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Autore: AngelsOnMyHeart    01/02/2013    2 recensioni
[FANFICTION IN REVISIONE DAL 15/11/2015]
[Capitoli revisionati: 11/15]
Gli anni sono trascorsi dalla vittoria dei Guardiani e la conseguente sconfitta di Pitch, l'Uomo Nero.
Dieci anni, ad essere precisi.
Tutte le attività delle Leggende sono tornate alla normalità e di quei difficili giorni, non è rimasto altro che un lontano ricordo.
Ma non tutto è esattamente tornato come prima, poiché, da quella notte, una luce sul Globo ha smesso di brillare.
Scarlett è una studentessa di diciotto anni, una semplice ragazza la cui vita non ha nulla che possa ritenersi degno di nota ma che cela nel proprio petto un peso oscuro, il quale sta lentamente trascinando la sua mente nell'oblio.
Incubi.
Da che la ragazza riesca a ricordare, la sua mente è sempre stata tempestata da neri, asfissianti ed orribili incubi e non è mai stata in grado di capire il motivo per cui questi infestassero il suo sonno. Sapeva solamente che erano sempre presenti e che, qualunque cosa facesse, sarebbero tornati notte dopo notte.
Ma il tempo inizia a stringere e, con questo, molte verità verranno a galla, portandosi dietro altre domande le cui risposte non sempre saranno un sollievo per l'anima.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IV
Perdere il controllo




Tutto.
Stava andando tutto a rotoli.
Oramai ogni certezza era andata a sbriciolarsi e non sapeva più a cosa, o a chi, rivolgersi.
Per la prima volta desiderò di stare dormendo, di trovarsi in uno dei suoi incubi ma non era così. Questa volta era la realtà che doveva trovarsi ad affrontare e non avrebbe smesso di inseguirla, senza tregua, sino a quando lei non fosse crollata esausta.
Ed era proprio lì che si trovava, al punto di rottura che avrebbe cambiato la sua vita per sempre.
Due semplici, piccoli, colpi di grazia erano bastati a far crollare il suo fragile castello di carta.
Il primo le era stato inferto quella stessa mattina, giusto pochi attimi prima di uscire per dirigersi a quell'inferno chiamato “scuola”, quella mattina in cui la sveglia aveva deciso di funzionare, facendola alzare prima del previsto.
Scarlett aveva appena ricevuto un SMS da Jaime, il quale le diceva che non sarebbe venuto a scuola quel giorno perché a letto col raffreddore. Sul punto di uscire di casa la ragazza si era fermata di colpo, ascoltando sua madre conversare con qualcuno al telefono, nella cucina.
Solitamente non era da lei origliare anzi, spesso e volentieri era incline a farsi gli affari propri, un po' per rispetto, un po' per totale disinteresse, però quella mattina la curiosità volle punzecchiare il suo interesse, spingendola a poggiare l'orecchio contro la porta di legno.
:-Sì, lo so. Erano anni che non la vedevo più in uno stato del genere ma.. - sospirò -..non lo so, questa notte mi è sembrato di sentirla parlare con qualcuno nella sua camera ma, quando sono entrata, non c'era nessuno-.
Il suo cuore prese a battere celermente, ed iniziò a chiedersi se avesse fatto bene a non farsi gli affari proprio come sempre. Scarlett sapeva perfettamente chi si trovava dall'altro lato della cornetta.
:-Va bene, certo. Gliene parlerò. Buona giornata dottore, a presto-.
La sentì riagganciare e sospirare. Poteva benissimo immaginarla, attraverso la porta, mentre stanca si poggiava con la schiena ai fornelli, spostando i capelli dietro le orecchie per poi coprirsi le tempie con la mano e pensare, troppo stanca per affrontare tutto da sola, di sopportare tutto quel peso su quelle piccole spalle.
Ma Scarlett, non fu in grado di pensare a lei, in quel momento.
