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Autore: Seren_alias Robin_    31/01/2013    2 recensioni
“Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.”
Con quella frase Nizan, quel filosofo sconosciuto, aveva conquistato la sua stima. Non avrebbe avuto dubbi su quale traccia scegliere.
Vera e Matteo.
Altra storiella partorita dal mare, che non completerò mai probabilmente. O si. Che ne so.
Le mie storie restano a metà, perché io sono a metà.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Matteo non dormì quella notte, ma rimase ad osservare Francesco che riposava tranquillo nel letto affianco, con l'espressione beata di chi non ha avuto una giornata perfetta, ma sicuramente felice. Lo invidiava da morire, era un ragazzo buono e gentile come pochi, e adorava Nunzia con tutto se stesso. Sarebbero stati felici, ne era sicuro. Sembrava fossero nati per stare insieme. L'incontro predestinato con l'anima gemella, forse non era solo un concetto astratto. Quei due erano l'amore. 
La finestra illuminava d'argento la piccola stanza con l'arrivo del giorno. Gli occhi del ragazzo, che si stavano abituando alla luce, caddero su un vecchio album di fotografie, sotto il comodino. Si alzò cercando di far meno rumore possibile, e prese l'oggetto fra le mani. La copertina era ruvida, di un giallo pallido, senza alcuna scritta. Nessuna presentazione, ma sapeva in fondo al cuore quello che sperava di trovare.
E non rimase deluso. C'erano foto di una minuscola Vera, tre mesi appena, tutto l'azzurro degli occhi e i sorrisoni sdentati. Una in particolare lo fece ridere: sollevava la manina vicino al viso, sdraiata su morbide lenzuola di cotone a fiori, quasi come se volesse salutare la macchina fotografica e chi le stava dietro. E ancora Vera tra le braccia di Francesco, che allora era appena un ragazzino magrissimo e sorridente, su quello stesso dondolo in cui poco prima il suo cuore si era frantumato. Via quella foto, via quel pensiero. Vera, sempre Vera al mare, più grande, almeno sei anni, con un costumetto verde dai fiocchetti gialli, e i piedi bagnati dalle piccole onde blu, che illuminavano i suoi occhi grandi. Sorridendo ad ogni fotografia, prima di sentire puntualmente la stessa solita fitta allo stomaco, violenta, dolorosa, e guardandola crescere tra le immagini, osservando la sua bellezza fiorire a poco a poco. Man mano che diventava più simile alla Vera che conosceva lui, quella che era diventata ora, soffriva. Chiuse l'album prima di terminarlo e lo rimise al suo posto. Dormire non era una buona idea, era certo che Vera sarebbe arrivata anche nei suoi sogni. Rimase a fissare le pareti che prendevano colore, finché Francesco non si mosse, girandosi da un lato e sollevando in alto le braccia per stiracchiarsi. Finse un'espressione assonnata e sorrise al suo compagno di stanza, come se avesse dormito beatamente quanto lui.

- Buongiorno- disse, tirandosi su a sedere. - Che ore sono?-

- Le nove e dieci- rispose Matteo, strofinandogli gli occhi. Si sentiva stanco, e rimpiangeva di non aver dormito un po'. Ora gli toccava affrontare la maxi colazione di famiglia con Vera. Un pensiero cominciava a farsi largo nella sua mente, partorito dalla luce del sole più decisa finalmente. Non sapeva se i suoi lo avrebbero riaccettato volentieri prima del previsto. Era certo che sua madre sarebbe stata felice. E comunque, a casa lo avrebbero voluto sicuramente più di lei.

"Non voglio stare con te."

