L'hobby
del signor Batman
ovvero
come
incontrare l'affascinanate principeazzurro
Lidia
sbattè le ciglia, sfregò le ginocchia così vicine che quasi
toccarono il petto e si aprì in un grande sorriso, in un inquietante
sorriso.
<<
Allora, com'è andata la sua cena di Natale? >>
L'uomo
ricambiò con una smorfia. << Sono io quello che fa le
domande... >>
Già
da un pò di tempo, alcuni pomeriggi, senza un ordine preciso, li
passava così. Stava seduta in poltrona mentre il suo "interlucotore"
seguiva i suoi complessi discorsi.
Ogni
tanto si muoveva, giusto per assicurarle di essere ancora vivo. Se
era fortunata riuscivano ad avere un dialogo, ma, poi lei aveva
problemi, solo se era vestita di rosso e lei odiava il rosso.
<<
Lei è uno psicologo, non una guardia giurata. Avanti, esprima le
sue emozioni... >>
Allora
lui alzò il viso un pò schermato dagli occhiali.<< Mi sta
prendendo in giro? >>
<<
Licenza professionale. >> Lei si riaprì in un sorriso che lui
non sembrò apprezzare, la guardò assente come del resto osservava
il mondo intero.
Lei
continuò imperterrita, non era un problema, di solito reagivano così
i suoi ex ragazzi.
<<
Mi dica la verità. In realtà lei è Batman e mantenere il segreto
della sua identità la rende un uomo freddo e apocalittico... >>
<<
Solo il medico ferito può curare. >>
Lidia
assottigliò gli occhi.
Dalla
bocca di quell'uomo potevano uscire solo due cose, insulti o frasi di
quel genere. Chissà se era in grado di parlare come una persona
comune?
<<
È single? Se lo è si domandi il
perchè... >> Lidia continuò ancora.
Riusciva
a dragli massimo un trentina d'anni. Era più vecchio di lei, sicuro,
ma doveva ammettere che di aspetto fosse ancora passabile, in verità
più che passabile. Così sembrava pensarla poi l'intero genere
femminile in quel palazzo.
Effettivamente
gli sarebbe convenuto rimanere in silenzio.
<<
Dubito che lei possa avere voce in questo capitolo. >>
<<
Stia attento, la scrivania non è un valido ostacolo, la sua vita non
è in salvo. >>
La
ragazza tentò di afferrare la penna a biro che giaceva sul tavolo,
era suo desiderio brandirla come arma.
Lo
psicologo sembrò, incredibilmente, svegliarsi dal suo torpore e
sbattè secco la mano sull'oggetto su cui aveva un discreto
vantaggio.
<<
No.... >> La voce di Lidia uscì flebile, il diaframma
schiacciato sul mobile l'alterva, la mano ancora tesa.
<<
Lei guarda troppi film, si trovi un hobby... >>
<<
Un che? Mi parli in italiano, la prego. >>
<<
Un passatempo. >> Rimarcò le parole in maniera irritante che
riocrdò a Lidia il perché fosse in quella situazione.
<<
Sarà fatto. >>
<<
Bene...Dal momento che l'oggetto che voleva raggingere non è più
accessibile potrebbe scandere dalla mia scrivania, cortesemente? >>
Qundo
era piccola, cioè nell'arco di tempo in cui poteva essere considerata
carina in un tutù rosa, ma soprattutto quando ancora non aveva
ancora le piene facoltà di scelta, aveva preso lezioni di danza.
Era
stato un disastro.
Sua
madre avrebbe dovuto accettare il fallimento della propria prole ma
chissà per quale motivo non ci riuscì.
E
fu così che Lidia venne costretta a vestirsi da meringa glassata
fino all'età della ragione.
Gli
piacevano i balletti, sul serio, ma da osservare comodamente seduta
sulle poltroncine rosse, la sua idea non comprendeva il parteciparvi
come corpo di ballo.
Hobby.
Odiava
già quella nuova parola.
Tutti
gli sport che aveva seguito negli anni a venire non erano hobby,
erano trappole mortali a cui si era sottoposta per il suo indiscusso
masochismo.
In
qualsiasi caso, con qualsiasi esercizio fisico, sarebbe sempre stata
simile a una Pokeball.
Non
era grassa, nemmeno tonda ma aveva una caratteristica che aveva
odiato dal primo giorno in cui era improvvisamente comparsa: i
fianchi alti.
Tutti
i ragazzi che aveva avuto, nella loro immensa schiera, nella loro
lista della lamentele, chi al primo o ultimo posto, avevano inserito
la clausola " Hai dei brutti fianchi. "
No,
non era una battuta, era seria.
Avrebbero
potuto dire tutto su tutto il resto ma non su quella sua porzione di
corpo anche se era qualcosa di palesemente imperfetto.