Parlare di cosa? Di riprendere quella terapia che le avrebbe reso, come in passato, il cervello un ammasso di poltiglia? No, non lo avrebbe affrontato, non in quel momento perlomeno, non era pronta ad affrontare l'argomento. Forse al suo ritorno da scuola ma in quel momento aveva solo bisogno di uscire al più presto da lì, prima che sua madre si accorgesse che era sveglia o, ancor peggio, avesse sentito tutto.
Corse quindi all'ingresso ed uscì di casa non appena sentì sua madre avvicinarsi alla porta della cucina, tuffandosi nel vialetto e raggiungendo marciapiede per dirigersi a scuola.
E fu lì che le arrivò il colpo definitivo.
Si trovava nel mezzo di una lezione di biologia, piegata sul banco a leggere qualcosa sul sistema nervoso ed i disturbi della memoria, quando sentì la porta aprirsi senza che nessuno avesse precedentemente bussato, ma a lei non interessò e continuò a stare col capo chino cercando di mantenere la concentrazione sullo studio, tutto pur di non pensare al resto. Non le interessava minimamente quale dei suoi tanti sciocchi coetanei stesse per finire sotto le ire del professore.
Poi la voce di una donna pronunciò il suo nome. Lo pronunciò a voce alta, troppo alta.
La cosa avvenne talmente di getto, talmente all'improvviso che una buona fetta dei suoi compagni di classe si volse velocemente a guardarla, ognuno col proprio bel paio di occhi incuriositi.
Scarlett rimase pietrificata: tutti quegli sguardi puntati su di lei. Non le piacquero per niente ed ancora meno le piacque scoprire chi fosse la persona che l'aveva chiamata interrompendo la lezione: la donna all'ingresso dell'aula era la stessa che l'aveva vista vaneggiare, ed infine scappare, il giorno precedente.
Questa, non appena ebbe l'attenzione della ragazza, allungò l'indice facendole segno di seguirla fuori dalla classe. Il professore, seppur scocciato, acconsentì alla richiesta della donna, borbottando qualcosa mentre annotava sul registro la sua uscita dalla classe.
Scarlett si alzò lentamente, quasi come un automa guasto, portando con se la cartella e, tentando di fare i minor rumore possibile, sfilò a capo chino dinanzi a tutta la classe.
:-Hai visto?-. Sentì sussurrare a qualcuno.
:-Te lo avevo detto o no che non aveva tutte le rotelle a posto?-. Disse qualcun altro.
Ed eccolo lì. Ciò che aveva sempre temuto si stava avverando sotto i suoi occhi e lei non poteva fare assolutamente nulla per impedirlo.
Quando si trovarono entrambe nel corridoio, la donna ancora non disse nulla, le fece solamente un altro cenno del capo per farle intendere che avrebbe dovuto seguirla. E così fece, camminando in silenzio dietro la docente che le sfilava elegantemente davanti nel suo tailleur nero e scuotendo di tanto in tanto i lisci capelli ramati che le arrivavano alle spalle e che si interrompevano in una perfetta linea dritta. Talmente perfetta da sembrare una parrucca. I suoi tacchi invece ticchettavano rumorosamente echeggiando nei corridoi, nel silenzio delle ore di lezione.
Percorsa una parte del corridoio, svoltarono a sinistra percorrendone per intero un altro e fermandosi solo quando ne raggiunsero il fondo, dinanzi ad una porta che la donna aprì, invitando Scarlett ad entrare con un ampio gesto del braccio.
Scarlett esitò, osservando la targhetta dorata sulla porta dello studio, identificandone l'utilizzo: Consulente scolastico.