Aveva detto esattamente così. Era chiaro e limpido che Vera non lo voleva, e poteva forse biasimarla? Lei era perfetta, una ragazza da fare invidia, e da far impazzire tutti. Era dolce, intelligente, calorosa, spiritosa, anche parecchio scema, nel senso più bello del termine. Era quello che avrebbe voluto essere. E lui? Cos'era lui se non un idiota senza neanche un diploma? Cos'era stato in grado di fare in quei giorni, per lei, se non allontanarla ancora di più? Cosa le aveva lasciato di bello, ora che se ne stava andando, se non il ricordo di un ragazzo scanzonato che l'aveva presa in giro? Perché questa era la cosa più facile da credere, la più ovvia. Si era lasciato andare ad una notte con Jenny, illudendo anche quella stupida ragazza, un altro peso da aggiungere al suo bagaglio di rimorsi, giocando a fare i dispetti a Vera come un ragazzino innamorato di un amore impossibile. Perchè era quello che aveva fatto. Poteva inventarsi altre mille scuse nobili nella sua testa, per sfamare la sua coscienza, ma l'essenza rimaneva quella. Cercando in un metodo del tutto idiota di riprendersela, scatenando una qualunque reazione in lei, l'aveva persa.  E lei non lo voleva. Nonostante avesse lasciato Jenny cuocere nella delusione di essere stato solo un oggetto, Vera non lo voleva più. Ripensò ai suoi occhi quando Jenny aveva detto quelle parole, la mattina prima. Si erano spenti, pietrificati, erano morti insieme al suo sorriso. 
La soluzione era andarsene il prima possibile, spingere i vestiti nello zaino blu, insieme a tutto in resto che nella sua testa proprio non aveva spazio. Sarebbe partito quella mattina stessa se non fosse stato per Nunzia. Doveva delle spiegazioni alla persona che lo aveva accolto quando tutto sembrava stesse andando nella direzione sbagliata, quando era rimasto solo. Doveva ringraziare tutti in quella casa per l'accoglienza, tutti, anche se qualcuno in particolare. Doveva sparire in fretta, ma educatamente, per mostrarle almeno un minimo che non era la persona squallida che credeva lei, che sapeva essere anche gentile e cortese, che meritava quelle attenzioni che lei gli aveva concesso. Doveva, e doveva subito.
Quanto le sarebbe mancata una persona che conosceva da così poco tempo? Sarebbero passati giorni, mesi, o non sarebbe passato niente? Era sbagliato, sbagliatissimo, dare un tempo ai sentimenti. Nessuno aveva mai detto con certezza quanto tempo ci voleva per innamorarsi, e allo stesso tempo era impossibile stabilire quanto tempo avrebbe sofferto ancora. Una cosa lo consolava. Aveva tantissimo materiale per nuove canzoni. L'ispirazione arrivava sempre nei momenti peggiori. Se avesse avuto la forza di scrivere, avrebbe riempito le pareti di quella stanza di poesie disordinate. 
Aveva nascosto l'ipod di Vera in una tasca interna dello zaino. Non glielo avrebbe ridato. Quando anche il ricordo del suo profumo se ne sarebbe andato, avrebbe avuto sempre una nuova canzone su cui piangere. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì vide di essere solo in camera. Si cambiò la maglietta, e sistemò come meglio poteva le sue cose preso da una strana adrenalina. 
Uscendo dalla cucina si imbattè nel viso stanco e triste di Vera, che stava uscendo dal bagno. Le pesanti occhiaie tradivano l'idea che nemmeno lei aveva riposato tanto bene. Quella notte Matteo aveva resistito all'impulso di correre ad abbracciarla mentre dormiva, proprio perchè temeva di trovarla sveglia. L'ultima cosa che voleva ora era importunarla. Sfuggì in fretta ai suoi occhi, cercando sua cugina con lo sguardo, ma Nunzia non era in cucina. La trovò fuori in giardino. Per fortuna non era seduta sulla dondola. Lo guardò con una nota di rassegnazione e di tristezza in volto, e gli fece cenno di avvicinarci.

- So che vuoi andartene. - disse senza troppi giri di parole. Era meglio. Un taglio netto.

- Avete parlato? -

- Già, e ho intuito che saresti partito. Mi sbaglio? -

Non riuscì più a guardarla in faccia. - No.-

- Non preoccuparti per gli altri, parlerò io con loro. Diremo che tua madre vuole sistemare le cose e sei tornato a casa. Capiranno. -

- Di certo capiranno più di me. - rispose, senza riuscire a trattenersi.

- Mia suocera e mia cognata sono uscite. Non devi aspettarle se vuoi andartene subito. -

Tornò a guardarla, e trovò molta più tristezza di quanto potesse sopportare. - E Francesco? A lui non mi va di raccontare stronzate. -

- Vuoi...? -

- No, parla tu con lui. Digli che è davvero un gran bravo ragazzo, e per quello che vale lo stimo tantissimo. E te mi raccomando. - la raggiunse e le prese le mani. - Non te la prendere, non è andata, io e te siamo sempre cugini. -

- Questo non potrebbe mai cambiare. Ma sarebbe stato carino averti anche come nipote. - rispose stringendo le mani di Matteo, e sorridendo.

- Abbi cura di te cuginetta. Spero di vederti prima del lieto evento, manca ancora così tanto.- e abbracciandola tornò dentro. La cucina era ancora vuota. Si versò il caffè in una tazzina che quella mattina non sorrideva, poi tornò in camera e sistemò le ultime cose, fece qualche telefonata e si preparò a partire.

