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Autore: itsakoala    31/01/2013    0 recensioni
[SOSPESA]
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Poppy, ragazza di età compresa tra i sedici ed i diciassette anni, si ritroverà davanti alla morte; stringerà i pugni o si lascerà andare alla consapevolezza di non riuscire a dimenticare?
Nata da un sogno, questa storia seguirà il corso che dovrà seguire. Non chiedetemi spoiler perché non lo so nemmeno io. Sarà già un miracolo se l'aggiornerò.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Iniziò tutto un martedì pomeriggio.
Un martedì pomeriggio come tutti gli altri, niente di diverso.
Josh venne a prendermi a scuola, fuori dal grande cancello di metallo arrugginito che circondava l’istituto, con la moto.
Al tempo io avevo quattordici anni e lui già ventuno.
Per colpa del divorzio dei miei genitori, col conseguente mio affidamento alla nonna materna, Mary Anne, ero dovuta crescere molto in fretta e, la mia mentalità, non era come quella delle mie coetanee: indi per cui, sapevo a cosa andavo in contro uscendo con un ragazzo tanto più grande di me, come, appunto, era Josh. Ma non me ne preoccupavo.
Uscivamo assieme già da sei mesi e lui era l’unico in grado di capirmi, di apprezzarmi, di rispettarmi in quanto a persona. Sapeva indirizzarmi verso le scelte giuste, ed era stato appunto lui a farmi capire che non ero ancora pronta per il “grande passo”. Era geloso della mia verginità, diceva che nemmeno lui se la meritava e mi faceva ridere ogni volta. In fondo, lui, sarebbe stato realmente l’unico degno di prendersela come aveva fatto col mio cuore, perché sapeva come farmi sentire bene con me stessa e con gli altri, era l’unico, era speciale.
Quel martedì pomeriggio, appunto, mi venne a prendere. Ci salutammo con un dolce bacio a fior di labbra, appena accennato, bramato dal primo secondo in cui l’avevo visto spuntare dal vialetto da entrambi. Sorrisi alle mie compagne, infilai il casco e salii, come ero solita, dietro di lui, circondandogli la vita con le braccia ed appoggiando il viso alla sua schiena con gli occhi chiusi, le gambe a penzoloni per non infastidire l’andata, anche se sapevo che, se le avessi tenute sulla moto, gli avrei dato meno preoccupazioni; però era più forte di me, adoravo scatenare la sua parte dolce ed iperprotettiva.
Amavo sentirmi come una bambina dispettosa, con lui.
Lo amavo e basta, in fondo.
Iniziò ad andare, come al solito, ad una velocità normale, come indicata dai vari cartelli che ci sbucavano davanti man mano che percorrevamo le strade di Pasadena. Ad ogni rialzamento del terreno ed ogni buca rallentava, ed io, lo ammetto, lo sfottevo un po’, tramite i microfoni incorporati nei caschi. Era stato il regalo dei suoi genitori per il nostro sesto mese di fidanzamento, così che potessimo parlare anche senza toglierceli, e mi avevano portata fino a piangere. Insomma, avevano preso così bene il fatto che una bambina uscisse con il loro unico figlio che mi ero sorpresa enormemente. Erano fin arrivati a chiuderlo in casa quando aveva cercato di lasciarmi per non rischiare che io mi frequentassi con un ragazzo troppo grande e l’avevano aiutato a capire che ero la ragazza che voleva.
Mentre ripensavo a questo mi venne da sorridere e sussurrai un “Ti amo” leggero contro il microfono. Non lo vidi sorridere, ma sentii quel sorriso che tanto mi faceva impazzire nel suo “Ti amo anche io”.
Fu questione di un attimo.
Lo strinsi forte, il camion che gli stava tagliando la strada lo vide troppo tardi, ci prese in pieno.
Josh fu velocissimo. Mi lanciò via dalla moto e lasciò che il quel bestione finisse addosso a lui, mentre io rotolavo sull’asfalto, il casco cadutomi dopo qualche metro, fermandomi con la faccia addosso ad un cancello che mi diede una botta così forte da farmi sputare sangue, cosa che ignorai quando riuscii ad aprire gli occhi.
 
-JOSH!
 
Gridai a squarciagola, fino a farmi male, quando lo vidi lì, disteso a terra, la moto sotto una ruota e l’addome di lui sotto l’altra. Cominciai a piangere, cercai di raggiungerlo ma, nell’attraversare la strada a quattro zampe, lenta e sanguinante, vidi il camion esplodere, così forte da farmi finire qualche maceria addosso e stordirmi, facendomi cadere svenuta sull’asfalto.
Quando mi svegliai ero in un letto d’ospedale.
L’aria che sapeva di alcool, la luce bianca che mi bruciava gli occhi e il corpo intorpidito.
Mi alzai, stappando a fatica il tubicino dal mio naso e la flebo dal mio braccio. A piedi nudi cominciai a camminare per il corridoio, appoggiandomi a fatica contro le pareti per il senso di disorientamento.
 
-Josh..
 
Sussurrai piano, allo stremo delle forze, continuando ad avanzare fino ad una stanza da cui sentivo provenire delle voci familiari.
Ed eccoli.
Allyson e Bruno.
I genitori di Josh che guardavano il corpo di lui, steso su un tavolo di metallo, piangendo.
Riuscii a intravedere solamente il viso.
Coperto di graffi, pallido, immobile. Gli occhi chiusi, l’espressione seria, rivolto verso il soffitto.
La consapevolezza mi arrivò in faccia come uno schiaffo quando incontrai lo sguardo di quelle due stesse persone che avrebbero dato tutto per me e il loro unico figlio. Uno sguardo spento, vuoto, vitreo. Uno sguardo d’accusa, che mi perforò il petto e spezzò le ginocchia.
Caddi a terra, ricominciando a piangere, il volto deformato dalle lacrime. Portai le mani a nascondermi, singhiozzando senza nemmeno sapere quanto forte lo stessi facendo. Ricordo solo che sentii il suo palmo poggiarsi sulla mia spalla, che, senza riuscire a guardarlo per paura che fosse solo un sogno, tenni gli occhi stretti forte e venni poggiata sulle coperte per poi essere riattaccata di nuovo a tutto, le sue parole che ancora mi riempivano la testa.
“Ti amo anche io.”

   
 
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