Prendendo un respiro profondo e deglutendo a fatica, entrò mantenendo il capo chino, ostinandosi a non guardare la donna in viso. Solo quando si ritrovò nella stanza alzò appena lo sguardo, controllando velocemente l'ambiente. Si trovava in una stanza quadrata e piuttosto piccola, quasi claustrofobica a dirla tutta. Dinanzi ad una finestra piuttosto alta e stretta c'era una scrivania di legno scuro -Scarlett non fu in grado di identificare di quale tipo di legno si trattasse ma, per quanto la riguardava, poteva anche trattarsi di semplice metallo rivestito- i pochi oggetti che erano distribuiti sulla sua superficie piana: alcune penne, matite, degli evidenziatori e qualche registro; erano posizionati in un ordine che le parve quasi maniacale. Un paio di cassettiere metalliche si trovavano sul muro a sinistra mentre alcuni riconoscimenti erano appesi in semplici cornici sulla parete di destra, dove poggiava un lato della scrivania.
:-Siediti!-. Il tono autoritario con cui le si rivolse non piacque per niente alla ragazza ma, non potendo fare altrimenti, si sedette. La donna fece lo stesso, sedendosi di fronte a lei sulla sedia girevole nera, poggiando i gomiti alla scrivania ed incrociando le mani sotto il mento :-Credo tu sappia perché ti ho fatta venire qui, vero Scarlett?-. Scandì il suo nome in modo strano, le parve quasi canzonatorio, come quello di un cacciatore che riesce a mettere finalmente le mani su di una preda che gli è a lungo sfuggita. Scarlett scacciò quel pensiero, sforzandosi di non farci caso, ed annuì semplicemente.
:-Sei spaventata?-.
A quella domanda, Scarlett alzò la testa di scatto e finalmente trovò la forza di guardarla dritta negli occhi, scoprendoli verdi. Ma non di un bel verde primaverile come erano soliti averli molte persone con i capelli rossi, si trattava più di un verde sporco, piuttosto sbiadito e slavato.
Quanto avrebbe voluto urlarle in faccia tutta la verità che si contorceva da anni nel suo stomaco, pregandola di uscire allo scoperto. Fiumi e fiumi di verità oscurate da menzogne servite a darle un senso di apparente sicurezza ma che, a conti fatti, la stavano trascinando sempre di più sul fondo del baratro. Voleva così tanto dirle che era stanca di portare quell'assurdo fardello che sentiva gravare pesantemente al centro del petto e che nessuno era ancora stato in grado di capire, così da aiutarla ad affrontarlo.
Io potrei..”
Staccò istantaneamente il contatto visivo con gli occhi della donna, chiudendo gli occhi e ricacciando, nei meandri della sua mente, quella malefica voce che voleva emergere a tutti i costi.
“No, non ora” Volle rimproverarsi mentre cercava di elaborare l'ennesima bugia che sarebbe fuoriuscita dalle sue labbra.
:-No-. Decise di rispondere infine e, a dirla tutta, volle convincersi di non aver mentito, non ancora almeno. Difatti lei non era semplicemente spaventata, era totalmente terrorizzata. Ed era un grado completamente diverso della paura, il terrore. Era qualcosa di più oscuro, più potente. Il terrore, al di là del semplice spavento, era in grado di incatenarti e di non lasciarti più andare. Riuscendo a manipolarti e renderti una marionetta nelle sua mani. Ed era proprio così che stavano andando le cose, per lei. Un burattino nelle mani del Terrore.
:-E allora dimmi, Scarlett- davvero non capiva perché mettesse tanta enfasi nel pronunciare il suo nome- perché ieri sera sei scappata via? Non ho fatto altro che chiederti cosa ti fosse successo, avevi uno sguardo stravolto, come se avessi appena visto un fantasma mia cara-. Le parole che usava fluivano gentili dalle sue labbra ma il suo tono parlava tutta un'altra lingua, questo non faceva altro che rendergliela ancora più fastidiosa.
Scarlett si strinse nelle spalle cercando le parole giuste da usare :-Non saprei a dire il vero sono molto stanca negli ultimi tempi. Sa gli esami, le interrogazioni. L'ultimo anno si sta rivelando più stressante di quel che credevo e ieri- fece una pausa, ripensando a ciò che le era successo il giorno precedente -...ieri ho avuto un piccolo crollo ma non deve preoccuparsi, sto bene-. Alzò nuovamente lo sguardo, stavolta di poco, cercando di scrutare discretamente quello della consulente. Si chiese se avesse abboccato ma, quando quella si mise a ridacchiare, comprese che questa pesca sarebbe stata più dura del previsto.