 

***

 

Vera era tornata in camera sua. Persino il rumore delle scarpe di Matteo le dava fastidio. Si lasciò cadere sul letto, con i capelli confusi sul cuscino, chiedendosi che sapore avrebbero avuto ora le sue lacrime. Non aveva più cercato il suo ipod, si era arresa all'idea di averlo lasciato in spiaggia, ma ne sentiva terribilmente la mancanza. Mai come in quel momento aveva bisogno di evadere. Raccolse matita e foglio, si mise a scarabocchiare qualcosa, ma le linee erano troppo incerte, instabili. Si alzava in continuazione dal letto, solo per cercare qualcosa potenzialmente inutile, e si rituffava sul materasso. Se solo avesse avuto a portata di mano pillole per dormire, avrebbe mandato giù l'intera scatola. Ma doveva resistere a mandare avanti il giorno senza crolli. Le voci dalle altre stanze erano confuse, era un viavai di passi.
Matteo stava andando via, lei lo sapeva. Aveva ascoltato quanto bastava della conversazione tra Nunzia e il ragazzo per capire che non avrebbe cambiato idea. Un'altra cosa a cui si era arresa: aveva rinunciato a cercare anche lui. Ancora una volta perdente. Ancora una volta principessa imprigionata nella torre più alta delle sue paure, pigra e impacciata, piuttosto che guerriera forte e fiera, quello che desiderava essere, per non dover mai ringraziare nessuno su quello che avrebbe ottenuto. Le sue cuffie di riserva avevano deciso di farle un ulteriore dispetto, e ora solo una le trasmetteva le note della radio. Non sapeva su quale canale fosse sincronizzata, ne le importata. Tutto era meglio di quel silenzio. No, quasi tutto.

 

But in the end everyone ends up alone

Era vero. Ma in quel momento si sentiva più sola di chiunque altro. Il dolore stesso sembrava inconcebile, inspiegabile, imparagonabile. 

 

Losing her the only one whose ever known

Matteo, Matteo. Quanto avrebbe voluto essere lei a capirlo...

 

Who I am, who I'm not, who I want to be

No way to know how long she will be next to me 

Basta. 
Si strappò via la cuffietta con violenza. Probabilmente aveva rotto anche quella ormai. Disegnò, direttamente con la penna, un'immagine confusa e sciocca, per poi allontanare il foglio da sè e alzarsi ancora una volta dal letto. Infilò le sue infradito verdi e tornò in cucina. Matteo non era lì. Non era nella camera di Francesco, e nemmeno in bagno. Non era da nessuna parte. La magia si era persa. Non aveva molto senso rincorrerlo ora. Figli di scelte sbagliate e casualità, entrambi avevano perso la stessa battaglia facendosi la guerra, incosapevoli di essere invece alleati. Sciocchi, come gli ultimi romantici innamorati. Che cosa poteva fare adesso?
Uscì di casa senza sapere nemmeno se avesse addosso qualcosa di diverso dal pigiama, ma camminava a testa alta. Solo un po' di vento rovinava la perfezione del mare e dei suoi capelli, il sole cominciava a picchiare più alto, e lei non gli avrebbe degnato attenzione nemmeno quella mattina. Non aveva più nulla, solo una tristezza che non poteva esprimere a parole. E a chi dirle, poi? Dentro di sè sperava di non incontrare nessuno, almeno per un po'. Quando il dolore lasciava un po' di spazio alla razionalità, si chiedeva come fosse possibile essere travolti, assorbiti, in un sentimento così giovane, così nuovo.

"Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio."

Ridicolo. Era ridicolo lasciarsi abbindolare dalle poesie. 
Stava crollando di nuovo.
Non lo avrebbe permesso. 
Si fermò per qualche istante, osservando il mare. Non aveva nulla di interessante quella mattina. Niente più tempo perso. Prese il telefono e chiamò Selene. Dieci minuti e l'aveva raggiunta in spiaggia. Erano lei e Alessandro. Quel ragazzo era dovunque, un po' come i tizi dei volantini. Ma non le dava fastidio. Si sedette affianco a loro e ripresero il discorso dove l'avevano interrotto. Nella sua svolta alla vita, Matteo era cancellato, sparito, guarito. Una parentesi scritta a matita tra le pagine di un libro che sa ancora di nuovo. Era chiaro che Vera piacesse molto ad Alessandro, e probabilmente anche lei avrebbe potuto trovarlo interessante se solo il suo cuore non si fosse congelato. Ora voleva solo stare bene. Rimasero a chiacchierare per ore, insieme a Selene, che guardava la coppia senza entusiasmo. Quando Alessandro si alzò per andare a fare il bagno, si avvicinò a Vera.

- Avete parlato? -

- Si. E' partito. Torna a casa. Forse riuscirò a vivermi gli ultimi giorni di vacanza come si deve. -

- Come è partito? Quando? - chiese Selene sconvolta da quella notizia.

- Stamattina. - rispose Vera, spegnendosi. Le sue buone intenzioni stavano bruciando come fogli di carta in un camino acceso.

- Così? Senza dirti nulla? -

- No. Senza dirmi nulla. Ieri sera gli ho detto che non volevo stare con lui, che non potevo stare con lui. - si corresse. Almeno a Selene avrebbe detto la verità.

- E che reazione ha avuto? -

- Il nulla. Mi ha detto che gli andava bene e se n'è andato. -

Selene era rimasta senza parole. Del resto Vera non aveva bisogno neanche di quelle ormai. 

   
 
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