Serie TV > CSI - New York
Segui la storia  |       
Autore: margheritanikolaevna    02/02/2013    7 recensioni
Oggi è la Giornata della Memoria: nessuno di noi ricorda l'Olocausto, eppure ognuno di noi ha il dovere di ricordarlo.
Questa strana storia è il mio personale contributo per non dimenticare.
Vi siete mai chiesti come sarebbe la nostra vita se la Seconda Guerra Mondiale non fosse andata nel modo che conosciamo?
Partecipa ai contest "Worldwide" di Yuki e "Quando l'ispirazione bussa alla porta..." di Dominil B
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mac Taylor
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Amiche e amici lettori - pochi ma per questo ancora più preziosi - mi rendo conto che il prologo si è rivelato per quel che era: appunto, solo un’introduzione che mi è servita per cominciare a delineare alcuni temi.
 

Questo capitolo, invece, ci cala di più nell’atmosfera di quel periodo disgraziato e fa da ponte verso la storia vera e propria, che inizierà nel capitolo successivo.
Le parole di Hanne sono, nella parte finale, una parafrasi del testo della canzone “Vorbei” dei Panik (ex Nevada Tan), che era contenuta nel pacchetto da me scelto per il “Worldwide contest”.

 

Il pacchetto “Germania” prevedeva anche l’inserimento di un’immagine (quella descritta nel prologo) e di una ricetta (qui i Lebkuchen) scelte dal giudice.
Grazie infinite a chi avrà la pazienza di leggere e commentare!
 
 
Capitolo primo
 
 
Hanne Hirsch Liebmann era nata nel 1931 a Karlsruhe (3): sua madre era cattolica, mentre suo padre proveniva da una famiglia ebrea non praticante. Gestivano una panetteria ed erano conosciuti e benvoluti nel quartiere, almeno fino all’avvento dei nazisti al potere.
Piano piano le persone non ebree che prima frequentavano il negozio avevano iniziato a prendere le distanze, isolandoli sempre di più; non c’era stata ancora violenza, ma una diffidenza strisciante, un odio sotterraneo eppure distintamente avvertibile, quelli sì.
Poi, era arrivata la “notte dei critalli”.
“Avevo sette anni allora e ricordo che nel pomeriggio avevo aiutato mia madre a preparare l’impasto per i Lebkuchen, i tipici biscotti natalizi della tradizione tedesca, che avremmo cominciato a vendere la mattina seguente. In Germania le feste di Natale iniziano l’11 novembre, giorno di San Martino, quando è tradizione costruire lanterne di carta che poi i bambini portano in processione per illuminare la strada di San Nicola, che il 6 dicembre arriva nelle case e regala ai piccoli dolci e cioccolata. 
È strano come nella mia memoria i ricordi di quella notte siano associati ai profumi di frutta secca e spezie… ancora oggi non posso sentire l’odore della cannella o dei chiodi di garofano senza che un brivido mi attraversi da capo a piedi”.
La donna si bloccò un istante, quasi che il torrente dei ricordi che stava risvegliando fosse troppo impetuoso e rischiasse di travolgerla. Il vuoto lasciato dalla sua voce fragile - l’inglese perfetto, eppure ancora venato dalle tracce di accento tedesco - eppure autorevole fu subito riempito dalle risate soffocate provenienti dal gruppo di ragazzi che occupavano il fondo della sala, vanamente rimbrottati dai loro accompagnatori.
Quando, però, Hanne riprese tutti tacquero di nuovo.
 