:-Per favore- le sorrise quella -Scarlett non arrancare banali scuse con me. Se faccio questo lavoro ed ho un ufficio qui ci sarà pure un motivo, non credi anche tu?-.
“Sì- pensò Scarlett, mordendosi il labbro inferiore per trattenersi dal non esternare i propri pensieri ad alta voce -hai svoltato male all'incrocio che ti avrebbe portata nel paese dove vengono mandati in molti”
Era sempre più infastidita da quella donna e non sapeva spiegarsi bene il perché. Eppure, nonostante i suoi fastidiosi modi saccenti, sembrava realmente interessata nel volerla aiutare, in fin dei conti, non era certo colpa sua se si era ritrovata a vederla vaneggiare nel bel mezzo di un corridoio. Era totalmente normale, in quanto consulente scolastica, che si preoccupasse per una studente. No? Eppure c'era qualcosa nei suoi occhi che non riusciva a mandare giù: un misto di superiorità mista ad una punta di cattiveria.
:-Mi duole dirlo ma ci sono molti ragazzi con i tuoi stessi problemi, in questa scuola-.
Come lei? Scarlett socchiuse appena gli occhi :-Non capisco-.
La consulente si alzò, scuotendo il capo e, continuando a ridacchiare, si diede una spinta sulla sedia che la spinse in direzione della cassettiera più vicina, dove iniziò a rovistare, aprendo diversi cassetti, alla ricerca di qualcosa :-Ti prego non fare la spaesata con me, credo che il miglior modo di risolvere un problema, di qualsiasi tipo, sia quello di andare dritti al nocciolo della questione. Quindi, se vuoi fare dei progressi, ed io ci terrei molto, ho bisogno della tua totale collaborazione-.
Progressi? Ma di cosa diamine stava parlando? Come poteva sapere di cosa avesse bisogno se nemmeno degli psichiatri erano stati in grado di aiutarla? E ne aveva conosciuti parecchi, negli anni. Ognuno col suo approccio, chi diretto, chi meno, chi pro farmaci, chi no ed alla fine nessuno era mai dimostrato in grado di rimettere a posto la sua testa.
La donna esclamò vittoriosa quando trovò quello che cercava, porgendole quindi alcuni dépliant. Scarlett allungò timidamente una mano e ne prese uno e, quando ne lesse il contenuto, desiderò ardentemente di sparire, di essere cancellata, annullata, annientata. Eccolo lì, il colpo di grazia.
Quei dépliant raffiguravano alcune comunità, adibite per il recupero di adolescenti, vittime della tossicodipendenza.
La droga è la speranza di chi speranza non ne ha più. - La droga prende tutto e non dà nulla. Questi erano i ridicoli slogan, impressi a caratteri cubitali, sopra delle foto di ragazzi sull'orlo del precipizio, affiancate a quelle di ragazzi, post rehab, dai sorrisi più falsi che avesse mai visto.
A questo punto non seppe più cosa fosse meglio oppure peggio; se ridere o piangere; passare per drogata o per schizofrenica?
:-Ci deve essere stato un errore, deve credermi-. Disse infine, tentando di mantenere la calma, terribilmente mal celata dal tremolio della sua voce.
La donna continuò a ridacchiarle in faccia :-Mia cara, faccio questo lavoro da un po' di anni, so riconoscere determinati segnali-. Disse mimando delle virgolette con le dita alla parola segnali.
Ormai era ufficiale: la odiava.
Ripose il dépliant sulla scrivania, così da restituirli alla sua mittente :-Non ho mai fatto uso di droghe o alcolici e, se proprio vogliamo essere precisi, signora- marcò esageratamente l'ultima parola -il massimo della mia dipendenza può essere sfociato in un'astinenza da zuccheri-.
