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Autore: putoffia    31/01/2013    0 recensioni
Quinn è di vetro: fragile e debole. Ma si rialzerà da terra più forte di prima, come un grattacielo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Un po' tutti | Coppie: Quinn/Rachel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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“Ragazzi, oggi non vi do nessun tema in particolare. Vi considererete fortunati, ma in realtà sarà un compito molto più arduo del solito.”
Il professor Schuester scrisse a caratteri cubitali sulla lavagna emozioni e si girò verso la folla astante, curiosa e perplessa.
“Dovete semplicemente individuare una canzone che esprima le vostre emozioni, i vostri sentimenti attuali. Una canzone dove possiate mettere il cuore. L’anima. Che riassuma tutto, ma veramente tutto. Chiaro?”
Rachel come al solito alzò la mano per una delle sue consuete domande.
“Dobbiamo cantarne solo una?”
Il prof. alzò gli occhi al cielo.
“Sì, Rachel, una sola canzone… Sono sicuro che ne troverai una che rispecchi perfettamente il tuo stato d’animo.”
La mora si sedette nuovamente e bisbigliò qualcosa nell’orecchio di Finn, che la guardava al solito assente ed indifferente.
Quinn assistette alla scena con assoluta apatia: da un bel po’ ormai non si faceva più trascinare da simili iniziative, e finiva per seguire le indicazioni del tema pedissequamente.
Ma in quel momento si trovò smarrita: tema libero. Le emozioni. Dio, sarebbe stato così difficile cantare il proprio stato d’animo.
E come farlo, senza rivelare quegli spessi strati di insicurezza e di sofferenza?
Sospirò e cercò di distrarsi, osservando i soliti battibecchi dei suoi compagni del Glee.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Joe. “Quinn, tutto bene? Hai già una canzone in mente?”
“No, a dire il vero. Tu?”
Joe esitò e poi sorrise compiaciuto.
“Credo che porterò una canzone che rifletta il mio stato d’animo di gratitudine verso il Signore. Sai, i ringraziamenti non sono mai troppi per la sua grande opera quotidiana di bene.”
A Quinn quasi venne da ridere. Un po’ per la sua ingenuità e purezza, un po’ perché apprezzava questo suo spirito positivo.
Nonostante credesse in Dio, non aveva mai ricevuto nessun segno positivo o aiuto da lui. Le era capitato di tutto: era rimasta incinta, in famiglia non aveva una situazione poi così rosea, non riusciva a mantenere una persona al suo fianco più di qualche settimana, non aveva veri amici. Era sola. Sapeva che non poteva affidarsi solo a un’entità così lontana. Aveva bisogno di una persona concreta accanto.
“Mi sembra una scelta… Saggia.” e sorrise fintamente, come sempre negli ultimi mesi.
Nessuno sapeva cosa stesse vivendo. Nessuno si interessava. Nessuno avrebbe capito.
“Mio padre vuole che stasera torni a casa per le undici… Ho diciotto anni, non cinque! Dio quanto lo odio quando fa così!”
Urlò tutt’a un tratto Kurt dall’altra parte della stanza, impugnando il suo cellulare nervosamente.
Rachel si voltò di scatto e replicò energicamente: “non parlarmene, mi hanno tolto il computer e la videocamera per un mese perché sabato sera ho fatto tardi con Finn!”
Quinn osservò incredula quei dibattiti. Dio, davvero si lamentavano di certe cose? Avrebbero dovuto solo ringraziare di avere dei genitori premurosi, e invece…
“Dovreste solo considerarvi fortunati, sapete?” non riuscì a trattenere quelle parole Quinn, proprio non ci riuscì. Non poteva lasciarli nella loro puerile convinzione di avere genitori spietati.
“Non avete pensato forse che il fatto che i vostri genitori vi pongano dei limiti sia per il vostro bene?”
Tutti si voltarono sbalorditi verso Quinn, stupiti della sua saggezza.
Non aveva parlato quasi per niente negli ultimi mesi, e anche per cantare si era sempre infiltrata tra i coristi, sfuggendo ogni tentativo di affidarle un assolo.
E finalmente, aveva parlato.
E aveva maledettamente ragione.
Il professore la guardò soddisfatto e si rivolse agli altri, in particolare a Rachel e Kurt.
