero, non so dove fossi finita, ma quella che agì quella mattina, l’altra me, proprio non ce la faceva: voleva morire.
«Sei già morta, perché non completare l’opera?» sembrava dicesse.
Quella lì, quella che s’era presa tutta quelle pillole - che non ero io, ma una con la mia stessa faccia -  cercò pure di dormire, ma niente. Sembrava avere spilli negli occhi.
Era la seconda volta che quella pazza, che si prendeva il mio corpo, faceva una cosa simile. La prima fu quando non ero ancora maggiorenne… quella folle, mi prende sempre nel sonno e non mi dice mai che intenzioni ha - ovvio, sono sempre le peggiori! -
Quel giorno non ero io eppure, ogni tanto, cercavo di destarmi da quel dannato torpore e, in un momento fugace di lucidità scrissi alla mia unica amica  che io - che io non ero!  - avevo preso un sacco di pastiglie.
Quella, che è Amica vera con la A maiuscola e che abita lontano, anzi lontanissimo da me - non si dica in giro che le mie cose siano semplici – prese un aereo e volò da me.
Niente paternali. Venne e basta, che a fare casini mi bastavo da sola.
Solo che quel giorno non ero io, ve l’ho detto. Quella stronza - si può dire o è un’atroce parolaccia? – quel giorno non voleva essere in alcun modo contraddetta e quando parlai con il mio fidanzato – che sono quelle facce? Anche i pazzi si innamorano, non lo sapevate? – mi mise subito KO e dopo avergli chiuso la telefonata, prese il primo blister che le capitò sotto tiro e fece il bis. Però la stronza non aveva fatto i conti con la mia amica e con lei non si scherza mica! Nonostante mi fossi messa in bocca più di venti compresse, lei riuscì a strapparmi di mano il blister e non seppi più che fine fece.
Inutile dirvi che stavo male o forse devo proprio dirlo, è tutto il nocciolo della faccenda!
Avevo crampi e spasmi, ma figuriamoci se avessi intenzione di chiedere aiuto, piuttosto morta! - Un momento, la stronza mi voleva morta! – Insomma, me ne andai a letto con la mia amica e aspettai.
Chi io o lei? Non lo so, forse entrambe.
Ero nel letto e sentivo lo stomaco contorcersi e provocarmi dolori allucinanti. Facevo fatica a respirare e parlare era quasi del tutto impossibile.
Non so come, dissi alla mia amica: «Provo a vomitare» ed inutile dirvi quanto ne fu sollevata - non che si sentisse meglio, se avesse messo da parte il raziocinio avrebbe cominciato ad urlare e costretto un tizio qualunque a trascinarmi al primo pronto soccorso. -
Presi lo spazzolino, proprio come facevo un tempo, e me lo infilai in gola.
Una, due volte, sempre più in basso. Niente non riuscivo a vomitare. Mi meravigliai e provai ad infilarmi lo spazzolino dalla parte delle setole.
Uno, due e tre.
Il primo conato venne fuori. Sì, il primo, perché durante la notte non feci altro. Da quel momento non ebbi più bisogno dello spazzolino, i crampi si fecero più insistenti e insopportabili – capirete che prendere una qualunque medicina sarebbe stato un suicidio. Ho detto suicidio? Okay, lasciate stare, è la stronza che parla e si diverte pure! – non riuscivo a chiudere occhio, avevo dolori muscolari e non riuscivo più a parlare.
La mia amica era nel panico, certo, non avevo la lucidità per comprenderlo subito, ogni volta che mi alzavo dal letto mi chiedeva: «che ti senti?» Non so quante volte le ho risposto, una forse, due al massimo, i conati di vomito si fecero troppo frequenti per lasciarmi la possibilità di parlare, dovevo trattenermi la labbra con le mani e raggiungere il bagno di corsa.
Una nottata con i fiocchi, direi.
Chi ha subito un danno è pericoloso, sa di poter sopravvivere. China con la testa sul water, mi lasciai andare ad un ghigno. Non era quello il momento di farsi tornare alla memoria una di quelle citazioni che credi di poterti cucire addosso, una di quelle scovate in un libro apparentemente scritto per te, una di quelle frasi che ti resta dentro come un marchio a fuoco nell'anima.
E il giorno dopo?
Il giorno dopo riaprii i miei occhi azzurri, ero lì. Tutto intorno a me era esattamente come l’avevo lasciato ed io… ero io.
Non ero morta, forse lo sono già dentro e da molto tempo anche, ma la Michelle che tutti conoscono è ancora qua, a scrivere queste pagine e a raccontare un passo della sua storia. E che storia, signori!
Fu proprio una notte indimenticabile, quella!
Non sarà stata la notte idilliaca che troviamo in qualche romanzo rosa, ma di sicuro è stata una notte da ricordare.
Perché la voglio ricordare?
Per capire un giorno - non è detto che io ci riesca - chi sono e cosa voglio dalla vita.
Per ora non lo so. Sono una viandante, o forse no, è meglio dire che sono una clochard. Quando saprò chi sono, saprò anche dove andare e, quando saprò dove andare, forse saprò anche cosa farne della mia vita.
   
 
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