La consulente si mise a braccia conserte, squadrandola dall'alto al basso con un'aria di sufficienza dipinta su quel viso che Scarlett avrebbe preso volentieri a schiaffi :-Bene, visto che vuoi fare la difficile, ed anche la spiritosa, spiegami: a cosa avrei assistito ieri pomeriggio?-.
La giovane scattò improvvisamene in piedi, tenendo le mani fortemente serrate in due pugni lungo i fianchi, mentre la rabbia nel suo petto era sul punto di esplodere :-NON sono affari suoi!-. Le urlò contro, stupendosi di se stessa e di quale punto avesse appena raggiungo: stava realmente perdendo il controllo? Non le era mai capitato, in vita sua, di perdere le staffe. Non così e non davanti a qualcuno, perlomeno.
La donna, in un primo momento, si spinse indietro con la schiena, forse spaventata dalla reazione della ragazza, ma cercò comunque di non darlo a vedere.
:-Tipico-. Sentenziò infine convinta, ora più che mai, delle proprie ragioni e lei non aveva fatto altro che alimentarle.
Scarlett si coprì il viso con le mani, il respiro aveva cominciato a farsi pesante e la testa iniziò vorticarle vertiginosamente mentre gli occhi le si inumidirono ma stavolta non per tristezza o rassegnazione, ma per la rabbia che stava cercando disperatamente di contenere.
Cosa poteva fare, giunta ad un simile punto?
Quella donna continuava a parlare, ma lei già non la stava ascoltando più, presa dal panico più totale. Non aveva alcun modo di dimostrare il contrario di ciò che la stava accusando, certo se non ammettendo di avere un altro problema; il quale l'avrebbe portata dal grado di tossicodipendente a quello di schizofrenica.
Poteva andare peggio?
Trovami”
Che domande...
Trovami. E potrai avere la certezza che tutto questo avrà finalmente fine”.
:-Come faccio?-.
Chiese infine ad alta voce, interrompendo così la consulente che la guardò allibita mentre la osservava conversare, apparentemente, da sola.
In un altro momento, probabilmente, non avrebbe ceduto in quel modo. In un altro momento, probabilmente, avrebbe continuato ad ignorare la voce, come era sempre stata solita fare ma, in quel momento, la sua mente stava andando in frantumi e -sì- non le importava assolutamente nulla se la donna stesse assistendo a quella pietosa scena.
I segni”.
E quindi svanì, lasciandola con la solita misera manciata di informazioni.
:-Ragazza mia, l'uso di quelle sostanze deve averti fritto il cervello!-.
Ma questa volta, quei pochi dettagli parvero risvegliare in lei qualcosa, l'immagine di un luogo che già conosceva ed aveva visto, da qualche parte.
Scarlett volse una veloce occhiata alla donna, che le rivolse uno sguardo di falsa apprensione. Parlare con lei si era rivelato inutile, avesse cercato di spiegarsi non avrebbe concluso nulla. Le sua parole sarebbero entrate da un orecchio per uscire dall'altro, perché lei non voleva sentire altra voce che la sua. Consulente un beneamato corno.
Doveva pensare ed agire in fretta.
Sua madre sarebbe venuta a sapere di lì a poco cosa stava accadendo, la sua vita sarebbe collassata toccando il fondo, forse scavando ancora più giù, in un abisso nero pece che le avrebbe impedito qualsiasi possibilità di ritorno.
Tutti eventi che non avrebbe avuto alcun modo di fermare.
A meno che...
:- Credo proprio che tu debba sederti-…cosa avrebbe avuto da perdere nel tentare? Almeno una volta.
Vai. Vai. Vai. Vai!
Sì, l'avrebbe fatto. Si convinse perdendo completamente cognizione di cosa fosse il controllo. Però non avrebbe lasciato quello studio spoglio prima di essersi tolta giusto una piccola soddisfazione.