“Ha perfettamente ragione! Che motivo avete di lamentarvi quando siete a dir poco fortunati? Ci sono persone che devono sopportare violenze in famiglia, problemi di gioco, alcolismo, droga, e voi non avete niente di tutto ciò.”
A Quinn scese una lacrima trasparente e leggera, che asciugò prontamente con il dorso della mano. Non poteva farsi scoprire così palesemente. Abbassò la testa e fissò il proprio grembo per qualche istante, cercando di calmarsi senza attirare attenzione, rimanendo nella penombra delle sue emozioni.
Mentre il professore continuava a parlare, arrivò al culmine della resistenza e della sopportazione. Uscì di scatto dall’aula e si rifugiò in bagno. Era abituata a farlo Quinn. Lo faceva da una vita, sia a scuola che a casa. Era un posto isolato, riservato, nel quale nessuno avrebbe potuto disturbarla. Aveva bisogno solo di solitudine.
Alcuni cercarono di seguirla ma lei si chiuse dentro a chiave e tacque.
Semplicemente, rimase in silenzio.
Ingoiò pesantemente il dolore, come se fosse rimasto sullo stomaco, come se volesse ingoiare la sofferenza. Ma non poteva, quella rimaneva lì, a tormentarla, a proporle flashback su flashback, a non lasciarla mai in pace.
Dopo una mezz’oretta, al suono della campanella, decise di uscire: compito di biologia. Quale occasione migliore, fare un compito in quelle condizioni. Si asciugò le lacrime e si rinfrescò il viso e, come al solito, uscì dal bagno facendo finta di avere avuto un cedimento, un calo di pressione, la nausea. Ogni scusa era buona pur di celare il reale motivo dietro quei suoi attimi di alienazione, di fuga, di isolamento.
Coloro che la conoscevano poco non sospettavano di niente, ma c’erano delle persone che ci tenevano a lei, nonostante lei non permettesse a nessuno di avvicinarsi.
Si era isolata. Si era creata un muro impenetrabile con i mattoni della sua stessa sofferenza. Era il suo scudo naturale, la aiutava a respingere tutto e tutti, sia momenti dolorosi che persone a lei care.
Era difficile filtrare quando non si fidava neanche di se stessa.
In aula capitò proprio accanto a lei: la petulante, saccente, logorroica Rachel Berry. Sospirò e si sedette rassegnata.
“Sei pronta per il compito? Io insomma, ieri sai, sono stata con Finn dal giudice di pace per stabilire la data del matrimonio. Ci credi che da qui a 6 mesi non hanno nemmeno un posto libero? E quindi siamo andati su tutte le furie, perché non è ammissibile-”
“Rachel, arriva al dunque.”
“E quindi abbiamo stabilito la data per il 16 maggio.”
“Quindi?” disse la bionda mentre batteva nervosamente l’estremità della matita sul banco.
“Quindi mi farebbe molto piacere se tu partecipassi.”
“Non mi sembra il caso, ma ti ringrazio.”
Sorrise nuovamente in modo da celare ogni insicurezza o cedimento e a salvarla fu l’arrivo della professoressa, che cominciò a distribuire le prove.
Rachel rimase a fissare Quinn per qualche istante. C’era qualcosa che non andava, se lo sentiva. Da un po’ di tempo era molto più asociale, distaccata, non cercava popolarità né visibilità, aveva abbandonato ogni tentativo di tornare nelle Cheerios, insomma, non era Quinn.
Abbassò lo sguardo sul proprio compito e rinunciò a capire cosa le passasse per la testa: era impenetrabile, le sue espressioni apatiche e spesso fintamente sollevate. Era come se indossasse una maschera che le impediva di piangere davanti a tutti, di ridere veramente, di essere se stessa. E niente avrebbe potuto fare per permetterle di aprirsi e di sentirsi a suo agio. Niente.
In fondo, tra lei e la bionda non c’era mai stato un grande rapporto: avevano litigato per lo stesso ragazzo, per la popolarità nel Glee Club, per mille altri motivi che la stessa Rachel faticava a ricordare.
Però sentiva di dover fare qualcosa, di dover compiere un passo verso quell’indecifrabile roccaforte che erano le emozioni di Quinn. Sentiva di doverlo fare, al più presto.
   
 
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