“Era un mattino freddo e nebbioso il 10 novembre 1938; ero andata a scuola - in una scuola ebraica ovviamente - e il nostro maestro entrò di corsa in classe senza fiato… lui, che era sempre calmo e tanto gentile, aveva il viso tutto rosso per l’agitazione e con le mani tremanti fece segno verso la porta gridando: «Bambini, per l’amor del cielo, presto, correte a casa vostra!».
Non ricordo come uscii dalla scuola; tutti spingevano e tiravano affollandosi verso il portone e poi subito correvano via, ciascuno per la propria strada.
Io invece rimasi ferma lì, in mezzo alla via, ipnotizzata da quello che stavo vedendo: ragazzi della Hitlerjugend nelle loro divise assalivano con bastoni e sassi l’edificio, prima frantumando i vetri delle finestre e poi devastando tutto quello che trovavano nelle aule e negli uffici.
Piangevo per il terrore: la mia casa era lontana, non ero mai uscita da sola e non sapevo nemmeno come tornare. Tra l’altro, non riuscivo a capire cosa volessero quei giovani da noi e dalla nostra scuola.
Anche loro non erano altro che ragazzi… sì, più grandi di me, ma ragazzi come lo ero io: che cosa gli avevamo fatto di male?
Improvvisamente mi sentii afferrare per la mano.
A passi veloci - a me sembrava di correre - entrammo in un negozio.
Non conoscevo l’uomo che mi aveva trascinata con sé, ma il mio istinto mi disse che voleva aiutarmi, allontanandomi dai soldati impazziti e dalla folla di curiosi. Il negozio era una latteria e lo sconosciuto che mi aveva portato lì un signore di mezza età coi capelli già bianchi; con l’aiuto della moglie cercò di tranquillizzarmi, ma io, scossa dal gran piangere, non riuscii a tirar fuori una sola parola.
Allora, mentre tentavano di farmi dire il mio nome e dove abitassi, per blandirmi mi offrirono un biscotto ricoperto di cioccolata, proprio un Lebkuchen come quelli che vendevano i miei: non so come, ma mi riscossi e finalmente ripresi un po’ il controllo di me, riuscendo a spiegare come si chiamasse la mia famiglia.
Trascorso un tempo che a me parve infinitamente lungo, l’uomo tornò insieme a mia madre: mi calmai solamente fra le sue braccia.
Dopo aver ringraziato quelle brave persone, mamma mi prese per mano e mi condusse verso casa… ricordo il suo palmo caldo e liscio che si chiudeva intorno alla mia manina gelida e poi le strade che attraversammo, che parevano bruciare esse stesse a causa delle fiamme che uscivano dalle case e dai negozi ebrei, mentre i pompieri tentavano di salvare con i getti d’acqua dei loro idranti unicamente le proprietà appartenenti a cittadini tedeschi “ariani”!
Sembrava che le SS si divertissero: ridevano rumorosamente mentre spaccavano con pietre e bastoni le vetrine dei negozi e gettavano in strada dalle finestre mobili e quadri.
Precipitai in un vortice di orrore che la mia mente di bambina lesse con i soli strumenti che aveva: quelle persone conservavano l’apparenza di esseri umani, ma in realtà erano mostri, trasformati improvvisamente e resi spietati dal sortilegio di una strega cattiva.   
Come avrei potuto altrimenti spiegarmi che persone che fino a poco prima ci erano amiche adesso ci sfuggivano, ci odiavano senza un perché, godevano nel vedere la nostra sofferenza e la nostra umiliazione?
Quando arrivammo a casa, tutte le vetrine del negozio erano state spaccate e mio padre, con le lacrime agli occhi, stava togliendo i frammenti di vetro dalla strada. Accanto a noi c’era la bottega di un antiquario: anch’essa era stata devastata, ricordo che avevano addirittura versato inchiostro sui tappeti per renderli irrecuperabili…”
Hanne tremò appena, si interruppe per bere un sorso d’acqua e poi riprese.
“Nell’ottobre del 1940 fummo deportati a Gurs, nel sud della Francia; l’anno dopo una società per l’aiuto dell’infanzia mi aiutò a nascondermi in un istituto a le Chambon sur Lignon.
Non vidi mai più i miei genitori: mia madre morì ad Auschwitz, di mio padre non ho saputo nulla… nel 1949 sono emigrata qui negli Stati Uniti e da allora non ho più messo piede in Germania”.
La sua voce ruppe in un gemito: “Ricordo bene mia madre, anche se ero così piccola: era dolce e affettuosa e il pensiero di lei mi ha accompagnato nei momenti di tristezza, rincuorandomi. Era sorridente e gentile, nonostante il dolore, mentre il mondo intorno a noi non ci mostrava altro che crudeltà e odio.
L’ho desiderata con tutto il mio cuore, voi non potete nemmeno immaginare quanto!
Quando ci separammo, mi disse queste parole: “Fino a quando non mi dimenticherai, io sarò sempre con te”.
Affondai la testa tra le sue braccia, mi aggrappai a lei più forte che potei e quando la strapparono via sentii che mi gridava che ci saremmo ritrovate, che quello non era un addio, ma solo un temporaneo arrivederci.
La sua promessa ha riecheggiato nelle mie orecchie per anni, fino a che non ho saputo che era morta.
Ancora adesso, ci sono giorni in cui ho paura e non riesco più a ricordare tutto ciò che di bello ho diviso con lei… tutti i colori della nostra vita insieme sbiadiscono. Ci sono notti in cui giaccio sveglia fissando la parete bianca di fronte a me e penso alla nostra promessa che si consumava lentamente dietro al filo spinato di un campo di concentramento.
E l’immagine del suo volto sulla parete impallidisce, fino a che rimane solo il muro livido e vuoto.
La storia della nostra vita, il quadro che stavamo dipingendo insieme svanisce: il ricordo di lei dovrebbe rimanere intatto, ma il tempo cancella e discolora anche quando non vogliamo. 
Quando la mia ultima domanda ebbe risposta, compresi che i nostri giorni erano persi per sempre, finiti. Che avrei dovuto trovare nuovi scopi nella mia vita, liberarmi dal passato, cercare quanto di buono il mondo poteva ancora offrirmi.
Ricominciare.
Lasciai il mio paese, ma il passato ancora non tace…
E non deve tacere.
Immaginate - se potete - un essere umano al quale vengano tolti insieme alle persone amate anche la sua casa, le sue abitudini… tutto, infine, letteralmente tutto quanto possedeva: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, incapace di ricordare persino la propria dignità.
Perché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere anche se stesso(4)”.  
“Vedete, ragazzi” concluse, rivolgendosi agli studenti che l’ascoltavano adesso tutti concentrati e commossi “voi non immaginate nemmeno la fortuna che avete avuto a nascere in questo paese, in un momento in cui la guerra è solo un pensiero lontano.
La pace, la giustizia, il rispetto nei confronti di chi è diverso non sono valori scontati, che sono esistiti sempre e dovunque: milioni di persone sono morte in modo atroce affinché ciascuno di voi potesse essere libero e vivere serenamente.
Ve ne prego, non dimenticatelo mai.
Conservate nel vostro cuore la capacità di indignarvi, di spezzare il silenzio e di lottare per affermare questi stessi principi”.
 
(3) Questo è il nome di una persona reale, veramente sopravvissuta all’Olocausto, la cui storia ho scovato su un sito che raccoglie testimonianze orali di superstiti allo sterminio e modificato in parte per adattarla al racconto.
(4) La frase è una citazione da “Se questo è un uomo” di Primo Levi.
 

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > CSI - New York / Vai alla pagina dell'autore: margheritanikolaevna