:-Ma se ne vada all'inferno!-. Urlò lanciando gli stupidi dépliant della consulente in aria, facendoglieli ricadere addosso mentre quella urlava. In men che non si dica era già fuori dalla scuola, dribblando velocemente la sicurezza per gettarsi a perdifiato nelle strade, ricoperte dal manto autunnale, di Burgess.
La gente la vide correre per le vie della cittadina, guardando con curiosità quella ragazza che sarebbe dovuta essere a scuola ma che, per chissà quale motivo, correva come se stesse fuggendo da qualcosa.
Forse aveva solo anticipato la sua condanna ma almeno avrebbe potuto dirsi di aver provato, smettendo così che gli eventi continuassero a scorrerle addosso come aveva sempre fatto, sino a quel momento. Doveva scoprire se la sua non era altro che semplice follia oppure una verità talmente assurda da non essere riuscita a realizzarla per tutto quel tempo..
I segni, le aveva detto. Non era certa ma, forse i segni indicavano un luogo che aveva già visto, da qualche parte.
Per questo motivo si diresse verso il bosco che si trovava nelle vicinanze, quello a cui i bambini era vietato entrare, e dove gli adulti si tenevano volentieri alla larga, a causa di un laghetto che nascondeva parecchie insidie, specialmente quando in inverno andava a creare quella sottile lastra di ghiaccio dove i piccoli credevano di poter andare a pattinare, per poi trasformandosi in una trappola mortale e -ahimè- erano parecchi i bimbi incappati in quella trappola.
Scarlett non seppe cosa cercare di preciso, vagò solamente tra gli alberi spogli, alla ricerca di un segno, un qualsiasi segno che le facesse capire che non si era sbagliata, che non aveva mandato la sua vita in frantumi per una semplice illusione della sua mente distorta.
Cercò, scrutò, scavò ed addirittura tentò di arrampicarsi su di un albero nel tentativo di vedere meglio. Andò avanti così per un bel po' e fu proprio allora, quando aveva ormai iniziato a perdere completamente la speranza, che lo vide.
Un letto. O per meglio dire lo scheletro di quello che un tempo doveva essere un letto: una semplice struttura in legno, mezzo distrutta, dal nero che sfumava in alcuni punti si sarebbe potuta dire bruciata. Il legno era scheggiato, solo sfiorarlo le sarebbe costato una corsa al pronto soccorso con le mani ricoperte di schegge.
Era quello il segno che cercava. Il letto che le era apparso in sogno quella notte. Come poteva trattarsi di una mera coincidenza? Non era mai stata lì prima d'ora.
Le sue mani tremarono, stava finalmente per scoprire chi, o cosa, l'avesse voluta lì, in quel posto. O almeno lo sperò.
Si avvicinò, con passo incerto, il cuore martellava fremente nel suo petto, sul punto di esplodere, completamente incapace di sopportare oltre quella snervante attesa. E pensare che era sempre stato lì, a pochi passi da casa sua.
Ebbene, era lì, dinanzi i resti di un letto abbandonato nel bel mezzo di un boschetto. Cos'altro avrebbe dovuto fare?
Cominciò a girarci intorno, osservando ogni minimo dettaglio di quel fascio di legna secca.
Solo per puro caso il suo sguardo scivolò tra le doghe, trovando nel bel mezzo del terreno, una buca troppo grande per trattarsi della semplice tana di un coniglio. Allungando il collo, cercò di vedere meglio ma le stecche, seppur sfasciate, le impedivano di avvicinarsi. L'unica soluzione che trovò plausibile fu quella di spostarlo.
Quindi, pregando affinché l'antitetanica facesse il suo dovere, si coprì le mani con le maniche della felpa, così da evitare le schegge, ed iniziò a spingerlo.
Diamine!
Era solamente un ammasso di legna secca, eppure pesava quanto un macigno. Forse le radici degli alberi che vi crescevano intorno si erano attorcigliate attorno alle gambe del letto? Era l'unica spiegazione che le parve plausibile e che riuscì ad elaborare in quel momento.
Dovette ritentare un paio di volte prima che questo cominciasse a cedere, spostandosi lentamente, molto lentamente, per poi sfasciarsi in un mucchio di legna.
