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Autore: makiskz    01/02/2013    3 recensioni
Cal ebbe un lieve sussultò e, come se si fosse accorto solo in quel momento della presenza di Gillian al suo fianco, fissò lo sguardo negli occhi della donna e per un attimo vi si perse.
Cal vuole proteggere la donna che ama da se stesso, a scapito della propria felicità. Riuscirà nell'intento o i sentimenti prenderanno il sopravvento?
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se ne stava seduto al bancone del bar sorseggiando una di quelle terribili birre americane. 
Era già la terza sera che andava lì, sperando di incontrare Joshua Price, l’uomo che l’FBI gli aveva indicato essere il terrorista intenzionato a collaborare.
Con la barba incolta, i capelli arruffati e le maniche del maglione tirate su che mettevano in evidenza il tatuaggio sull’avambraccio, appariva davvero un tipo poco raccomandabile.
Era ormai alla quarta birra e stava quasi pensando di aver sprecato un’altra serata quando lo vide entrare.
Joshua Price avanzò tra la coltre di fumo che aleggiava perennemente nel locale, si avvicinò al bancone e, sedendosi accanto a Cal, ordinò una birra.
Era un ragazzo sulla trentina,  fisico longilineo, carnagione scura e due occhi neri come il carbone.

Cal lo osservò senza dar troppo nell’occhio.  
Joshua tamburellava con le dita sul bancone del bar mentre osservava con attenzione tutti gli occupanti del locale. Era molto nervoso, quasi avesse paura di chi potesse incontrare.

“Come va?” gli chiese Cal, alzando il boccale di birra nella direzione del ragazzo.

Joshua lo fissò sorpreso. “T… tutto bene”

“Allora, sei riuscito a seminare i tuoi amichetti?” Continuò Cal, girando lo sguardo intorno a sé “ Vi state comportando da bambini cattivi. Fate attenzione che potreste farvi male” finì la birra, lasciò i soldi sul bancone e, passando dietro a Joshua, lo apostrofò “Dammi retta, amico, stai alla larga dai guai che potresti rimanere scottato”.
Concluse con il suo ghigno e si diresse verso la porta con la sua andatura dinoccolata, lasciando Joshua ad osservarlo con aria interrogativa.

Cal uscì nell’aria fredda di quella serata d’autunno a Washington DC e restò in attesa. Sapeva che Joshua l’avrebbe seguito.

La porta s’aprì e Cal, con la coda dell’occhio, ne vide uscire il ragazzo.
Iniziò a camminare lungo il marciapiede, seguito a poca distanza da Joshua.

Cal svoltò l’angolo e, percorsi pochi metri, si voltò di scatto per fronteggiare il ragazzo.

“Ti serve qualcosa, amico?”. Il solito ghigno sol volto.

“Chi sei? cosa vuoi?” domandò Joshua, sfidando lo sguardo di Cal.

“Te l’ho detto, sono un amico che si preoccupa che i bambini non si facciano male giocando con i petardi”.

Un passo avanti, invasione dello spazio personale di Joshua.
Il ragazzo indietreggiò. Inalò aria profondamente dilatando le narici. Paura.
Scattò in avanti afferrando Cal per il bavero della giacca e sbattendolo contro il muro del vicolo. Combatti o fuggi.

“Allora amico, ti consiglio di stare alla larga perché potresti essere tu a farti molto male!”.

Le parole uscirono tra i denti serrati, poi allentò la presa allontanando bruscamente Cal che continuava a ghignare.

“Avete bisogno di me più di quanto immaginiate, tu e i tuoi compari. Allora, quand’è che avete deciso di agire?”

Joshua indietreggiò. “Di cosa parli?”

“Della bomba che volete far saltare, naturalmente!”

Il ragazzo spalancò gli occhi.  Cal aveva fatto centro.

“Sei uno sbirro? Che vuoi da me?”.

“Non sono uno sbirro, tranquillo. Te l’ho detto, sono un amico. Ho un conto in sospeso con un muso nero che mi ha fottuto il posto di lavoro quindi, come capirai bene, ho un leggero prurito alle mani. Posso aiutarvi.”

Joshua inalò profondamente.

“Te lo ripeto, non so di cosa stai parlando quindi ora vedi di lasciarmi in pace e di sparire”.

Detto questo, il ragazzo voltò le spalle a Cal e si allontanò.

Le labbra di Cal si piegarono nel solito ghigno. Aveva fiutato la preda e non l’avrebbe fatta scappare facilmente.
Iniziò a seguire Joshua, lasciando abbastanza distanza da non poter essere notato. Gli anni di lavoro per l’antiterrorismo britannico gli stavano tornando utili.
Il ragazzo camminava ad andatura sostenuta poi tirò fuori dalla tasca il cellulare e avviò una chiamata.
Cal lo vide parlare in maniera concitata e riattaccare nervosamente. Non dovevano essere buone notizie.
Continuò a seguirlo a distanza finché lo vide entrare in un altro bar.
Si fermò fuori del locale, nell’ombra, per osservare il movimento di persone e capire  con chi avrebbe avuto a che fare una volta  varcata quella soglia.
All’improvviso venne afferrato per una spalla e scaraventato contro il muro.

“Eccolo il ficcanaso!”

Erano in quattro. Joshua doveva essersi accorto di essere seguito e aveva avvisato gli altri.