E
così alla fine si era affezionata a quella parte di se nella
sventura.
Ma
lei amava sempre di più le cose monche e sfigate. L'unico problema
era convincere il resto del mondo a fare altrettanto, ma ci stava
lavorando.
L'opzione
danza era già stata eliminata dalla lista insiame a premio nobel e
tutto quello che avrebbe richiesto un grande sforzo mentale da parte
sua.
Proprio
mentre tendando di immaginarsi con un oblò d'astronauta in testa gli
era passata davanti.
"
Caffè Colette "
I
pasticcini ingombravano la visuale, così numerosi e pronti a
strabordare che l'avrebbero investita se non vi fosse stato il vetro
a frapporsi fra loro.
Fu
allora che gli venne l'idea, piuttosto logica in realtà, come un
lampo la luce della verità discese su di lei.
Avrebbe
fatto la pasticcera!
Aveva
corso per tutta la strada fino a casa, falciando qualche passante che
aveva ostacolato la sua ascesa, qualche piccione era stato tramortito
ma ne era valsa la pena.
Varcata
la soglia di casa aveva afferrato le pagine gialle, che chissà
perché erano di tutt'altro colore, e con le mani ancora guantate per
la fretta aveva cercato con fatica il suo mittente.
E
finalmente lo aveva trovato.
E
garzie a quello che alcuni potevano definire destino e che lei invece
chiamava ormai signor Batman ora si torvava con un uovo in mano che
la fissava implorante.
Due
lacrimucce, create per lei dalla sua mente contorta, scesero dalla
forma ovale prima di cadere con un rumore cristallino, prontamente
immaginario, sul bancone.
Il
vociare riprese, tanto alto da inghiottire lei e i suoi sensi di
colpa.
<<
Suvvia signorina, sono sicuro che andrà benissimo. >>
Una
voce maschile richiamò Lidia che aveva eliminato i presenti,
concentrandosi sul possibile pulcino che avrebbe potuto stringere.
<<
Come? >>
La
ragazza gli arrivava con fatica alla spalla, doveva guardarlo dal
basso per specchiarsi in quegli occhi scuri, affondati nei riccioli
castani.
<<
Intendo...non deve essere nervosa. >> L'uomo sorrise
accomodante e il volto gli brillò di luce propria o forse era
un'allucinazione di lei.
Lidia
non potè fare a meno di ricambiare.
<<
Oh, non sono in ansia! Pensavo a quest'uovo. >> E alzò
l'alimento come se avesse aiutato l'altro a capire.
<<
All'uovo? >>Probabilmente era perplesso ma non lo diede a
vedere, mantenne un cipiglio concentrato come se quello che aveva
sentito avesse senso.
<<
Si, immaginavo che pulcino sarebbe stato... >>
Per
quanto tentò, cortesemente, di trattenersi l'uomo si fece sfuggire
una risata, una di quella belle che sono musicali alle orecchie. <<
Sono sicura che non gli verrà reputata nessuna colpa signorina, sarà
un altrettanto magnifico dolce. >>
<<
Apprezzo il tentativo ma qualunque cosa creerò sarà tutt'altro che
magnifica, non voglio illuderla. >> Lidia sorrise, era raro che
qualcuno capisse il suo senso dell'umorismo.
L'uomo
inclinò appena un angolo della bocca che era in linea retta con gli
occhi vispi.
<<
S'il vous plaît silence, vous commencez! >>
Una
donna allampanata entrò in cucina, col viso austero e il mattarello
in una mano, alla ragazza ricordò sua zia Amelia, zitella, sola e
insopportabile.
<<
Ma tu la capisci? >> La voce maschile tornò a solleticarle un
orecchio.
<<
No. >> La ragazza rise sommessa, senza motivo, accompaganta
dall'altro.
<<
S'il vous plaît! >> La donna si voltò palesemente verso di
loro, lo sguardo omicida stava affinando il radar per colpire. <<
Nessuno parla durante le mie lezioni! >>
Un
mestolo arrivò a colpire sul bancone esattamente di fornte a Lidia
che non potè fare altro se non incassare la testa nelle spalle.
Si,
la gemella separata alla nascita da sua zia Amelia.
Dopo
averla osservata La Chef si allontanò brandendo l'oggetto da cucina
come fosse stato un' arma letale.
<<
Che donna incantevole... >> La ragazza parlò a denti stretti,
il viso più impassibile possibile.
L'uomo
rise senza farsi problemi. << Da sposare! >>
Alcuni
attimi di silenzio poi lui riprese.
<<
A proprosito, il mio nome è Mark. >>
<<
Io sono Lidia. >> Detto ciò la ragazza allungò la mano per
afferrare quella che gli era stato tesa.