Dalla buca le parve di sentir risalire un gorgoglio, quindi si chinò ed allungò il capo, così da poter indagare meglio: era talmente nera e profonda da non riuscire a vedere nulla al suo interno ma, di certo, non si sarebbe mai sognata di allungare nemmeno un dito, là dentro.
Trascorsero secondi che divennero alcuni minuti ma nulla successe in quegli attimi.
:-Ho mandato tutto a monte per niente-. Mormorò atona, abbandonando il capo e gli arti alla forza di gravità. Così tanta fatica e... :- E' stato tutto inutile-.
Era finita.
“Game over, Scarlett. Hai perso la partita” Pensò, arrendendosi all'idea che sarebbe dovuta tornare a casa ed affrontare la realtà dei fatti. Aveva bisogno di aiuto.
Fu allora che il gorgoglio, che aveva sentito pochi istanti prima provenire dall'interno della buca, iniziò a farsi sempre più intenso, risalendo su, sempre più su. Scarlett, alquanto sconcertata, quasi si ritrovò sul punto di tornare a guardarvi dentro ma, all'improvviso, una massa nera ed informe ne fuoriuscì, svettando come lava che erutta verso il cielo ed espandendosi a perdita d'occhio tutto attorno a lei come una nebbia nera, dalla consistenza fitta e sabbiosa, che ingoiò tutto quello che la circondava, iniziando poi a vorticarle attorno, scompigliandole i corti capelli.
Era spaventata ma, per la prima volta, volle illudersi che tutti gli eventi si stessero finalmente dirigendo verso la parola “fine” o, meglio ancora, “lieto fine”.
:-Brava ragazza-.
Quella voce...era quella la voce che aveva sempre popolato la sua mente ed i suoi incubi ma questa era la prima volta che riuscì a sentirla al di fuori della propria testa. Il suo cuore ricominciò con quell'assurda tachicardia ma non ci fece granché caso perché, in tutta quella follia, si sentì di esultare. Iniziò a scrutare attentamente tutto attorno se mentre il forte vento, provocato dal vortice di sabbia nera, le rendeva difficile il solo stare in piedi.
:-Dove sei?-. Urlò, ricercando disperatamente la presenza che possedeva quella voce.
Continuò a guardarsi intorno, girandosi e rigirandosi su se stessa ma, oltre alla nebbia nera, non vide altro.
Ad un tratto una forte ondata la spinse facendole perdere l'equilibrio, rivoltandola dalla parte opposta a cui stava guardando. Sicuramente sarebbe caduta se non avesse trovato un appiglio.
Alzò quindi gli occhi, sbarrandoli e lasciando repentinamente la presa dalla veste nera a cui si era afferrata.
Fu proprio in quel momento che un uomo, che non era esattamente un uomo o, per lo meno, non aveva mai visto un essere umano con un simile aspetto, fuoriuscì dalle tenebre che li circondavano.
Era alto, incredibilmente più alto di lei, forse un metro e ottanta se non di più, la pelle era di cenere e corti capelli nero pece tirati all'indietro evidenziavano i tratti marcati di un viso evidentemente non umano. Gli occhi, quelli li conosceva bene: due perfetti ovali dalle iridi dorate riflesse d'arancio, si posavano su di lei in uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Le labbra sottili dell'uomo si allargarono nello stesso sorriso malvagio che le aveva rivolto la notte precedente, scoprendo i bianchi denti appuntiti, anche quelli già visti ma comunque in grado di spaventarla come la sera precedente.
Scarlett indietreggiò tremando ma lui si affrettò ad afferrarle i polsi con le fredde mani affusolate, stringendoglieli talmente forte da farle male.
Un gemito di dolore fuoriuscì dalle labbra della ragazza mentre questi la strattonava verso di se con forza.
:-Dove pensi di andare Scarlett?- le chiese divertito -Il tuo incubo è appena cominciato-.

 

   
 
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