“Cal Lightman, stai invecchiando! Ti sei fatto fregare da un ragazzino e non ti sei accorto che questi quattro energumeni ti stavano pedinando!”

Cal indossò la sua maschera migliore e iniziò lo show: “Ehi ragazzi, che maniere! Si tratta così un amico?”

“Non abbiamo amici e tu dovrai spiegarci molte cose”

Lo afferrarono per le braccia e lo spinsero all’interno del locale.
I pochi avventori del bar uscirono di corsa appena avvertirono l’aria di guai in arrivo.
Erano rimasti i quattro energumeni, Joshua e un uomo sulla cinquantina, seduto ad un tavolo nell’angolo del locale.
Lo spinsero fin davanti al tavolo.
L’uomo seduto aveva un abbigliamento impeccabile, i capelli perfettamente in ordine e il volto ben rasato.
ra seduto compostamente, le braccia poggiate sul tavolo, le mani incrociate. Tutto nella sua postura e nell’espressione del volto indicava sicurezza e determinazione. Era una persona che doveva avere tutto sotto un controllo maniacale.
Era lui il capo.
 
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Gillian aveva avvisato Zoe di quanto aveva scoperto e l’aveva invitata a non dire nulla ad Emily, per non spaventarla.

“Lui e le sue manie di protagonismo!” Aveva sentenziato Zoe al telefono, una volta messa al corrente in cose fosse coinvolto Cal. “Finirà con il farsi ammazzare prima o poi!”

La donna non lo poté vedere ma Gillian chiuse gli occhi per cacciare indietro quel pensiero che la stava ossessionando da quando aveva lasciato l’ufficio di Ben.
Erano passati un paio di giorni da quando aveva incontrato Ben.
In ufficio tutto procedeva come al solito.
Era riuscita a non far trapelare alcuna notizia relativa alla missione di Cal. Meno persone ne erano a conoscenza e meno rischi ci sarebbero stati per lui.

Ben le aveva accennato a grandi linee la missione di Cal.

L’FBI aveva scoperto che un gruppo di bianchi razzisti, facenti parte ad una setta ispiratasi al Ku Klux Klan, aveva deciso di compiere un attentato verso la comunità di colore di Washington.
Nei due mesi intercorsi  da quando Dillon aveva fatto la proposta di collaborazione a Cal, l’FBI aveva continuato a seguire le loro mosse.
Un agente era riuscito ad infiltrarsi ma era stato scoperto e a stento era riuscito a mettersi in salvo.
Le uniche informazioni che erano riusciti ad ottenere riguardavano la composizione del gruppo. Erano in pochi, guidati da un esaltato, e ben intenzionati a compiere una strage di massa. Si facevano chiamare i 3K… che fantasia!
Erano riusciti ad identificare i componenti del gruppo: tutta gente di bassa estrazione sociale, arrabbiata con il governo e cresciuta a pane e razzismo.
Il capo del gruppo era il soggetto che più li preoccupava: era un ingegnere elettronico che lavorava come ricercatore presso la George Washington University ma era stato licenziato per evidenti disturbi mentali.
Era l’unico, a detta dell’agente che aveva lavorato al caso, a poter preparare un ordigno tanto potente da creare una strage ed era l’unico di cui bisognava davvero preoccuparsi. I membri del gruppo erano completamente soggiogati da lui.
Dopo che la copertura dell’agente era saltata, tutti i membri del gruppo erano spariti. Probabilmente si erano rifugiati in qualche cittadina al di fuori di Washington.
Da un paio di settimane erano stati avvistati di nuovo in città.
Cal era l’unico che poteva infiltrarsi e carpire informazioni senza farsi scoprire, ed era anche l’unico che poteva affrontare la scheggia impazzita del capo.
Avrebbe agito da solo e l’unico contatto che poteva avere con l’FBI era con Ben, tramite un numero telefonico riservato.
Avrebbe dovuto contattare Ben ogni giorno, per aggiornare l’FBI sugli sviluppi della missione e per ricevere tutto il supporto tecnico e logistico necessario.

Gillian scrutava lo skyline della città.
Cal era bravo nel decifrare le espressione del corpo ma trattare con persone con disturbi mentali non era il suo forte. Quello era compito suo, di Gillian.
Si era proposta di partecipare alla missione, come supporto esterno a Cal, anche solo per delineare meglio il profilo psicologico del loro capo. Aveva ricevuto un secco rifiuto da parte di Ben: Cal aveva chiesto esplicitamente di non coinvolgerla in alcun modo nella missione.
Non sopportava il non poter fare niente per aiutare Cal.
Lui era lì fuori a rischiare la propria vita, e l’unica cosa che lei poteva fare era sperare.
Sperare che tutto andasse bene.
Sperare che non facesse una delle sue solite uscite folli, sfidando la sua fortuna fino allo stremo.
Sperare di non ricevere la notizia che qualcosa era andata storta, che lui era ferito o peggio.
Doveva aspettare, non aveva altra scelta.


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Mi scuso per il ritardo ma tra blocco creativo e ripresa del lavoro non ho potuto fare di meglio. 
L'idea c'era ma non riuscivo a metterla nero su bianco. 
Niente emozioni o situazioni Callian ma serviva un capitolo dove spiegare un po' che cavolo sta succedendo fuori le mura del Lightman Group. 
L'idea è banale, me ne scuso, ma credo di aver scoperto che le spy story non sono il mio forte :-P
  
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